giovedì 23 febbraio 2012

PER I CAMPIONISSIMI DI V F: Facciamo il punto su...GIOSUE’ CARDUCCI (1835-1907)

1856: Laurea in Filosofia e Filologia presso la Normale di Pisa
1860: cattedra Letteratura italiana Università di Bologna
1890: nomina di senatore del Regno. a tal proposito scrive l’ode filosabauda Piemonte: è ormai il vate ufficiale dell’Italia umbertina
1906: Premio Nobel per la Letteratura.
Gravi lutti segnarono l’ esistenza di G. Carducci: la scomparsa del fratello Dante, morto suicida; la morte prematura del figlioletto Dante, avvenuta nel 1870; la morte della madre, ancora nel 1870. I due gravi lutti del 1870 (la morte della madre e del figlio Dante) indussero nel poeta una profonda crisi depressiva dalla quale lo riscosse soltanto la relazione, dapprima epistolare, poi anche amorosa con Carolina Cristofori Piva , chiamata Lina o Lidia nelle poesie. Fu questo per Carducci – che pure ebbe diverse relazioni extraconiugali, come quelle con Adele Bergamini, Dafne Gargiolli, e più tardi con la giovanissima scrittice Annie Vivanti- un legame lungo e importante, sia affettivamente che culturalmente, troncato solo dalla morte della donna nel 1881. A Carolina Cristofori Piva sono dedicate meravigliose liriche, Alla stazione in una mattina d’autunno, Fantasia, Ballata dolorosa.

PRODUZIONE LETTERARIA
IUVENILIA, LEVIA GRAVIA, INNO A SATANA (pubblicato nel 1865 con lo pseudonimo di enotrio Romano), GIAMBI ED EPODI,INTERMEZZO, RIME NUOVE, ODI BARBARE , RIME E RITMI, DALLA CANZONE DI LEGNANO.

1. PRIMA FASE: PRODUZIONE LETTERARIA IMPRONTATA A POSIZIONI IDEOLOGICHE DI STAMPO GIACOBINO, ANTICLERICALE, ATEO.

Tematiche repubblicane e giacobine, poesie di invettiva politico-civile, sostenute da un taglio realista e dall’etica risorgimentale: Giuseppe Mazzini, La sacra di Enrico V, Per Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, Versaglia, A un heiniano d’Italia. Il ribellismo giovanile del Carducci trovò nutrimento nella lettura di scrittori illuministi e repubblicani, come Voltaire, Michelet e Quinet, poeti laici e radicali, come Arrigo Heine, il filosofo francese Proudhon, teorico del socialismo anarchico.
 In politica, l’Italia sopra di tutto
 In estetica, il Classicismo, come modello di rigore formale , come esaltazione della tradizione letteraria nazionale (Dante, Petrarca, Tasso, Parini, Monti, Alfieri, Leopardi)
 Nella vita pratica, la schiettezza , la virilità, l’intransigenza.

2. ANNI 80 : SPOSTAMENTO SU POSIZIONI MONARCHICHE FILOSABAUDE
Gli anni Ottanta vedono il progressivo allineamento del Carducci su posizioni più filomonarchiche e conservatrici; a ciò si accompagna il suo crescente impegno nel ruolo di “Vate della terza Italia” che si traduce nell’esigenza di allargare l’uditorio ideale, dal pubblico selezionato e culturalmente elevato delle origini, alla ben più vasta platea del pubblico borghese.
Nel 1879 era intanto cominciata la sua collaborazione al periodico filogovernativo e filomonarchico “Fanfulla della Domenica”, cui seguì, fra il 1881 e il 1885, quella alla “Cronaca bizantina” dell’editore romano Angelo Sommaruga. La sua fama di poeta andava intanto crescendo notevolmente, e la pubblicazione nel 1887 delle Rime nuove ( che comprende poesie scritte dal 1861 al 1887) sancì il suo ruolo di poeta nazionale, punto di riferimento insostituibile per le vicende culturali e politiche italiane; il 4 dicembre del 1890 fu nominato senatore a vita.
Carducci si calò completamente nel ruolo di poeta nazionale: sostenitore della politica coloniale di Francesco Crispi, fra il 1894 e il 1895 compose numerose odi che celebravano la storia italiana dal Medioevo ai suoi giorni , come le notissime odi Piemonte e Cadore, poi confluite insieme ad altre poesie nella raccolta Rime e ritmi (1899). Nel 1904 lasciò l’insegnamento nell’ateneo bolognese, che aveva ricoperto ininterrottamente per quarantatré anni. La sua fama ormai mondiale gli valse nel 1906 il premio Nobel per la letteratura. Morì a Bologna nella notte fra il 16 e il 17 febbraio del 1907.


TEMI DELLA POESIA CARDUCCIANA

 Il tema della NATURA, del Paesaggio; le incontaminate virtù del paesaggio toscano, che si arricchisce di suggestioni simboliche e irrazionali (Bolgheri, Castagneto, la Maremma aspra e selvaggia, custode di antichi, felici ricordi d’infanzia)
 Il tema della MEMORIA, della evocazione nostalgica del passato; il mito dell’infanzia come sogno di illusioni e di speranze di felicità
 Il mito della STORIA ANTICA – in particolare la Storia romana, la storia medievale- come memoria dei massimi civiltà, come retorica celebrazione di epoche gloriose. In questo solco si colloca la produzione carducciana di impronta storica ed epica (Dinanzi alle terme di caracalla, Presso una certosa, Il comune rustico, faida di comune
 Il SENTIMENTO DELLA MORTE, la fuga dalla realtà, il contrasto tra ideale/reale, il Simbolismo (Baudelaire, Mallarmé).
 ASPIRAZIONE ALLA POESIA PURA (“ritornare all’arte pura, di per se stessa morale più d’ogni altra”), un’arte indifferente alla realtà , volta a ricreare un mondo distante e mitico nel quale l’uomo viveva un rapporto “naturale” e istintivo con la Natura creatrice. Nella volontà del Carducci di riproporre l’ideale classico di una poesia pura e incontaminata, si scorge l’incontro della lirica carducciana con l’opera di Charles Baudelaire (il poeta delle Fleurs du mal) . Carducci ebbe modo di visionare l’opera omnia dello scrittore francese già a partire dal 1872 (anno in cui l’amico Giuseppe Chiarini invia al Carducci una prima opera del Baudelaire, Le litanie di Satana). Di chiara ispirazione baudelariana è la lirica del Carducci “Fantasia” dedicata a Lidia (Carolina Cristofori Piva, fervente ammiratrice di Baudelaire), lirica che trae ispirazione dal sonetto Parfum exotique, compreso ne Les fleurs du mal. La concezione baudelairiana della classicità appare, tuttavia, sostanzialmente diversa rispetto a quella maturata del Carducci, in quanto più estrema e decadente, volta ad enfatizzare gli elementi più sensuali e morbosi della Natura . Si tratta, dunque, di influenze episodiche nella poesia carducciana, che appaiono caratterizzate dalla tendenza del Carducci ad attenuare proprio gli elementi più sensuali presenti nel modello francese: l’estetica di Baudelaire non poteva trovare una profonda consonanza in Carducci, che nei confronti del mondo classico serbava l’atteggiamento tipicamente umanistico del restauratore e dell’imitatore.

GIAMBI ED EPODI
Raccolte in volume nel 1882, le poesie di Giambi ed Epodi rappresentano al meglio il Carducci “giacobino”, repubblicano e anticlericale. L’ultima composizione inseritavi è del 1879, l’anno della “conversione” monarchica e della riconciliazione con le istituzioni. Il titolo, che accosta due titoli pressoché sinonimi, allude alle poesie satiriche di Orazio di metro prevalentemente giambico, riunite nell’ Epodon liber (“Libro degli epòdi”), assunte come modello di invettiva politica e civile. Il principale obiettivo dello sdegno del poeta è il “tradimento” degli ideali risorgimentali perpetrato dallo Stato unitario, quando, come scrisse lo stesso Carducci nella prefazione dell’opera, “l’Italia ebbe inoculato il disonore: cioè la diffidenza e il disprezzo di se stessa, il discredito e il disprezzo sogghignante delle altre nazioni”. Di qui l’ammirazione (peraltro non ricambiata) per Mazzini, e la contrapposizione delle grandi idealità rappresentate dalla rivoluzione francese alla miseria morale del presente. ”Sono acerbe parole queste ch’io scrivo, lo so”, diceva ancora il poeta nella prefazione, “Ma anche so che per un popolo che ha nome dell’Italia non è vita […] non avere né un’idea né un valore politico, non rappresentare nulla, non contar nulla, essere in Europa quello che è il matto nel gioco de’ tarocchi: peggio […], essere un cameriere che chiede la mancia a quelli che si levano satolli dal famoso banchetto delle nazioni, e quasi sempre, con la scusa del mal garbo, la mancia gli è scontata in ischiaffi”.
[Fonte bibl.: Giambi ed Epodi, in G. Carducci, Opere, III, Zanichelli, Bologna 1935-1940]

RIME NUOVE
Pubblicato in edizione definitiva nel 1887, il volume accoglie poesie scritte tra il 1861 e il 1887, e suddivise in nove libri, secondo affinità talvolta metriche talvolta tematiche. Ad esempio i sonetti sono raccolti nel libro II e le odi saffiche nel libro IV. Il libro III riunisce le liriche di natura “privata”, d’amore o di dolore, e il libro V ospita in prevalenza poesie ispirate a ricordi autobiografici. Nei libri VI e VIII trovano posto le rievocazioni di carattere storico, e il libro VII è occupato per intero dai sonetti di Ça ira, dedicati alla rivoluzione francese. I libri I e IX sono costituiti ciascuno da una sola poesia, rispettivamente Alla rima e Congedo. Il volume accoglie inoltre numerosi traduzioni da poeti stranieri, soprattutto tedeschi, in particolare Goethe ed Arrigo Heine. Il dato unificante dell’intera raccolta è comunque di carattere tecnico: si tratta infatti dell’uso della rima, presente in tutte le poesie ( mentre risulta completamente assente nelle Odi barbare).
Rispetto ai Giambi ed Epodi la disposizione di Carducci appare qui più distesa e introspettiva, sentimentale, più incline a vedere nella poesia una forma di consolazione. Ciò si avverte soprattutto nelle liriche scritte tra il 1871 e il 1880, durante l'appassionata relazione del poeta con Carolina Cristofori Piva.
[Fonte bibl.: Rime nuove, in G. Carducci, Opere, III, cit.]

ODI BARBARE
L’edizione definitiva delle Odi barbare (1893) raccoglie le Odi barbare del 1877, le Nuove odi barbare del 1886 e le Terze odi barbare del 1889. Il titolo è spiegato dallo stesso Carducci in una nota all’edizione del 1877: “Queste odi poi le intitolai barbare, perché tali sonerebbero agli orecchi e al giudizio dei greci e dei romani, se bene volute comporre nelle forme metriche della loro lirica, e perché tali sonerebbero pur troppo a moltissimi italiani, se bene composte e armonizzate di versi e accenti italiani”. Il dato più rilevante della raccolta è certamente la sperimentazione metrica, rivolta a riprodurre le cadenze e i ritmi della versificazione classica, seguendo prevalentemente i sistemi metrici che furono di Orazio e cercando di imitare, col gioco degli accenti, gli schemi metrici quantitativi della poesia latina e greca, basati sulla “durata” (quantità) delle sillabe (sillabe lunghe - sillabe brevi). Nelle Odi barbare il Carducci si sforza di far coincidere l’accento ritmico quantitativo con l’accento tonico della metrica italiana, conciliando così la metrica quantitativa antica con la metrica accentuativa moderna.
Per quanto riguarda i temi, a un gruppo omogeneo di poesie dedicate alla civiltà romana si affiancano le consuete rievocazioni storiche, - attraversate dall’ideale di “Nemesi”, una sorta di Provvidenza laica, per cui le colpe dei tiranni e dei conquistatori ricadono sui loro discendenti, che ne pagano il fio – e alcune composizioni di carattere privato e autobiografico. L’interesse di Carducci per l’imitazione dei metri classici è testimoniato anche dall’antologia La poesia barbara nei secoli XV e XVI, da lui curata nel 1881.
[Fonte bibl.: Odi barbare, in G. Carducci, Opere, IV, cit.]

RIME E RITMI
Pubblicato nel 1889, il volume raccoglie l’ultima produzione poetica di Carducci, sia le poesie rimate in metri tradizionali, sia le poesie barbare. Gli argomenti sono di vario genere, ma non escono dai consueti schemi della commemorazione storica e della “confessione” autobiografica. Vi si accentuano, semmai, le riflessioni sulla morte e l’intensificarsi delle movenze oratorie nei versi celebrativi (sintomatiche, da questo punto di vista, odi celebri e troppo lodate come Piemonte o La chiesa di Polenta). Il volume si chiude con uno stornello d’addio che dichiara la fine dell’attività poetica: “Fior tricolore, | tramontano le stelle in mezzo al mare | e si spengono i canti entro il mio core”.
[Fonte bibl.: Rime e ritmi, in G. Carducci, Opere, IV, cit.]

mercoledì 22 febbraio 2012

Carducci, Giosuè - Alla stazione in una mattina d`autunno (Odi barbare)

Oh quei fanali come s'inseguono
accidiosi là dietro gli alberi,
tra i rami stillanti di pioggia
sbadigliando la luce su 'l fango!

Flebile, acuta, stridula fischia
la vaporiera da presso. Plumbeo
il cielo e il mattino d'autunno
come un grande fantasma n'è intorno.

Dove e a che move questa, che affrettasi
a' carri foschi, ravvolta e tacita
gente? a che ignoti dolori
o tormenti di speme lontana?

Tu pur pensosa, Lidia, la tessera
al secco taglio dài de la guardia,
e al tempo incalzante i begli anni
dài, gl'istanti gioiti e i ricordi.

Van lungo il nero convoglio e vengono
incappucciati di nero i vigili
com'ombre; una fioca lanterna
hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei


freni tentati rendono un lugubre
rintocco lungo: di fondo a l'anima
un'eco di tedio risponde
doloroso, che spasimo pare.

E gli sportelli sbattuti al chiudere
paion oltraggi: scherno par l'ultimo
appello che rapido suona:
grossa scroscia su' vetri la pioggia.

Già il mostro, conscio di sua metallica
anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei
occhi sbarra; immane pe 'l buio
gitta il fischio che sfida lo spazio.

Va l'empio mostro; con traino orribile
sbattendo l'ale gli amor miei portasi.
Ahi, la bianca faccia e 'l bel velo
salutando scompar ne la tenebra.

O viso dolce di pallor roseo,
o stellanti occhi di pace, o candida
tra' floridi ricci inchinata
pura fronte con atto soave!

Fremea la vita nel tepid'aere,
fremea l'estate quando mi arrisero;
e il giovine sole di giugno
si piacea di baciar luminoso

in tra i riflessi del crin castanei
la molle guancia: come un'aureola
piú belli del sole i miei sogni
ricingean la persona gentile.

Sotto la pioggia, tra la caligine
torno ora, e ad esse vorrei confondermi;
barcollo com'ebro, e mi tocco,
non anch'io fossi dunque un fantasma.

Oh qual caduta di foglie, gelida,
continua, muta, greve, su l'anima!
Io credo che solo, che eterno,
che per tutto nel mondo è novembre.

Meglio a chi 'l senso smarrì de l'essere,
meglio quest'ombra, questa caligine:
io voglio io voglio adagiarmi
in un tedio che duri infinito.