mercoledì 25 aprile 2012

GABRIELE D’ANNUNZIO II (Pescara 1863- Gardone 1938) – PRODUZIONE LETTERARIA

La produzione letteraria di Gabriele D’Annunzio (1863-1938), sebbene vastissima e multiforme, presenta un profilo abbastanza unitario, nelle tematiche e nello stile: fin dal Canto Novo (1882) la sua fisionomia di scrittore risulta sufficientemente precisata e se anche gli sviluppi successivi la modificheranno in parte, non arriveranno mai a cancellarne i tratti originari. La matrice della poetica dannunziana è POSITIVISTA E MATERIALISTICA , con in più un afflato mistico che conduce spesso l’autore ad una identificazione estatica con la materia stessa, nelle forme che essa assume nei corpi della natura, nei ritmi delle stagioni. Tutto quanto abbia a che fare con il corpo, dalla sensibilità alla sensualità fino alla malattia e al disfacimento della morte, diviene per il poeta un vero e proprio oggetto di culto e di esaltazione, che si riflette nel più ampio culto delle acque e dei boschi, delle spiagge e del sole, come manifestazioni meravigliose di una irrefrenabile energia vitale. Il poeta diviene il SACERDOTE LAICO che officia i riti di una religiosità pagana e amorale, depositario di un mistero che non ha nulla di metafisico: è il mistero della bellezza che si incarna nelle forze naturali positive, e che non sopporta vincoli di ordine etico o sociale.. la bellezza per D’Annunzio non va solo contemplata: al contrario essa va usata fino in fondo in una brama di possesso e di godimento estetico che non conosce limiti. Agli albori della modernità italiana, tra Ottocento e Novecento, D’Annunzio scopre la cultura di massa e sa farsene interprete. Sempre aggiornato sui fenomeni più in voga, fonda sull’ imitazione la sua produzione letteraria, cogliendo abilmente di volta in volta gli umori del momento e rielaborando in modo originale. I modelli più disparati. 1. ESORDIO DI INFLUENZA CARDUCCIANA E NATURALISTA. L’esordio poetico di D’annunzio con Primo vere (1879) e Canto novo (1882) è all’insegna di Carducci, rivisitato nella direzione di un’intima comunione con la natura che ispira sentimenti sensuali e vitalistici. I racconti giovanili sono ambientati in Abruzzo, terra d’origine del poeta rappresentata come luogo dalla natura ferina e istintiva, aspra e selvaggia; questi, confluiti nel volume unico Novelle della Pescara (1902), risentono l’influenza del Naturalismo francese (Flaubert e Maupassant) e del Verismo italiano (Capuana e Verga); si tratta essenzialmente di un’imitazione prevalentemente formale, poiché il D’Annunzio col suo temperamento sensuale è lontanissimo sia dalla concezione sana, operosa e virile di Carducci, sia dalla profonda moralità e pietà del Verga.

2. DECADENTISMO ESTETIZZANTE. Dagli esordi giovanili carducciani e naturalistici, i percorsi dannunziani andranno sempre più intrecciandosi. Sono questi gli anni, dal 1883 in poi, in cui il D’Annunzio diventa una celebrità nei salotti romani più importanti; diventa il celebre cronista mondano di riviste importanti “Cronaca bizantina”, “Capitan Fracassa”, la “Tribuna”, fa una fuga d’amore con la duchessina Maria Hardouin di gallese, sedotta per scopi pubblicitari, e poi sposata per obbligo di riparazione. Gli anni romani (1881-1891) sono fondamentali per al sua formazione letteraria e per la sua crescita ed evoluzione artistica: divora i libri di Flaubert, Zola, Maupassant, i versi parnassiani di Baudelaire ( in particolare I fiori del male) e Mallarmé, i romantici Keats e Shelley, il decadente Swinburne. La ricchezza di esperienze erotiche e la molteplicità delle letture alimentano non solo la narrativa di questi anni, ma anche le prove poetiche del D’annunzio romano. Il poeta infatti si orienta verso un calcolato kitsch (letteralmente: fare opera antica con materiale moderno), un indirizzo estetico di fine Ottocentoche consiste nell’accumulo di materiali eterogenei nello stesso componimento. Ciò che conta per il poeta è l’effetto strabiliante dell’insieme, e soprattutto la perfezione della forma, la cui assoluta priorità è affermata nella chiusa del primo romanzo di D’Annunzio, Il Piacere (1889) “O poeta, divina è la Parola….e il verso è tutto” Sull’esempio dei romanzi ciclici dell’Ottocento di Honoré de Balzac ( la commedia umana) DI EMILE Zola ( i Rougon Macquart), Verga (i vinti), il D’Annunzio si propose di scrivere un ciclo di romanzi distinti in tre trilogie: I romanzi della rosa, I romanzi del giglio, I romanzi del melograno a simboleggiare le tappe evolutive del suo spirito dalla schiavitù delle passioni alla vittoria su di esse. La contemplazione e il godimento della bellezza, insieme intellettuale e istintuale – L’ESTETISMO - cioè l’esaltazione della Bellezza “pura e inutile” contraddistingue i primi tre romanzi di D’Annunzio: Il Piacere (1889), L’innocente (1892), Il trionfo della morte (1894) - poi riuniti nel ciclo I Romanzi della rosa – hanno per protagonisti raffinatissimi intellettuali, mossi dal comune desiderio di una sfrenata ricerca del piacere, che si trovano a scontrarsi in vari modi con la forza travolgente e incontrastabile della sensualità e delle passioni, e ne escono sconfitti, pagando la loro inadeguatezza con la nevrosi (Andrei Sperelli, Il Piacere), con il delitto (Tullio Hermil, L’Innocente), con la morte (Giorgio Aurispa, Il Trionfo della morte). Il vero modello de Il Piacere va cercato nel romanzo fondamentale del Decadentismo europeo, A ritroso del francese K. Huysmans. I protagonisti dei ROMANZI DELLA ROSA, il fiore simbolo della voluttà, d, pubblicato nel 1884 e subito letto e ammirato da D’Annunzio. ella passione invincibile, rappresentano simbolicamente l’autore stesso, sono delle controfigure dell’autore che si muovono nello stesso frivolo mondo nella nobiltà romana nel quale si muoveva in quegli anni D’Annunzio e ne condivideva i gusti e le inclinazioni. Non a caso il D’Annunzio forgia proprio in questi anni il proprio gusto decadente tutto nutrito di edonismo e di prezioso estetismo. Ma i personaggi suddetti non possiedono ancora la sufficiente energia vitale e sovrumana, necessaria per sopravvivere ai devastanti effetti di una vita vissuta all’insegna del puro edonismo, della sensualità scatenata: una energia che D’Annunzio riteneva esclusivo appannaggio del cosiddetto Superuomo, il mitico prodotto finale di una darwiniana selezione naturale intenta a falcidiare i più deboli e inadeguati. LIRICA: La ricchezza delle esperienze erotiche e la vastità delle letture, in particolare di opere francesi, alimentano non solo la prosa di questi anni romani, ma anche la POESIA. Al gusto estetizzante si ispirano le due raccolte Elegie romane (1883); Intermezzo di rime (1887-1892). In elegie romane il poeta esprime informe poetiche tradizionali (sonetti, madrigali, ecc.) ritratti femminili in un ambiente aristocratico e raffinato disfatto dall’eccesso di sensualità E’ evidente il queste opere la lezione dei Parnassiani francesi, in particolare di Th.Gautier,e di Charles Baudelaire (I fiori del male). I motivi fondamentali sono, ancora, la corrispondenza tra ARTE e VITA; il narcisismo edonistico, una forte componente sensuale che si esprime mediante un irrefrenabile godimento dei sensi; il nesso parnassiano tra la perfezione formale e la dissoluzione morale; la poetica del KITSCH.

3. FASE BONTA’: PERIODO NAPOLETANO (1891-93) Nel 1891 D’Annunzio abbandona la vita gaudente romana e perseguitato dai creditori si trasferisce a napoli. Anche nel periodo napoletano lo studio delle letterature straniere orienta e condiziona la sua poetica. La lettura in traduzione francese dei narratori russi Tolstoj e Dostoevskij (I fratelli Karamazov) Nascono opere di impianto fortemente morale e psicologico che mirano alla condanna dell’uomo che si abbandona senza coscienza e senza ideali alla ricerca del piacere. I motivi sono, dunque, la poetica del pentimento e dei buoni sentimenti; il Simbolismo come trasfigurazione di oggetti ed emozioni nella musicalità del verso. Opere del periodo napoletano: I romanzi Giovanni Episcopo (1891) e L’innocente (1893); Il poema paradisiaco (1893).

4. IL SUPEROMISMO (1892). La seconda trilogia, I ROMANZI DEL GIGLIO fiore simbolo del superuomo, della passione che si purifica, si ispira al SUPEROMISMO DI NIETZSCHE. La conoscenza della filosofia di N. è databile intorno al 1892, anno in cui D’annunzio lesse Così parlo Zarathustra e ne rimase certamente colpito, tanto da segnare una svolta intellettuale destinata a dividere in due il percorso artistico dannunziano. Sarebbe tuttavia un errore ritenere che nel poeta l’idea del superuomo sia totalmente tributaria delle teorie nietzscheane: essa è infatti già presente nel forte Vitalismo che caratterizza la poetica dannunziana fin dal Canto novo. Dal superuomo di N., il superuomo dannunziano deriva il concetto della volontà di potenza creativa e della ricerca di una gioia nuova, derivata dalla capacità di non dubitare più di sé dinanzi al mondo. Al potere del superuomo si contrappone la banalità e la cieca passività della folla, cioè della massa della civiltà moderna che minaccia la singolare eccellenza dell’eroe, e che dunque deve essere sottomessa alla sua forza creatrice. Il superuomo dannunziano coincide con l’artista, un essere superiore che in virtù della propria vitalità intellettuale e del culto della Parola, ha il diritto di dominio assoluto sulla folla, semplice strumento della sua capacità di imprimere accelerazioni alla storia umana. L’autore si convince che è esattamente la parola, nei suoi valori tanto semantici quanto musicali, la garanzia del conquistato possesso del mondo da parte del poeta-superuomo (il poeta, accanto a Nietzsche, aveva scoperto anche la musica di Richard Wagner 1818-1888 teorico del cosiddetto dramma di parole e musica che realizza la perfetta compenetrazione tra canto e orchestra, parole e musica). Il suo estetismo di matrice materialista, reperisce i mezzi verbali più congeniali- volutamente straordinari- attraverso una assoluta ricerca inesausta di vocabolari, dizionari specializzati, lessici, attingendo a opere letterarie antiche e moderne, al punto da far incorrere D’Annunzio in numerose accuse di plagio. Si accentua in questa fase l’idea di una superiorità assoluta dell’artista e della sua sintonia con la natura. Una volta raggiunta la sicurezza della parola, una volta identificato in essa l’universo privilegiato del Superuomo, la vita stessa può farsi a sua volta parola, può manifestarsi attraverso una serie di gesti clamorosi ed eccentrici che recano in sé la finzione dell’arte: la vita come opera d’arte, vecchio sogno dei Scapigliati e dei bohemiens, ma anche dei Parnassiani e in generale dei decadenti francesi, può finalmente realizzarsi sotto l’egida del Superuomo, facendo di D’Annunzio un “caso” culturale assolutamente unico nella storia della letteratura europea moderna. Il superuomo di D’Annunzio è fondamentalmente assai lontano dal suo modello nietzscheano: privo di spessore filosofico e conoscitivo, tanto gaudente, vitale e ottimista quanto l’altro appare pessimista e funebre, il Superuomo dannunziano affida la propria onnipotenza alle armi della parola: al parossismo dei sensi e della materia si può sopravvivere solo grazie al culto della parola, solo a patto di poter forgiare un linguaggio sublime e divino che sia all’altezza dell’eccezionalità dei contenuti da significare e comunicare. I tratti distintivi del Superuomo possiamo riassumerli nelle parole del critico Carlo Salinari >“culto dell’energia dominatrice, sia che si manifesti come forza o come capacità di godimento della bellezza; ricerca della propria tradizione storica nella civiltà pagana greco-romana e in quella rinascimentale; concezione aristocratica del mondo e disprezzo della massa; idea di una missione di potenza e di grandezza della nazione italiana da realizzarsi soprattutto attraverso la gloria militare; giudizio totalmente negativo sull’Italia postunitaria e necessità di energie nuove che la risollevino dal fango”. Il tema del superuomo produce i suoi interessanti effetti sia in ambito poetico che, soprattutto, nel campo della narrativa. Se Il trionfo della morte (1894) è il romanzo che fotografa la graduale metamorfosi ideologica, il romanzo-manifesto della poetica del Superuomo è Le vergini delle rocce (1895) il primo e unico romanzo della trilogia “del giglio”. Tuttavia, il primo personaggio davvero vincente che si incontra nella narrativa dannunziana è il grande poeta Stelio Effrena, incarnazione di un ideale artistico eroico, protagonista de Il fuoco (1900). Questo romanzo, unico della TRILOGIA DEL MELOGRANO, rappresenta il culmine del romanzo superomistico dannunziano, il livello più alto del suo ottimismo creativo. Giunge qui a compimento anche il processo di dissoluzione delle strutture del romanzo realista, a avntaggio di effetti musicali ispirati dalla wagneriana.

LIRICA : Accanto al romanzo, il mito superomistico alimenta anche la poesia di D’Annunzio. In questo ambito lo scrittore è debitore non soltanto del Così parlò Zaratustra, ma anche della nascita della tragedia di Nietzsche, in cui il filosofo tedesco aveva posto le forme della spiritualità greca all’origine della civiltà occidentale. In ambito lirico il mito del superuomo si sposa con la riscoperta e l’esaltazione da parte del poeta della Grecia antica, patria del “sentimento dell’energia e della potenza elevato al sommo grado”: il mito del mondo antico capace di illuminare e riscattare la decadenza del presente, si concretizza in un viaggio condotto da D’Anninzio nei siti archeologici ellenici nel 1895. Così dopo anni di dedizione alla prosa e al teatro, in una lettera del giugno 1899 D’Annunzio annuncia: “In questi giorni mi sono riaccostato alla poesia: ho scritto alcune delle Laudi del cielo, del mare, della terra degli eroi” Nasce così sul finire del 1890 il progetto delle Laudi, dedicate alla suprema ambizione del poeta-superuomo intenzionato a cantare la bellezza del mondo visibile e la gloria dell’eroe attraverso il tempo. Non si tratta solo di poesia: il richiamo del titolo alle Laudes creaturarum di S.Francesco, allude alla volonta del D’annunzio di fondare una moderna religione anticristiana, basata sul ricongiungimento dell’individuo alla potenza creatrice della natura. Il progetto delle Laudi prevede sette libri, ognuno dedicato ad una stella delle Pleiadi. Nei fatti, D’Annunzio pubblica i primi tre libri, composti tra il 1896 – 1903 : Maia (1903); Elettra (1904); Alcyone (1904). I motivi che sostanziano la poesia delle Laudi sono temi cari al Superuomo: l’esaltazione del mito attraverso un itinerario mentale e reale sulle tracce della Grecia antica; esaltazione degli eroi ed episodi del passato alla ricerca dei segni della grandezza dell’Italia (poesia di intonazione civile di stampo patriottico e nazionalistico); concezione aristocratica del mondo; fusione panica con la Natura e metamorfosi dell’uomo; intenso rapporto a carattere dionisiaco del poeta-superuomo con la Natura, fonte di inesauribile energia creativa (Vitalismo); il culto della parola. Questa poetica si riflette anche sul piano stilistico La parola sublime e “divina” è orchestrata in vista della maggiore musicalità possibile, in grado di assecondare le invenzioni della sua fantasia nella forma originale della “strofa lunga”: i testi poetici sono infatti concepiti come partiture orchestrate su una metrica ora tradizionale, ora libera, ma sempre caoace di assecondare il flusso delle immagini. Il culto della parola conosce la sua più piena realizzazione proprio nei primi tre libri delle Laudi e in particolare nell’Alcyone (1903) concordemente ritenuto il capolavoro della poesia dannunziana. In Alcyone il poeta si abbandona alla libera celebrazione dell’estate e della sua forza vitale, rifondendo il materiale poetico del Canto Novo in direzione di una ricerca stilistica che diviene l’obiettivo supremo della creazione artistica. Particolarmente efficace risulta l’utilizzo della “strofa lunga” composta da una prolungata sequenza di versi liberi, cioè di misura variabile,, ma preferibilmente breve, così da conferire agilità allo schema metrico. . Alla suggestione musicale collaborano le scelte lessicali, auliche e talvolta semplici, ma sempre ricche di particolari effetti fonici, l’uso di assonanze, allitterazioni, similitudini, metafore sinestesie volte ad ottenere una lingua poetica fortemente analogica.

5. NAZIONALISMO. Al rientro dalla Francia (1910-1915) D’annunzio manifesta di aver tradotto gli ideali superomistici di volontà di potenza in attivismo politico a base nazionalistica. Il superuomo dannunziano non veste più soltanto i panni dell’artista raffinato, ma diventa il banditore di una politica aggressiva, elitaria, antidemocratica, imperialistica. Diviene un poeta soldato, il vate d’Italia, si arruola nell’esercito italiano, combatte sul Carso, partecipa ad imprese militari marittime ed aeree ( in seguito ad un incidente aereo perde l’occhio destro, volo su Vienna; occupazione di Fiume). Alle impresa del poeta soldato fa eco sul piano letterario una poesia nazionalistica: le Canzoni delle gesta d’oltremare (1911-1912) scritte per esaltare la guerra di Libia e → confluite nel 4° libro delle Laudi dal titolo Merope; i Canti della guerra latina (1914-18) scritti per esaltare le gesta italiane durante la 1^ guerra mondiale e → confluiti nel 5° libro delle Laudi dal titolo Asterope (1932).

6. FASE NOTTURNA. PROSA LIRICA E MEMORIALE. Dopo gli anni di attivismo bellico, lo scrittore, cieco da un occhio, si dedica ad una prosa non più veemente e narrativa, virile, bensì descrittiva, a carattere memoriale, diaristico incentrata sulla trascrizione della sua “vita segreta” .La nuova prosa dannunziana diviene sfumata, frammentaria, fatta di appunti, ricordi e folgorazioni; è una prosa fortemente lirica che mira a ricreare il mito di un D’annunzio superumano la cui vista creativa, piuttosto che indebolirsi si affina con la cecità. Il capolavoro della fase notturna è il Notturno, un libro nato proprio nel periodo della cecità e poi ampliato in vista della sua pubblicazione avvenuta nel 1921. BIBL: De Caprio Giovanardi, I testi della letteratura italiana; Antonelli-Sapegno, Il senso e le forme; appunti docente.

domenica 22 aprile 2012

GABRIELE D’ANNUNZIO (1863-1938) – PRODUZIONE LETTERARIA

La produzione letteraria di Gabriele D’Annunzio (1863-1938), sebbene vastissima e multiforme, presenta un profilo abbastanza unitario, nelle tematiche e nello stile: fin dal Canto Novo (1882) la sua fisionomia di scrittore risulta sufficientemente precisata e se anche gli sviluppi successivi la modificheranno in parte, non arriveranno mai a cancellarne i tratti originari. La matrice della poetica dannunziana è POSITIVISTA E MATERIALISTICA , con in più un afflato mistico che conduce spesso l’autore ad una identificazione estatica con la materia stessa, nelle forme che essa assume nei corpi della natura, nei ritmi delle stagioni. Tutto quanto abbia a che fare con il corpo, dalla sensibilità alla sensualità fino alla malattia e al disfacimento della morte, diviene per il poeta un vero e proprio oggetto di culto e di esaltazione, che si riflette nel più ampio culto delle acque e dei boschi, delle spiagge e del sole, come manifestazioni meravigliose di una irrefrenabile energia vitale. Il poeta diviene il SACERDOTE LAICO che officia i riti di una religiosità pagana e amorale, depositario di un mistero che non ha nulla di metafisico: è il mistero della bellezza che si incarna nelle forze naturali positive, e che non sopporta vincoli di ordine etico o sociale.. la bellezza per D’Annunzio non va solo contemplata: al contrario essa va usata fino in fondo in una brama di possesso e di godimento estetico che non conosce limiti. Agli albori della modernità italiana, tra Ottocento e Novecento, D’Annunzio scopre la cultura di massa e sa farsene interprete. Sempre aggiornato sui fenomeni più in voga, fonda sull imitazione la sua produzione letteraria, cogliendo abilmente di volta in volta gli umori del momento e rielaborando in modo originale. I modelli più disparati.  L’esordio poetico di D’annunzio con Primo vere (1879) e Canto novo (1882) è all’insegna di Giosué Carducci, rivisitato nella direzione di un’intima comunione con la natura che ispira sentimenti sensuali e vitalistici. I racconti giovanili sono ambientati in Abruzzo, terra d’origine del poeta rappresentata come luogo dalla natura ferina e istintiva, aspra e selvaggia; questi, confluiti nel volume unico Novelle della Pescara (1902), risentono l’influenza del Naturalismo francese (Flaubert e Maupassant) e del Verismo italiano (Capuana e Verga); si tratta essenzialmente di un’imitazione prevalentemente formale, poiché il D’Annunzio col suo temperamento sensuale è lontanissimo sia dalla concezione sana, operosa e virile di Carducci, sia dalla profonda moralità e pietà del Verga.  Dagli esordi giovanili carducciani e naturalistici, i percorsi dannunziani andranno sempre più intrecciandosi. Sono questi gli anni, dal 1883 in poi, in cui il D’Annunzio diventa una celebrità nei salotti romani più importanti; diventa il celebre cronista mondano di riviste importanti “Cronaca bizantina”, >“Capitan Fracassa”, la “Tribuna”, fa una fuga d’amore con la duchessina Maria Hardouin di gallese, sedotta per scopi pubblicitari, e poi sposata per obbligo di riparazione. Gli anni romani (1881-1891) sono fondamentali per al sua formazione letteraria e per la sua crescita ed evoluzione artistica: divora i libri di Flaubert, Zola, Maupassant, i versi parnassiani di Baudelaire ( in particolare I fiori del male) e Mallarmé, i romantici Keats e Shelley, il decadente Swinburne. La ricchezza di esperienze erotiche e la molteplicità delle letture alimentano non solo la narrativa di questi anni, ma anche le prove poetiche del D’annunzio romano. Il poeta infatti si orienta verso un calcolato kitsch (letteralmente: fare opera antica con materiale moderno), un indirizzo estetico di fine Ottocentoche consiste nell’accumulo di materiali eterogenei nello stesso componimento. Ciò che conta per il poeta è l’effetto strabiliante dell’insieme, e soprattutto la perfezione della forma, la cui assoluta priorità è affermata nella chiusa del primo romanzo di D’Annunzio, Il Piacere (1889) “O poeta, divina è la Parola….e il verso è tutto” Sull’esempio dei romanzi ciclici dell’Ottocento di Honoré de Balzac ( la commedia umana) DI EMILE Zola ( i Rougon Macquart), Verga (i vinti), il D’Annunzio si propose di scrivere un ciclo di romanzi distinti in tre trilogie: I ROMANZI DELLA ROSA, I ROMANZI DEL GIGLIO, I ROMANZI DEL MELOGRANO a simboleggiare le tappe evolutive del suo spirito dalla schiavitù delle passioni alla vittoria su di esse. La contemplazione e il godimento della bellezza, insieme intellettuale e istintuale – L’ESTETISMO - cioè l’esaltazione della Bellezza “pura e inutile” contraddistingue i primi tre romanzi di D’Annunzio: Il Piacere (1889), L’innocente (1892), Il trionfo della morte (1894) - poi riuniti nel ciclo I ROMANZI DELLA ROSA- hanno per protagonisti raffinatissimi intellettuali, mossi dal comune desiderio di una sfrenata ricerca del piacere, che si trovano a scontrarsi in vari modi con la forza travolgente e incontrastabile della sensualità e delle passioni, e ne escono sconfitti, pagando la loro inadeguatezza con la nevrosi (Andrei Sperelli, Il Piacere), con il delitto (Tullio Hermil, L’Innocente), con la morte (Giorgio Aurispa, Il Trionfo della morte). Il vero modello de Il Piacere va cercato nel romanzo fondamentale del Decadentismo europeo, A ritroso del francese K. Huysmans. I protagonisti dei ROMANZI DELLA ROSA, il fiore simbolo della voluttà, d, pubblicato nel 1884 e subito letto e ammirato da D’Annunzio. ella passione invincibile, rappresentano simbolicamente l’autore stesso, sono delle controfigure dell’autore che si muovono nello stesso frivolo mondo nella nobiltà romana nel quale si muoveva in quegli anni D’Annunzio e ne condivideva i gusti e le inclinazioni. Non a caso il D’Annunzio forgia proprio in questi anni il proprio gusto decadente tutto nutrito di edonismo e di prezioso estetismo. Ma i personaggi suddetti non possiedono ancora la sufficiente energia vitale e sovrumana, necessaria per sopravvivere ai devastanti effetti di una vita vissuta all’insegna del puro edonismo, della sensualità scatenata: una energia che D’Annunzio riteneva esclusivo appannaggio del cosiddetto Superuomo, il mitico prodotto finale di una darwiniana selezione naturale intenta a falcidiare i più deboli e inadeguati.  La seconda trilogia, I ROMANZI DEL GIGLIO fiore simbolo del superuomo, della passione che si purifica, si ispira al SUPEROMISMO DI NIETZSCHE. La conoscenza della filosofia di N. è databile intorno al 1892, anno in cui D’annunzio lesse Così parlo Zarathustra e ne rimase certamente colpito, tanto da segnare una svolta intellettuale destinata a dividere in due il percorso artistico dannunziano. Sarebbe tuttavia un errore ritenere che nel poeta l’idea del superuomo sia totalmente tributaria delle teorie nietzscheane: essa è infatti è già presente nel forte Vitalismo che caratterizza la poetica dannunziana fin dal Canto novo. Dal superuomo di N., il superuomo dannunziano deriva il concetto della volontà di potenza creativa e della ricerca di una gioia nuova, derivata dalla capacità di non dubitare più di sé dinanzi al mondo. Al potere del superuomo si contrappone la banalità e la cieca passività della folla, cioè della massa della civiltà moderna che minaccia la singolare eccellenza dell’eroe, e che dunque deve essere sottomessa alla sua forza creatrice. Il superuomo dannunziano coincide con l’artista, un essere superiore che in virtù della propria vitalità intellettuale e del culto della Parola, ha il diritto di dominio assoluto sulla folla, semplice strumento della sua capacità di imprimere accelerazioni alla storia umana. L’autore si convince che è esattamente la parola, nei suoi valori tanto semantici quanto musicali, la garanzia del conquistato possesso del mondo da parte del poeta-superuomo (il poeta, accanto a Nietzsche, aveva scoperto anche la musica di Richard Wagner 1818-1888 teorico del cosiddetto dramma di parole e musica che realizza la perfetta compenetrazione tra canto e orchestra, parole e musica). Il suo estetismo di matrice materialista, reperisce i mezzi verbali più congeniali- volutamente straordinari- attraverso una assoluta ricerca inesausta di vocabolari, dizionari specializzati, lessici, attingendo a opere letterarie antiche e moderne, al punto da far incorrere D’Annunzio in numerose accuse di plagio. Si accentua in questa fase l’idea di una superiorità assoluta dell’artista e della sua sintonia con la natura. Una volta raggiunta la sicurezza della parola, una volta identificato in essa l’universo privilegiato del Superuomo, la vita stessa può farsi a sua volta parola, può manifestarsi attraverso una serie di gesti clamorosi ed eccentrici che recano in sé la finzione dell’arte: la vita come opera d’arte, vecchio sogno dei Scapigliati e dei bohemiens, ma anche dei Parnassiani e in generale dei decadenti francesi, può finalmente realizzarsi sotto l’egida del Superuomo, facendo di D’Annunzio un “caso” culturale assolutamente unico nella storia della letteratura europea moderna. Il superuomo di D’Annunzio è fondamentalmente assai lontano dal suo modello nietzscheano: privo di spessore filosofico e conoscitivo, tanto gaudente, vitale e ottimista quanto l’altro appare pessimista e funebre, il Superuomo dannunziano affida la propria onnipotenza alle armi della parola: al parossismo dei sensi e della materia si può sopravvivere solo grazie al culto della parola, solo a patto di poter forgiare un linguaggio sublime e divino che sia all’altezza dell’eccezionalità dei contenuti da significare e comunicare. Il tema del superuomo produce i suoi interessanti effetti sia in ambito poetico che , soprattutto, nel campo della narrativa. Se Il trionfo della morte (1894) è il romanzo che fotografa la graduale metamorfosi ideologica, il romanzo-manifesto della poetica del Superuomo è Le vergini delle rocce (1895) il primo e unico romanzo della trilogia “del giglio”. Tuttavia, il primo personaggio davvero vincente che si incontra nella narrativa dannunziana è il grande poeta Stelio Effrena, incarnazione di un ideale artistico eroico, protagonista de Il fuoco (1900). Questo romanzo , il solo composto della trilogia IL MELOGRANO, rappresenta il culmine del romanzo superomistico dannunziano, il livello più alto del suo ottimismo creativo. Giunge qui a compimento anche il processo di dissoluzione delle strutture del romanzo realista, a avntaggio di effetti musicali ispirati dalla wagneriana.

G. PASCOLI (1855-1912) - IL FANCIULLINO

Il fancilullino è uno scritto teorico articolato in 20 capitoli , la cui composizione si svolge nell’arco di un decennio. Pubblicato inizialmente a puntate sulla rivista “Il Marzocco”, compare in edizione definitiva nel 1907 all’interno del volume “Pensieri e discorsi”. Il saggio costituisce la massima espressione della sua riflessione teorica sulla poesia; Il fanciullino si presenta come una lunga e dettagliata esposizione del programma poetico dell’autore, in cui sviluppa il concetto prerazionale e intuitivo della poesia. LA POETICA DEL IL FANCIULLINO L’idea centrale della riflessione teorica è che il poeta è il solo privilegiato che riesce a dar voce al “fanciullo” – simbolo dell’irrazionale - che rimane nascosto in ognuno di noi; la poetica del fanciullino si collega al concetto di poesia intesa come “meraviglia”: come agli occhi puri e innocenti di un fanciullo il mondo appare meraviglioso e stupefacente anche nei suoi aspetti più comuni e banali, così il poeta deve saper cogliere LO STRAORDINARIO NELL’ORDINARIO, scavare nelle sensazioni fino ad isolarne tratti che sfuggono al senso comune ed esprimere quei tratti a parole, quasi come un novello Adamo che “mette il nome a tutto ciò che vede e sente”. Ma il fanciullo che è in noi è normalmente soffocato dalle esigenze della vita; esso è invece rimasto in vita nel poeta e parla e si esprime nei suoi versi. Il compito del poeta consiste nel comunicare il senso di stupore che nasce dalla conoscenza nuova e sempre diversa che hanno della realtà circostante coloro i quali possiedono la particolare facoltà di vedere ciò che è sotto gli occhi di tutti, ma non è percepito dalla maggior parte degli individui. il Pascoli teorizza la sua poetica, intimamente connessa al Decadentismo, - la poetica del Fanciullino- all’incirca negli stessi anni in cui D’Annunzio elabora il mito del "Superuomo". Questi i punti principali della poetica pascoliana:  NATURA IRRAZIONALE E INTUITIVA DELLA POESIA. Il poeta è quel fanciullino presente in un cantuccio dell’anima di ognuno di noi, un fanciullino che rimane piccolo anche quando noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, anche quando nell’età più matura siamo distratti e impegnati in attività pratiche. Il fanciullino che è in ciascuno di noi arriva alla verità non attraverso il ragionamento, ma in modo intuitivo ed irrazionale, guardando tutte le cose con stupore, con aurorale meraviglia, come fosse la prima volta: Fanciullo, che non sai ragionare se non a modo tuo, un modo fanciullesco che si chiama profondo, perché d’un tratto, senza farci scendere a uno a uno i gradini del pensiero, ci trasporti nell’abisso della verità. Anche la poesia, per Pascoli, deve essere spontanea e intuitiva, come intuitivo è il modo di conoscere e di giudicare dei fanciulli. C’è in Pascoli, dunque, l’idea della poesia “pura”, genuina espressione del sentimento, immune da interferenze intellettualistiche e da ogni finalità pratica. La poesia tradizionale secondo Pascoli non sa di guazza e d’erba fresca: essa non ha la spontaneità e lo stupore della percezione fanciullesca, sovraccarica com’è di raffinatezza letteraria, di schemi retorici. La poesia, inoltre, deve essere pura e istintiva perché il fanciullo non s’intende di problemi politici o morali, né di lotte sindacali e di ideologie; una poesia che s’interessa programmaticamente di questi problemi è poesia applicata e si risolve in propaganda o retorica.  POTERE ANALOGICO E SUGGESTIVO DELLA POESIA. Se il poeta-fanciullo arriva alla verità in maniera alogica e irrazionale, per folgorazioni intuitive, la poesia allora deve affidarsi all’intatto potere analogico e suggestivo dei suoi occhi, non ancora inquinati da alcuno schema mentale, culturale, storico. Gli occhi del fanciullo scoprono nelle cose le somiglianze e le relazioni più ingegnose; adattano il nome della cosa più grande alla più piccola, e al contrario; impiccioliscono per poter vedere, ingrandiscono per poter ammirare, giungendo, immediatamente e intuitivamente, quasi per suggestione, al cuore delle cose, al mistero che palpita segreto in ogni aspetto della vita.  POESIA COME SCOPERTA e CONOSCENZA : VALORE GNOSEOLOGICO DELLA POESIA. La poesia non è invenzione, ma conoscenza e scoperta : scoperta di una realtà ultrasensibile che solo che solo il poeta , grazie alla sua particolare sensibilità di “fanciullo”, sa cogliere e decifrare (A.Rimbaud, Lettera del veggente). Poesia è trovare nelle cose il loro sorriso e la loro lacrima; e ciò si fa da due occhi infantili che guardano semplicemente, e serenamente di tra l’oscuro tumulto della nostra anima. La poesia ci mette in comunicazione immediata con il mistero che è la realtà vera dell’essere, essa è un mistico contatto con l’anima delle cose, è la forma suprema di conoscenza.  IL SIMBOLISMO. Il fanciullo-poeta non riesce a cogliere i rapporti logici di causa ed effetto tra le cose, a fissarle in un insieme o sistema coerente. Gli oggetti vengono piuttosto percepiti in modo isolato e svincolato dal contesto, scatenando così l’immaginazione del poeta che li carica di significati nuovi, antichi ricordi o esperienze del proprio universo immaginario, e ne fa un simbolo. Ecco allora che l’”aratro dimenticato” in mezzo al campo diventa il corrispettivo di una vita solitaria, di uno stato d’animo pervaso di malinconia e di tristezza. L’«albero spoglio e contorto» diventa simbolo dell’angoscia dell’uomo; il «nido vuoto» simbolo della casa vuota delle presenze familiari; i «fiori» simbolo dell’inquietudine e del peccato, della incomunicabilità dell’esistenza umana, gli annunciatori della morte. Tutta la poesia pascoliana è intrisa di simboli, perché la realtà che essa rappresenta è il mistero insondabile che circonda la vita degli esseri viventi e del cosmo. Il poeta è teso ad esprimere i palpiti arcani, le rivelazioni delle cose, le illuminazioni dell’ignoto. Il simbolismo pascoliano – e in generale tutta la sua sensibilità decadente- come rileverà anche successivamente Eugenio Montale, pur avvicinandosi a quello europeo, resta ancora un atteggiamento ristretto provinciale, più istintivo che consapevole e programmatico, perché modesti furono in verità i contatti del poeta con la cultura europea, ridotte le sollecitazioni esterne. (Il simbolismo pascoliano non raggiunge la profonda coscienza, la medesima tensione visionaria, l’agonismo conoscitivo del Simbolismo francese).  POESIA DELLE UMILI COSE. Se la poesia è nelle cose stesse, nel particolare poetico, allora anche i motivi della poesia non necessariamente devono essere grandiosi ed illustri, o avere il fascino dell’antico e dell’esotico, quel fascino che tanto ammalia i poeti del secondo Ottocento francese. Per il poeta, come per il fanciullo, sono degne di canto anche le piccole cose, umili, quotidiane, familiari, le piante più modeste, i piccoli animali, gli eventi del mondo naturale e campestre. La poesia del Pascoli canta l’umile fatica delle lavandare ,la famiglia raccolta attorno alla tavola, i frulli d’uccelli, lo stormire dei cipressi, il lontano cantare di campane, il tuono, il lampo. La tematica, delle piccole cose è legata all’universo contadino, un mondo semplice e schietto intriso di sacralità e di arcana saggezza, da cui il Pascoli proviene e al quale sempre rimane fedele.  FUNZIONE CONSOLATRICE DELLA POESIA. La poesia, oltre a rappresentare uno strumento di conoscenza della realtà ultrasensibile, svolge una suprema funzione civile e morale: Il poeta, se e quando è veramente poeta, cioè tale che significhi solo ciò che il fanciullo detta dentro, riesce ispiratore di buoni e civili costumi, d’amor patrio e familiare e umano. E’ la poesia che persuade l’uomo ad accontentarsi del poco e del suo stato, perché pone un soave e leggero freno all’instancabile desiderio, quello di crescere socialmente. La poesia, dunque, invita alla fratellanza contro la comune infelicità, e non alla lotta di classe che divide; invita alla conciliazione delle contraddizioni, ad una comunione degli uomini nella rassegnazione per una impossibile felicità. Ma tale rassegnazione, è evidente, lascia regressivamente il mondo com’è, con le sue disuguaglianze, le sue miserie, le sue sopraffazioni.

domenica 15 aprile 2012

G. PASCOLI (1855-1912) - Parte II

TEMI DELLA POESIA PASCOLIANA

IL TEMA AGRESTE: la realtà contadina è accuratamente descritta dal poeta in veri e propri dipinti poetici, quadretti di vita contadina ( l’aratura, la sfogliatura, il crocchio delle comari, la veglia serale) che procedono dalla descrizione esterna dei campi fino all’interno familiare. La realtà contadina è tanto più accuratamente descritta, quanto più Pascoli vi individua il luogo innocente e paradisiaco della propria infanzia, un mondo schietto, custode di saggezza atavica, di sentimenti autentici, di innocenti virtù. Da qui l’attenzione minuziosa del Pascoli per i dettagli paesaggistici che si ampliano di una suggestiva notazione fotografica, l’attenzione per i particolari anche minimi del mondo della campagna, con un raffinato gusto per il dettaglio che ha fatto parlare di “impressionismo” pascoliano.
Sotto l’apparenza dell’idillio, del quadretto lirico di intonazione agreste, si muovono contenuti misteriosi e nascosti. Ecco che il mondo fenomenico, realisticamente e puntigliosamente descritto, si arricchisce in Pascoli di una potente carica simbolico – evocativa.
Il motivo agreste ha dato vita a una poesia prettamente lirica e di ispirazione “umile”, dedicata alla realtà contadina, alla quotidianità agreste evocata già nel titolo della sua prima opera, Myricae(cioè tamerici, piccoli arbusti sempreverdi, sgraziati e assai diffusi) e poi ripresa e continuata idealmente nella raccolta I canti di Castelvecchio.

• Il motivo georgico si esprime attraverso il TEMA DELLA NATURA: in Pascoli rivivono, in chiave simbolica, le incontaminate virtù del paesaggio della Garfagnana (dove il poeta visse dal 1895, in compagnia dell’ adorata sorella Maria) che si arricchisce di suggestioni simboliche e irrazionali (San Mauro di Romagna, custode di antichi e felici ricordi d’infanzia, Castelvecchio di Barga)
PREVALENZA della MEMORIA, del SOGNO, DEL SIMBOLO sulla realtà: ciò si realizza in Pascoli mediante la regressione inconscia del suo mondo psichico; si esprime attraverso la dimensione onirica e simbolica del RICORDO come della evocazione nostalgica del passato; il mito dell’infanzia come sogno di innocenti illusioni e di speranze di felicità.

VISIONE TRAGICA DEL MONDO - TEMA DELLA MORTE E DEL DOLORE: la fuga dalla realtà, la regressione emotiva e psicologica dell’autore, il contrasto tra ideale/reale, il Simbolismo. Il sentimento della morte, che alimenta incessantemente la produzione artistica del Pascoli, in gran parte legato al trauma originario della morte del padre, si esprime mediante la descrizione di orfani, morti precoci di neonati, madri in lacrime. Il motivo funebre si fonde intimamente col TEMA AGRESTE e col tema della NATURA . La Natura si carica di un intrinseco e spiccato potere evocativo, di una accentuata valenza simbolica e diviene partecipe, attraverso dettagliati quadretti di vita rurale e domestica, del dolore immenso del poeta, del suo profondo disagio esistenziale. Paesaggio naturale e motivo funebre generano un Simbolismo fatto di descrizioni quotidiane, di segni appena percepibili, ma fortemente inquietanti che producono angoscia. Profondo legame tra vita psichica e vita cosmica: la natura magnanima e benevola, custode di un antico sogno di felicità, osserva con profonda commozione le sciagure umane, partecipa impotente alla disperazione del mondo “atomo opaco del male”.


IL TEMA DEL NIDO: è il vero e proprio sottofondo psicologico non soltanto di Myricae e di Canti di Castelvecchio, ma di tutta la produzione letteraria del Pascoli. Il mito del nido, nel quale si organizzano il focolare domestico e il vincolo parentale , rappresenta un universo chiuso e protetto, un guscio protettivo riscaldato dall’affetto sincero e incondizionato dei cari. L’esaltazione costante che il pascoli fa del legame di sangue, conduce il poeta ad esaltare e a mitizzare un modello di società agraria e di tipo patriarcale, non contaminata dal progresso, né da ideologie utilitaristiche. Il Pascoli si fa nostalgico sostenitore di un modello di società antica, preindustriale, destinata, ad una lenta ed inesorabile dissoluzione, minacciata ormai dall’ombra della morte a causa della pressione della modernità urbana, che il poeta osserva con orrore e sgomento. Il nido, dunque, rappresenta un luogo psicologico protettivo, un rifugio ideale nel quale convivono il rimpianto di un eden antico (e ormai perduto) e la feroce ossessione dei legami con i familiari.
IL TEMA DEL NIDO SI COLLEGA AD UN DESIDERIO DI REGRESSIONE INCONSCIA E DI FUGA DALLA REALTA’.
• UMANITARISMO e NAZIONALISMO: in Pascoli convivono una accentuata sensibilità decadente e una componente ideologica che portano il poeta ad esprimere la propria idea sociale improntata a un umanitarismo e ad una generica simpatica per le classi diseredate, i cui mali cesserebbero solo in una società contraddistinta dalla equa diffusione della piccola proprietà terriera.
L’umanitarismo del Pascoli interpretava la visione sociale della piccola borghesia di provincia, saldamente legata ai valori della TERRA E DELLA FAMIGLIA.
Accanto all’ideale umanitario, si sviluppa successivamente nel poeta anche un sentimento di entusiastica esaltazione patriottica. L’ambiente culturale italiano tra l’Ottocento e il Novecento è fortemente nutrito di spinte nazionalistiche e il Pascoli, ideologicamente fragile, non resta immune dal clima di generale ed entusiastica esaltazione patriottica. Ciò accade, in particolare, dagli inizi del 900, allorché nel 1905, dopo aver insegnato a Messina e a Pisa, il poeta succede nel 1905 a G. Carducci come docente di Letteratura italiana presso l’università di Bologna. Il nuovo ruolo accademico opprime il poeta di grandi responsabilità ufficiali: egli raccoglie dal grande predecessore l’eredità di poeta vate dell’Italia monarchica.
Dunque, alla viglia della 1^ guerra mondiale in pascoli si registra un ulteriore, inevitabile, sviluppo del sua pensiero politico, una significativa involuzione ideologica: impressionato dalla minaccia dei conflitti generati dai contrapposti interessi delle nuove classi operaie e del capitalismo, egli passa da un atteggiamento umanitaristico di matrice socialista, vicino alle sofferenze degli umili e a un modello di società arcaica, ad un atteggiamento di adesione alla politica nazionalistica del tempo, in aperto sostegno della politica e della cultura imperialistica, sostenendo ad esempio, l’impresa coloniale dell’Italia ai tempi della guerra in Libia(1911-12). Basti pensare all’ultimo celebre Discorso ufficiale pronunciato dal poeta nel 1911 in onore dei morti e feriti italiani nella guerra contro i turchi per la conquista della Libia, “La grande proletaria si è mossa” (discorso ricco di enfasi oratoria, celebrazione della politica colonialista esaltazione della tradizione imperiale di Roma )
L’involuzione ideologica del Pascoli, dal Socialismo populista al Nazionalismo non sarebbe rimasto un caso isolato.

Seguendo il complesso percorso artistico ed ideologico del Pascoli rileviamo una produzione poetica varia per stile e contenuti.

>• PASCOLI DECADENTE
(Decadentismo, Simbolismo, Naturalismo) → Myricae, Canti di Castelvecchio
PASCOLI IDEOLOGICO: POESIA ATTENTA ALLE TEMATICHE SOCIALI, DI ISPIRAZIONE UMANITARIA → i Poemetti (1897); Primi poemetti (1904); Nuovi Poemetti (1909)
POESIA CIVILE E PATRIOTTICA → Odi e inni (1906); Canzoni di Re Enzo; i Poemi italici (1911) i Poemi del Risorgimento (1910-1912); Pensieri e Discorsi (1907)
PASCOLI CLASSICISTA → Poemi conviviali (1904)


LINGUA E STILE IN PASCOLI

Con Pascoli assistiamo al profondo sovvertimento della lingua poetica tradizionale; ciò si manifesta nella sua mirabile capacità di dar voce all’irrazionale e di gestire musicalmente le parole: sono queste le caratteristiche della poesia pascoliana che hanno agito durevolmente sulla tradizione lirica del Novecento. I più illustri critici di G.Pascoli - Renato Serra, G. Contini, Giacomo Debenedetti, Eugenio Montale, Pier Paolo Pasolini ) hanno evidenziato la carica innovativa della sua lingua poetica, collocando la produzione artistica del pascoli tra le più significative avanguardie artistico- letterarie del 900. Gianfranco Contini, in particolare, ha sottolineato
IL POTERE EVOCATIVO DEL LINGUAGGIO ONOMATOPEICO “AGRAMMATOCALE” O PREGRAMMATICALE, spesso usato accanto a termini tecnici e gergali con potenti effetti espressivi.

Lo Sperimentalismo stilistico si manifesta in Pascoli attraverso
IL FONOSIMBOLISMO: organizzazione del suono in parole che richiamano alla mente immagini e sensazioni. Il Fonosimbolismo si realizza mediante lo strumento dell’ ONOMATOPEA: figura retorica per cui il suono della parola imita il suono dell’oggetto designato; i suoni delle parole possono dunque assumere significati evocativi autonomi, cioè possono significare di per sé, non solo in quanto si combinano a significare la parola. Es: “dlin…dlin” della bicicletta, “tri… tri” dei grilli; “cu… cu” del cuculo, il “chiù” dell’assiuolo.
ANALOGIA: procedimento retorico forgiato dai più grandi poeti romantici che diventa la risorsa espressiva primaria dei Decadenti e dei Simbolisti. Consiste nella connessione fulminea tra due concetti o immagini, più rapida della similitudine e tutta fondata su uno scatto metaforico che conduce alla rapida sintesi di due elementi.
ALLITTERAZIONE: figura retorica che consiste nella ripetizione degli stessi fonemi in due o più parole vicine.
ASSONANZA: si ha quando due o più parole al termine del verso presentano le medesime vocali a partire da quella tonica.
SINESTESIA: associazione espressiva di parole pertinenti a sfere sensoriali differenti.
LA PRECISIONE E NITIDEZZA LESSICALE : uso di una lingua poetica nuova che abolisce i termini aulici della tradizione letteraria, perché ritenuti generici e vaghi, a favore di una sterminata nomenclatura specifica - uso di termini tecnici - per indicare con esattezza tecnica fiori, piante, animali, attrezzi da lavoro). Riscontriamo in ciò tracce della lezione del Positivismo e del Naturalismo.
L’IMPRESSIONISMO PASCOLIANO: la precisione e la nitidezza lessicale SI TRADUCE in uno stile pittorico impressionistico, fatto di tocchi rapidi di denso cromatismo. Alcune delle più celebri liriche appaiono dei veri e propri quadretti descrittivi, vividi e accurati. La lirica “Patria” rappresenta uno dei culmini dell’impressionismo pascoliano. Così il poeta definisce le nuvole “bianche spennellate/in tutto il ciel turchino”. L’Impressionismo pascoliano è affidato a una rapida sequenza di immagini, a una successione di note visive accostate tra loro da un’interpunzione fitta, costituita prevalentemente da due punti e virgole, con un tocco rapido derivante dalla prevalenza di uno stile nominale “Siepi di melograno/ fratte di tamerice/ il palpito lontano/ d’una trebbiatrice / l’angelus argentino”.
PLURILINGUISMO→ USO DI TERMINI TECNICI E GERGALI, LATINISMI, VOCABOLI STRANIERI (vedi ad es. il poemetto Italy)
ESPRESSIONISMO LINGUISTICO: il gusto del vocabolo preciso diventa in Pascoli una puntigliosa registrazione del parlato popolare che si introduce con forza espressiva nelle strutture della lingua poetica; contaminazione linguistica tra la lingua poetica -i modi linguistici tipici della Garfagnana (vedi ItaY, tutto fondato sulla contaminazione linguistica tra il dialetto garfagnino, l'inglese e l'italiano anglicizzato degli emigranti in visita italiana).

mercoledì 11 aprile 2012

AGLI ALUNNI DELLA V F

Domani, giovedì 12 aprile 2012, in luogo della lezione di Latino, faremo italiano (Dante). Raccomando a tutti di portare il libro di testo. Saluti. La Prof

venerdì 6 aprile 2012

domenica 1 aprile 2012

G. PASCOLI (1855-1912) - Parte I

G. Pascoli nasce nel 1885 a San Mauro di Romagna in provincia di Forlì, quarto di dieci figli di Ruggero e di Caterina Vincenzi Alloccatelli. Il padre, amministratore della tenuta “La Torre” dei principi Torlonia, poteva garantire alla numerosa famiglia un’ agiata condizione economica. Dai sette ai quattordici anni Giovanni studia nel collegio dei Padri Scolopi di Urbino, particolarmente versati nell’insegnamento delle Lettere classiche. La vita del poeta fu segnata per sempre da una tragica catena di lutti che inizia fatalmente il 10 agosto 1867. Il quel giorno il padre Ruggero fu ucciso da una fucilata sulla via del ritorno a casa; l’anno successivo muore di tifo la sorella maggiore Margherita, seguita a pochi giorni di distanza dalla madre, colpita da un’improvvisa cardiopatia; più tardi , nel 1871, una meningite stronca il fratello Luigi. Infine muore di tifo anche il fratello Giacomo. Il Pascoli si ritrovò così a fronteggiare una situazione economica fattasi improvvisamente assai difficile.
Nel 1873 Pascoli vince una borsa di studio che gli consente l’iscrizione alla facoltà di Lettre dell’Università di Bologna. Qui Il poeta aderì alle idee socialiste ed anarchiche e prese parte anche a manifestazioni studentesche di protesta; per questa ragione perde la borsa di studio e viene anche arrestato, rimanendo in carcere per tre mesi. Finalmente a 27 anni si laurea, discutendo una tesi sul poeta greco Alceo, e intraprende la carriera di insegnante liceale di latino e greco, carriera che lo porterà a stabilirsi dapprima a Matera, successivamente a Massa, poi a Livorno.
A Massa, nel 1885, il poeta chiama a vivere con sé le due sorelle minori Maria (Mariù) e Ida, ricostruendo a finalmente quel “nido” che il destino aveva distrutto e inaugurando uno stile di vita non privo di aspetti morbosi, basato sul culto dei morti e sul tacito patto di non farsi una famiglia propria, rispettando una sorta di voto di castità ( “Il mio cuore è tutto pieno di Ida e maria. Se a Livorno non guardo le donne, quando sono a Roma o a Firenze le guardo con orrore! Oh le mie due piccine! O Ida! O Maria! E mi addormmento col vostro nome, stringendo quella crocettina!” ). La riunione della famiglia, dopo tanti lutti, la faticosa ricostituzione del nido, è un momento di grande importanza per l’equilibrio pscicologico del Pascoli.
Il 1895 è un anno cruciale nella vita del Pascoli: la sorella Ida si sposa, e quel matrimonio è sentito da Giovanni e Maria come un vero e proprio tradimento che sconvolge ulteriormente i loro già fragili equilibri psichici ed esistenziali. Ancora, nel 1895 si stabilisce con la sorella Maria a Castelvecchio di Barga, in provincia di Lucca, che diverrà la sede definitiva del loro nido, pur mutilato dalla defezione di Ida.
Nel 1898 Pascoli è nominato professore ordinario di letteratura latina all’università di Messina; successivamente viene chiamato dall’università di Pisa; infine nel 1905 è chiamato dall’università di Bologna a succedere a Giosué Carducci nella cattedra di letteratura italiana: il poeta accetta, ma l’insegnamento bolognese sarà sempre fonte di angosce per il difficile confronto con il predecessore, che pure era stato uno dei massimi estimatori della sua opera. Morì nella sua casa di Castelvecchio nel 1912.

LA PRODUZIONE LETTERARIA

A partire dagli anni Novanta, il Pascoli arriva a definire le principali linee della sua poesia in raccolte poetiche differenti e spesso parallele. Le maggiori raccolte poetiche di G. Pascoli sono: Myricae (1891), i Poemetti (1897)– divisi poi in Primi poemetti (1904) e Nuovi poemetti (1909)- I Canti di Castelvecchio (1903), I poemi conviviali (1904), Odi e Inni (1906).
Occorre tener presente che Pascoli , come Carducci, porta avanti in parallelo diversi generi poetici in cui articola l’insieme del suo lavoro poetico:
 una poesia prettamente lirica e di ispirazione “umile”, dedicata alla realtà contadina, alla quotidianità agreste evocata già nel titolo della sua prima opera, Miricae( cioè tamerici, piccoli arbusti sgraziati e assai diffusi) e poi ripresa e continuata idealmente nella raccolta I canti di Castelvecchio;
una poesia a carattere narrativo, affidata a lunghi componimenti raccolti nei Poemetti;in essi il poeta affronta anche tematiche a carattere sociale e umanitario;
 una poesia di argomento classicistico e impegnativo, riversata nei Poemi conviviali;
una poesia a carattere civile e patriottico: Odi e Inni, Le canzoni di re Enzio, I poemi italici, I poemi del Risorgimento.

In Pascoli abbiamo la compresenza di più “maniere” poetiche che egli frequentava contemporaneamente, mutando di volta in volta l’impostazione stilistica e le scelte tematiche di fondo. Le sue raccolte poetiche non si concludono in brevi spazi temporali, ma rappresentano un percorso stilistico prolungato nel tempo: ciò è testimoniato dalle numerose e successive edizioni che le caratterizzano. Le raccolte costituiscono cioè dei contenitori sempre aperti, che accolgono nel corso del tempo i vari prodotti poetici, a seconda delle loro caratteristiche. Lo stesso Pascoli era bel consapevole di ciò, tanto che pensò di contraddistinguere i diversi volumi delle sue opere con un motto tratto dai versi iniziali della IV Egloga di Virgilio(Sicelides Musae, paulo maiora canamus./ Non omnes arbusta iuvant humilesque myricae).
Pertanto le raccolte Miricae e Canti di Castelvecchio - ispirate al motivo georgico - recano il motto “Arbusta iuvant humilesque myricae”; i Primi e i Nuovi poemetti recano il motto “Paulo maiora”; Odi e Inni >“Canamus”; i Poemi conviviali “Non omnes arbusta iuvat”.