venerdì 30 dicembre 2011

AUGURI DI FINE ANNO


Auguri di BUON ANNO sulle note meravigliose di A.Vivaldi (Concerto n.4 in fa min.:L'inverno) che dedico a voi tutti, con tutto il cuore! La prof

sabato 24 dicembre 2011

AGLI ALUNNI DI TUTTE LE CLASSI

UN CARO AUGURIO DI BUON NATALE E DI FELICE ANNO A VOI STUDENTI E ALLE VOSTRE FAMIGLIE. RINGRAZIO TUTTI DI CUORE PER L'INTERESSE E L'ENTUSIASMO CHE OGNI GIORNO RIUSCITE A TRASMETTERMI... GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE! LA PROF

sabato 17 dicembre 2011

Lettera aperta..... a Marica Mancini VF

Cara Marica, sono in paziente attesa di ricevere gli appunti di letteratura. Non dimenticare! :)La Prof

venerdì 16 dicembre 2011

COMUNICAZIONE AGLI ALUNNI VF

VI PREGO DI UTILIZZARE IL BLOG, IN PARTICOLARE LA FUNZIONE COMMENTI, IN MODO CORRETTO, LEALE E RESPONSABILE, COSI' COME COSTRUTTIVO E RESPONSABILE VUOLE ESSERE IL MIO SFORZO, EVIDENTE, DI LAVORARE SENZA RISPARMIO E CON DIGNITA' AL VOSTRO SERVIZIO. SPERO NON DOVER INTERVENIRE ANCORA IN PROPOSITO. ROBERTA CARDAROPOLI

P.S. INOLTRE, l'UTILIZZO DEL MIO NICK VA AL DI LA' DI OGNI COMPRENSIBILE GOLIARDIA.

martedì 13 dicembre 2011

Le fusa della gatta


Al fin la morta gatta
subiva la disfatta,
al bel biondo straniero
giurava amore vero.
Diceva - sto studiando!-,
pensava invece a Nando
che al fin ebbe ragione
e vinse la tenzone.

L'augurio mio gentile:
...la prole sia maschile!

REALISMO E NATURALISMO NELLA CULTURA EUROPEA

Dare una definizione di “realismo” non è operazione semplice, a causa della molteplicità di accezioni che questo concetto implica. IN SENSO PROPRIAMENTE LETTERARIO ogni opera narrativa o poetica che dimostri la volontà dell’autore di descrivere e rappresentare elementi propri della vita reale ha in sé caratteri di realismo. In questa direzione si è mossa la ricerca del filologo e critico letterario tedesco Erich Auerbach (1892 –1957), che in una sua celebre raccolta di saggi dal titolo Mimesis – Il realismo nella letteratura occidentale ha individuato i segni di un atteggiamento “realista” in opere di genere ed epoche assai differenti. Se è vero che tali segni nella letteratura sono sempre stati presenti, prendiamo come caso emblematico il realismo dantesco nella Commedia, è però altrettanto vero che soltanto a partire dalla prima metà dell’Ottocento si è affermata in Europa una corrente narrativa coerentemente realista, impegnata in una sorta di analisi- rispecchiamento del panorama sociale. Nel corso del XIX sec., l’esigenza di realismo, favorita da particolari condizioni politiche e culturali (i sommovimenti suscitati in Europa dalla Rivoluzione francese e, sul piano culturale, dalla rivoluzione romantica), si lega soprattutto alla diffusione del ROMANZO, come genere letterario di più largo consumo, che intende proporsi quale affresco della realtà contemporanea. NEL CORSO DELL’OTTOCENTO IL ROMANZO SI RIVELA COME LA FORMA PIÙ ADATTA A COGLIERE LA REALTÀ UMANA E SOCIALE IN TUTTA LA SUA PIENEZZA E VARIETÀ; IL ROMANZO, PIÙ DI OGNI ALTRO GENERE LETTERARIO, SI PRESTA A RAFFIGURARE LA MULTIFORMITÀ DEL REALE.
Nei decenni a cavallo tra Settecento e Ottocento il sovvertimento di monarchie secolari, lo sconvolgimento di un ordinamento sociale rimasto sostanzialmente immutato dal Medioevo, il mutamento repentino delle condizioni di vita di intere masse di individui impongono di riconsiderare la condizione dell’uomo alla luce di parametri culturali nuovi e più ampi. Mentre l’Illuminismo aveva nutrito la convinzione che la natura e la ragione umana non fossero soggette a un perenne divenire, nel corso dell’Ottocento si fa invece strada l’idea che L’UOMO SIA IL PRODOTTO DELLA STORIA COLLETTIVA e che anche nel presente egli sia sottoposto a modificazioni continue. Sul piano letterario questa CONCEZIONE STORICISTICA ha un’importanza straordinaria. Infatti ogni personaggio non può più essere definito attraverso statiche caratterizzazioni morali o psicologiche, ma va presentato come entità che subisce i condizionamenti di una sfera sociale e un’epoca precise. La sua personalità e l’idea che egli ha di sé devono trovare giustificazione nel contesto in cui egli è costretto ad agire, e l’ambiente storico sociale che lo circonda va quindi descritto in modo ampio e ben documentato. La capacità di comprendere e di ricostruire la “realtà, in una parola il “realismo”, diviene quindi un fattore indispensabile per l’elaborazione di un testo narrativo. Questa nuova forma di impostare e sviluppare il racconto, trova nel romanzo il suo esito più congeniale.
IN FRANCIA l’esigenza di realismo in letteratura si afferma più palesemente dopo la caduta di Napoleone, e raggiunge livelli assai elevati in scrittori quali Stendhal (pseudonimo di Henry Beyle, 1783-1842), Honoré de Balzac ( 1779-1850), Gustave Flaubert (1821-1880); sulle opere di questi grandi maestri del Realismo, si innesta la tradizione del romanzo naturalista che raggiunge la sua piena maturazione in scrittori come i fratelli Edmond (1822-1896 ) e Jules Goncourt ( 1839-1870), Emile Zola (1840-1902), Guy de Maupassant (1850-1893), ritenuti i più significativi maestri del movimento letterario noto come NATURALISMO.
Il Naturalismo, sviluppatosi in Francia nell’ultimo trentennio dell’Ottocento, rappresenta l’espressione letteraria della cultura del POSITIVISMO, che svolge un ruolo di primo piano nell’Europa della seconda metà del secolo.
IL POSITIVISMO ha le sue origini nella Francia dell’età di Luigi Filippo (1830-1848), diviene nella seconda metà del secolo la filosofia egemone in Europa: sostiene la necessità di ricercare leggi oggettive in tutti i campi del sapere, utilizzando i metodi delle scienze positive, fondate su dati reali, tangibili, empiricamente osservabili, e su verifiche certe. Il Positivismo fu innanzitutto un indirizzo filosofico che giudicava la conoscenza scientifica e il metodo di ricerca analitico-sperimentale come i soli strumenti validi per giungere ad una esaustiva interpretazione della realtà. Presto il Positivismo viene esteso ad ogni ambito disciplinare, dall’arte all’economia, alla politica, comprese le scienze umane, e finisce per influenzare direttamente anche la letteratura e la critica letteraria. Sorgono e si sviluppano nuovi campi disciplinari, come la sociologia, l‘etnografia e l’etnologia, poiché anche la società viene analizzata e descritta secondo il metodo sperimentale.
Teorici del Positivismo furono il filosofo e sociologo francese Auguste Comte (1798 –1857; discepolo di Henri de Saint-Simon, è generalmente considerato l'iniziatore del Positivismo: « L'Amour pour principe et l'Ordre pour base; le Progrès pour but »: “L'Amore per principio e l'Ordine per fondamento; il Progresso per fine » Auguste Comte, Sistema di politica positiva) e il filosofo inglese Herbert Spencer (1820-1903). Quest’ultimo fu primo a tracciare i lineamenti di una “scienza della società”, ossia della moderna sociologia. Grazie alla scoperte scientifiche e mediche, cambia anche la visione del mondo: l’essere umano appare sempre più come una macchina “conoscibile” e “indagabile”, non soltanto nei suoi aspetti clinici, ma anche in quelli psicologici. In pieno clima positivista si colloca la teoria evoluzionistica del naturalista inglese Charles Darwin (1809-1882), che nel 1859 pubblica un’opera dal titolo “L’origine della specie” (1859); in questo saggio Darwin formulò, sulla base di lunghe osservazioni scientifiche condotte sul mondo animale, una compiuta teoria dell’evoluzione degli esseri viventi, basata sul principio della selezione naturale e della lotta per la sopravvivenza. Sebbene il principio della selezione naturale poteva prestarsi, come di fatto accadde, ad una interpretazione pessimistica delle dinamiche sociali (nei rapporti tra gli individui e fra le classi) determinate e regolate dalla legge del più forte, le teorie darwiniane apparvero, allora, come la garanzia ottimistica di un progresso indefinito della specie umana. Ben presto le teorie di Darwin vengono applicate da Herbert Spencer alla società umana. Secondo Spencer anche la società è oggetto di un processo evolutivo che ne determina le trasformazioni interne(riguardanti la struttura gerarchica, l’economia, il lavoro) e che implica una lotta per la sopravvivenza e una necessaria selezione di cui sono vittima gli individui più deboli, ovvero quelli appartenenti agli starti sociali più bassi.

Il primo ad estendere le concezioni del Positivismo e dell’evoluzionismo darwiniano alla LETTERATURA è il critico inglese Taine (1828-1893), che è anche il primo a utilizzare in un suo libro su Balzac del 1858 l’aggettivo “naturalista”. Nella prefazione alla sua Storia della letteratura inglese (1863), Taine attribuisce alla letteratura il compito di indagare scientificamente la realtà sociale, mediante l’esame dei tre fattori che, a suo giudizio, determinano il comportamento e la psicologia umana: il fattore ereditario, l’ambiente sociale, il momento storico. Il destino dell’uomo viene ad essere il risultato dell’interazione tra questi tre fattori: “il vizio e la virtù- osservava Taine – non sono che dei prodotti, come lo zucchero e il vetriolo”.
L’opera letteraria, in particolare il romanzo, diviene così un documento scientifico: un’indagine condotta con metodo distaccato e rigoroso sulla società umana. Lo scrittore naturalista deve riprodurre la realtà in modo oggetivo, senza alcun compiacimento estetico, evidenziando le componenti storiche, ambientali, sociali che, secondo la lezione del Taine, determinano le azioni umane.

SUL PIANO STORICO-POLITICO, il Positivismo fu, nella seconda meta dell’Ottocento, l’ideologia tipica della Borghesia in ascesa. Esso fu assunto come base culturale del progressismo democratico e concorse - in parte- alla formazione della ideologia socialista. In Italia furono positivisti grandi studiosi di scienze sociali, come Cesare Lombroso (1835-1909), ma anche molti filologi e storici, come Pasquale Villari ( 1826-1917). Nelle sue diverse espressioni, il P. contribuì potentemente ad alimentare la fiducia nel progresso dell’umanità e a sostenere la convinzione di poter controllare, grazie alla scienza, il corso della natura e degli stessi processi sociali. Questo diffuso ottimismo poggiava, particolarmente, su due fenomeni storico sociali: lo sviluppo economico successivo agli anni 1846-47, e le recenti conquiste della scienza.

INDUSTRIA E SCIENZA - In tutta l’Europa più progredita l’industria promuove la ricerca scientifica e, nello stesso tempo, le scoperte scientifiche e le loro applicazioni in ambito tecnologico fanno avanzare le industrie.
I risultati più consistenti si ebbero proprio nel settore della produzione industriale che , fra il 1850 e il 1873, fece registrare un incremento rilevante che avvantaggiò, in particolare, le nuove potenze industriali: la Francia del Secondo Impero e la Germania, consentendo loro di ridurre il divario che le separava dalla Gran Bretagna. Lo sviluppo industriale si fondò essenzialmente sull’espansione dei settori siderurgico e meccanico. Per i Paesi di più recente industrializzazione furono questi settori a svolgere il ruolo trainante che in Inghilterra era stato proprio dell’industria tessile. Si trattò di uno sviluppo imponente sia dal punto di vista quantitativo (l’industria siderurgica tedesca crebbe per tutto il ventennio 1850-70 ad un tasso medio annuo del 10°/.), sia dal punto di vista qualitativo, reso possibile da alcuni fattori particolari.
Tra questi non possiamo non far riferimento in primo luogo alla diffusione di macchine tecnologicamente avanzate: la macchina a vapore che si sostituì definitivamente alla ruota idraulica, i filatoi e i telai meccanici che soppiantarono gradualmente quelli manuali, il combustibile minerale (carbon coke) che si sostituì sempre più a quello di legna; non meno importante la maggiore disponibilità di materie prime (minerali ferrosi e soprattutto il carbon coke) conseguente alla scoperta e allo sfruttamento di nuovi giacimenti minerari nell’Europa continentale ( Pas de Calais in Francia, il bacino della Ruhr in Germania); la rimozione di antichi vincoli giuridici che ostacolavano le attività economiche (ordinamenti corporativi, leggi che proibivano il prestito ad interesse, condanne per debiti o per fallimenti; si diffuse sempre più l’uso della carta moneta e degli assegni); il trionfo del libero scambio, con lo smantellamento delle numerose barriere che si frapponevano alla libera circolazione delle merci: imposte sul traffico delle vie d’acqua, dazi interni e soprattutto di entrata e di uscita ai confini fra gli Stati. Una fitta rete di trattati commerciali finalizzati ad una congrua riduzione delle tariffe doganali, fu stretta tra le principali potenze europee, Russia compresa. Il libero scambio favorì in primo luogo la Gran Bretagna che, grazie alla sua collaudata struttura industriale, poteva offrire i suoi prodotti a prezzi competitivi; ma finì col giovare anche agli altri Paesi europei, poiché provocando la scomparsa delle imprese meno attrezzate per sostenere la concorrenza, favorì, in generale, la modernizzazione dell’apparato produttivo.
I costi crescenti degli impianti industriali e l’accresciuta concorrenza diedero un forte impulso alla tendenza verso l’aumento delle dimensioni delle imprese e verso le concentrazioni aziendali. Si moltiplicarono, così, le Società per azioni, che consentivano agli imprenditori di ridurre il rischio negli investimenti e di sopperire al bisogno di capitale . L’eccesso di fiducia nelle capacità espansive del mercato fu al’origine di due crisi scoppiate nel 1857-58 e nel 1866-67, che interruppero momentaneamente il corso positivo dell’economia mondiale.
Alcune importanti invenzioni modificano la percezione dello spazio e del tempo. Tra queste, la rivoluzione dei trasporti e dei mezzi di comunicazione. Grazie all’espansione della ferrovia, il treno, realizzato agli inizi dell’Ottocento, accelera e intensifica gli spostamenti, diventando un simbolo di progresso: all’inizio del 1850 esistevano in tutto il mondo circa 40.000 ferrovie; dieci anni dopo, l’estensione della rete ferroviaria era quasi triplicata, con 110.000 Km, di cui più della metà nel Nord America; nel 1854 fu inaugurata la prima linea transalpina, la Vienna-Trieste. Rilevanti progressi si registrarono anche nell’ambito della navigazione a vapore ; infine, l’invenzione del telegrafo (1844) e, successivamente, quella del telefono (1871) consentono di comunicare in tempo reale da luoghi tra loro remoti. La scienza diventa un mito: si pensa che un destino di inarrestabile progresso attenda l’umanità.
Questi nuovi fermenti si traducono, in AMBITO LETTERARIO, nel movimento noto come NATURALISMO, che cercò di applicare in letteratura le vie “scientifiche” affermate dal Positivismo e dal darwinismo.

lunedì 12 dicembre 2011

COMUNICAZIONE AGLI ALUNNI DI TUTTE LE CLASSI

Ecco per voi, in anticipo sulle feste natalizie, un prezioso dono: gli appunti di Filosofia del Prof Scognamiglio. Trovate il link tra i siti consigliati o, più semplicemente, cliccando sul titolo di questo post...Saluti cari, La Prof

martedì 29 novembre 2011

Comunicazione agli alunni V F

Carissimi, eccovi due preziosi doni: presentazione-commento della Ginestra(breve messa a punto delle ultime spiegazioni in classe); parafrasi dei versi 111-157, da studiare. Io ci sarò(spero) giovedì per la lezione conclusiva. La prof

LA GINESTRA O IL FIORE DEL DESERTO - Presentazione

Scritto nel 1836 a Torre del Greco, questo canto è tradizionalmente considerato il testamento spirituale del poeta. E in effetti, la sua inusitata ampiezza ( canzone libera di 317 versi in sette strofe di endecasillabi e settenari, con rime baciate a fin di strofa, e rime al mezzo), il confluire in esso di tutti gli elementi della visione del mondo elaborata da Leopardi nell'ultima fase della sua esistenza, la solennità dell'andamento stilistico, la stessa epigrafe tratta dal vangelo di Giovanni sembrano conferire alla poesia l'aspetto definitivo ed estremo, dello stesso tipo di quella Lettera a un giovane del ventesimo secolo che il poeta progettava fin dal 1827 e che non scrisse mai.
Lo spunto iniziale della poesia è dato dalla viva impressione suscitata in Leopardi dalla fioritura della ginestra sulle pendici del Vesuvio. Il fragile fiore, sbocciato sulla lava che nel 79 d. C. distrusse Pompei, Ercolano e Stabia, è polemicamente contrapposto allo stolido orgoglio degli uomini e alla loro ridicola illusione di essere padroni dell'universo, mentre basta un improvviso movimento tellurico per distruggere una civiltà. Di quì la polemica contro l'idealismo progressista dell'età romantica. In nome di una cieca e ottusa fiducia nella centralità dell'uomo e nella perfettibilità dell'universo, il secolo XIX avrebbe voltato le spalle alla linea di pensiero che dal Rinascimento aveva condotto alle conquiste civili del secolo dei lumi. Al contrario, il genere umano dovrebbe prendere coscienza della propria fragilità, dell'infima consistenza di quel granel di sabbia che è la terra in confronto all'immensità dell'universo, e unire tutte le sue forze contro la natura. Solo da una loro partecipe solidarietà nella sconfitta gli uomini potranno creare ordinamenti civili finalmente giusti. La impressionante rievocazione dell'erudizione vulcanica mira a confermare la miserabile condizione umana rispetta alla grandezza della natura, eternamente rigogliosa e incurante delle misere fatiche degli uomini. Se la tenera ginestra, conclude il poeta, soccomberà prima o poi alla forza del vulcano, lo farà secondo un destino naturale altrettanto naturalmente accettato, senza servili sottomissioni, ma anche senza orgoglio di chi si crede immortale dimenticando la propria fragilità.
Il quadro dei problemi disegnato dal canto ha dato adito alle più svariate interpretazioni e ai giudizi più contrastanti: svalutato da Benedetto Croce(Pescasseroli 1866 – Napoli 1952) in quanto prevalentemente "non poetico" per le ampie manifestazioni di "pensiero" che ne inficerebbero la purezza lirica, fu poi usato dal critico letterario Cesare Luporini (Ferrara, 1909 – Firenze, 1993) nel saggio Leopardi progressivo (1947) come prova del progressismo del poeta, che avrebbe preconizzato una sorta di confederazione degli umili come unico possibile futuro pr le istituzioni civili e pubbliche dell'umanità. In realtà, se anche vi si può cogliere qualche slancio utopistico, LA GINESTRA è il canto in cui più rigorosamente Leopardi combatte la pretesa umanistica di stabilire valori positivi per l' esistenza umana e per il suo destino sociale: l'errore del secolo XIX è consistito nel non aver tenuto conto dell'operazione distruttiva compiuta dall'illuminismo nei confronti di tutta la cultura basata su presupposti metafisici; nel non aver tenuto conto delle nelle verità negative che da quella scuola di pensiero sono emerse; per il Leopardi l' "arido vero" rimane pur sempre l'assoluta negatività nella condizione umana.
La poesia pubblicata nell'edizione postuma dei canti curata da Ranieri.

domenica 27 novembre 2011

G.Leopardi, La Ginestra (1836) - Parafrasi

(vv. 1-86)Qui sul fianco riarso del monte Vesuvio, tremendo annientatore, che nessun altro tipo di vegetazione rallegra, spargi i tuoi cespi solitari intorno, profumata ginestra, appagata dai deserti. Ti vidi anche un’altra volta adornare con i tuoi cespi le solitarie rovine che circondano la città che un tempo fu dominatrici di popoli (Roma), rovine che sembrano rendere al viandante, con il loro cupo e silenzioso aspetto, una testimonianza dell’antica potenza ormai perduta. Adesso torno a vedere in questo luogo te,o ginestra, che prediligi i luoghi tristi e abbandonati dalla gente, te che sei compagna di grandezze decadute. Questi campi cosparsi di ceneri sterili e ricoperti dalla lava solidificata, che risuona sotto i passi del viandante, dove si annida e si contorce al sole il serpente, e dove all’abituale tana sotterranea torna il coniglio;questi luoghi deserti furono un tempo villaggi prosperi e campi coltivati, e biondeggiarono di messi, e risuonarono di muggiti di mandrie; furono giardini e ville sontuose, che offrirono gradita ospitalità al riposo dei potenti; e furono città famose (Pompei, ercolano, Stabia) che il Vesuvio,lanciando torrenti di lava dal cratere che erutta fuoco,seppellì insieme agli abitanti. Oggi le rovine avvolgono il paesaggio desolato dove tu solo dimori, o fiore gentile e, quasi rivelando compassione per le altrui sciagure, emani un profumo dolcissimo che sale verso il cielo e che consola questo luogo di desolazione. Chi ha l’abitudine di esaltare con stolido ottimismo la nostra condizione venga in queste campagne desolate e constati in che misura il genere umano stia a cuore alla natura che ci ama. E qui potrà anche giudicare opportunamente la potenza del genere umano, che la natura, crudele nutrice, quando l’uomo meno se lo aspetta, con una scossa impercettibile in parte distrugge in un momento e può con scosse un po’ più forti annientare del tutto. Su questi pendii sono rappresentate le sorti splendide e in continuo progresso dell’umanità (IRONIA).


Vieni a guardare e a verificare le tue certezze in questi luoghi, secolo stolto e superbo, che hai lasciato la via percorsa fino ad ora prima di te dal pensiero risorto con il Rinascimento e, volti i passi in opposta direzione, esalti il ritorno alle passate dottrine E chiami ciò progresso. Tutti gli intellettuali di cui il destino ingiusto ti rese padre esaltano il tuo ragionare infantile, benché, talvolta, nel loro intimo, ti scherniscano. Io non andrò sottoterra macchiato di una simile vergogna, ma avrò rilevato nel modo più esplicito il disprezzo che nutro verso di te, benché sia consapevole che chi non piacque ai propri contemporanei è destinato ad essere dimenticato: nonostante io sappia che dimenticare preme chi alla propria età increbbe troppo. Dell’essere dimenticato, che con te sarà comune, fin da questo momento assai mi rido. O secolo sciocco e superbo elabori progetti di libertà politica e civile e nel contempo assoggetti a dogmi irrazionali quel pensiero in virtù del quale soltanto risorgemmo in parte dalla barbarie medioevale e in nome del quale soltanto si avanza sulla strada della civiltà, la civiltà che sola rende migliore il destino della società. Non hai avuto la forza e il coraggio di accettare le conclusioni a cui era giunto il pensiero(il razionalismo illuministico), ossia che la natura ci ha assegnato una condizione dolorosa e infima nella gerarchia degli esseri. Per questo volgesti le spalle a quel pensiero filosofico che rese evidenti queste verità e, mentre fuggi, definisci vile chi segue queste dottrine (il materialismo illuministico) e, viceversa, chiami coraggioso colui che illudendo se stesso o gli altri, innalza, esaltandola, la condizione umana fino al cielo.



(vv.87-157) Un uomo di umile condizione ed infermo, che abbia grandezza d’animo e nobili sentimenti, non si vanta né si illude di essere ricco o forte e non ostenta ridicolmente una vita splendida o un fisico in piena salute fra la gente; ma senza vergognarsene non nasconde di essere debole e povero e si dichiara tale apertamente e giudica la sua condizione secondo quello che è in realtà. Non considero saggio e coraggioso, ma stolto quel essere vivente che, benché destinato a morire e cresciuto in mezzo ai dolori, dichiara di essere stato creato per provare piacere e stende scritti che trasudando orgoglio disgustoso, promettendo esaltanti destini e straordinarie felicità – quali non solo questa
terra, ma anche il cielo intero ignora – a popoli che un maremoto, un’epidemia, una scossa di terremoto distruggono in un modo tale che a stento rimane il ricordo di essi.
(vv.111)Considero indole nobile e dignitosa quella di colui che ha il coraggio di guardare in faccia il destino umano e che con franchezza, senza mistificazioni, o utopistiche illusioni, riconosce la sorte dolorosa e l’insignificante e fragile condizione che ci furono assegnate; (indole nobile è) quella che si rivela grande e forte nelle sofferenze (TITANISMO), che non ritiene responsabili delle proprie sciagure gli altri uomini, aggiungendo in questo modo alle sue miserie, già tanto numerose, odio e rancore tra fratelli, ossia un male ancora peggiore, ma attribuisce l'origine del dolore umano a colei che è la vera responsabile (la Natura), che è madre degli uomini, in quanto li ha generati, ma, per il trattamento che riserva loro, è da considerarsi alla stregua di una matrigna. (Indole nobile è quella che)Considera la natura una nemica, pensando, come del resto è, che la società umana si sia unita e organizzata all’origine per combattere e contrastare la natura,(indole nobile è quella che) ritiene che tutti gli uomini debbano essere alleati fra loro, e tutti abbraccia con amore vero, prestando valido e sollecito aiuto, e aspettandolo in cambio nei pericoli che a vicenda sovrastano gli uomini e nel dolore della lotta comune contro la natura. (indole nobile è quella che) Ritiene che sia da sciocchi armare la propria mano per contrastare un altro uomo e preparare insidie e danni al proprio vicino, così come sarebbe sciocco in un campo circondato da nemici, proprio mentre infuriano gli assalti, dimenticandosi di questi, aprire ostilità crudeli e feroci contro i propri compagni (Il pensiero del Leopardi si ricollega qui ai concetti roussoniani di fraternità e cosmopolismo) Questo modo di pensare (coraggioso e generoso) quando sarà, come fu agli inizi dell’umanità, evidente al popolo, e quando quel terrore (dei fenomeni naturali) che alle origini spinse gli uomini primitivi a stringere legami sociali contro le forze naturali ostili, sarà almeno parzialmente ripristinato da una sapienza conquistata con l'uso della ragione, l'onesta e la rettitudine dei rapporti sociali,(conversar cittadino),la giustizia e la pietà verso gli altri, avranno allora un fondamento (radice) ben diverso che non fantasie inconsistenti e superbe(superbe fole),fondandosi sulle quali l'onestà del popolo può reggersi (star suole in piedi) a malapena, così come può reggersi colui che si basa (ha la sede) sull'errore.




(vv. 158-201)Spesso in questi luoghi alle pendici del vulcano che, desolate, la lava solidificata ricopre di scuro, e sembra accavallarsi come onde marine, trascorro la notte; e sulla campagna triste in azzurro purissimo vedo dall’alto brillare le stelle, cui da lontano il mare fa da specchio, e tutto in giro di scintille nella cavità serena, immensa, del cielo brillare il mondo. E poi che gli occhi a quelle luci rivolgo, che agli occhi sembrano un punto, mentre sono immense, tanto che rispetto a loro la terra e il mare sono davvero un punto; per quelle stelle non solo l’uomo, ma anche questo pianeta dove l’uomo è nulla è sconosciuto del tutto; e quando scruto quella ancora lontana nebulosa, che a noi pare quasi nebbia, a cui non l’uomo e non la terra soli, ma insieme, infinite nel numero e nella grandezza, le stelle del nostro sistema solare, compreso il sole luminoso o sono sconosciute, o così paiono come essi alla terra, un punto di luce nebulosa; al pensiero mio che sembrino allora, o genere umano? E io, ricordando la tua condizione miserevole, di cui è testimonianza il luogo in cui mi trovo che, nonostante ciò, tu, credi di essere stata destinata ad essere dominatrice e scopo ultimo dell’universo, e quante volte ti sei compiaciuta immaginando che gli dei, creatori dell’universo, siano scesi in questo oscuro granello di sabbia che ha nome a terra per prendersi cura di te ed abbaino conversato con piacere insieme agli uomini e che perfino il secolo attuale, che pare di tanto superiore alle età precedenti per conoscenze e grado di civiltà, col restaurare le credenze religiose schernite nel Settecento, insulta coloro che conservano un po’ di saggezza, quale sentimento o quale riflessione prevale allora in conclusione nei tuoi riguardi, o infelice genere umano? Non so dire se prevale il riso per l’assurdità dei tuoi errori o la pietà per il bisogno di conforto che ti induce a quelli.



(vv.202-236)Come un frutto di modeste dimensioni, nel cadere da un albero, che il semplice processo di maturazione fa precipitare a terra in autunno inoltrato, senza l’intervento di alcuna forza e schiaccia, annienta e sommerge in un attimo gli amati nidi scavati dalle formiche con grande fatica e lavoro e provviste che i laboriosi insetti avevano accumulato con previdenza, a gara, durante l’estate; allo stesso modo le tenebre ed una valanga piombando dall’alto, dopo esser stata scagliata verso il cielo dalle viscere rombanti del vulcano, oppure un’immensa piena di massi liquefatti, o di metalli e di arena infuocata, scendendo furiosa tra la vegetazione lungo il pendio della montagna, devastò, distrusse e ricoperse in pochi istanti le città che il mare lambiva là sulla costa: per cui sopra le città sepolte oggi pascolano le capre, e nuove città sorgono dall’altra parte, distanti dal mare, di cui le città sepolte costituiscono le fondamenta, e le mura diroccate, l’altro monte al suo piede quasi calpesta. La natura non nutre verso la specie umana più sollecitudine e interesse di quanto nutre verso le formiche, e se avviene che le stragi sono meno frequenti tra gli uomini che tra le formiche, ciò dipende solo dal fatto che la stirpe degli uomini è meno feconda.



(vv.237-296)Ben milleottocento anni passarono dopo che sparirono, sepolti dalla forza della lava infuocata, le città popolose e il giovane contadino addetto ai vigneti, che la terra arida e bruciata fa crescere a stento in questi campi malgrado siano passati tanti secoli alza lo sguardo con apprensione alla sommità del vulcano, che neppure minimamente si è fatta più mite ed ancora sovrasta tremenda, ancora minaccia a lui strage ed ai figli e ai loro averi poverelli. E spesso il meschino trascorrendo la notte insonne all’aperto sul tetto della modesta abitazione e balzando più volte, scruta con attenzione l’avanzare del fronte lavico che si riversa dall’interno del vulcano sul pendio sabbioso, al cui bagliore riluce la marina di Capri, il porto di Napoli e Mergellina. E se lo vede avvicinarsi, o se mal sente gorgogliare nella profondità del pozzo di casa l’acqua che ribollendo segnala il sopraggiungere della lava, sveglia i figli, sveglia la moglie in fretta, e via, con ciò che delle loro cose possono sottrarre alla distruzione; scappando, vede da lontano la sua abitazione di sempre, e il piccolo campo, che li fu l’unica difesa dalla fame, essere lambito dal fronte lavico che avanza, e inesorato per sempre si distende sul campo e sull’abitazione per sempre si distende sul campo e sull’abitazione. Pompei, cancellate dall’eruzione, torna alla luce dopo un oblio protrattosi per molti secoli, che l’avidità di guadagni o un sentimento di pietà restituiscono alla luce togliendolo dalla terra; e il visitatore contempla dalla piazza deserta, stando tra le file dei condannati diroccati, la sommità ancora minaccia le rovine sparse intorno. E nell’errore delle notte che cela ogni cosa per i vuoti teatri , per i templi che non hanno più la forma originaria e per le case dal tetto sfondato, dove il pipistrello nasconde i piccoli per proteggerli, come una fiaccola infausta che lugubre si aggiri per i palazzi vuoti, avanza il bagliore della vita che porta lutti con sé, che da lontano rosseggia nelle tenebre della notte e colora i luoghi tutto intorno.
(v. 289)Così la natura sta immobile, sempre giovane, indifferente all’uomo, alle età che egli chiama antiche e al susseguirsi delle generazioni, o meglio, avanza anch’essa ma con un processo così lento che sembra stare immobile. Nel frattempo i ragni, i popoli, le nazioni vanno in rovina; la natura assiste impassibile, e l’umanità rivendica a se con arroganza il vanto dell’immortalità.


(vv.297-317) E tu, flessibile ginestra, che con i tuoi cespugli profumati adorni queste campagne desolate, anche tu presto soccomberai alla crudele possanza del fuoco sotterraneo, che ridiscendendo per il medesimo percorso stenderà il suo flutto infuocato, avido di distruggere e bruciare tutto quello che incontra, sui tuoi cespugli flessibili. E tu, senza opporre resistenza piegherai il tuo capo innocente sotto il peso della lava che provoca morte: ma non avrai piegato il tuo capo prima di allora per supplicare inutilmente in modo codardo davanti al fuoco della lava che sta per sopprimerti; ma non hai mai alzato il tuo capo con insensata presunzione alle stelle, né lo hai eretto sul deserto dove, non per tua volontà ma per caso, cresci e sei nata, ma tanto più saggia, tanto meno insensata dell’uomo, in quanto non hai mai avuto la presunzione di ritenere che la tua stirpe fosse stata resa immortale ad opera del destino o tua.






venerdì 25 novembre 2011

DE BELLO LATINO

O PRODE PENNUZZI, SEI PRONTO PER IL METICOLOSO SPENNUZZAMENTO DI DOMANI?
MEMENTO: AFFLICTIS LONGAE, CELERES GAUDENTIBUS HORAE.
La prof

domenica 20 novembre 2011

Ai carissimi della V F

E' disponibile on line la lezione di Letteratura di domani, 21.11.11. V.v.b, la prof.

LEOPARDI, LE OPERE IN PROSA: LO ZIBALDONE, L’EPISTOLARIO, LE OPERETTE MORALI, I PENSIERI.

LO ZIBALDONE
Lo Zibaldone rappresenta una sorta di libro “parallelo” sul quale il poeta registrava quotidianamente il frutto delle sue riflessioni e dei suoi studi, nonché idee e figure, allo stato di abbozzo, della sua immaginazione poetica. Lo Zibaldone, dunque, costituisce un brogliaccio, una raccolta di appunti, una sorta di diario, di “colloquio con me stesso”, come lo definì il poeta, scritto dal Leopardi tra il 1817-1832. Il primo passo datato risale all’ 8 gennaio 1820, l’ultimo al 4 dicembre 1832. Lo Zibaldone appare una miniera preziosa di pensieri diversi che contengono in germe gli spunti tematici della maggior parte dei canti leopardiani; esso rappresenta un aspetto fondamentale e insostituibile di un incessante movimento di pensiero che poteva di volta in volta esprimersi nella forma sbrigativa dell’appunto “a penna corrente” o in quella elaborata e compiuta delle poesie e delle prose. Si può affermare che il Leopardi con lo Zibaldone abbia creato l’immenso repertorio meditativo dal quale avrebbe poi costantemente attinto una serie di “cellule” tematiche da sottoporre a un processo di formalizzazione letteraria. Lo Zibaldone si presenta, dunque, come un libro parallelo, che segue passo passo, come repertorio tematico e linguistico, la stesura delle opere vere e proprie e che risulta perciò di fondamentale importanza per comprendere i tempi e i modi della loro elaborazione: non a caso potremmo definire lo Zibaldone il “sottotesto” dei Canti.
Il materiale dello Zibaldone arrivò ad occupare 4526 pagine, secondo la testimonianza dell’amico De Sinner. Il termine “Zibaldone”, che significa “mescolanza confusa di cose diverse”, fu utilizzato dallo stesso poeta allorché compilò un indice analitico degli argomenti contenuti in quei quaderni, che intitolò “Indice del mio Zibaldone di pensieri”. L’indice analitico,che richiese tre mesi di lavoro da parte del poeta, serviva al Leopardi per orientarsi nell’immensa selva da lui stesso costruita.

Lo Zibaldone fu pubblicato per la prima volta postumo, in 7 volumi, tra il 1798 e il 1900 in occasione del primo centenario della nascita del poeta, per decisione di una commissione governativa presieduta da Giosuè Carducci. Fu dato alle stampe con il titolo “ Pensieri da varia filosofia e di bella Letteratura”. Il T
titolo Zibaldone comparve nelle edizioni successive.

L’EPISTOLARIO

L’Epistolario del Leopardi è molto ricco: si compone, infatti di circa mille lettere composte tra il 1815 (Recanati) e il 1837 ( Napoli) che vanno a costituire quello che lo storico della letteratura e critico letterario Gianfranco Contini ha definito come uno “ fra i più bei libri della letteratura italiana”. . Rivolte soprattutto ad amici intellettuali e ai familiari (il padre Monaldo, i fratelli Carlo Carlo e Paolina), le lettere costituiscono una preziosa testimonianza non solo sugli eventi biografici del poeta, ma anche sugli sviluppi delle sue posizioni concettuali, della sua polemica, delle sue condizioni psichiche, delle sue scelte politico-culturali. L’Epistolario del Leopardi, non concepito per una sua pubblicazione, rappresenta un perfetto modello di stile colloquiale, costruito con una naturalezza che ben si adegua alla profonda sincerità di quanto viene espresso. L’edizione completa dell’Epistolario leopardiano uscì per la prima volta, in sette volumi, tra il 1934 e il 1941.

LE OPERETTE MORALI

Le Operette morali sono una raccolta di 24 prose, la maggior parte di esse composte nel 1824 (gennaio-novembre) sotto forma di dialoghi satirici sul modello dei pungenti dialoghi di Luciano di Samosata (scrittore greco del II sec. d. C). In generale, oltre alla forma dialogica predominante, sono presenti operette in forma narrativa, altre ancora in forma narrativa e dialogica insieme. Furono pubblicate per la prima volta in un volume dal titolo Operette morali nel 1827, presso l’editore Stella di Milano. La terza edizione definitiva, uscita postuma nel 1845 e più estesa rispetto alle due precedenti, fu curata dall’amico del poeta, Antonio Ranieri, essa comprendeva 24 testi.
Per il breve lasso di tempo entro il quale vennero redatte, le Operette morali appaiono nel complesso unitarie, sia sul piano tematico che sul piano stilistico: la scrittura è plasmata sul modello classico della prosa greca, ma allo stesso tempo appare innovativa sia per il lessico utilizzato che per lo stile.
Gli argomenti affrontati nelle Operette morali delineano ampiamente il vasto orizzonte del pessimismo leopardiano, che include le riflessioni sulla felicità e l’infelicità dell’uomo, sulla meccanica ostilità della natura, sulle vacue ideologie del secolo XIX, sui puerili errori dell’antropocentrismo.

Giovanni Gentile (Castelvetrano,1875 – Firenze 1944 filosofo e pedagogista italiano) ha voluto vedere nelle Operette morali lo svolgimento organico del pensiero filosofico del Leopardi, dalla constatazione degli aspetti negativi della vita della vita alla accettazione coraggiosa e virile di essa. A Questa tesi, si sovrappone quella più interessante che parla pone l'accento sull'unità sostanzialmente estetica dell'opera, fondata su uno stile misto di ironia, umorismo, pietà per la presunzione di grandezza degli uomini del secolo XIX, animati da filosofie spiritualistiche ed idealistiche.
Sul piano letterario le Operette morali hanno un intento poetico. Tuttavia l’intenzionale poesia è talvolta insidiata dalla riflessione filosofica, da frequenti richiami eruditi e mitologici, da allegorie e personificazioni. Le migliori Operette risultano quelle in cui la riflessione filosofica e l’erudizione letteraria lasciano il predominio al sentimento e alla libertà espressiva: La Storia del genere umano, Il Dialogo della natura e di un islandese, Il Dialogo di un folletto e di uno gnomo, Il Cantico di un gallo silvestre, L'elogio dgli uccelli,Il Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggero.

I PENSIERI
I Pensieri furono preparati dal Leopardi negli ultimi anni della sua vita e pubblicati postumi da Antonio Ranieri. Sono 111 ed esprimono in forma concisa e lapidaria le considerazioni pessimistiche del poeta.

I NUCLEI TEMATICI NELLA POETICA LEOPARDINA ( I I )

IL LEOPARDI PUÒ ESSERE DEFINITO IL PRIMO INTELLETTUALE “MODERNO” DELLA LETTERATURA ITALIANA
per il suo atteggiamento critico di fronte alla realtà, per il rifiuto di ogni facile consolazione di natura idealistica o spiritualistica, per la elaborazione di
• un concetto di “verità” negativa: il “vero” di A Silvia, l’”arido vero” che ricorre spesso nelle Operette Morali, “acerbo vero” dell’epistola Al conte Carlo Pepoli si identifica con una realtà di morte e di dolore, con i “ciechi destini” dell’universo, con tutto ciò che resta incompreso o viene rimosso dal senso comune e dal desiderio di felicità degli uomini: la verità è per il Leopardi una verità rigorosamente negativa, che funziona da deterrente nei confronti di qualsiasi valore positivo proposto dall’esistenza e dall’istinto di sopravvivenza del genere umano. La forza poetica della produzione leopardiana deriva proprio dalla presenza costante, ora esplicita, ora implicita , di questo mito negativo (la verità intesa come realtà negativa), che proietta su un piano assoluto ed estremo tutte le contraddittorie manifestazioni dell’esistenza.
Echi della poetica leopardiana, particolarmente in rapporto alla sua concezione essenzialmente e rigorosamente negativa del realtà, si colgono in “Meriggiare pallido e assorto” di Eugenio Montale (1916) inclusa nella raccolta “Ossi di Seppia” :
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia
In questa lirica, infatti, il muro montaliano ha come illustre antecedente la siepe leopardiana de L'infinito: se quest’ultima, però, enfatizzava l'immaginazione di Leopardi nella misura in cui ne limitava lo sguardo, il muro del Montale lascia il poeta nell'ossessiva contemplazione della sua vana verticalità, del suo slancio verso l'alto, frustrato da quei cocci aguzzi di bottiglia in cui si riassume il senso dell'esistenza umana.
L’idea del “nulla” come principio e fine di tutte le cose è presente fin dalle prime pagine dello Zibaldone, anteriori addirittura al 1820 ( “Io era spaventato nel trovarmi in mezzo al nulla, un nulla io medesimo. Io mi sentiva come soffocare, considerando e sentendo che tutto è nulla, solido nulla”).
• Accanto all’idea del “nulla”, altro tema dominante nella poetica leopardiana è quello della “morte”, valutata nei termini epicurei: ossia come un evento che pone fine a una vita attraversata dal dolore.
Nonostante la loro vicinanza logica, i concetti di “nulla” e di “morte” inducono il pensiero del Leopardi a differenti conclusioni: mentre la morte è concepita dal Leopardi come un evento essenzialmente privato ed individuale, all’interno di un triangolo esistenziale costituito dal DOLORE- PIACERE- NOIA, l’idea del nulla comporta invece una apertura universale, una proiezione cosmica: il “nulla” provoca perciò un sentimento di smarrimento e di sgomento, la contemplazione atterrita e allo stesso tempo affascinata di una dimensione indeterminata che l’intelletto non arriva a padroneggiare e che eguaglia per grandezza la “visione” mentale dl cosmo e degli spazi siderali.
Tuttavia L’idea di infinito in Leopardi mantiene sempre un ancoraggio al dato empirico del “vedere”; anche le proiezioni astratte della mente, le visioni cosmiche, come quelle dell’Infinito, partono sempre da un dato visivo fisicamente riscontrabile nella realtà.
Lo Stoicismo leopardiano. Un elemento rilevante è l’atteggiamento “stoico”, la lucida e dignitosa fermezza con cui il poeta rifiutò sempre ogni facile consolazione, ogni “pietoso inganno” che potesse distoglierlo anche solo per un attimo dalla contemplazione del tragico destino dell’uomo. Nasce da qui, probabilmente, quella vena eroica che attraversa per intero la produzione del poeta, dalla canzone giovanile “ All’Italia” (1818) fino alla “Ginestra”. Se nel caso della canzone del 1818 la prospettiva eroica sembra limitata al sacrificio per la patria e per i propri ideali, nelle liriche successive la vena eroica assume caratteri complessi, tanto da essere all’origine, secondo molti critici, di una vera e propria svolta poetica. Il Leopardi, in effetti, nutriva un’alta considerazione di sé e un forte desiderio di gloria: egli era consapevole della propria geniale diversità (vedi “Lettera a Pietro Giordani”, “Lettera a Monaldo Leopardi”), ma anche della propria dolorosa ed estrema infelicità; pertanto si sentiva doppiamente isolato rispetto agli altri uomini e coltivava tale isolamento a volte con dolore, a volte con esaltazione virile di chi solo fra tutti va fieramente incontro al proprio destino.

giovedì 17 novembre 2011

LO SVOLGIMENTO DELLA LIRICA LEOPARDIANA : I CANTI (Firenze 1831; Napoli 1835; Firenze 1845)

NELLO SVOLGIMENTO DELLA LIRICA LEOPARDIANA SI DISTINGUONO QUATTRO PERIODI:
1° il periodo delle poesie giovanili, scritte anteriormente al 1818;
2° il periodo delle canzoni civili e filosofiche e dei piccoli idilli, cha va dal 1828 al 1823;
3° il periodo della composizione dei grandi idilli, che va dal 1828 al 1830;
4° il periodo della composizione del ciclo di Aspasia e del soggiorno a Napoli, che va dal 1831 al 1837.
A.
IL PRIMO PERIODO (1818)
Comprende i versi scritti dal Leopardi adolescente, anteriormente al 1818. Delle poesie scritte in questo periodo le più importanti sono incluse nei Canti: L'Appressamento della morte (1816) e due elegie,Elegia prima ( che nell'edizione dei Canti del 1831 è presentata col titolo Il primo amore), ed Elegia seconda, ambedue composte tra il 1817 e il 1818. Nell'edizione definitiva napoletana dei Canti del 1835 il Leopardi incluse soltanto l' Elegia seconda.
Nell'Appressamento della morte il Leopardi, preso dal presentimento della morte,esprime il dolore di dover morire così giovane e di dover rinunciare alle sue dolci illusioni, soprattutto a quella della gloria.
Le due elegie narrano la storia del suo amore, tutto intimo e segreto, per la cugina del padre Gertrude Cassi-Lazzari, giunta da Pesaro per accompagnare la figlia in un convento di suore ed ospite per tre giorni del Leopardi. Le poesie giovanili hanno un modesto valore poetico. Dal punto di vista formale, appaiono letterariamente elaborate e retoriche risentendo, forse eccessivamente, dell'imitazione dei poeti antichi e moderni, soprattutto dall'Arcadia e di Vincenzo Monti; sul piano del contenuto sono scopertamente autobiografiche, sentimentali e patetiche. Esse rivelano il primo dei limiti che insidia talvolta la purezza della poesia leopardiana, anche degli inni migliori: l'effusione eccessiva sentimentale e malinconica.
L'altro limite, che appare più tardi, è la riflessione filosofica che tuttavia, se da una parte raffredda l'ispirazione dei canti migliori, essa ha il potere e il merito di elevare su un piano universale la poesia del Leopardi, liberandola dalla forte componente autobiografica. La riflessione filosofica fa sì che l'infelicità del poeta, di fronte al mistero dell'universo, si tramuti in infelicità, angoscia e solitudine di tutti gli uomini. Anche quando il Leopardi, nella fase della maturità artistica (La ginestra), assume l'atteggiamento titanico di sfida al destino, noi avvertiamo in esso la dignitosa e stoica accettazione da parte del poeta di un destino universale di dolore, piuttosto che l'atteggiamento romantico dell'individuo-eroe, che si eleva sulla massa degli uomini comuni.
B. IL SECONDO PERIODO (1818 al 1823)
I motivi autobiografici, sentimentali e talvolta patetici scompaiono nelle canzoni civili e filosofiche, che appartengono, insieme ai piccoli idilli, al secondo periodo dello svolgimento della lirica leopardiana, periodo che si svolge dal 1818 al 1823.
Le canzoni civili sono così chiamate perché presentano un’ ispirazione patriottica e oratoria, volta ad ispirare negli Italiani l'amor di patria e il ricordo di un passato di antiche glorie. Esse sono cinque: All'Italia, Sopra il monumento di Dante, Ad Angelo Mai, Nelle nozze della sorella Paolina, Ad un vincitore nel gioco del pallone. Presentano tutte un identico schema, che resterà poi caratteristico della poesia leopardiana. In esse l’occasione è sempre offerta da una circostanza di cronaca (i soldati italiani morti nella campagna di Russia, per la canzone All'Italia; il monumento di Dante che si preparava a Firenze; la scoperta del De republica di Cicerone ad opera del Cardinale Angelo Mai; le nozze imminenti della sorella Paolina- esse poi non avvennero più per la rottura del fidanzamento -; la vittoria sportiva del recanatese Carlo Didimi), ma mirano ad esprimere la condanna del presente e la nostalgia del passato. Le canzoni civili rappresentano da un lato il frutto dell'amicizia col Giordani, di idee liberali, e della cosiddetta "conversione" politica del Leopardi, dall'altro, sono l'espressione della sensibilità romantica del poeta, il quale, soffocato dall'angustia e dalla meschinità delle vicende storiche contemporanee, vuole sopraelevarsi da esse trasferendosi idealmente nel passato, in un mondo storicamente remoto, eroico ed esemplare.
In un primo momento questo passato si identifica per il Leopardi nell’età classica, l’età degli eroi greci e romani, le cui virtù morali e civili il poeta addita, come esempio ed incitamento, agli Italiani degeneri del suo tempo. Ma, a poco a poco, anche questo passati di virtù e di eroismo si offusca, perché il Leopardi vi proietta la sua tristezza e il suo dolore, scoprendo anche nel passato la vanità delle illusioni e il sentimento della umana infelicità. In tal modo, l’ideale esplorazione del mondo classico, iniziato con l’ammirazione e la nostalgia delle virtù eroiche degli antichi, si conclude col cupo pessimismo delle due canzoni filosofiche, il Bruto minore e l’Ultimo canto di Saffo (dette anche le ‘’canzoni del suicidio’’), in cui i due suicidi, Bruto e Saffo, appaiono le vittime della tragica condizione dell’uomo: il passato della Grecia e di Roma ha ormai perduto agli occhi del Leopardi la sua esemplarità e viene assorbito nel comune destino di dolore del genere umano.
Deluso quindi dall’età classica per effetto della proiezione del suo pessimismo nel passato, il Leopardi si rifugia idealmente in un’età ancor più remota, al tempo dei primordi del genere umano, anteriore alla amara scoperta della ragione. Nasce così la canzone Alla primavera, che evoca idealmente la primavera del genere umano, allorché la natura era madre benigna e pia dispensatrice di felicità e di illusioni agli uomini. Nell’Inno ai patriarchi, questo mitico periodo di felicità è portato al mondo biblico di Abramo e dei primi padri, quasi per dire che essa non è mai esistita e che gli uomini sono stati sempre e dovunque infelici. L’ultima canzone di questa fase, Alla sua donna, rispecchia nel contenuto il cosiddetto pessimismo cosmico col quale il Leopardi conclude la sua ideale esplorazione della storia umana, tracciata nelle canzoni civili e filosofiche. Il Leopardi vi esprime la vanità della più cara delle illusioni, quella dell’amore. Nella canzone non è rappresentata una donna reale,bensì l’immagine consolatrice della “donna che non si trova”, come scrisse il Leopardi: è la donna dell’immaginazione e della fantasia. Se una donna simile a quella sognata esistesse realmente, chi l’amasse sarebbe felice e si sentirebbe incitato a seguire la gloria e la virtù, e vivrebbe una vita divina, il che andrebbe contro le disposizioni del fato che ha destinato l’uomo all’infelicità.
A questo svolgimento di contenuto della lirica leopardiana – dal vagheggiamento del passato, nella ricerca della felicità, al riassorbimento di tutto il passato nel dolore universale – corrisponde un analogo svolgimento della forma. Se infatti, nel complesso, le canzoni civili e filosofiche sono letterariamente assai elaborate, appesantite da elementi retorici, intellettualistici, eruditi, da una sintassi complessa, da un linguaggio ricercato e classicheggiante – è questa la <> della poetica leopardiana – dalla canzone All’Italia alla canzone Alla sua donna assistiamo a una lenta, ma progressiva, purificazione della forma che tende a liberarsi dal peso della cultura letteraria e retorica per diventare più semplice, limpida, sobria ed essenziale, del tutto aderente al sentimento.
Questa purificazione della forma è già in atto in un gruppo di liriche, che i critici sogliono chiamare i primi idilli o I PICCOLI IDILLI, per distinguerli dai grandi idilli, scritti dal Leopardi nel periodo più felice della sua ispirazione poetica (dal 1828 al 1830).
Etimologicamente idillio significa in greco “piccola immagine”. In sede letteraria il termina venne usato per indicare un piccolo quadro di vita, un componimento breve, di argomento per lo più pastorale o agreste, ma anche cittadino, di intonazione realistica. Autorevoli rappresentanti di questo genere letterario, l’idillio furono i poeti greci Bione di Smirne, Mosco e soprattutto Teocrito. Ma l’idillio leopardiano è del tutto diverso dagli idilli della tradizione letteraria. Infatti, mentre l’idillio tradizionale ha carattere realistico ed oggettivo, perché ritrae la vita dei pastori o dialoghi fra cittadini, quello leopardiano assume anche un carattere soggettivo, personale, interiore. Il leopardi stesso definì i suoi idilli “situazioni, affezioni, avventure storiche (cioè sentimenti vissuti in un dato momento) dello spirito”, suscitate dalla contemplazione della natura, che così offre lo spunto o alla introspezione, e alla meditazione del poeta, o alla rievocazione del passato e delle illusioni giovanili.
I piccoli Idilli sono: 1)La sera del dì di festa; 2)L’infinito; 3)Alla luna; 4)Il sogno;5)La vita solitaria;6)Il frammento Odi, Melisso, pubblicato col titolo Lo spavento notturno. Essi costituiscono il primo tentativo leopardiano di una poesia pura – immune cioè da elementi intellettualistici, eruditi, retorici, o da intenzioni didascaliche e oratorie- ed espressione ingenua, semplice, limpida ed essenziale del sentimento.
Dal 1823 ai primi mesi del 1828, il Leopardi non scrisse poesie, se si eccettua l’Epistola al conte Carlo Pepoli(1826), in endecasillabi sciolti che espone aridamente le sue convinzioni filosofiche. Durante questi anni egli scrive però, in prosa, le Operette morali, che hanno una grande importanza, come abbiamo detto, nello svolgimento del suo pensiero e della sua poesia in quanto segnano il passaggio dal pessimismo personale e soggettivo al pessimismo cosmico. Il Leopardi in esse medita non più sulle proprie dolorose vicende, ma sul dolore come patrimonio comune, eterno, irrimediabile di tutti gli esseri viventi, acquistando via via, attraverso questa certezza, una nuova condizione spirituale, più distaccata e quasi serena. In questa nuova condizione spirituale matura la poesia dei grandi idilli.

C. IL TERZO PERIODO (1828 -1830)
Fu nell’aprile del 1828, nel periodo felice del soggiorno a Pisa, che nel cuore del Leopardi si risvegliò la poesia. Lo stesso Leopardi fu così consapevole del suo nuovo stato di grazia poetica da annunziare subito alla sorella Paolina di aver scritto nei versi “con il cuore di una volta”. Egli descrive il nuovo stato d’animo nelle agili strofe metastasiane del Risorgimento, in cui parla del ritorno di quei sentimenti che giù un tempo lo avevano ispirato.
Il Risorgimento apre, dunque, il nuovo ciclo dell’attività poetica del Leopardi, che si conclude nel 1830 e che comprende la composizione dei GRANDI IDILLI: 1) A Silvia; 2) Le Ricordanze; 3) La quiete dopo la tempesta; 4) Il sabato del villaggio; 5)Il passero solitario; 6 )Il canto notturno di un pastore errante nell’Asia.
La struttura dei grandi idilli è analoga a quella dei piccoli idilli. Dal particolare realistico, con trapassi spontanei e naturali, la poesia si eleva alla rappresentazione del mistero e del dolore universale. Il contenuto universale dei grandi idilli è il risultato della meditazione filosofica delle Operette morali, che ha operato da filtro purificatore del sentimento leopardiano, liberandolo dagli elementi strettamente autobiografici, storici ed eruditi e trasformando il dramma individuale del poeta in dramma cosmico, coinvolgente l’universo intero.
Il confronto tra La Sera del dì di festa, che appartiene ai piccoli idilli, e il Canto notturno è particolarmente significativo: tra l’uno e l’altro è passato il travaglio filosofico delle Operette morali. Nella Sera del dì di festa la meditazione del poeta verte sul suo dramma individuale di innamorato ignorato; poi, stimolata dal canto solitario dell’artigiano, risale al ricordo storico dell’impero romano, travolto dall’infinito scorrere del tempo, il che suggerisce al Leopardi il senso della vanità delle cose umane.
Nel Canto notturno il Leopardi trascende del tutto le esperienze personali e i ricordi storici; egli contempla l’universo intero, di cui coglie con stupenda immediatezza il senso dell’infinito e del mistero.
L’importanza dei grandi idilli non consiste solo nel loro contenuto universale, ma soprattutto nella felice attuazione di quella lirica pura, intesa come voce del cuore, che il Leopardi era venuto elaborando nella sua poetica. Ad attuare tale lirica concorrono, oltre al contenuto tutto rievocativo e sentimentale, immune cioè da elementi allotri, filosofici, polemici, storici, eruditi e letterari, anche la varietà e la libertà delle forme metriche (la canzone leopardiana assume pertanto una struttura lontanissima da quella petrarchesca) ed il linguaggio vago, indefinito, suggestivo, vibrante di risonanze interiori, quale il Leopardi aveva teorizzato nella sua poetica.
Una caratteristica di questo linguaggio è che le forme lessicali e le strutture sintattiche sono assunte dal linguaggio colloquiale, impreziosite soltanto, qua e là, di qualche elemento della tradizione colta, fusi insieme nel ritmo libero e vario dei versi, creano un’armonia indimenticabile, vaga e suggestiva, tipicamente leopardiana.
D. IL QUARTO PERIODO (1831 al 1837)
Comprende le poesie del ciclo di Aspasia e quelle del periodo napoletano: va quindi dal 1831 al 1837, l’anno della morte del poeta. Esse sono generalmente svalutate dalla tradizionale critica letteraria per la loro eccessiva elaborazione letteraria o la presenza di elementi filosofici, polemici, sarcastici. Anche Francesco De Sanctis (Morra Irpina, 1817 – Napoli 1883; scrittore, critico letterario, politico, Ministro della Pubblica Istruzione) vi aveva notato “un filosofare troppo scoperto”, il segno del “morire della poesia nell’anima del Leopardi”. La critica storicistica, invece, per merito soprattutto di Walter Binni (Perugia, 1913 – Roma 1997 critico letterario, storico e antifascista italiano ) autore di un celebre saggio intitolato “La nuova poetica leopardiana”, la considera come l’espressione di una svolta della lirica leopardiana, l’espressione di una nuova poetica, la “poetica dell’anti-idillio”, diversa dalla più nota “poetica dell’idillio” . La poetica dell’idillio era incentrata sulle rimembranze, sulla rievocazione cioè del passato, della giovinezza perduta e della felicità sognata, fatta in tono sentimentale e malinconico, idillico, dandoci il profilo di un Leopardi assorto e nostalgico. Le liriche, invece, dell’ultimo periodo ci presentano un Leopardi diverso, aspro, ironico, energico e polemico, che non rievoca più malinconicamente il passato, ma si pone di fronte al destino in atteggiamento prometeico di sfida, fatto di fierezza e di dignità. Un Leopardi, insomma, che accetta titanicamente e stoicamente il proprio destino, che è quello di universale dolore e che torna ad essere, come nelle canzoni civili e filosofiche, maestro e apostolo di certezze e di verità. Un Leopardi che lancia agli uomini un invito alla fratellanza e alla solidarietà, per vincere il dolore e l’infelicità (nella Ginestra). Le poesie dell’ultimo comprendono innanzitutto cinque canti ispirati all’amore infelici di Leopardi per la signora Fanny Targioni-Tozzetti durante l’ultimo soggiorno fiorentino. Essi sono: Il pensiero dominante, Amore e morte, Consalvo, A se stesso, Aspasia. I primi tre rappresentano l’ebbrezza del sentimento amoroso; A se stesso rappresenta la caduta dell’illusione; Aspasia, composta a Napoli, rappresenta la vendetta del poeta contro la donna che lo ha deluso. Aspasia era una cortigiana di Mileto che, giunta ad Atene, era divenuta amante e poi moglie di Pericle (metà del V sec. a.C.). Aspasia è la signora Fanny Targioni-Tozzetti, che il Leopardi chiama così, per essere stata adescatrice scaltra e maligna del poeta. Altre poesie dell’ultimo periodo sono: la Palinodìa (ritrattazione) diretta al marchese Gino Capponi, in cui Leopardi finge ironicamente di ritrattare i suoi principi pessimistici e di accettare la teoria del progresso; I nuovi credenti, in cui polemizza contro le nuove correnti spiritualistiche del secolo; i Paralipòmeni della Batracomiomachìa, ossia aggiunte al poemetto attribuito ad Omero intitolato Batracomiomachia, battaglia delle rane e dei topi. In essi Leopardi schernisce i moti liberali napoletani del ’20 e del ’21. Ma le migliori poesie del periodo napoletano sono La ginestra o il Fiore del deserto e Il tramonto della luna.
La Ginestra è variamente giudicata dai critici.
Walter Binni l’ha definita “una sinfonia eroica”: il capolavoro della poetica del cosiddetto anti-idillio, che ispirò l’ultimo periodo della lirica leopardiana. Anche la critica marxista la giudica positivamente, per il forte messaggio sociale in essa contenuto: Leopardi si rivolge agli uomini invitandoli alla costruzione di una catena umana di solidarietà, per la costruzione di un nuovo mondo. La critica di Benedetto Croce (Pescasseroli 1866 – Napoli 1952; filosofo, storico, scrittore e politico italiano) invece, e quella storicistica, pur apprezzando la novità del messaggio sociale, giudicano la ginestra notevole per l’abilità letteraria con cui è condotta, ma debole dal punto di vista strettamente poetico. In essa, infatti, coesistono confusamente elementi diversi – idillici, filosofici, storici, polemici, satirici, oratori – più giustapposti che fusi in armonica unità. Lo spinto iniziale, come negli Idilli, è dato da un particolare realistico, l’osservazione della ginestra che con i suoi cespi fioriti riveste il fianco del Vesuvio, simbolo della potenza distruttrice della natura. Dall’osservazione del particolare, il poeta passa alla meditazione dell’universale condizione di fragilità e di dolore della natura umana. La critica crociana e quella storicistica considerano Il tramonto della luna la migliore creazione dell’ultimo periodo della lirica leopardiana. Nuoce certamente al canto il lungo paragone iniziale che si distende per ben trentatré dei sessantotto versi che lo compongono: come nella notte la luna tramonta, lasciando il mondo nell’oscurità, così la giovinezza abbandona l’uomo, lasciandolo senza più illusioni e speranze. Ma, nonostante questo limite, il canto rinnova l’andamento lirico e la purezza dei migliori idilli leopardiani.

martedì 15 novembre 2011

RINGRAZIAMENTI

Ringrazio di cuore Marika Filosa, Giulia Papa ed Aldo Picone della VF, per la premurosa tempestività con cui hanno svolto il compito sul Leopardi. Domani provvederò a pubblicare i frutti della loro fatica. Saluti affettuosi a tutti gli alunni ancora on line... Notte, la prof

venerdì 11 novembre 2011

Ai campioni della V F

Eccovi le tracce per il laboratorio di scrittura di Lunedì 14. Con esse, i ringraziamenti della classe alla signorina Conte per aver provveduto a ricopiare i testi.

TRACCE TEMI DI ARGOMENTO STORICO - ORDINE GENERALE

TIPOLOGIA C – TEMA DI ARGOMENTO STORICO
"Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità della nazione, andate là, o giovani, col pensiero, perché là è nata la nostra Costituzione".
(Piero Calamandrei, Discorso ai giovani sulla Costituzione nata dalla Resistenza. Milano, 26 gennaio 1955)

TIPOLOGIA D - TEMA DI ORDINE GENERALE
''L'era della pubblicità... Non conosce la limitazione dei prezzi. La pubblicità sovraccarica qualsiasi presentazione con tutta la dose di suggestione che può sopportare, imprime le sue formule nel pubblico come una verità drammatica tutta carica di sensazioni, di repulsione, d'esaltazione... L'enteporre il vivere al comprendere obbliga ad abbandonare, insieme con i precetti intellettuali, anche quelli morali.''
Johan Huizinga
Esponi le tue considerazioni su come i mezzi di comunicazione influenzano la nostra vita, non sempre positivamente.


TIPOLOGIA D - TEMA DI ORDINE GENERALE

Religione, famiglia, scuola: che cosa pensate di queste tre istituzioni nella nostra società contemporanea? Che cosa contestereste ad un sacerdote, ad un genitore o ad un insegnante?

giovedì 10 novembre 2011

I NUCLEI TEMATICI NELLA LIRICA DEL LEOPARDI


Rilevante è l’idea leopardiana della CLASSICITA', espressa nel modo più compiuto nel Discorso di un Italiano intorno alla poesia romantica (1818) Il poeta ha un’immagine idealizzata della classicità, considerata l’età della “primavera del genere umano” in cui l’uomo, alla stregua degli animali e delle piante, si sentiva parte integrante di un sistema di fenomeni naturali dominato dal ciclo delle stagioni e dalle variazioni del clima. Gli antichi divengono per Leopardi il simbolo di una condizione armoniosa che è stata irrimediabilmente perduta nel momento in cui il legame tra individuo e natura è stato intaccato dall’avvento della religione cristiana e del razionalismo scientista che hanno rafforzato il senso di superiorità e alterità dell’uomo rispetto al resto del creato, inducendo negli individui una stolida superbia. Scomparse le dolci illusioni dell’antichità classica, occorre ora, secondo Leopardi, sgombrare il campo dalle superbe e vane illusioni antropocentriche, come l’immortalità dell’anima, il progresso, la felicità, la ricchezza, il potere e la gloria. L’atteggiamento polemico del poeta riguardo al desiderio di gloria da parte dell’uomo poggia su due essenziali premesse: da una parte la collocazione periferica e in fondo irrilevante dell’uomo nell’universo, dall’altra la sua incapacità di prenderne atto.
La proposta del Leopardi resa esplicita nella Ginestra, ma preparata da numerose riflessione nello Zibaldone, è in proposito piuttosto chiara: poiché è impossibile un ritorno alle “favole antiche”, l’uomo contemporaneo dovrebbe anzitutto rendersi pienamente consapevole del suo stato di vittima del sistema naturale e quindi liberarsi di tutti gli inganni perpetrati dall’intelletto per nascondere quell’unica e incontrovertibile verità. Soltanto dopo aver acquisito tale consapevolezza l’uomo potrà sviluppare quella solidarietà che nasce tra le vittime di una stessa tragedia, eliminando le lotte fra uomo e uomo e concentrando tutte le energie contro le avversità cui esso è fatalmente esposto.
Al contrario, la storia umana è caratterizzata, a giudizio del Leopardi, da un progressivo accumularsi di errori e di inganni, che hanno raggiunto il loro culmine nel secolo XIX. L’odio per la propria epoca è infatti in Leopardi vivissimo e profondamente radicato. Le correnti di pensiero del progressismo idealista di marca liberale e dello spiritualismo cattolico (ambedue ampiamente rappresentate all’interno del movimento romantico) furono violentemente attaccate dal poeta sia nelle sue opere satiriche ( Palinodia al marchese Gino Capponi, I nuovi credenti, Paralipomeni della batracomiomachia), sia in alcuni passi di poesia e prosa di varia natura: Il pensiero dominante, La ginestra, Il dialogo di Tristano e di un amico.

Riguardo all’atteggiamento negativo di Leopardi nei confronti della propria epoca e, più in generale, al suo pessimismo, si è soliti distinguere due fasi. Nella prima fase, che va all’incirca dal 1817 al 1821 ed è detta del “PESSIMISMO STORICO", la natura viene considerata una sorgente di energia vitale e di consolanti illusioni, mentre i mali della dell’umanità vengono ricondotti al processo di corruzione indotto dalla civilizzazione. Questa concezione è legata al periodo “idillico”, che ha ispirato a Leopardi alcune tra le più belle e toccanti figurazioni paesistiche della nostra letteratura: descrizioni da “età dell’oro”, pervase da una quasi mitica serenità, che attraverso la “gran varietà delle illusioni” consolano l’uomo celandogli benevolmente la “vanità delle cose”.

Nella seconda fase (che appare già definita nel 1824 con le "Operette morali"), sulla scorta degli studi degli illuministi francesi e in particolare di Voltaire e di D’Holbach, Leopardi perviene a una visione meccanicistica dell’universo naturale, visto ora come un sistema che tende all’autoperpetuazione,, in un ciclo di produzione e distruzione del tutto insensibile alle sofferenze umane. Questa concezione, detta del “PESSIMISMO COSMICO”, conduce Leopardi ad attribuire alla natura una intrinseca malignità, e viene espressa, nel modo più chiaro e definitivo, nell’operetta "Dialogo della Natura e di un Islandese". Tracce di una considerazione negativa della natura sono peraltro riscontrabili già in alcuni passi della "Sera del dì di festa", idillio scritto nel 1820-1821 (“e l’antica natura onnipossente / che mi fece all’affanno”) e in alcuni brani dello Zibaldone degli anni 1817-1820. Tuttavia, in questo caso, Leopardi avverte la crudeltà della natura soprattutto come causa di sofferenza individuale (simboleggiata, per esempio, dalla deformità di Saffo) e non come fonte di dolore universale.
Insofferente verso l’idealismo e lo spiritualismo, Leopardi riprende dalle concezioni sensiste di matrice illuministica non solo l’idea meccanicistica della natura, ma anche il concetto secondo cui la molla principale dell’attività umana è la ricerca del piacere (la “TEORIA DEL PIACERE” è messa a punto per la prima volta in unaventina di pagine dello Zibaldone). Secondo il poeta, però, il desiderio a cui l'uomo tende è impossibile da soddisfare, essendo per sua natura infinito; avrebbe bisogno infatti di un piacere altrettanto infinito. Ma poiché questo non esiste se non nell’immaginazione, la soddisfazione di un desiderio è qualcosa che pertiene non al reale, bensì all’immaginario: il piacere, dunque, non è che immaginazione del piacere stesso, attesa indefinita di un’acquisizione che non avverrà mai.
La mancata soddisfazione del desiderio nella realtà produce dolore e pena, che possono essere alleviati solo fuggendo dalla realtà stessa, attraverso le fantasticherie e il sonno. Piacere e realtà sono insomma per Leopardi due princìpi incompatibili. Dal momento che la sua formazione illuministica gli impediva di mettere in dubbio il principio di realtà, era inevitabilmente il piacere ad essere destituito di ogni sostanza autonoma: infatti, “il piacere non è veramente piacere, non ha qualità positiva, non essendo che privazione, anzi diminuzione semplice del dispiacere che è il suo contrario” (Zibaldone, 19 aprile 1824).
Ciò che noi chiamiamo piacere è dunque, in realtà, o l’attesa di un irraggiungibile piacere futuro, o la momentanea cessazione o attenuazione del dolore. Tale posizione risulta chiaramente espressa nei canti "La quiete dopo la tempesta" e "Il sabato del villaggio", oltre che in molte delle Operette morali (si veda soprattutto il Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare).
Il dolore e l’attesa del piacere, in quanto poli su cui si concentra ogni moto dell’animo, sono comunque segno di energia vitale ; ben più temibile per Leopardi è la noia, che subentra ad occupare i “vuoti” causati dalla momentanea assenza di ambedue e che determina uno “stato d’indifferenza e senza passione”. La vita dell’uomo oscilla perciò tra il desiderio sempre deluso del piacere, il dolore che ne consegue e la noia. Si tratta di idee singolarmente vicine a quelle espresse dal filosofo tedesco Arthur Shopenhauer (1788-1860) nell’opera "Il mondo come volontà e rappresentazione" (1819), ma il nome di Shopenhauer non ricorre mai nello Zibaldone, ed è quindi assai probabile che Leopardi non lo conoscesse affatto. Il tema della noia è centrale nell’operetta morale Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez, nonché nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.
A partire dal 1823 “la teoria del piacere” assume punte ancor più radicali: il piacere viene infatti identificato nello Zibaldone con “una privazione o una depressione di sentimento”, e giunge ad essere definito “quasi un’imitazione dell’insensibilità e della morte, un accostarsi più che si possa allo stato contrario alla vita e alla privazione di essa, perché la vita per sua natura è dolore”; è questa l’ultima tappa di un itinerario di pensiero lucidamente negativo, che trova nel canto A se stesso la sua espressione poetica più sintetica e incisiva.
Un posto di rilievo nelle considerazioni leopardiane sul piacere è occupato dal motivo dei ricordi e della memoria, un terreno che, sfuggendo in apparenza alle leggi del desiderio, sembra proporsi, almeno in una prima fase, come una forma alternativa di piacere. È questa infatti la posizione espressa negli anni 1819-1820, e in particolare nel canto "Alla luna": il ricordo di una condizione trascorsa è di per sé piacevole, anche se la condizione ricordata è dolorosa. La memoria, in altri termini, produrrebbe uno stato d’animo contemplativo e malinconico, fatto di sensazioni il più delle volte indefinite e vaghe, che provoca nell’animo una forma particolare di “diletto”. Il diletto è poi tanto maggiore quanto più lontano (e quindi più indefinito) è il ricordo, sicché le memorie più piacevoli risultano quelle dell’infanzia e della prima adolescenza.
Più che un piacere puro, tuttavia, quella offerta della memoria è una sorta di provvisoria consolazione, che non intacca il predominio del dolore e della noia su cui si fonda l’esistenza. Tanto è vero che in un secondo momento, all’altezza dei “canti recanatesi” del 1829, anche tale consolazione sembra venir meno al poeta: nell’ultima strofa del canto "Le ricordanze" l’evocazione dell’innamoramento adolescenziale per Nerina non ha più nella di piacevole; al contrario essa si colora di un’acuta disperazione per il tempo irrimediabilmente trascorso, per cui il ricordo non può essere che “rimembranza acerba”. E su tale definitiva constatazione si consuma del tutto la disposizione “idillica” del poeta.

venerdì 28 ottobre 2011

COMUNICAZIONE AGLI ALUNNI DI TUTTE LE CLASSI

Finalmente rieccomi all'opera...A breve nuove, numerosissime pubblicazioni!
Saluti affettuosi, la vostra prof

lunedì 24 ottobre 2011

COMUNICAZIONE AGLI ALUNNI V F

Eccovi due novità su Manzoni. Saluti e buono studio ! La prof.

A.MANZONI : LE ODI

Le odi testimoniano l’adesione del Manzoni alle tematiche del “vero”, la sua estrema attenzione agli avvenimenti politici che segnano la storia italiana del Risorgimento nella prima metà dell’Ottocento. L’ARTE DEL MANZONI , LUNGI DALL’ESSERE UNA STERILE E PEDANTESCA IMITAZIONE DI MODELLI CLASSICISTICI, VUOLE CONSEGUIRE PRINCIPALMENTE UNA FINALITÀ MORALISTICA ED EDUCATIVA (Dante Alighieri). Il poeta pur non avendo mai partecipato direttamente ai moti risorgimentali, contribuì con la letteratura alla costruzione di una coscienza nazionale ( concetto di “Rivoluzione incruenta”; vedi anche G. Verdi, Il Nabucco; G. Leopardi, All’Italia). Alcune delle sue opere divennero dei veri e propri manifesti risorgimentali, mirabili esempi di poesia civile. Tra queste ricordiamo le due Odi: MARZO 1821 e il CINQUE MAGGIO.
Le due liriche sono legate a particolari occasioni storiche: rispettivamente, le speranze in un intervento della monarchia sabauda nella persona di Carlo Alberto e di Carlo Felice in appoggio dei patrioti lombardi contro gli austriaci; l’improvvisa morte di Napoleone Bonaparte nell’esilio di Sant’Elena (1815).
Componimenti politici lasciati incompiuti sono, invece, le due canzoni civili: Aprile 1814, composta sull’onda delle speranze indipendentistiche suscitate dalla abdicazione di Napoleone e dalla ritirata dei francesi dall’Italia; il Proclama di Rimini, entusiastico plauso all’utopistica spedizione di Gioacchino Murat.
Oltre alle poesie espressamente civili, bisogna rilevare l carattere implicitamente politico di quasi tutta la produzione letteraria del Manzoni (le Tragedie, i Promessi sposi), volta sempre ad insegnare e ad esortare, a scuotere le coscienze.
Le due Odi fondono efficacemente l’invocazione al riscatto della patria con l’universalità del messaggio cristiano : in questa ottica la liberazione dell’Italia dallo straniero assume il significato di un evento voluto da Dio stesso (concezione provvidenzialistica della storia), in nome di valori cristiani di giustizia, uguaglianza e fraternità fra gli uomini.
La notizia della morte di Napoleone, pubblicata sulla “Gazzetta di Milano” il 16 dicembre 1821, fu appresa dal Manzoni nella sua villa di Brusuglio (avuta in eredità da Carlo Imbonati). Lo scrittore, che nel frammento di canzone Aprile 1814 aveva manifestato la propria ostilità politica all’Imperatore, fu colpito dalla sua improvvisa scomparsa, tanto più che, sempre secondo la “Gazzetta”, Napoleone era spirato con i conforti della religione cristiana. l'ODE (Il Cinque maggio) fu composta di getto in soli tre giorni, dal 18 al 20 luglio 1821.
La prima stampa italiana dell’ode uscì a Torino nel 1823, tuttavia già nel 1822 Goethe l’aveva pubblicata in versione tedesca e anche in Italia ne circolavano esemplari manoscritti. L’ode valuta la figura di Napoleone alla luce di valori eterni ed universali e non di criteri storico-politici: per questo essa appare essenzialmente come una lirica a carattere religioso. Il Cinque maggio è definibile un vero e proprio “inno sacro”, al di fuori delle circostanze del calendario liturgico. Significativo è il legame del Cinque maggio con il principale degli inni sacri, la Pentecoste, a partire dalla presenza in entrambi di un identico verso “dall’uno all’altro mar” v.30. Ancor più stretto è poi il legame dell’ode con l’Adelchi, soprattutto con il suo secondo coro (La morte di Ermengarda, vv.61-66). Manzoni stesso parla dell’immensa emozione che presiedette alla composizione della lirica, in una lettera all’amico Cesare Cantù: “Che volete? Era una uomo che bisognava ammirare senza poterlo amare; il maggior tattico, il più infaticabile conquistatore, colla maggior qualità dell’uomo politico, il saper aspettare e il saper operare. La sua morte mi scosse, come se al mondo venisse a mancare qualche elemento essenziale […]” .
Cfr. De Caprio-Giovanardi, I testi della letteratura italiana, vol. 3, ed. “Einaudi”; Antonelli – Sapegno, L’Europa degli scrittori, vol. 2b, “La Nuova Italia”; appunti del docente.

A.MANZONI: INNI SACRI

La conversione al Cattolicesimo segna l’inizio del periodo di più intensa attività creativa del Manzoni. IL CATTOLICESIMO DEL MANZONI, maturato al termine di un lungo percorso di studi e meditazioni filosofico - morali, non è un sentimento dogmatico, né fondato su astrazioni filosofiche; esso è un sentimento vivo, intenso e autentico, volto a cogliere il senso consolatorio dell’eterna presenza di Dio nella dolorosa vita degli uomini; un cattolicesimo che nasce dalla sintesi dialettica delle pregresse esperienze culturali e umane del poeta: progressismo illuminista, idealismo romantico, calvinismo, giansenismo, la filosofia morale di S. Agostino e di Blaise Pascal .
Gli anni immediatamente successivi alla conversione risalgono gli Inni Sacri composti a partire dal 1812. Manzoni ne aveva progettato 12, ciascuno dei quali avrebbe dovuto celebrare le principale feste del calendario liturgico, ma riuscì a comporne solo cinque. Nel 1815 il Manzoni pubblicò i primi quattro Inni , La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale. Complessa la vicenda compositiva del quinto inno sacro : iniziata nel 1816, La Pentecoste subì ulteriori revisioni e fu data alle stampe solo 1822.
Negli Inni sacri il poeta si rifà alla tradizione della poesia religiosa antica e medievale (Cantico delle creature; le laude di Jacopone da Todi; la Commedia dantesca; la Canzone alla Vergine del Petrarca), nella quale gli Inni erano destinati alla declamazione corale da parte dei credenti di fondamentali verità di fede, in un linguaggio piano e comprensibile a tutti (il sermo humilis). Anche il Manzoni intende esprimere il proprio concetto di fede secondo un punto di vista corale, rendendosi interprete del rapporto tra Dio e il suo popolo. Tuttavia sul piano formale il risultato al quale giunge il Manzoni è altalenante: non sempre l’autore riesce a rendere la solennità del contenuto, ricco di immagini bibliche, mediante una forma agevole; spesso la sintassi appare complessa e involuta, il lessico appare legato a una obsoleta tradizione letteraria.
LA PENTECOSTE, ULTIMO INNO SACRO, È LA PIÙ VALIDA OPERA A LIVELLO POETICO: il contenuto tematico agisce prepotentemente sulla fantasia, che funge da filtro, e dona forma al contenuto poetico. Mentre negli altri inni sacri l’entusiasmo del neofita uccide la forma, nella Pentecoste il poeta realizza un perfetto equilibrio tra contenuto e forma: il contenuto – la discesa dello Spirito Santo e la nascita della Chiesa; la presenza del divino nelle cose umane; la divina Provvidenza .
La Pentecoste (in greco, 50° giorno), celebra la legittimazione della Chiesa alla predicazione e alla divulgazione del messaggio evangelico, partendo dalla descrizione di “quel sacro dì” in cui avvenne la discesa dello Spirito santo sugli apostoli sotto forma di lingue di fuoco, infondendo in loro la forza d’animo necessaria a superare le persecuzioni e il dono della glossolalia, cioè la conoscenza delle lingue. Nella Pentecoste il Manzoni rappresenta un Dio pieno d’amore che partecipa costantemente alle vicende umane; UN DIO CALATO TRA GLI UOMINI che si manifesta sia attraverso i doni dello Spirito Santo, sia attraverso i segni della Divina Provvidenza. LA DIVINA PROVVIDENZAè concepita dal Manzoni come una delle forze fondamentali che agiscono nella Storia determinandone il corso: l’uomo che ha ricevuto la forza e il dono dello Spirito Santo può trovare nella Divina Provvidenza una guida superiore, e affidarsi completamente alla volontà di Dio. Nella Pentecoste il Manzoni sottolinea, inoltre, l’uguaglianza degli uomini dinanzi a Dio : in essa si traducono poeticamente gli ideali manzoniani di libertà e fraternità in Dio e nel sacrificio di Cristo. Sotto questo punto di vista non è evidente alcuna frattura tra il Manzoni della prima esperienza e il Manzoni rinnovato, dopo la conversione. LA FEDE SI FA ACCOMUNATRICE DI TUTTI GLI UOMINI ATTRAVERSO I VALORI ILLUMINISTICI DI LIBERTÀ, UGUAGLIANZA, FRATERNITÀ.
Il Manzoni, anche negli Inni sacri, testimonia di essere un autore calato perfettamente nella realtà del suo tempo. Egli analizza il dato reale con spirito analitico: ne evidenzia le contraddizioni, le ingiustizie, le sopraffazioni, le molteplici disarmonie. IL MANZONI AVVERTE IN MANIERA LUCIDA E DISINCANTATA IL PROFONDO CONTRASTO, TIPICAMENTE ROMANTICO, TRA REALE E IDEALE. LUNGI DAL RITENERE SUFFICIENTE L’APPORTO DELLA RAGIONE (la ragione da sola non garantisce più la felicità dell’uomo), EGLI DIMOSTRA COME LA SOFFERENZA UMANA PUÒ ESSERE SUPERATA MEDIANTE LA FEDE IN DIO GIUSTO, mediante la certezza che anche il dolore rientra in un disegno superiore e imperscrutabile (la provvida sventura), pertanto le pene di oggi troveranno una giusta ricompensa nella salvezza ultraterrena.
Già negli Inni Sacri si manifesta la CONCEZIONE PROVVIDENZIALISTICA DELLA STORIA che troverà ampio riscontro nei Promessi Sposi: Dio guida le vicende della storia, partecipa alle sofferenze degli uomini, vive in tutti coloro che soffrono per diffondere ideali di giustizia.

mercoledì 19 ottobre 2011

ALALESSANDRO MANZONI (1785-1873) - Profilo biografico

La lunga esistenza di Alessandro Manzoni appare spoglia di fatti rilevanti e raccolta in un alone di intimità domestica, gelosamente custodita. Nato a Milano nel 1785 dal conte Pietro Manzoni, proprietario terriero, e da Giulia Beccaria, figlia del marchese Cesare Beccaria, autore di uno dei capolavori dell’Illuminismo europeo, Dei delitti e delle pene (1764). Compie gli studi in collegio, dapprima presso i Padri Somaschi in Brianza, poi presso i Padri Barnabiti a Milano. Intanto la madre, separata legalmente dal padre, si trasferisce a Parigi (1795) con il conte Carlo Imbonati, senza portare con sé Il figlio. Il giovane Alessandro divenuto insofferente sia alla dura vita collegiale, sia al tipo di educazione ricevuta di stampo classicistico, non tardò a rivelare simpatie giacobine, palesi nella sua dichiarata volontà di “diventare ateo”. Lasciato definitivamente il collegio dei Barnabiti nel 1801, visse nella casa paterna dove ebbe modo di frequentare i grandi intellettuali del tempo, Vincenzo Monti, Ugo Foscolo, e alcuni intellettuali illuministi napoletani: Vincenzo Cuoco.
Nel 1805 A. Manzoni, appresa la morte di Carlo Imbonati, compagno della madre, si trasferisce a Parigi. Qui viene a contatto con i salotti culturali più in vista della capitale francese, quindi ha modo di approfondire e di consolidare i propri IDEALI LIBERTARI E GIACOBINI, nonché il proprio ATEISMO ANTICLERICALE maturato negli anni della sua formazione culturale. A Parigi il Manzoni frequenta il gruppo degli “Ideologi”, tra i quali ricordiamo Claude Fauriel con il quale l’autore strinse un sodalizio umano ed intellettuale. Gli ideologi erano filosofi e scienziati di idee repubblicane, eredi della tradizione illuministica e fautori del principio di libertà individuale, pertanto ostili all’assolutismo del regime napoleonico.
Nel 1807 muore il padre, Pietro Manzoni e il giovane Alessandro ne eredita il patrimonio.
Nel 1808 A. Manzoni sposa con rito calvinista la sedicenne svizzera Enrichetta Blondel, dalla quale ebbe dieci figli.
Il 2 aprile 1810 si verificò l’episodio destinato a entrare nella leggenda manzoniana: a Parigi, durante i festeggiamenti popolari per il matrimonio di Napoleone con Maria Luisa d’Austria, Alessandro, smarrita la moglie tra la folla, fu colpito da una terribile crisi di angoscia, prima manifestazione di quell’agorafobia che lo tormenterà per tutta la vita. La tradizione agiografica collega questo episodio al cosiddetto “miracolo di san Rocco”, ovvero alla folgorazione divina che avrebbe colpito il Manzoni nella omonima chiesa parigina, spingendolo a convertirsi al cattolicesimo. In realtà i due momenti (smarrimento di Enrichetta Blondel; conversione religiosa) sono distinti tra loro: la conversione al cattolicesimo fu in Manzoni l’esito di un lungo percorso fatto di meditazioni filosofiche e morali; avvenne a costo di un sofferto travaglio interiore di cui fu testimone la moglie Enrichetta, che per prima si era avvicinata al cattolicesimo sotto la guida dell’abate giansenista Eustachio Degola, abiurando il calvinismo. La dottrina giansenista influenzò non poco il cattolicesimo di A. Manzoni, conferendo ad esso un accentuato rigore morale. Il Ginsenismo (da Giansenio, teologo olandese del XVII-XVIII sec.) appariva come una dottrina intermedia tra cattolicesimo e protestantesimo, sottolineava la necessità dell’intervento della grazia divina nei processi di redenzione umana e si connotava per la morale austera e rigorosa, in opposizione al lassismo dei costumi dei Gesuiti.
Nel giugno 1810 la famiglia Manzoni rientrò definitivamente a Milano, dove aprì la propria casa di via Morone a poeti e letterati illustri come Giovanni Berchet, Carlo Porta, Hermes Visconti, Tommaso Grossi.
 Segue una fase di cocente delusione, in coincidenza dei moti risorgimentali del 1821, con i connessi processi politici; nonostante ciò, il 1821 fu per il Manzoni un anno di intensa produzione artistica: scrisse le due Odi politico-civili , Marzo 1821, il Cinque maggio; la seconda delle sue tragedie, l’Adelchi ; comincia la stesura del suo grande romanzo, Fermo e Lucia.
Nel 1827 trascorre un breve periodo (l’estate) a Firenze per la revisione linguistica (la famosa “risciacquatura” in Arno) del suo romanzo, I Promessi Sposi, apparsi in quell’anno in 1^ edizione.
Nei rimanenti 46 anni della sua vita (1827-1873), Manzoni si dedicò ad opere saggistiche, specie nel campo degli studi linguistici: tra il 1840 e il 1842 si colloca la definitiva edizione del romanzo I Promessi Sposi, apparso in dispense e profondamente rivisto. Tuttavia, nuove disavventure familiari lo attendevano: la morte della moglie Enrichetta nel 1833 e della primogenita Giulia nel 1835; le dissipazioni finanziarie dei figli Filippo ed Enrico. Nominato nel 1860 senatore del nuovo Regno d’Italia da Vittorio Emanuele II, il Manzoni scandalizzò i cattolici più intransigenti per aver votato a favore sia del Regno d’Italia (1861) sia a favore del trasferimento della capitale da Torino a Firenze(1864); e soprattutto accettando, nel 1872, la cittadinanza onoraria offertagli dal comune di Roma. Dopo essere passato attraverso numerosi altri lutti familiari, Manzoni si spense quasi novantenne a Milano, il 22 maggio 1873.
Il cattolicesimo del Manzoni gli consentì di approdare ad una religiosità profonda ed intensa: il Manzoni non rinnegò il suo retroterra culturale, filosofico e ideologico; piuttosto adattò gli ideali laici e giacobini della Rivoluzione francese - libertà, uguaglianza, fraternità – ad una nuova esigenza, suprema ed universale, di giustizia sociale, nel segno della morale cattolica. Il Dio del Manzoni è il Cristo fatto uomo, flagellato sulla croce per redimere i peccati di tutta l’umanità; Egli rappresenta la suprema garanzia di libertà, di uguaglianza, di giustizia sociale. Attraverso il sacrificio della croce, attraverso il perdono e la sua infinita misericordia, il Cristo ha offerto a tutti gli uomini, senza distinzioni di cultura, di razza o di censo, l’opportunità della salvezza ultraterrena, la possibilità di un riscatto dallo stato di contrizione del peccato.
LA CONVERSIONE AL CATTOLICESIMO AVRÀ, DUNQUE, PER MANZONI, NON SOLTANTO UN VALORE ETICO, QUANTO ESTETICO: tutta la realtà (la storia, la poetica, gli ideali umani e artistici) sarà trasfigurata dall’autore alla luce della nuova religiosità.

Il Manzoni, erede del meccanicismo materialista e del razionalismo illuministico, figlio di un’epoca storica segnata da laceranti conflitti politico-sociali (Rivoluzione francese, assolutismo napoleonico, dominazione austriaca) elabora, al pari del Foscolo, una visione profondamente pessimistica della condizione umana: la vita si configura spesso come un percorso doloroso e contraddittorio, segnato dall’insanabile contrasto tra il reale (ciò che siamo) e l’ideale ( ciò che vorremo che fossimo). Se il Foscolo risolve il lacerante dissidio tra ragione e spirito grazie all’intervento delle illusioni, i miti salvifici dell’uomo, il Manzoni riesce a smussare gli aspetti più cupi del suo pessimismo grazie alla scoperta della fede, alla rivelazione della Grazia divina, alla misericordia, grazie alla fiducia nella divina Provvidenza che attua l’armonico disegno di Dio. Il Manzoni risolve nella fede cristiana il proprio anelito all’ideale.
ANCHE DANTE, ALLA STREGUA DEL MANZONI, SOTTOLINEA IL CONCETTO DELLA DIVINA PROVVIDENZA, CHE TUTTO SUGGELLA. Naturalmente ciò che contraddistingue i due grandi autori è la base filosofica, aristotelico - tomistica nel primo, illuministica nel secondo. In Manzoni abbiamo il segno di un Dio giusto, che permea col suo spirito tutto il creato; anche la sofferenza, intrinseca nell’esistenza dell’uomo, risponde ad un fine ultimo preordinato: tutto ciò che il Creatore ha tolto agli uomini, sarà restituito a piene mani. Il Manzoni, volto costantemente all’analisi critica e scientifica del reale, non poté non conquistare la sua fede in maniera sofferta e ragionata. Una fede non dogmatica, volta a cogliere il senso consolatorio e illuminante dell’eterna presenza di Dio nella vita degli uomini; una fede capace di accogliere in sé, in quanto sorgente di ogni ideale, anche le idee progressiste di stampo illuministico tanto care all’autore, secondo un sincretismo culturale tipicamente manzoniano.
Il cristianesimo del Manzoni , dunque, è il recupero di un ideale cristiano evangelico che si manifesta nel costante richiamo ai principi e ai valori che avevano orientato la formazione culturale del giovane poeta: libertà, giustizia sociale, solidarietà umana. Da ciò deriva una poesia fortemente ancorata al “vero” storico; una poesia oggettiva, aliena da eccessivi slanci dello spirito e dalla tentazione di esaltare singole personalità ed esperienze straordinarie, in cui la voce dell’autore perde ogni connotazione individuale per farsi interprete di un punto di vista corale, per esprimere il rapporto tra Dio e il popolo.

LA PRODUZIONE LETTERARIA

LA PRIMA FASE DELLA SUA PRODUZIONE LETTERARIA – PRECEDENTE ALLA CONVERSIONE ( 1810) appare caratterizzata da una sostanziale adesione alla poetica e al gusto del Neoclassicismo , dal prevalere dell’ influenza di V. Monti e di G. Parini, ma soprattutto da un radicalismo giacobino (ideali libertari, ateismo anticleriacale), cioè da un atteggiamento di contestazione rispetto ad una realtà sociale contraddittoria, nella quale il poeta non si ritrova.
A questa prima fase fanno riferimento le opere giovanili: Il trionfo della libertà (1801), una macchinosa celebrazione del valore della libertà contro ogni forma di superstizione e di tirannide; Urania , un poemetto mitologico dedicato alla funzione civilizzatrice della poesia; un sonetto-autoritratto di imitazione alfieriana; I Sermoni, quattro aggressive satire sul modello oraziano, contro il malcostume della società milanese, contrassegnata da false ipocrisie e da pseudo poeti . Questa fase culmina nel carme in endecasillabi sciolti, In morte di Carlo Imbonati (1806), nel quale rifacendosi a Parini, celebra il ruolo dell’intellettuale impegnato nel progresso civile.
Una svolta radicale nell’opera del Manzoni è generata dalla CONVERSIONE AL CATTOLICESIMO (1810) , conversione che si configurerà anche come conversione letteraria, segnando un’ evoluzione sia sul piano etico che sul piano estetico. Il Manzoni abbandona la mitologia e la poetica neoclassica (repertorio culturale greco-romano) per sostanziare la propria lirica di contenuti religiosi, assumendo come repertorio di immagini e di metafore quello offerto dai testi sacri ( in particolare la Bibbia). Il nuovo patrimonio di cultura cristiano non sostituisce, bensì affianca il consueto retroterra offerto dagli studi classici. La conversione, dunque, produce conseguenze immediate essenzialmente sul piano tematico, mentre su quello formale, la poesia manzoniana continua ad essere legata alla tradizione classicistica. La conversione al cattolicesimo segna l’inizio del periodo di più intensa attività creativa del Manzoni.
Cfr. De Caprio-Giovanardi, I testi della letteratura italiana, vol. 3, ed. “Einaudi”; Antonelli – Sapegno, L’Europa degli scrittori, vol. 2b, “La Nuova Italia”; appunti del docente.

COMUNICAZIONE AGLI ALUNNI DELLA VF

Di imminente pubblicazione un nuovo Post su A.Manzoni. Saluti, La prof

sabato 15 ottobre 2011

...ANCORA SUL ROMANTICISMO, by Verdiana Conte


ORIGINI E DIFFUSIONE DEL ROMANTICISMO
Nella tradizionale periodizzazione storiografica occidentale l'età contemporanea viene fatta iniziare nel 1789, anno in cui scoppia la rivoluzione francese che determina il crollo dell'Anciene regime in nome dei principi di libertà e uguaglianza.
L'avvenimento segue di pochi anni la rivoluzione americana delle colonie inglesi d'oltre oceano. Questi due eventi politici del Settecento, uniti alla rivoluzione industriale, affondano le loro radici nella concezioni illuministiche ed aprono l'età delle rivoluzioni liberal-democratiche.
Alla fine del XVIII secolo la storia occidentale accellera il proprio corso e muta volto.
L'Ottocento è un secolo che presenta caratteri di continuità e discontinuità rispetto alle istanze e alle premesse storico culturali settecentesche: da un lato le sviluppa e le porta a compimento, dall'altro le modifica e le supera in forme nuove profondamente contraddittorie. Il complesso contesto storico, culturale e etterario che caratterizza tale periodo può essere diviso in diversi quadri fondamentali tra cui:
ETA' NAPOLEONICA
ETA' DELLA RESTAURAZIONE E DEL ROMANTICISMO

ETA' NAPOLEONICA
Il suo inizio è fatto coincidere con il 9 Novembre 1799 (18 Brumaio) in cui il generale Napoleone diventa arbitro del potere a Parigi assumendo la carica di console. Proclamatosi imperatore nel 1804 e re d'Italia nel 1805 affrontò tutte le potenze europee. Sebbene fu costantemente vincitore non potè mai affermare il suo potere in modo definitivo. Impose sul proprio dominio nuovi indirizzi culturali e politci espressione del patrimonio della Rivoluzione Francese e della volontà imperialistica della Francia post-rivoluzionaria.
Dopo aver subito una prima sconfitta a Lipsia (1814) ed un altra a Waterloo (1815) egli concluderà il suo dominio. La conclusione di quest'epoca coincide col tramonto del Neoclassicismo e l'affermarsi del Romanticismo.

ETA' DELLA RESTAURAZIONE E DEL ROMANTICISMO
Il tentativo di "restaurare" l'Europa a seguito dell'epoca napoleonica fu affidato al Congresso di Vienna 1814/15. In esso le maggiori potenze vincitrici di Napoleone si posero il compito di ridisegnare la carta politica continentale non tenendo conto delle diverse popolazioni. L'obiettivo era quello di rispettare i criteri di equilibrio e legittimità precedentemente esistiti.
In Italia l'alterazione degli assetti territoriali, determinata dal ventennio napoleonico, è così profonda che risulta impossibile una pura e semplice restaurazione. Viene perciò definita una nuova carta geografica della penisola.
Già sollecitata dalle armate napoleoniche emerge in forme più evidenti in Europa come in Italia l'idea di nazione uno dei cardini del nascente ROMANTICISMO.
Sul piano culturale l'età della restaurazione coincide col trionfo dell'IDEALISMO concezione che considera lo spirito fondamento della realtà.
Il pensiero romantico presenta caratteristiche molto articolate e difficilmente riconducibili a schematiche suddivisioni interpretative tanto che sul piano politico inizialmente tende ad assumere connotazioni conservatrici e reazionarie per poi ispirare i movimenti progressisti e liberali europei sulla base di una rinnovata lettura dei principi di libertà e democrazia della tradizione illuministica.
Nella prima metà dell'ottocento i movimenti democratici acquistano sempre più forza mentre il decollo industriale coinvolge le principali nazioni.
La nuova situazione moltiplica la forza dei movimenti liberali. Si organizzano i primi sindacati in base all'affermazione del principio socialista che si oppone alle teorie liberali. In nazioni come l'Italia in cui riscontriamo un ritardo storico ed economico l'unificazione territoriale si realizza solo nel 1861 a compimento di quel processo di "rivoluzione passiva".

DALLA RESTAURAZIONE AL 1848: L'ETA' DEL ROMANTICISMO
Nella prima metà dell'Ottocento dopo il Congresso di Vienna, in Europa si succedono il tentativo di restaurazione dell'Anciene regime e le insurrezioni popolari. La sempre più agiata classe borghese lotta per sottrarre alla nobiltà la direzione dello stato e per imporre un indirizzo liberale. Anche sul piano culturale si afferma il primato di nazione, idea appartenente ad un processo di concezioni che rifiutavano il pensiero matgerialistico e razionalistico, facendo riferimento alla filosofia idealistica tedesca nelle sue diverse espressioni.
I decenni in cui si afferma tale nuova sensibilità nel continente europeo e in Italia sono denominati "età del romanticismo" movimento culturale e letterario che domina la prima metà dell'Ottocento.
Il termine romantico deriva dall'aggettivo inglese "romantic" usato già nel seicento in senso dispreggiativo con riferimento agli antichi romanzi cavallereschi. Il vocabolo diventa, successivamente, sinonimo di fantastico e in Germania sinonimo di modo di pensare opposto alla concezione illuministica. Alla fine del '700 nasce il movimento dello Sturm Und Drang che prende il nome di un dramma passionale scritto da Klinger in cui sono già rese implicite le caratteristiche del romanticismo.
Contraddistinguono l'ideologia e la sensibilità romantica valori specialmente opposti ai principi illuministici.
La filosofia idealistica viene contrapposta al materialismo e al sensismo;
La religiosità all'ateismo e al deismo;
La difesa della nazione al cosmopolitismo;
L'amore per la storia al senso antistorico della realtà;
La tendenza individualistica e sentimentale al pensiero scientifico, analitico e oggettivo.

Il nuovo intellettuale è interprete di un nuovo modo di pensare. Egli si rivolge al popolo per ispirarlo verso i nuovi valori liberali. Il poeta si presenta come VATE del cambiamento del destino di un popolo e cm espressione della dimensione soggettiva dell'uomo.La poetica romantica è socialmente innovativa: essa rifiuta il principio dell'imitazione della natura e concepisce l'arte come libera e spontanea creatività del sentimento di un singolo individuo o di un popolo.
TEMI CENTRALI DELLA CULTURA ROMANTICA SONO:
Il recupero della spiritualità;
L'esaltazione del sentimento;
La riscoperta del popolo nella sua individualità linguistica, storica e culturale;
La rivalutazione della storia, in particolare della Storia medievale, radice delle tradizioni e delle moderne nazioni europee;
La tendenza lirico-soggettiva.


Per quanto riguarda l'Italia, il Romanticismo sorge tardivamente, in seguito alla polemica innescata dalla pubblicazione sulla rivista "Biblioteca italiana" di una lettera di Madame de Stael che invita i letterati italiani a mettersi al passo con i tempi. La particolare situazione storica e culturale della penisola influenza la specificità del romanticismo italiano che si caratterizza per: a) continuità e non rottura con l'illuminismo; b) prevalenza di tematiche patriottiche; c) sviluppo della questione del linguaggio; d) rifiuto del classicismo.


...ANCORA SUL ROMANTICISMO
Il Congresso di Vienna, conclusosi nel 1815, ridisegna la carta dei confini e gli assetti politici dell'Europa.
Nell'area nord-orientale la russia si rafforza e viene creata la confederazione germanica costituita da 39 stati i cui rappresentanti riuniti in una Dieta sono presieduti dall'imperatore d'Austria. Nel contempo la Prussia si espande ad ovest fino ai confini con la Francia e l'Austria degli Asburgo diventa un immenso impero che comprende anche l'Ungheria, la Boemia e il Lombardo-Veneto italiano fulcro dell'espansione bonaartista.
La Francia non ottiene mutamenti territoriali e la Gran Bretagna ottiene numerosi territori extra europei.
Sul piano ideologico e culturale nell'età della Restaurazione si sviluppa un elaborazione teorica che si basa sull'elaborazione fondata su principi che si oppongono alla cultura illuministica reazionaria e napoleonica. Vengono confutati i cardini del pensiero illuminista, vale a dire il primato della ragione, il sensismo, il materialismo, il deismo, il cosmopolitismo e l'antistoricismo.
Il termine Romanticismo trova le sue origini nell'inglese Romantic utilizzato per indicare l'inverosomiglianza delle vicende narrate nei poemi epico cavallereschi. Nella seconda metà del Settecento il vocabolo tramite il francese "romantique" comincia ad assumere un significato positivo e ad indicare uno stato d'animo indefinibile a livello razionale.
La dimensione spirituale romantica s'intreccia con il nuovo concetto di "SUBLIME". Le concezioni fondamentali del romanticismo europeo possono essere così sintetizzate:
1) opposizione della filosofia idealistica al senso religioso deista e materialista illuministico;
2) esaltazione del sentimento e diffidenza verso la ragione;
3) individualismo inteso come libertà del singolo;
4) rifiuto delle regole che soffocano i popoli e quindi gli uomini;
5)rivalutazione della storia in particolare dell'epoca medievale radice delle tradizioni e delle moderne nazioni;
6)amore di patria;
7)passione amorosa intesa come forza vitale.
Il Romanticismo si esprime mediante un'ansia di assoluto e di infinito che si realizza in forme molto varie : nel contrasto tra realtà e idealità, nella sfiducia rispetto all'ottimismo illuministico circa la possibilità di "illuminare" l'esistenza degli uomini con la sola ragione. Il dualismo di fondo della cutura romantica si traduce in una concezione drammatica e pessimistica del vivere umano.
Il movimento Romantico in Italia risale al 1816, anno in cui scoppia la polemica classico romantica innescata dalla pubblicazione sulla rivista ''Biblioteca italiana'' ad opera di Madame de Stael di un articolo, Sulla maniera e utilità delle tradizioni in cui la nobildonna francese attacca la letteratura accademica italiana accusandola di essere antiquata, pedantesca e lontana dalle esigenze popolari e invita i letterati italiani a tradurre opere europee. Le caratteristiche peculiari del Romanticismo italiano stanno nel rifiuto delle tematiche legate al senso dell'orrido, nell'impegno patriottico risorgimentale, nell'adesione al Realismo, motivi che affondano le proprie radici nell'illuminismo lombardo.