martedì 29 ottobre 2013

AGLI ALUNNI DELLA III D

COME PROMESSO, ECCO L'ASSEGNO DI ITALIANO PER GIOVEDI, 31 OTTOBRE: analisi del testo di "Pianto antico" (G.Carducci). Ripetizione di tutto il programma svolto (Dante+ Letteratura). CONTROLLO QUADERNONI. :) PROF.CARDAROPOLI

domenica 27 ottobre 2013

L’ETA DELLA CONTRORIFORMA - L' ETA' BAROCCA (inquadramento generale)



Il periodo di massima fioritura del Rinascimento si svolge fino alla vigilia della Pace di Cateau-Cambresis (1559). Gli ultimi decenni del cinquecento sono caratterizzati da un processo di esaurimento delle forme rinascimentali,nonché da una lenta trasformazione della cultura che condurrà alle soglie della nuova civiltà barocca del Seicento.
Questi anni sono dominati dalla Controriforma cattolica che condizionò non poco gli orientamenti culturali del tempo. La Controriforma rappresentò in primo luogo l’esigenza di rinnovamento totale da parte della Chiesa, sia nello spirito che nella struttura: dopo il Concilio di Trento, la Chiesa passò al contrattacco, sia rivolgendosi con ardore missionario ai Paesi extraeuropei, sia cercando di ridestare nella Europa cattolica un rinnovato ardore morale e religioso. Il concilio di Trento, o Concilio tridentino, convocato da Papa Paolo III, si svolse tra il 1545 e il 1563 allo scopo di definire la riforma della Chiesa (o Controriforma) e la reazione alle teorie del calvinismo e del Luteranesimo. L’opera di restaurazione avviata dalla Chiesa ebbe un carattere essenzialmente conservatore, fu soprattutto l’imposizione di una disciplina di vita e di costume. Timorosa del pericolo sempre incombente della larga diffusione delle idee della Riforma protestante, la Chiesa cercò di soffocare con un clima di assoluto rigore moralistico ogni manifestazione di libero pensiero . In questi anni la Chiesa cattolica si macchiò di crimini atroci, ricorrendo spesso al Tribunale della Santa Inquisizione con il quale si perseguitavano gli eretici e tutti coloro che sostenevano teorie ed opinioni contrarie all’ortodossia cattolica (vedi giordano Bruno, Galileo Galilei), i quali, riconosciuti colpevoli dal Tribunale ecclesiastico, erano affidati al cosiddetto “braccio secolare” (cioè al potere giudiziario statale) per l’esecuzione materiale della pena di cui l’autorità ecclesiastica non poteva farsi carico. Il "braccio secolare" fu attivo dal periodo della Santa Inquisizione, fino all’età moderna; fu abolito nel 1871. L’atmosfera di persecuzione e di paura instaurata dalla Chiesa nel periodo della Controriforma segnò, insieme al peso esercitato in campo politico dal predominio spagnolo, il graduale declino dello spirito di libertà e di tolleranza, di affermazione della libertà individuale che era stata la manifestazione più significativa della civiltà rinascimentale.
In Italia gli intellettuali, i letterati e tutti gli uomini di cultura attraversarono una fase di profonda crisi poiché non fu più loro concesso di esprimere liberamente le loro idee, ritenute non sempre conformi ai principi religiosi della Chiesa cattolica; essi si piegarono, generalmente, alle esigenze del nuovo clima di austerità controriformistica, molto spesso per calcolo o per convenienza, o per il solo timore di non essere accusati di eresia . In realtà la civiltà umanistico-rinascimentale aveva esaurito ormai la stagione di grande fioritura artistico-letteraria, aveva perduto ogni slancio e virtù creatrice e si adagiava nel coltivare un tipo di letteratura ormai sterile, volta unicamente al decoro formale, all’imitazione pedissequa e ossessiva di modelli classici esistenti: insomma l’intellettuale della Controriforma più che all’elaborazione di forme e contenuti originali, volge la propria attenzione all’estetismo formale, al rispetto rigoroso delle norme di stilistica e di retorica contemplate dalle Accademie e dai trattati poetici.
In questa società ormai scettica e stanca, la Chiesa si sforzò di restaurare un senso di rinnovato entusiasmo e di rinnovata moralità; tuttavia, il risveglio religioso auspicato dalla Chiesa si verificò solo in parte poiché le pesanti limitazioni imposte alla libertà di pensiero impedirono che si realizzasse un radicale e sincero rinnovamento delle coscienze. Inoltre, la rinnovata ed esasperata religiosità riportava nelle coscienze il senso dei limiti della natura umana. In contrapposizione all'ottimismo rinascimentale, fiducioso nella capacità creatrice dell’homo faber, si diffonde, alla fine del Cinquecento, un forte senso di insicurezza, di disiganno: l’uomo avverte la forza imprevedibile ed irrazionale della Fortuna, capace di soggiogare e di stravolgere i destini umani. E’ un motivo, questo, che noteremo negli autori storici – Machiavelli e Guicciardini – e soprattutto in Torquato Tasso, autore che già prelude alla civiltà barocca del Seicento.

LA LETTERATURA DELL’ETÀ DELLA CONTRORIFORMA
La letteratura della Controriforma è caratterizzata in primo luogo da un’estrema e raffinata elaborazione formale, che spesso diventa un esercizio sterile ed ossessivo, fine a se stesso. A ciò si aggiunge la tendenza, da parte degli intellettuali, a giustificare la propria opera spesso facendo riferimento a trattati di arte poetica, nei quali si cerca di dimostrare la piena regolarità dell’opera stessa, secondo i precetti desunti (arbitrariamente) dalla Poetica di Aristotele. Allo stesso tempo, gli autori della Controriforma avvertono e manifestano un senso di fastidio verso le regole, l’irrequieta tendenza al dilettoso, ad esprimere con intima spontaneità nuove esigenze e nuovi bisogni dello spirito.
L’elemento essenziale della letteratura di fine Cinquecento è il proposito moraleggiante, in ossequio allo spirito della Controriforma, unito alla preoccupazione del comporre in maniera ortodossa nel pieno rispetto delle norme stilistiche e morali.
Si tratta però quasi sempre di un ossequio esteriore, poiché prevale, in realtà, un’ispirazione sensuale e lasciva, sotto il peso del conformismo religioso, che esprime una civiltà decadente, frutto di spiriti oziosi e stanchi, generalmente inclini all’ipocrisia e al compromesso.
Autori rappresentativi della letteratura e del pensiero della Controriforma sono Giambattista Giraldi Cinzio, scrittore e teorico di arte poetica di Ferrara; Battista Guarini, di Ferrara; Giordano Bruno, scrittore e filosofo di Nola, condannato per eresia e morto sul rogo nel 1600; infine Torquato Tasso ( Sorrento 1544 - Roma 1595). Nel Tasso il dissidio culturale e letterario di quest’età assumerà un più profondo e drammatico carattere interiore, e assurgerà a una nuova, altissima e personale poesia.



ETA' BAROCCA
La vita culturale filosofica della seconda metà del Cinquecento e di tutto il Seicento è dominata dagli effetti politici e culturali della:
 Riforma protestante - Controriforma cattolica (Concilio di Trento,1545-1563)
 Dominazione spagnola, che diviene definitiva dopo la pace di Cateau Cambresis (1559): Regno di Napoli, Sicilia, Sardegna, Ducato Milano, Stato dei Presidi.
L’egemonia della Chiesa in Italia e in Europa si manifestò mediante una politica religiosa persecutoria e repressiva che si attuò con l’istituzione della Congregazione del Sant’Uffizio (1542) o Tribunale della Santa Inquisizione, un Tribunale speciale a cui dovevano far capo tutti i casi concernenti eresia, bestemmia, magia stregoneria. Il clima religioso di rigida intolleranza si tradusse anche nella istituzione della Congregazione dell’Indice (1571)* che esaminava le opere pubblicate, sottoponendole a censura e stilando gli elenchi dei libri proibiti. I testi messi all’Indice venivano bruciati, così come al rogo erano destinati gli eretici. Denunce, inquisizioni e persecuzioni rispondono al disegno di cancellare ogni diversità religiosa; le bolle papali, i manuali per confessori e inquisitori parlano di streghe, di uomini e donne che fanno patti col demonio, di streghe che distruggono i raccolti, che compiono sortilegi e orge. Il periodo, drammatico, della caccia alle streghe raggiunse il suo apice tra il 1560 e il 1630.
Le antiche Università italiane ed europee (Padova, Bologna, Oxford, Cambridge, la Sorbona), non appaiono più centri innovatori del sapere ma, fatte strumento della Chiesa, tendono piuttosto a reprimerlo.
La ricerca scientifica e la diffusione di nuove idee avviene piuttosto nelle Accademie: a Roma nasce l’Accademia dei Lincei (1603), a Venezia l’Accademia degli Incogniti (1630) a Firenze l’Accademia della Crusca (1583) a Londra la Royal Society (16629, a Parigi l’ Academie des Sciences.
 In questo contesto storico si inserisce l’irrimediabile crisi della cultura rinascimentale, fondata sul principio classico dell’armonia e dell’equilibrio, sull’ antropocentrismo che poneva l’homo faber al centro dell’universo, artefice del proprio destino e dominatore della natura. L’intellettuale umanista a tutto tondo, esperto di arte, letteratura, poesia, politica, storia lascia il posto, anche per le trasformazioni sociali e politiche in atto, ad una figura di intellettuale professionista che presta il proprio servizio a corte, spesso per necessità e con minor prestigio.

La Congregazione dell’Indice ha operato fino al 1917, anno in cui il compito di stilare l’Indice viene affidato al Sant’Uffizio, a sua volta abolito nel 1965.

L'ITALIA NELLA DIVINA COMMEDIA ( da uno studio a cura di Riccardo Merlante – Stefano Prandi)


Dante, oltre che il ruolo di giudice, assume nel poema anche quello di profeta del mondo terreno, che gli consente di scagliarsi polemicamente contro Firenze e le città italiane, causa di frazionamento politico, contro la Chiesa e Impero massime istituzioni medievali, ormai incapaci di assolvere alla funzione affidata da Dio per guidare l’umanità. La polemica politica viene programmaticamente sviluppata nei canti sesti di ciascuna cantica. La polemica contro Firenze e la constatazione della sua decadenza politica e morale coinvolge anche le città dell’Italia centro settentrionale, fino ad abbracciare, in una prospettiva sempre più ampia nell’apostrofe di Sordello da Goito (Purg.VI), l’Italia nel suo complesso.
La decadenza dei costumi va ricondotta , sostanzialmente, alla CUPIDIGIA, all’INGORDIGIA , all’AVIDITA’ sul piano morale, e alla VACANZA DELL’IMPERO sul piano politico. Al pari di Firenze nell’Inferno (la città partita, c.VI; il popolo fiorentino sì empio, c. X; gent’è avara, invidiosa e superba, c.XV; l’ingrato popolo maligno, c.XV) , anche altre città toscane (e italiane) vengono presentate con i tratti della bestialità.
Il giudizio negativo sulla complessiva situazione politica italiana viene ampiamente formulato nel canto VI del Purgatorio, dopo l’abbraccio tra Virgilio e il conterraneo Sordello da Goito. Nell’apostrofe iniziale, l’alta funzione dell’Italia e di Roma ( la città santa per eccellenza in quanto già sede dell’impero universale, ora centro della cristianità, perché sede del papato) è contraddetta dallo stato di decadenza attuale: Ahi serva Italia, di dolore ostello/ nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello! (Purg. VI, vv.76-78) prostrazione . Dante dedica ben 25 terzine ad una polemica quanto mai appassionata e vibrante; polemica che si distingue dalle altre, numerose, presenti nella Divina Commedia per essere rivolta a più interlocutori, coinvolgendo l’Italia intera ( qui considerata forse, per la prima volta, non solo come entità geografico-linguistica, ma come una nazione), l’Imperatore, la Chiesa, Dio stesso, che nella domanda di Dante sembra quasi aver disdegnato lo sventurato paese (son li occhi tuoi rivolti altrove?, v.120), e infine Firenze, le cui dolorose vicende coinvolgono direttamente Dante, in esilio dal 1302. Se nel VI canto dell’inferno l’invettiva politica è affidata a Ciacco, simbolo di insaziabile ingordigia, e nel VI del Paradiso all’imperatore Giustiniano, emblema dell’impero universale, nel VI del Purgatorio l’invettiva prorompe direttamente dalla bocca di Dante-autore, che assume in prima persona il ruolo di profeta del proprio tempo. Per quanto riguarda la scelta di Sordello da Goito ( XII-XIII sec., il più celebre trovatore italiano, intellettuale di “alta eloquenza” De vulgari eloquentia) come protagonista di un canto politico, va detto che questi ben rappresenta l’unità linguistica auspicata da Dante, perché, precorrendo l’idea del “volgare illustre”, ha rifiutato la divisione dei dialetti ed ha scelto di poetare in provenzale, mentre l’Italia – dice Dante - è ”serva” a causa del suo frazionamento e delle sue lotte intestine. Dante conferisce alla figura di Sordello da Goito tratti di grande rilievo stilistico: Sordello era un personaggio ideale per rappresentare l’aspra denuncia di Dante contro le lotte intestine tra i principi italiani, innanzitutto per il tono aspro e risentito dei suoi sirventesi politici e morali e del celebre “Compianto” scritto in morte di ser Blacats, poi per la scelta letteraria di poetare in una lingua sovraregionale (l’occitanico), che a Dante appariva come un “volgare illustre”. Per queste ragioni, oltre che per affinità biografica ( anche la vita di Sordello da Goito fu caratterizzata dalla peregrinazione tra le corti italiane), Dante proietta nel poeta mantovano i tratti caratteristici della propria stessa nobile, magnanima, solitaria figura di esule, propugnatore di una giustizia al di sopra delle fazioni.
Nei versi della lunga e appassionata digressione politica (Purg. vv.76-126), la faziosità dei cittadini italiani in perenne lotta tra loro viene espressa in termini di bestialità (l’un l’altro si rode, Purg. VI, v.83), richiamando l’atmosfera del canto di Ugolino, che rode il cranio dell’arcivescovo Ruggieri di Pisa (Inf. C.XXXIII). L’invettiva denuncia i mali dell’Italia e ne indica le origini: l’Italia, un tempo padrona del mondo, ora lasciata “vedova e sola” dall’imperatore ( Purg. VI, v. 113), è divenuta, senza cavaliere, un cavallo selvaggio che nessuno può domare( costei ch’è fatta indomita e selvaggia, Purg. VI, v.98). Molti hanno contribuito alla decadenza italiana: in primo luogo l’imperatore che non svolge adeguatamente il proprio alto ufficio di somma guida politica e sul quale, perciò, si abbatterà il castigo divino; i pontefici, che si oppongono all’imperatore per sostenere il primato del potere spirituale e per le continue ingerenze nella sfera politica (Ahi gente che dovresti esser devota/ e lasciar seder Cesare in la sella, Purg. VI, vv. 91-92); le grandi famiglie magnatizie, i tiranni ; le istituzioni popolari, le lotte interne dei cittadini ( in te non stanno sanza guerra/li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode/ di quei ch’un muro e una fossa serra, Purg. VI, vv.82-84).
La polemica del VI canto si riallaccia a quella del XVI canto Purgatorio, dove la situazione politica italiana diviene oggetto di analisi etico-politica di Marco Lombardo. Strutturalmente, i due canti hanno in comune sia L’OPPOSIZIONE PASSATO /PRESENTE, i cui poli sono rappresentati qui da Roma e Firenze, e in cui l’Italia, un tempo giardino de lo imperio, contrasta con lo stato di attuale abbandono, associabile ancora una volta alla selva oscura del c.I;sia l'idea della NECESSITA’ DI UNA GUIDA AUTOREVOLE, idea centrale del pensiero etico-politico di Dante, che nel VI canto è rappresentata dall’immagine viva dell’Italia diventata “selvaggia” per mancanza di una guida autorevole e universale, che sia garante di giustizia e di legalità. L’analisi delle complesse condizioni politiche dell’Italia, si conclude , nel VI canto del Purgatorio, con l’invocazione a Dio, e dal momento che non si vedono nell’immediato i segni di un suo intervento diretto (il cui bisogno è avvertibile anche nella profezia del Veltro, Inf. c.I), Dante conclude il suo duro intervento politico-profetico rimettendosi, non senza sgomento, alla imperscrutabile volontà divina (O è questa preparazion che ne l’abisso/ del tuo consiglio fai per alcun bene/ in tutto de l’accorger nostro scisso? Purg. VI, vv.121-123).

venerdì 25 ottobre 2013

AGLI ALUNNI DELLA III D

PER DOMANI, 26 OTTOBRE, PREGO GLI ALUNNI DELLA III D DI STAMPARE LE VERSIONI DI RIEPILOGO SULLE COSTRUZIONI DI VIDEOR, DICOR, PUTOR,, IN MODO DA AVERE IN CLASSE DEL MATERIALE UTILE PER IL LABORATORIO DI TRADUZIONE. RACCOMANDO DI PORTARE ALMENO UN DIZIONARIO DI BASE. SI PREVEDONO, INOLTRE, VERIFICHE ORALI :)PROF. CARDAROPOLI

giovedì 24 ottobre 2013

AGLI ALUNNI DELLA IV E

PER DOMANI 25/10 RACCOMANDO IL RIPASSO DEI CANTI DELLA DIVINA COMMEDIA E DEI CONTENUTI DI LETTERATURA, FINO A F.GUICCIARDINI . PORTARE IL TESTO DI DANTE (per concludere la spiegazione del c.VI) E IL QUADERNONE AD ANELLI PER IL CONTROLLO DEI COMPITI SVOLTI (DANTE+LETTERATURA+TESTI VARI).SALUTI E BUON PROSEGUIMENTO DI SERATA :) PROF.CARDAROPOLI

martedì 22 ottobre 2013

ASSEGNO ITALIANO IV E (per giovedì 24). TIPOLOGIA B - ARGOMENTO: LIBERTÀ E DIGNITÀ DELL’UOMO



Sviluppa l’argomento in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando i documenti e i dati che lo corredano e facendo riferimento alle tue esperienze di studio. Da’ un titolo alla trattazione. Se scegli la forma del “saggio breve”, indica la destinazione editoriale, se scegli la forma dell’articolo di giornale, indica il tipo di articolo e il tipo di giornale sul quale ipotizzi la pubblicazione.

DOCUMENTI
1.Catone, allegoria della libertà. Come abbiamo visto, Catone è allegoria della liberta. Scegliendolo come guardiano della montagna del Purgatorio, Dante concentra l’attenzione del lettore sul prerequisito fondamentale della salvezza umana: la libertà, intesa non soltanto come libertà dello spirito dalla “caligine” del peccato, intesa anche come libero arbitrio, cioè come valore capace di conferire merito alla dignità morale degli individui. Senza il libero arbitrio (caratteristica che contraddistingue l’umanità), non ci sarebbe etica ( cioè la distinzione tra bene e male, tra giusto e sbagliato) poiché un uomo senza libertà è un uomo che non è in grado di scegliere. Romano Luperini, Antologia della Commedia.

2. Catone, secondo l’interpretazione figurale di Erich Auerbach (1892-1957). Vedi brano in fotocopia.

3. (Virgilio) “Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch’è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.
Tu ‘l sai, ché non ti fu per lei amara
In Utica la morte, ove lasciasti
la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara”. Purg., I, vv.70-75

4. La libertà: “diritto inalienabile” secondo la Dichiarazione universale dei diritti umani. Fin dall’antichità, la libertà umana è stata al centro di dibattiti filosofici, sia laici, sia religiosi. Come punto di arrivo di questo secolare dibattito filosofico (che parte dai principi etici classici-europei e attraversa il “Bill of rights” del 1689, la Dichiarazione d’indipendenza degli Stati uniti nel 1776 e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino stesa nel 1789, durante la Rivoluzione francese), nel Novecento, sulla scia delle atroci guerre mondiali, e delle aberrazioni commesse contro l’umanità (vedi anche, ad esempio, l’Olocausto) , il diritto alla libertà viene sancito universalmente dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. Il documento, firmato nel 1948 dalle Nazioni Unite, si apre con l’ articolo n.1 che non lascia dubbi alle interpretazioni “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti”.

5. La libertà secondo Giorgio Gaber. Rifletti sui seguenti versi della canzone La libertà, tratta dall’album “Dialogo di un impiegato e un non so” (1971) del cantautore italiano G. Gaber (1939-2003):
a) “Vorrei essere libero, libero come un uomo”.
b) “La libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.

martedì 15 ottobre 2013

SAGGIO BREVE - Argomento: Innamoramento e amore. Serena Capodiferro III E, a.s. 2012-13


“G: « [...] L'amore è una specie di forza di gravità: invisibile e universale, come quella fisica. Inevitabilmente il nostro cuore, i nostri occhi, le nostre parole, senza che ce ne rendiamo conto vanno a finire lì, su ciò che amiamo, come la mela con la gravità. » L: «E se non amassimo nulla? » G: «Impossibile. Te la immagini la Terra senza gravità? »". Esordisce così Alessandro D’Avenia in uno dei suoi più noti romanzi, “Bianca come il latte rossa come il sangue”. L’amore, sin dall’antichità, è stato oggetto d’ispirazione di poeti, filosofi, artisti, ma ci siamo mai chiesti il perché? Come mai tra i sentimenti, esso è stato certamente il più celebrato? Non è possibile dare una spiegazione razionale, così com' è difficile poter definire con parole chiare il concetto di “amore” o di “innamoramento”; la nostra mente, il nostro cuore, possono solo affermare che esso è una forza invincibile, causa della nostra felicità o, talvolta, della nostra tragedia. Come rileva Francesco Alberoni in “Innamoramento e Amore”, “Nell’amore c’è solo il paradiso o l’inferno; o siamo salvi o siamo dannati”. Per provare il vero amore e avere la fortuna di essere ricambiati, non basta solo volerlo; bisogna impegnarsi ogni giorno e - come scrive Giudo Gozzano - essere pronti ad “unire la propria sorte alla sorte dell’amato”, cosa certamente non semplice, dal momento che l'amore si traduce anche nella capacità di sapersi donare completamente all’altro, senza riservatezze. Innamorarsi significa rinnovarsi ed aprirsi ad esperienze nuove e sconosciute, proiettarsi in una prospettiva che ci distoglie dalla piccolezza della vita quotidiana e ci eleva a ciò che è superiore. Tale concetto è ben sottolineato da Marc Chagall nel dipinto “La Passeggiata”,opera in cui l'artista russo si ritrae sorridente, mentre tiene per mano la moglie Bella che si libra come un angelo nell’aria. Il senso più forte della bellissima immagine è senza dubbio l’amore che lega profondamente due persone, amore che va oltre i limiti della natura e del trascendentale. Senza provare un sentimento così assoluto, la vita non merita di essere vissuta, altro non è che un inutile fardello da dover sopportare. A volte l’amore è causa di profondo dolore, quando la persona amata appare indifferente e non ricambia i nostri sentimenti, o è lontana e irraggiungibile; così, come afferma Catullo, l'amore può costituire anche fonte d’odio. Ma possono coesistere sentimenti contrastanti come l’odio e l’amore nell’animo di un individuo? Certo, del resto un sentimento non esclude l’altro, sebbene chi è vittima del dissidio d'amore finisca per accrescere ulteriormente le proprie sofferenze. Concludendo con un aforisma di Alphonse Kerr, “L’amore è la più terribile, ma anche la più onesta delle passioni; è la sola che non possa occuparsi della propria felicità senza comprendervi la felicità di un altro”.

TIPOLOGIA A : ANALISI TESTUALE - PROMESSI SPOSI, CAP. XI, rr.1-73 (dall'elaborato di Jessica Tedesco, II E - a.s. 2012-13)


ANALISI DEL TESTO 1-Il brano in esame è tratto dall'undicesimo capitolo dei “Promessi Sposi", il capolavoro di Alessandro Manzoni, poeta , scrittore e drammaturgo italiano dell'Ottocento (1785-1873). Il testo ha inizio con l'immagine dell'attesa nervosa di Don Rodrigo all'interno del suo sinistro palazzo: egli aspetta impazientemente il ritorno dei suoi bravi guidati dal Griso, che nella notte avrebbero dovuto rapire Lucia Mondella. Don Rodrigo scorge dalla finestra i suoi fedeli sgherri e, non vedendo Lucia, inizia ad agitarsi. L'istinto di rimproverare il Griso è molto forte, infatti il signorotto accoglie il bravo con urli e improperi “signore spaccone, signor capitano, signor lascifareame”( cap 11, rr.33-34)senza neppure attendere che questi fornisca le sue motivazioni.Subito dopo, infatti, si pente del suo comportamento eccessivamente impetuoso, e gli rivela le faccende da eseguire il giorno seguente. Entrambi poi, stanchi, vanno a dormire. Questo brano può essere suddiviso in tre principali nuclei narrativi o macrosequenze. Nella prima parte, quella iniziale ( ivi, rr. 1-28), notiamo la presenza di una lunga sequenza descrittivo-riflessiva caratterizzata dall’immagine di Don Rodrigo che attende nervosamente i bravi e il Griso. Nella parte centrale del brano prevalgono le sequenze dialogiche relative alla serrata discussione fra Don Rodrigo e il Griso. Nella parte finale, invece, emerge la sequenza riflessiva in cui il narratore onnisciente espone le sue considerazioni riguardo agli episodi accaduti e consola ironicamente il Griso per i maltrattamenti ricevuti “Va' a dormire, povero Griso, che tu ne devi avere bisogno” (ivi, rr. 66-73). IL RITMO della narrazione appare nel complesso vario e mutevole per l’alternarsi di sequenze descrittive, narrative, dialogiche e riflessive. In apertura del testo, come anche in conclusione il ritmo è pacato e lento per la presenza di sequenze descrittive e riflessive (vedi il monologo interiore di don Rodrigo, la digressione del narratore onnisciente). Altrove esso appare più veloce e serrato, in corrispondenza dei dialoghi e del discorso raccontato (sequenze narrative) che rivelano ulteriori sviluppi della vicenda. IL NARRATORE, A. Manzoni, è esterno (eterodiegetico) infatti non partecipa alla vicenda, ed è onnisciente, poiché conosce tutto dei personaggi, persino i pensieri: ciò è evidente, in particolare, nella celebre digressione finale in cui il narratore interviene nella storia rivolgendosi direttamente al Griso. Nel brano non ricorrono analessi, mentre una breve prolessi appare alle righe 55-62, per questo fabula e intreccio non sempre coincidono. 2-> I PERSONAGGI principali presenti nel brano sono Don Rodrigo e il Griso, entrambi protagonisti della vicenda ( rispettivamente “protagonista” e “deuteragonista” o “secondo protagonista”). Tra di loro c'è un legame molto stretto, di malvagia complicità. Ovviamente, il personaggio dominante tra i due è Don Rodrigo. Questi si presenta dall’indole autoritaria e impulsiva, lo deduciamo dal modo in cui accoglie il Griso. "Ebbene - gli disse, o gli gridò - signore spaccone, signor capitano, signor lascifareame?"(ivi, rr. 33-34). Con questa frase assai pungente ed ironica Don Rodrigo esprime tutta la sua indignazione, la sua disapprovazione per come il Griso aveva svolto i suoi doveri. Dopo aver ascoltato le ragioni e le giustificazioni del Griso, Don Rodrigo attenua la propria ira confidando nei risvolti dei giorni successivi "[...] lasciò andare anche il Griso, congedandolo con molte lodi, [...]." ( ivi, r.63) Il Griso, che è il capo dei bravi, al rientro al palazzotto appare molto turbato, e soprattutto mortificato per non aver potuto soddisfare i disdicevoli ordini del padrone : "L' è dura - rispose il Griso, restando con un piede sul primo scalino - L'è dura di ricever de’ rimproveri, dopo aver lavorato fedelmente, e cercato di fare il proprio dovere, e arrischiata anche la pelle" (ivi 35-37). Il fatto che il losco personaggio rimanga con il piede sul primo scalino, ci trasmette la sua insicurezza, la sua esitazione a presentarsi dinanzi al padrone ed affrontare le sue ire. Infatti si decide ad entrare nella stanza solo dopo la frase di Don Rodrigo: "Com'è andata? Sentiremo, sentiremo" (ivi, r. 38). 3-L’alternanza di sequenze descrittive, riflessive, dialogiche e narrative fa sì che il IL TEMPO DELLA STORIA non sempre coincida con il tempo del racconto, ed è proprio per questa ragione che il ritmo della narrazione appare mutevole. Solo in presenza delle sequenze dialogiche il tempo della storia coincide con quello del racconto. La vicenda narrata nel brano si svolge all’interno del palazzo di Don Rodrigo, nella notte del 10 novembre 1628. Sono trascorsi tre giorni dall’incontro di Don Abbondio con i bravi (7 novembre 1628, tramonto). 4-IL NARRATORE E' ONNISCIENTE in quanto possiede una conoscenza illimitata di ciò che narra. Il brano è scritto in terza persona, per questo definiremo il Manzoni un narratore eterodiegetico. 5-Nelle prime tre righe del brano è presente un’ efficace similitudine: "Come un branco di segugi, dopo aver inseguita invano una lepre, [...]" con la quale il Manzoni paragona la compagnia dei bravi ad un brano di segugi e la povera Lucia ad una lepre. Ciò fa comprendere la profonda delusione dei bravi che ritornano al padrone come cani bastonati, senza la preda tanto agognata. Del resto Lucia rappresenta l'oggetto del desiderio per cui i personaggi lottano all'interno del romanzo. "[...] lo concio per il dì delle feste." (ivi 45-46): è questa una metafora che ben esprime, con particolare intensità espressiva, il grande desiderio di Don Rodrigo di farla pagare a colui che ha osato mandare a monte il suo piano. Il Manzoni, nella parte finale del brano, ironizza sulla figura del Griso: lo consola dei maltrattamente subiti, ironizza sul fatto che egli fosse stanco, sul fatto che avrebbe potuto rischiare grosso. Lo fa per sottolineare il contrasto tra le parole intenerite del narratore e la gravità della condotta del personaggio a cui esse sono rivolte : non dimentichiamo che il Griso è il più turpe dei loschi personaggi che circondano Don Rodrigo. Per il Manzoni egli non merita alcuna comprensione, ma solo biasimo. 6-IL TEMA DOMINANTE del brano è quello della Provvidenza, la “provvida sventura”. Ancora una volta è proprio la Provvidenza a tessere i fili degli eventi e a fare in modo che Lucia, nella “notte degli imbrogli” non cada nella trappola di Don Rodrigo.

TIPOLOGIA B - ALUNNI E DOCENTI SU FACEBOOK a cura di ALESSIA COLARULLO III F a.s.2012-13


Il XX secolo rappresenta l’era dello sviluppo tecnologico; esso ha determinato la nascita e la diffusione di mezzi di comunicazione che hanno rivoluzionato la vita quotidiana. Uno dei fenomeni che ha investito prepotentemente la cultura occidentale, determinando una fase di profonda trasformazione culturale che ha sconvolto la quotidianità, è stato Internet, quindi l’utilizzo sempre più frequente del computer, non soltanto come supporto in ambito professionale (come strumento di calcolo, di archiviazione...) ma sopratutto come strumento di comunicazione. Con questo nuovo mezzo sono state letteralmente abbattute le distanze: adesso si può comunicare liberamente con persone in altri stati o continenti con un semplice clic, e tutto ciò con estrema semplicità, anche per mezzo dei social networks. Il social network più importante e il più conosciuto al mondo è Facebook, una piattaforma grazie alla quale si possono condividere foto, pensieri, opinioni, video e si può conversare nel modo più rapido possibile. Riguardo all'utilizzo di questi nuovi mezzi di comunicazione, divergenti sono le opinioni; infatti la grande diffusione di questo social network non è accolta favorevolmente da tutti. In particolar modo e per quanto attiene al mondo scolastico, è fortemente discussa la possibilità da parte di alunni e docenti di essere “amici su Facebook” e quindi di poter comunicare e condividere qualsiasi tipo di informazione. Dunque questo fenomeno sarebbe assolutamente da evitare. Permettere agli alunni di entrare così facilmente nella privacy di un docente potrebbe determinare un indebolimento della sua autorevolezza con conseguente mancanza di rispetto nell’ambito scolastico. C’è chi invece ritiene che permettere a docenti e ad alunni di instaurare un rapporto di amicizia per mezzo del social network potrebbe aiutare e stimolare i ragazzi con la proposta di “corsi di recupero” oppure di “gruppi di studio”; in realtà non è così. Queste possibilità, infatti, possono essere proposte anche al di fuori di social network, ad esempio con siti e blog che rispettano la privacy del docente ed evitano un altro possibile fenomeno: quello dell’instaurarsi di un rapporto eccessivamente confidenziale. A prova di ciò, il preside del liceo milanese Berchet, Tino Pessina, spiega come “si può essere amichevoli, ma l’amicizia, come in ogni rapporto asimmetrico, è impossibile.” Aggiunge poi un aspetto condiviso da molti studenti spiegando come “i ragazzi non vogliono docenti amici, stimano chi insegna con passione anche se è severo e chi li rispetta. Per capire come sta un alunno bisogna guardarlo negli occhi.” Questo è un aspetto che andrebbe sottolineato moltissimo in quanto, a seguito di un’amicizia nata e consolidata grazie a Facebook, potrebbero avvenire dei favoritismi a discapito di una valutazione oggettiva, determinando quindi delle anomalie didattiche che non devono e non possono succedere. Il social network, difatti, è un potente mezzo di comunicazione che viene utilizzato molto spesso per esprimere un proprio ideale, un proprio orientamento politico, ma anche un qualsiasi tipo di opinione riguardo a un argomento. La possibilità da parte dell’alunno di osservare e capire cosa pensa il docente, potrebbe determinare un condizionamento non indifferente o, al contrario, delle frustrazioni a causa della non condivisione di particolari concetti. Il metodo più immediato e più sicuro per evitare questi fenomeni è vietare in tutti i modi possibili l’amicizia su Facebook, affinché il rapporto alunno-docente rimanga oggettivo e imparziale.

lunedì 14 ottobre 2013

AGLI ALUNNI DELLA III D

ECCO QUASI PRONTI PER VOI DUE POST DA CONSULTARE DOMANI IN CLASSE : LA LIRICA RELIGIOSA IN ITALIA NEL DUECENTO , LA SCUOLA SICILIANA. BUONA SERATA, PROF. CARDAROPOLI :)

venerdì 11 ottobre 2013

AGLI ALUNNI DELLA IV E

PONGO ALLA VS CORTESE ATTENZIONE IL POST SU FRANCESCO GUICCIARDINI AD INTEGRAZIONE DELLE PAGINE DI LETTERATURA. SALUTI CORDIALI,LA PROF :)

F.GUICCIARDINI (Firenze1483- 1540), POLITICO, STORICO, SCRITTORE.


- STORIE FIORENTINE (1508-1510)
- DIALOGO DEL REGGIMENTO DI FIRENZE (1528)
- RICORDI (1512-1530)
- STORIA D’ITALIA (1537-1540)

Nacque a Firenze da nobile famiglia nel 1483. Studiò da adolescente la grammatica, la retorica, il latino, il greco; a 15 anni iniziò e proseguì con profitto lo studio del diritto allo Studium fiorentino, poi a Ferrara e a Padova. Si laureò con successo nel 1505 ed iniziò subito una brillante carriera forense che coincise con l’affermazione di una spiccata vocazione politica che doveva ben presto concretarsi in una rapida e fortunata carriera.
 Nel 1511 il gonfaloniere di Firenze Pier Soderini [ II Repubblica fiorentina (1498-1512) , Pier Soderini (1502-1512), gonfaloniere di giustizia a vita ] lo nominò ambasciatore della Repubblica presso il re di Spagna Ferdinando il cattolico. F. Guicciardini rimase in Spagna 3 anni, anche dopo il rientro a Firenze della famiglia de’ Medici (1512) nella persona di Giuliano de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico e fratello del Papa Leone X. La famiglia de’ Medici, infatti, continuò a tenerlo impiegato presso la Repubblica (ormai soltanto formale) di Firenze.
 Rientrato a Firenze, passò al diretto servizio del Papa Leone X ( Giovanni de Medici, 1513-1521) che lo nominò governatore di alcuni possedimenti ecclesiastici in Emilia Romagna animati da costanti e pericolosi focolai di conflitti tra signori aristocratici locali. Il Guicciardini svolse questo compito con estrema abilità diplomatica nonché perizia militare: anche qui, come già era accaduto in Spagna alla corte di Ferdinando il Cattolico, il Guicciardini si rivelò uomo di governo energico, ispirando la sua azione ad una concezione centralistica ed aristocratica dello Stato.
 Nel 1526 fu tra i principali fautori della Lega di Cognac, un’alleanza del Papato e di alcuni Stati italiani con la Francia ai danni dell’Imperatore Carlo V. In questa circostanza il nuovo Pontefice Clemente VII ( Giulio de Medici, 1523-1534) nominò F. Guicciardini luogotenente generale dell’esercito pontificio contro gli Spagnoli. Purtroppo l’iniziativa del Papa contro la Spagna si risolse in maniera drammatica, anche per il carattere irresoluto di Clemente VII, così il Guicciardini non poté opporsi in alcun modo alla violenta controffensiva dei Lanzichenecchi, inviati in Italia nel 1527 dall’imperatore Carlo V ai danni del Papa (sacco di Roma, 1527). La dura sconfitta riportata dagli Stati italiani contro l’esercito imperiale segnò anche il declino politico di F. Guicciardini. Nel frattempo la famiglia de’ Medici fu nuovamente cacciata da Firenze (1527), e il Guicciardini, inviso al nuovo regime repubblicano, si ritirò nella sua villa di Finocchietto, ove rimase per circa 3 anni. In questo periodo avviò una fase di intensa meditazione critica sugli avvenimenti storico-politici che si erano svolti in quegli anni. Rielaborò in maniera definitiva i suoi Ricordi.
 Nel 1530 le truppe papali e spagnole di Clemente VII e Carlo V(che nel frattempo si era riappacificato col Pontefice il quale aspirava a riprendere il dominio di Firenze), ottengono una dura vittoria contro la Repubblica fiorentina che, sebbene strenuamente difesa, capitolò con una memorabile disfatta (1529-30). Il Guicciardini, rientrato a Firenze nel 1530, ebbe nuovi incarichi da Clemente VII e fu anche al fianco del nuovo reggitore di Firenze, il duca Alessandro de’ Medici; si recò con lui a Napoli (1536), per difenderlo dinanzi all’imperatore Carlo V dalle accuse dei fuoriusciti fiorentini. Allorché Alessandro de’ Medici fu ucciso, il Guicciardini caldeggiò la nomina a governatore di Firenze di Cosimo de Medici, dal quale, tuttavia, non ottenne alcuna fiducia. Si ritirò a vita privata nella sua villa ad Arcetri, dove attese all’intensa attività di pensatore, storico e scrittore che culminò con la composizione della sua opera più importante, la Storia d’Italia (1537-1540).
 Morì nel 1540.

IL PENSIERO

Il pensiero del Guicciardini si fonda, inizialmente su presupposti teorici e filosofici comuni a quelli di N. Machiavelli: realismo politico, Naturalismo rinascimentale, concezione pessimistica della vita, concezione pragmatica e moralistica della storia. Anche il Guicciardini, alla stregua di Machiavelli, concepisce l’uomo come il vero motore della storia, e ritiene che la Politica debba rimanere distinta e disgiunta da questioni morali e religiose: deve esserci, in primo luogo, l’interesse dello Stato da anteporre a qualsiasi implicazione moralistica ( cfr. Machiavelli: “Il bene dello Stato soprattutto, il bene dello Stato innanzitutto”). Anche il Guicciardini parte dalla amara e lucida constatazione della realtà effettuale, caratterizzata dagli egoismi e dalle passioni sfrenate degli uomini mossi, nelle loro azioni, soltanto da interessi personali. Questa fitta e caotica trama della vita associata, sulla quale il Guicciardini, come il Machiavelli, avverte la incombente presenza della Fortuna, impone all’uomo una condotta di vita lucida e spregiudicata che riesca a garantirgli la sopravvivenza e l’affermazione nel mondo.

 N. Machiavelli, tuttavia, pur partendo da questa visione amara e pessimistica della vita, fondata sulla intrinseca malvagità della natura umana, riesce a definire con razionale lucidità una scienza politica basata su principi teorici costanti e a carattere universale, scienza che individua nell’istituto monarchico la sola via d’uscita al decadimento italiano. Soltanto uno Stato forte e autoritario, nella persona del Principe, può garantire alla società umana un’armonica convivenza civile, contrastando energicamente i conflitti sociali e gli attacchi della Fortuna. Alla Fortuna, in particolare, il Principe può opporsi mediante quei comportamenti maturati alla luce delle proprie esperienze passate e presenti, nonché alla luce delle conoscenze teoriche tratte dallo studio della storia di Roma, i cui insegnamenti di natura politica e giuridica sono ritenuti dall’autore universalmente validi (principio di ciclicità della Storia umana). Le norme politiche a cui il Principe deve attingere per mantenere saldo il proprio potere, costituiscono la sua virtus, attiva ed energica, in opposizione alla Fortuna.

 Francesco Guicciardini, invece, nella sua meditazione politica parte dalla consapevolezza pessimistica della estrema complessità e varietà del reale, non riducibile in alcuno schema fisso e universalmente riproponibile. La natura umana è imprevedibile e in continuo divenire, pertanto è vana l’illusione ottimistica dell’uomo di poterla governare secondo leggi generali d’azione, dato che una realtà sempre mutevole e imprevedibile sconvolge gli schemi entro i quali vorremmo costringerla. Egli sostiene, dunque, l’impossibilità di fondare una scienza politica rigorosa, un codice di comportamento valido ovunque e comunque, che trascenda dall’esperienza quotidiana.

 Alla virtù del Machiavelli, il Guicciardini oppone in concetto di "discrezione", che è l’arte difficilissima di sapersi adattare costantemente agli eventi: la discrezione consiste nella capacità di comprendere e sviscerare i singoli fatti nelle loro infinite sfumature, per poter inserire la propria azione nel loro corso tumultuoso, senza venirne travolti, salvando il proprio "particulare", cioè il proprio interesse, inteso nel senso più ampio di decoro, di dignità, di realizzazione piena della propria intelligenza e capacità di agire in favore di se stessi e dello Stato. Messa in discussione ogni speranza di stabilire regole di comportamento universali e oggettive, g. ritiene possibile fare affidamento solo su doti personali e sull’esperienza: la “discrezione” rappresenta, infatti, la capacità di orientarsi e di capire in quale circostanza ci si trovi, mentre la “prudenza” indica il modo con cui bisogna operare. Manca dunque in Guicciardini la propensione a definire principi teorici razionali e universalmente validi, manca la fede in un ideale che superi l’immediata sfera individualistica (il particulare), e ciò rende la sua visione della vita quanto mai scettica e realistica, a volte amara, anche se non priva di un vago rimpianto per gli ideali umanistici e cristiani, e tristemente consapevole della vanità finale di ogni soddisfazione umana. Si può dire, in un certo senso, che nel pensiero del Guicciardini la Fortuna vinca la virtù, e la fiduciosa e ottimistica affermazione rinascimentale della capacità costruttiva dell’uomo nel mondo appaia ormai in totale declino. Tale atteggiamento mentale gli derivò dalla sua concreta esperienza di uomo politico, ambasciatore, governatore, diplomatico, sempre volto a dirimere le controversie con spirito accorto e prudente, ricercando spesso il compromesso dinanzi alla forza inoppugnabile dei fatti, ai quali le teorie andavano applicate con una cautela estrema, non avulsa da rinunce.

 Il Guicciardini non è dunque l’ideologo teorizzatore, l’uomo di principi, ma uno storico dotato di enorme capacità critica e di giudizio realistico, secondo il migliore insegnamento rinascimentale. Si tenga presente, infine, che egli visse in un periodo storico che assistette al definitivo tramonto della libertà italiana e all’affermazione in Italia del dominio spagnolo.

giovedì 10 ottobre 2013

AGLI ALUNNI DELLA I A - SCHEMA DI ANALISI DI UN TESTO NARRATIVO

Ciascun'analisi di testo narrativo ( romanzo, racconto, favola, fiaba, novella; o parti di esso)deve sviluppare i seguenti elementi:
1. Titolo. Indicazione del titolo preciso del testo (se è all’interno di un’ opera, o di una raccolta di testi, se l’hai letto in un' edizione particolare)
2. Autore. Le notizie essenziali sull’autore del testo, se possibile con maggiore riferimento al periodo e alle implicazioni relative all’opera che hai letto.
3. Riassunto. Una sintesi della vicenda narrata, che contenga tutti gli avvenimenti principali che in essa sono raccontati, senza soffermarsi sui personaggi secondari.
4. Personaggi. Caratteristiche fisiche, psicologiche, cambiamenti, evoluzioni nel comportamento. Personaggi principali, personaggi secondari (Il sistema dei Personaggi).
5. Spazio. In quali luoghi si svolge la vicenda? Sono luoghi aperti o chiusi? Reali, realistici o immaginari? Qual è la funzione narrativa svolta dal paesaggio? Appare come semplice cornice alle vicende dei personaggi, o partecipa idealmente ai fatti narrati, acquistando così un ruolo tutt’altro che marginale? Le caratteristiche psicologiche dei personaggi sono amplificate e proiettate nei luoghi descritti?
6. Tempo. In quale periodo storico si inseriscono i fatti narrati? In quale arco di tempo si svolge la vicenda (dieci anni, due mesi, un giorno)? Prevalgono i tempi lenti (pause, riflessioni, ecc.), le scene, in cui l’azione scorre sotto i nostri occhi con la medesima velocità con cui stiamo leggendo il testo, oppure i fatti scorrono rapidamente, con riassunti ed ellissi temporali? Vi è corrispondenza tra fabula e intreccio? Ci sono analessi (flashback, ricordi) o prolessi (anticipazioni)?
7. Stile. Qual è il linguaggio adottato dall’autore? Ci sono elementi dialettali o di lingue straniere? C’è una sintassi particolare? Il registro è colloquiale, o tecnico-scientifico? Lo stile è giornalistico? E' presente qualche personaggio che si esprime in un modo diverso rispetto agli altri?
8. Tecniche di presentazione delle parole e dei pensieri dei personaggi. Prevale il discorso diretto, o quello indiretto? È presente il discorso indiretto libero? Ci sono monologhi interiori o flussi di coscienza?
9. Narratore. Il narratore è onnisciente, esterno ( o eterodiegetico: quando esso non partecipa e non ha partecipato alle vicende che racconta, non è uno dei personaggi, ma racconta gli avvenimenti dall’esterno, come una voce fuori campo. La narrazione si svolge in terza persona) oppure interno ( omodiegetico: è personaggio, se non addirittura il protagonista della vicenda. la narrazione si svolge in prima persona o anche in terza personA ).
10. Qual è la focalizzazione, ovvero il punto di vista del narratore ? - FOCALIZZAZIONE ZERO: è L’OTTICA DEL NARRATORE ONNISCIENTE = che sa tutto (interno- esterno: A. Manzoni ne “I Promessi Sposi”); - FOCALIZZAZIONE INTERNA: è l’ottica del narratore che presenta i fatti secondo il punto di vista del protagonista o di uno dei personaggi; si tratta di una prospettiva parziale e ristretta. Il narratore può essere interno alla storia (molto spesso), oppure esterno. Il narratore, anche se non è interno, può assumere il punto di vista di uno o più personaggi. - FOCALIZZAZIONE ESTERNA: è l’ottica di un narratore esterno alla storia che si limita a registrare ciò che vede: le azioni, le parole, i dialoghi dei personaggi senza conoscere i loro pensieri, senza intervenire con giudizi e commenti personali.
11. Temi dominanti. Quali sono gli argomenti su cui fa riflettere il testo? Come appaiono i profili dei personaggi in rapporto ai temi evidenziati? Può il testo risultare ancora attuale? In che modo, invece, rappresenta la mentalità o la cultura dominante dell’epoca di appartenenza?

mercoledì 9 ottobre 2013

AGLI ALUNNI DELLA III D

PER DOMANI, VENERDI' 10 OTTOBRE,PREGO DI VOLER PORTARE ANCHE IL TESTO DI DANTE.CORDIALI SALUTI, Prof. Cardaropoli

lunedì 7 ottobre 2013

AGLI ALUNNI DELLA III D

PONGO ALLA VS CORTESE ATTENZIONE IL POST DEDICATO ALLE FUNZIONI BASE DEL NOMINATIVO. Saluti, Prof. Cardaropoli :)

venerdì 4 ottobre 2013

AGLI ALUNNI DELLA III D

RACCOMANDO DI PORTARE SEMPRE, PER LE LEZIONI DI LATINO, UN PICCOLO DIZIONARIO DI BASE DA AGGIUNGERSI AI LIBRI DI TESTO. CORDIALI SALUTI, Prof. Cardaropoli

giovedì 3 ottobre 2013

AI CARISSIMI DELLA IV E

ECCOVI, COME ANNUNCIATO, UN IMPERDIBILE POST SU MACHIAVELLI, A CONCLUSIONE DELL'AUTORE E COME RESOCONTO DELLE LEZIONI (INNUMEREVOLI) FATTE IN CLASSE.... SALUTI CORDIALI, PROF CARDAROPOLI

NICCOLO' MACHIAVELLI (1469 - 1527): "politico, historico e comico"

• Alcuni temi fondamentali: VISIONE LAICA E ANTROPOCENTRICA DELLA VITA
Esaltazione della "virtù" contro la “fortuna”. Virtù e fortuna sono le due forze antagoniste e concorrenti nel campo dell’azione politica delineato da Machiavelli.
- Per il concetto di virtù occorre sottolineare il diverso significato che la parola assume in Machiavelli rispetto a Dante e, più in generale, rispetto alla cultura medievale. Il termine “vrtus, virtutis” che nella tradizione latina significa forza, vigore, valore militare, subisce, nel corso dei secoli un processo di risemantizzazione. Con l’avvento del Cristianesimo la virtus latina di arricchisce di significati nuovi, di natura teologica, evangelica e morale per indicare soprattutto le doti spirituali. In questa lenta trasformazione conta il fissarsi delle virtù teologali( fede, speranza, carità), oltre alle virtù cardinali (giustizia, fortezza, prudenza, temperanza). Nel conflitto tra il significato originario della parola virtù e il significato medievale, si coglie la differenza tra due visioni del mondo nettamente contrapposte: la visione classica (basata su valori legati alla forza, al coraggio, al valore delle armi), la visione cristiana. In Dante, infatti, il concetto di virtù anche se impiegato in un contesto mondano o terreno, è sempre strettamente collegato al contesto ultraterreno. L’uomo “virtuoso” è colui che possiede qualità razionali assistite dalla fede e dalla grazia divine. In Dante virù significa potenza, volontà di Dio, disposizione costante ad uniformarsi alla volontà di Dio, abitudine connaturata di fare il bene.
- In Machiavelli, e nel Principe , la VIRTU' svincolandosi da precetti morali, coincide con la capacità dinamica e operativa di sostenere il contrasto con la “fortuna”, di intervenire sugli eventi umani modificandoli. La visione laica, che è propria di Machiavelli, concepisce la virtù come l’insieme di doti intellettuali e pratiche che fanno il vero statista ( conoscenza delle leggi generali della politica, capacità di adattarle alle situazioni specifiche, energia e decisione nell’azione, spregiudicatezza e cinismo, capacità di dosare opportunamente forza e astuzia ): si realizza, così, la completa laicizzazione dl concetto di “virtù”. La virtù in Machiavelli rappresenta il suggello della concezione rinascimentale dell’ homo faber fortunae suae, essa segna l’affermarsi e il trionfo di una visione del mondo laica e antropocentrica, che già aveva espresso i primi segnali importanti nel dinamismo della civiltà comunale. In Machiavelli il concetto di virtù è posto al centro di una nuova etica, completamente materiale e immanente, non più ultraterrena o spirituale, basata sulla efficacia dell’azione dell’uomo in quanto partecipe di una società civile. Nel “principe” viene posto l’accento sulla “virtù” intesa come possibilità concreta dei soggetti politici di operare nella realtà.
- Accanto alla laicizzazione del concetto di virtù, si assiste in Machiavelli, e in generale nella cultura rinascimentale, alla laicizzazione del concetto di “fortuna”.
Nel Medioevo (così in Dante), la fortuna appare come la ministra della volontà di dio, l’intelligenza celeste e provvidenziale che amministra i beni del mondo secondo disegni imperscrutabili ai quali nessuna ragione umana può accedere. Non è una divinità capricciosa e crudele, ostile all’uomo, come nella tradizione pagana, ma un’intelligenza angelica posta al di sopra delle capacità interpretative dei comuni mortali (visione provvidenzialistica della vita e della storia).
Già a partire da Giovanni Boccaccio, e ancora per gli umanisti, il concetto di fortuna si evolve in direzione opposta all’accezione medievale e dantesca. La FORTUNA diviene una forza cieca e imprevedibile, la fortuna è il caso, l’accidente, l’imprevedibilità delle circostanze, l’avvenimento fortuito in grado di abbattere il progetto umano. Si afferma, dunque il rapporto virtù-fortuna come scontro tra le forze dell’uomo ed altre forze, non più provvidenziali, bensì cieche, casuali e immanenti, non dirette da alcuna volontà superiore e non indirizzate verso alcuna finalità. In Machiavelli la virtù non è rappresentata dalla forza interiore di resistere alle avversità, ma dall’intelligenza industriosa , dalla capacità fattiva di contrastare i limiti e i condizionamenti opposti dalla fortuna. Nel principe è delineata la capacità dei soggetti politici di opporsi, grazie alla loro virtù, ai condizionamenti storici oggettivi e imponderabili.

L’individuo e la fortuna: la concezione agonistica della vita caratterizza tanti scritti del Segretario fiorentino - non solo quelli politici ma anche, ad esempio, le commedie – propone l’immagine di un individuo che è solo davanti alle sfide dell’esistenza, concentrato in uno sforzo di intelligenza teso a riuscire a cogliere le opportunità, diverse per ciascuno, che la stessa misteriosa forza, la fortuna, può offrire a chi sappia approfittarsene.


• Il valore della STORIA ANTICA (carattere pragmatico e universale). L’importanza della conoscenza e dell’ esperienza
Nella concezione del Machiavelli , l’uomo virtuoso è colui che è in grado di impiegare l’intelligenza industriosa e la capacità fattiva per contrastare i condizionamenti opposti dalla fortuna. Nonostante l’accentuata consapevolezza dei limiti umani, Machiavelli ripone grande fiducia nell’intelligenza attiva, nella possibilità di usare non solo gli strumenti della conoscenza, ma anche, e in modo originale, i dati dell’esperienza, per intervenire nel reale e tentare di modificarlo; di conseguenza, pur rifiutando l’ottimismo umanistico, considera il sapere e la tradizione come un patrimonio prezioso per la vita attiva.
Il tal senso Machiavelli ritiene utile la storia in quanto documento che illustra le azioni degli uomini e, in particolare, dei grandi uomini del passato: raccoglie così l’eredità umanistica della STORIA “MAGISTRA VITAE” e la ravviva in un dialogo continuo e attivo con i personaggi dell’antichità, che interroga per comprendere non solo le ragioni del loro successo , bensì PER TRARNE MODELLI DI COMPORTAMENTO PRATICO. Gli umanisti studiano la storia e la letteratura antiche per desiderio di conoscenza ( una conoscenza filologica), per ragioni estetiche(trarne regole retoriche) , per esaltarne i valori di esemplarità e di universalità ( si pensi alla esaltazione da parte dell’Umanesimo civile fiorentino dell’esemplarità della Roma repubblicana contrapposta alla Roma imperiale); Machiavelli e gli intellettuali del Rinascimento riprendono il concetto umanistico di “imitazione” del mondo antico per fronteggiare con entusiastico ottimismo le difficoltà della realtà storica contemporanea. La storia antica non è semplice successione di grandi eventi, di gesta esemplari, essa costituisce un patrimonio prezioso da cui ricavare leggi generali dell’agire politico per l’azione nel presente: è l’applicazione al campo politico del principio di imitazione caro alla cultura umanistico-rinascimentale. Machiavelli, respingendo un’utilizzazione puramente estetica del principio di imitazione, estende gli insegnamenti del passato alla teoria politica. Egli diviene i fondatore di una nuova scienza politica incentrata sul contrasto dialettico tra virtù – fortuna, e che intende proporre nuove, spregiudicate teorie volte al perseguimento del bene comune.
• Il NATURALISMO
La concezione del mondo di Machiavelli poggia sulle basi di un naturalismo già presente nella cultura rinascimentale, naturalismo che investe tutti gli aspetti del reale, dagli esseri umani alle istituzioni, e che concepisce l’uomo come un essere definito ed immutabile alla stregua di tutti gli altri elementi della natura. L’uomo resta sempre uguale a se medesimo, l’evoluzione storica non modifica la base naturale che ne indirizza i comportamenti e che resta immobile nel tempo; la storia, dunque, non è che il continuo ripetersi di avvenimenti e di comportamenti sempre uguali a se stessi. E’ proprio a causa di questa sostanziale immobilità della natura umana che è possibile applicare alla storia e alla teoria politica il principio umanistico di “imitazione”, prendendo a modello una realtà lontana nel tempo. Hanno un peso notevole, nella sua personalità e nella sua opera, la concezione materialistica della vita ( Lucrezio), la forte opposizione alle correnti neo-spiritualistiche (savonaroliani), la tradizione scientifica aristotelica, la concezione storica che egli deriva dallo storico greco Polibio di Megalopoli (II sec. a. C.), deportato a Roma dopo la Battaglia di Pidna (168 a C.) ed inserito nel Circolo filoellenico degli Scipioni.. Da Polibio, Machiavelli riprende, in particolare, l’idea di un ciclo caratterizzante la vita di ogni stato: nascita, affermazione, sviluppo e ampliamento, decadenza, morte. Lo Stato è visto come un organismo vivente , un’entità biologica. In assoluto, la decadenza dello Stato non è evitabile; essa tuttavia può essere contrastata in due modi:
- prendendo a modello gli ordini repubblicani dell’antica Roma , il modo con cui in essi vennero equilibrati i poteri delle classi fondamentali;
- sapendo riconoscere i momenti di crisi dello Stato e sapendo ritornare, allora, alle sue origini: per impedire la decadenza delle istituzioni statali, occorre ricostruire costantemente i loro fondamenti e ritrovare i valori e le ragioni profonde della loro esistenza.
•L'INVENZIONE DI UN LINGUAGGIO E DI UN METODO

Gli scritti di Machiavelli sono riconoscibili anche per l’impronta inconfondibile della sua lingua. Il lessico è ricco di termini ripresi, in primo luogo, dall’ambiente della cancelleria, con latinismi e fiorentinismi, ma anche dai diversi linguaggi tecnici, dei mestieri, delle scienze e della natura. La costruzione sintattica e logica utilizza estesamente il procedimento dilemmatico (o… o…) che serve a ridurre le molteplicità del reale entro uno schema semplice di contrapposizione fra due elementi estremi e alternativi tra cui si pone la scelta. Analogamente, l’uso dei periodi ipotetici, delle casuali e delle finali e quello abbondante dei numerali (<< in dua modi, …il terzo modo, …quel secondo>>) danno il senso di un’analisi scientifica, di una realtà misurabile e ordinabile, di un calcolo condizionato. Abbiamo così un linguaggio e un metodo del tutto nuovi.

martedì 1 ottobre 2013

AGLI ALUNNI DELLA III D

PONGO ALLA VS CORTESE ATTENZIONE IL POST DEDICATO ALL'ANALISI DELLA LIRICA "MERAVIGLIOSAMENTE" di JACOPO DA LENTINI. HO INTANTO PROVVEDUTO A RIPUBBLICARE I VOSTRI POST (vedi ITALIANO III D ). SALUTI CORDIALI, Prof. Cardaropoli