lunedì 16 febbraio 2015

AGLI ALUNNI DELLA V E - APPUNTI A INTEGRAZIONE DEL LIBRO DI TESTO (PER MERCOLEDI' 17.02) . GIOVANNI PASCOLI (1855- 1912)


G. Pascoli nasce nel 1885 a San Mauro di Romagna, in provincia di Forlì, quarto di dieci figli di Ruggero e di Caterina Vincenzi Alloccatelli. Il padre, amministratore della tenuta “La Torre” dei principi Torlonia, poteva garantire alla numerosa famiglia un’ agiata condizione economica. Dai sette ai quattordici anni Giovanni studia nel collegio dei Padri Scolopi di Urbino, particolarmente versati nell’insegnamento delle Lettere classiche. La vita del poeta fu segnata per sempre da una tragica catena di lutti che inizia fatalmente il 10 agosto 1867. Il quel giorno il padre Ruggero fu ucciso da una fucilata sulla via del ritorno a casa; l’anno successivo muore di tifo la sorella maggiore Margherita, seguita a pochi giorni di distanza dalla madre, colpita da un’improvvisa cardiopatia; più tardi , nel 1871, una meningite stronca il fratello Luigi. Infine, muore di tifo anche il fratello Giacomo. Il Pascoli si ritrovò così a fronteggiare una situazione economica fattasi improvvisamente assai difficile.
Nel 1873 Pascoli vince una borsa di studi che gli consente l’iscrizione alla facoltà di Lettere dell’Università di Bologna. Qui Il poeta aderì alle idee socialiste ed anarchiche e prese parte anche a manifestazioni studentesche di protesta; per questa ragione perde la borsa di studio e viene anche arrestato, rimanendo in carcere per tre mesi. Finalmente a 27 anni si laurea, discutendo una tesi sul poeta greco Alceo, e intraprende la carriera di insegnante liceale di latino e greco, carriera che lo porterà a stabilirsi dapprima a Matera, successivamente a Massa, poi a Livorno.
A Massa, nel 1885, il poeta chiama a vivere con sé le due sorelle minori Maria (Mariù) e Ida, ricostruendo finalmente quel “nido” che il destino aveva distrutto, e inaugurando uno stile di vita non privo di aspetti morbosi, basato sul culto dei morti e sul tacito patto di non farsi una famiglia propria, rispettando una sorta di voto di castità ( “Il mio cuore è tutto pieno di Ida e Maria. Se a Livorno non guardo le donne, quando sono a Roma o a Firenze le guardo con orrore! Oh le mie due piccine! O Ida! O Maria! E mi addormmento col vostro nome, stringendo quella crocettina!” ). La riunione della famiglia, dopo tanti lutti, la faticosa ricostituzione del nido, è un momento di grande importanza per l’equilibrio psicologico del Pascoli.
Il 1895 è un anno cruciale nella vita del Pascoli: la sorella Ida si sposa, e quel matrimonio è sentito da Giovanni e da Maria come un vero e proprio tradimento che sconvolge ulteriormente i loro già fragili equilibri psichici ed esistenziali. Ancora, nel 1895 si stabilisce con la sorella Maria a Castelvecchio di Barga, in provincia di Lucca, città che diverrà la sede definitiva del loro nido, pur mutilato dalla defezione di Ida.
Nel 1898 Pascoli è nominato professore ordinario di letteratura latina all’università di Messina; successivamente viene chiamato dall’università di Pisa.
Infine, nel 1905 è chiamato dall’università di Bologna a succedere a Giosué Carducci nella cattedra di letteratura italiana: il poeta accetta, ma l’insegnamento bolognese sarà sempre fonte di angosce per il difficile confronto con il predecessore, che pure era stato uno dei massimi estimatori della sua opera. Morì nella sua casa di Castelvecchio nel 1912.



LA PRODUZIONE LETTERARIA

A partire dagli anni Novanta, il Pascoli arriva a definire le principali linee della sua poesia in raccolte poetiche differenti e spesso parallele. Le maggiori raccolte poetiche di G. Pascoli sono: Myricae (1891), i Poemetti (1897)– divisi poi in Primi poemetti (1904) e Nuovi poemetti (1909)- I Canti di Castelvecchio (1903), I poemi conviviali (1904), Odi e Inni (1906).
Occorre tener presente che Pascoli , come Carducci, porta avanti in parallelo diversi generi poetici in cui articola l’insieme del suo lavoro poetico:
 una poesia prettamente lirica e di ispirazione “umile”, dedicata alla realtà contadina, alla quotidianità agreste evocata già nel titolo della sua prima opera, Miricae(cioè tamerici, piccoli arbusti sgraziati e assai diffusi) e poi ripresa e continuata idealmente nella raccolta I canti di Castelvecchio.
 una poesia a carattere narrativo, affidata a lunghi componimenti raccolti nei Poemetti
 una poesia di argomento classicistico e impegnativo, riversata nei Poemi conviviali
 una poesia a carattere civile e patriottico: Odi e Inni, Le canzoni di re Enzio, I poemi italici, I poemi del Risorgimento.

In Pascoli abbiamo la copresenza di più “maniere” poetiche che egli frequentava contemporaneamente, mutando di volta in volta l’impostazione stilistica e le scelte tematiche di fondo. Le sue raccolte poetiche non si concludono in brevi spazi temporali, ma rappresentano un percorso stilistico prolungato nel tempo: ciò è testimoniato dalle numerose e successive edizioni che le caratterizzano. Le raccolte costituiscono cioè dei contenitori sempre aperti, che accolgono nel corso del tempo i vari prodotti poetici, a seconda delle loro caratteristiche. Lo stesso Pascoli era bel consapevole di ciò, tanto che pensò di contraddistinguere i diversi volumi delle sue opere con un motto tratto dai versi iniziali della IV Egloga di Virgilio(Sicelides Musae, paulo maiora canamus./ Non opmnes arbusta iuvant humilesque myricae).

 Pertanto,le raccolte Myricae e Canti di Castelvecchio - ispirate al motivo georgico - recano il motto “Arbusta iuvant humilesque myricae”; PASCOLI DECADENTE

 I Primi e i Nuovi poemetti recano il motto “Paulo maiora”;
 Odi e Inni “Canamus”; PASCOLI IDEOLOGICO - piccolo borhese

 I Poemi conviviali “Non omnes arbusta iuvant”. PASCOLI CLASSICISTA


COMPONENTI CULTURALI IN PASCOLI
Il Classicismo, come modello di raffinatezza formale : il poeta fu un attento conoscitore della letteratura classica acquisita attraverso gli studi liceali e universitari (tesi di laurea sulla metrica del poeta greco Alceo) nonché della tradizione letteraria nazionale (Dante, Petrarca, Boccaccio, Tasso, Parini, Monti, Alfieri, Leopardi).
Fu uno studioso e conoscitore, seppur modesto, delle letterature straniere da cui derivò la sua spiccata sensibilità decadente (fatta eccezione per Victor Hugo, Theophile Gautier, Edgar Allan Poe, Baudelaire, i romantici tedeschi, non abbiamo notizie di particolari contatti o sollecitazioni dalla cultura d’oltralpe). Altre rilevanti componenti sono il Positivismo e il Realismo, il Parnassianesimo, il Simbolismo.

TEMI DELLA POESIA PASCOLIANA
 IL TEMA AGRESTE: la realtà contadina è accuratamente descritta dal poeta in veri e propri dipinti poetici, quadretti di vita contadina ( l’aratura, la sfogliatura, il crocchio delle comari, la veglia serale) che procedono dalla descrizione esterna dei campi fino all’interno familiare. La realtà contadina è tanto più accuratamente descritta, quanto più Pascoli vi individua il luogo innocente e paradisiaco della propria infanzia, un mondo schietto, custode di saggezza atavica, di sentimenti autentici, di innocenti virtù. Da qui l’attenzione minuziosa del Pascoli per i dettagli paesaggistici che si ampliano di una suggestiva notazione fotografica, l’attenzione per i particolari anche minimi del mondo della campagna, con un raffinato gusto per il dettaglio che ha fatto parlare di “impressionismo” pascoliano.
Sotto l’apparenza dell’idillio, del quadretto lirico di intonazione agreste, si muovono contenuti misteriosi e nascosti. Ecco che il mondo fenomenico, realisticamente e puntigliosamente descritto, si arricchisce in Pascoli di una potente carica simbolico – evocativa.
Il motivo agreste ha dato vita a una poesia prettamente lirica e di ispirazione “umile”, dedicata alla realtà contadina, alla quotidianità agreste evocata già nel titolo della sua prima opera, Myricae(cioè tamerici, piccoli arbusti sempreverdi, sgraziati e assai diffusi) e poi ripresa e continuata idealmente nella raccolta I canti di Castelvecchio.
• Il motivo georgico si esprime attraverso il TEMA DELLA NATURA: in Pascoli rivivono, in chiave simbolica, le incontaminate virtù del paesaggio della Garfagnana (dove il poeta visse dal 1895, in compagnia dell’ adorata sorella Maria) che si arricchisce di suggestioni simboliche e irrazionali (San Mauro di Romagna, custode di antichi e felici ricordi d’infanzia, Castelvecchio di Barga)
• PREVALENZA della MEMORIA, del SOGNO, DEL SIMBOLO sulla realtà: ciò si realizza in Pascoli mediante la regressione inconscia del suo mondo psichico; si esprime attraverso la dimensione onirica e simbolica del RICORDO come della evocazione nostalgica del passato; il mito dell’infanzia come sogno di innocenti illusioni e di speranze di felicità.

• VISIONE TRAGICA DEL MONDO - TEMA DELLA MORTE E DEL DOLORE: la fuga dalla realtà, la regressione emotiva e psicologica dell’autore, il contrasto tra ideale/reale, il Simbolismo. Il sentimento della morte, che alimenta incessantemente la produzione artistica del Pascoli, in gran parte legato al trauma originario della morte del padre, si esprime mediante la descrizione di orfani, morti precoci di neonati, madri in lacrime. Il motivo funebre si fonde intimamente col TEMA AGRESTE e col tema della NATURA . La Natura si carica di un intrinseco e spiccato potere evocativo, di una accentuata valenza simbolica e diviene partecipe, attraverso dettagliati quadretti di vita rurale e domestica, del dolore immenso del poeta, del suo profondo disagio esistenziale. Paesaggio naturale e motivo funebre generano un Simbolismo fatto di descrizioni quotidiane, di segni appena percepibili, ma fortemente inquietanti che producono angoscia. Profondo legame tra vita psichica e vita cosmica: la natura magnanima e benevola, custode di un antico sogno di felicità, osserva con profonda commozione le sciagure umane, partecipa impotente alla disperazione del mondo “atomo opaco del male”.

• IL TEMA DEL NIDO: è il vero e proprio sottofondo psicologico non soltanto di Myricae e di Canti di Castelvecchio, ma di tutta la produzione letteraria del Pascoli. Il mito del nido, nel quale si organizzano il focolare domestico e il vincolo parentale , rappresenta un universo chiuso e protetto, un guscio protettivo riscaldato dall’affetto sincero e incondizionato dei cari. L’esaltazione costante che il pascoli fa del legame di sangue, conduce il poeta ad esaltare e a mitizzare un modello di società agraria e di tipo patriarcale, non contaminata dal progresso, né da ideologie utilitaristiche. Il Pascoli si fa nostalgico sostenitore di un modello di società antica, preindustriale, destinata, ad una lenta ed inesorabile dissoluzione, minacciata ormai dall’ombra della morte a causa della pressione della modernità urbana, che il poeta osserva con orrore e sgomento. Il nido, dunque, rappresenta un luogo psicologico protettivo, un rifugio ideale nel quale convivono il rimpianto di un eden antico (e ormai perduto) e la feroce ossessione dei legami con i familiari.
IL TEMA DEL NIDO SI COLLEGA AD UN DESIDERIO DI REGRESSIONE INCONSCIA E DI FUGA DALLA REALTA’.

• UMANITARISMO e NAZIONALISMO: in Pascoli convivono una accentuata sensibilità decadente e una componente ideologica che portano il poeta ad esprimere la propria idea sociale improntata a un umanitarismo e ad una generica simpatica per le classi diseredate, i cui mali cesserebbero solo in una società contraddistinta dalla equa diffusione della piccola proprietà terriera.
L’umanitarismo del Pascoli interpretava la visione sociale della piccola borghesia di provincia, saldamente legata ai valori della TERRA E DELLA FAMIGLIA.
Accanto all’ideale umanitario, si sviluppa successivamente nel poeta anche un sentimento di entusiastica esaltazione patriottica. L’ambiente culturale italiano tra l’Ottocento e il Novecento è fortemente nutrito di spinte nazionalistiche e il Pascoli, ideologicamente fragile, non resta immune dal clima di generale ed entusiastica esaltazione patriottica. Ciò accade, in particolare, dagli inizi del 900, allorché nel 1905, dopo aver insegnato a Messina e a Pisa, il poeta succede nel 1905 a G. Carducci come docente di Letteratura italiana presso l’università di Bologna. Il nuovo ruolo accademico opprime il poeta di grandi responsabilità ufficiali: egli raccoglie dal grande predecessore l’eredità di poeta vate dell’Italia monarchica.
Dunque, alla viglia della 1^ guerra mondiale in pascoli si registra un ulteriore, inevitabile, sviluppo del sua pensiero politico, una significativa involuzione ideologica: impressionato dalla minaccia dei conflitti generati dai contrapposti interessi delle nuove classi operaie e del capitalismo, egli passa da un atteggiamento umanitaristico di matrice socialista, vicino alle sofferenze degli umili e a un modello di società arcaica, ad un atteggiamento di adesione alla politica nazionalistica del tempo, in aperto sostegno della politica e della cultura imperialistica, sostenendo ad esempio, l’impresa coloniale dell’Italia ai tempi della guerra in Libia(1911-12). Basti pensare all’ultimo celebre Discorso ufficiale pronunciato dal poeta nel 1911 in onore dei morti e feriti italiani nella guerra contro i turchi per la conquista della Libia, “La grande proletaria si è mossa” (discorso ricco di enfasi oratoria, celebrazione della politica colonialista esaltazione della tradizione imperiale di Roma ).
L’involuzione ideologica del Pascoli, dal Socialismo al Populismo e al Nazionalismo non sarebbe rimasto un caso isolato.


Seguendo il complesso percorso artistico ed ideologico del Pascoli rileviamo una produzione poetica varia per stile e contenuti.

• PASCOLI DECADENTE (Decadentismo, Simbolismo, Naturalismo) → Myricae, Canti di Castelvecchio
• PASCOLI IDEOLOGICO: POESIA ATTENTA ALLE TEMATICHE SOCIALI, DI ISPIRAZIONE UMANITARIA → i Poemetti (1897); Primi poemetti (1904); Nuovi Poemetti (1909)
• PASCOLI POESIA CIVILE E PATRIOTTICA → Odi e inni (1906); Canzoni di Re Enzo; i Poemi italici (1911) i Poemi del Risorgimento (1910-1912); Pensieri e Discorsi (1907)
• PASCOLI CLASSICISTA → Poemi conviviali (1904)




mercoledì 11 febbraio 2015

AGLI ALUNNI DELLA V E - APPUNTI A INTEGRAZIONE DEL LIBRO DI TESTO (PER SABATO 14.02)

DECADENTISMO

Il Decadentismo indica un importante fenomeno estetico letterario che, nato in Francia a partire dai primi anni Ottanta del secolo XIX ( in virtù del primato della cultura francese in questo periodo ) si diffuse in tutta l’Europa fin de siecle. Il Decadentismo indica, sul piano storico-culturale, la civiltà sorta dalla crisi del Positivismo.

 L’origine del nome è denigratoria:
la parola Decadentismo deriva da “decadent” termine usato in Francia con significato dispregiativo da alcuni critici polemici e ostili nei confronti di molti scrittori e artisti di nuova generazione che apparivano alla gente comune dissoluti e corrotti, sembravano cioè esprimere la decadenza morale dell’arte e della società. I giovani artisti decadenti, tra cui spiccano Paul Verlaine, Stéphane Mallarmé, Arthur Rimbaud, Tristan Corbiere, Moreas, Joris Karl Huysmans utilizzarono l’espressione con ostentazione, come vessillo di protesta contro la società borghese e la cultura ben pensante del tempo , richiamandola altresì nel titolo di una rivista “Le Décadent” pubblicata a partire dal 1886 per iniziativa di Anatole Baju.

 E’ probabile che sulla nascita del termine decadente abbia influito anche un sonetto di P.Verlaine “Languore” che comincia con il celebre verso “ Io sono l’impero alla fine della decadenza/ che guarda passare i grandi barbari bianchi/componendo acrostici indolenti dove danza/ il languore del sole, in uno stile d’oro””. Paul Verlaine identifica il proprio stato d’animo con una fase storica e culturale che ben lo identifica: la tarda età imperiale romana, espressione di una civiltà opulenta e raffinata, ma corrosa all’interno dal sopravanzante Cristianesimo e all’esterno dalle invasioni barbariche. La Roma del tempo non ha più né la forza militare, né la forza morale per opporsi al suo inesorabile declino, declino favorito dalla lenta ma inesorabile crisi dei valori etici che in età classica avevano reso Roma caput mundi.

IL SONETTO DI VERLAINE COSTITUISCE IL MANIFESTO LIRICO DEL MOVIMENTO DECADENTE.

 Altra tappa fondamentale per seguire, in Francia, lo sviluppo della cultura decadente è la pubblicazione a partire dal 1883 di una antologia “Les poetes maudits” ( I poeti maledetti) curata da P. Verlaine. L’antologia conteneva scritti di Paul Verlaine, Stéphane Mallarmé, Arthur Rimbaud, Tristan Corbiere.

 Infine, nel 1884 Joris Karl Huysmans pubblica il celebre romanzo “A rebours” (A ritroso) il cui protagonista Des Esseints costituisce l’incarnazione dell’Estetismo decadente, inteso come culto di una bellezza raffinata ed elitaria, che pochi spiriti eletti riescono a cogliere e ad apprezzare. Des Esseints sintetizza in maniera maniacale l’odio per una cultura di massa, ubbidiente al principio di “utilità”, l’odio verso l’arrogante ascesa della borghesia capitalistica che ha sancito di fatto la vittoria del denaro, della produttività e della mentalità affaristica contro ogni principio di civiltà umana. La borghesia degli affari ha ormai scalzato irreversibilmente la vecchia aristocrazia e il clero attingendo “ tutti i loro difetti” e convertendoli in ipocriti vizi”. Des Esseints resta il simbolo dell’intellettuale otto-novecentesco perennemente deluso, solo, emarginato rispetto ad una società che più non rispecchia i propri ideali, ideali ai quali aveva attinto il movimento romantico risorgimentale, ideali che avevano approdato alla forza dilagante delle rivoluzioni europee del ‘48; una società che ha decretato nuovi paradigmi culturali e nuovi modelli di comportamento di natura materialistica ed economica, affidando al denaro, al progresso, all’industrializzazione selvaggia un primato assoluto e indiscusso. Des Esseints è il simbolo dell’intellettuale perennemente ( e fino ad oggi) in crisi a causa della marginalità nella quale la poesia, le arti e il pensiero sono relegati nell’epoca industriale.
IL ROMANZO DI HUYSMANS COSTITUISCE UN ALTRO MANIFESTO DEL MOVIMENTO DECADENTE

Il Decadentismo ebbe il suo centro di irradiazione in Francia, a partire dalle intuizioni presenti nell’opera di CHARLES BAUDELAIRE (1821-1868), grande precursore del Decadentismo e fondatore della lirica moderna.

Un impulso decisivo alla nascita e allo sviluppo del D. derivò, inoltre, dalla lezione del PARNASSIANESIMO. Il movimento parnassiano, sorta di moderno classicismo letterario, dichiara il rifiuto del presente, identificato con il progresso, e del sentimentalismo romantico a vantaggio di un’impassibilità emotiva raggiunta attraverso il ritorno all’antichità classica; la liberta assoluta dell’arte, non condizionata dal criterio di utilità, tipicamente borghese: l’arte doveva risultare svincolata da interessi utilitaristici o politici, da impegni sociali o ideologici. Unico obiettivo del poeta parnassiano è quello di perseguire la Bellezza assoluta, raggiungibile attraverso la perfezione della forma metrica e stilistica. I Parnassiani riprendono la lezione di del poeta francese Theophile Gautier (1811-1872) che, già nel 1835, scagliandosi contro il principio utilitaristico dell’arte, aveva scritto. “Non c’è niente di più bello di ciò che non serve a nulla; tutto ciò che è utile è anche orribile”; Sua è la celebre formula dell’”Arte per l’Arte”, cioè il culto dell’arte come valore supremo, con una connotazione polemicamente antiborghese. I componimenti dei poeti parnassiani confluiscono in una antologia dal titolo “Il Parnaso contemporaneo” (1866) da cui la denominazione di “Poeti parnassiani”. Ne “Il Parnaso contemporaneo” troviamo infatti scritti dei giovani Verlaine e Mallarmé, nomi che tornano a congiungersi nel 1883, nella pubblicazione della prima serie dei Poeti maledetti.
Anche CHARLES BAUDELAIRE accolse la lezione del Parnassianesimo. La sua più celebre opera “Fiori del male” (1857) si colloca nel pieno solco della sensibilità parnassiana: comuni appaiono il disprezzo per la banale quotidianità, il rigetto del sentimentalismo romantico, la cura ossessiva della forma. In B., tuttavia, il tema della fuga dalla realtà ( che nei Parnassiani si risolve nella evocazione dell’antichità classica) sfocia nella contemplazione dei cosiddetti “Paradisi artificiali”, cioè dell’evasione indotta dall’alcol o dalle droghe. La poesia di Baudelaire, padre del Decadentismo, esprime in pieno i motivi della sensibilità decadente: la consapevolezza della lenta, ma inesorabile decadenza della civiltà contemporanea, il disprezzo per il presente, la suggestione della malvagità, il gusto di tutto ciò che è al di fuori dei canoni della normalità, la suggestione dell’esotismo, la noia esistenziale (Spleen). Lo spleen, ovvero la noia esistenziale che sfocia spesso in angosciosa disperazione, diventa il tratto caratterizzante del poeta moderno, lo stato d’animo costante dello spirito elevato, secondo una linea di pensiero che risale a A. SCHOPENHAUER, il quale nel suo capolavoro “Il mondo come volontà e rappresentazione” (1819) aveva definito la noia quale condizione tipica dell’uomo moderno. La percezione dello spleen, e la necessità si spezzarne il cerchio, è una delle grandi eredità di Baudelaire a tutti i poeti successivi, i poeti maledetti: Paul Verlaine, Stéphane Mallarmé, Arthur Rimbaud, fino ai poeti del Novecento.

TEMI DELLA POESIA DECADENTE


 IRRAZIONALISMO- CRISI DEL POSITIVISMO- DIMITIZZAZIONE DEI VALORI RISORGIMENTALI (libertà, patria, progresso)
 Esasperazione del soggettivismo romantico
→ INDIVIDUALISMO ASSOLUTO, SOLIPSISMO
 SENSO DI SOLITUDINE ED EMARGINAZIONE DEL POETA NELLA SOCIETA’ AFFARISTICA E BORGHESE DI FINE SECOLO
 SENTIMENTO DELLA NOIA ESISTENZIALE E FUGA DAL CONFORMISMO BORGHESE ATTRAVERSO ESPERIENZE ESTREME: non si accetta la prosaicità del vivere
 CRTICA AL CONCETTO DI “UTILE” - ARTE PRIVA DI FINALITA’ ETICO-CIVILI, COMUNICATIVE, DIDASCALICHE : L’ARTE PER L’ARTE (Theophile Gautier)
 ARTE INTESA COME RAFFINATO CULTO DELLA BELLEZZA ASSOLUTA → ESTETISMO
 IDENTIFICAZIONE ARTE=VITA; Se nel Romanticismo la vita era travasata nell’arte, nel Decadentismo (ma anche nella Scapigliatura) arte e vita coincidono. L’ESTETISMO RAPPRESENTA L’ASPIRAZIONE AD UNA SINTESI SUBLIME TRA ARTE E VITA
 COMPLEMENTARIETA’ TRA LE VARIE MANIFESTAZIONI ARTISTICHE : LETTERATURA (in particolare la Poesia) - ARTE- MUSICA; Predilezione per le fasi storiche di decadenza culturale: età alessandrina, autori latini tardo-imperiali, età barocca
 ARTE COME DECIFRAZIONE DI SIMBOLI ED EVOCAZIONE DI UNA REALTA’ OSCURA, CHE SFUGGE A RAZIONALI CLASSIFICAZIONI e che pochi spiriti eletti riescono a comprendere.
 CONCEZIONE DEL POETA “VEGGENTE”(secondo la definizione di Rimabaud), IN GRADO DI COGLIERE LE SEGRETE RELAZIONI FRA LE COSE E DI SCAVARE NELL’INCONSCIO.
(INCONSCIO-ES: SFERA PIU’ PROFONDA DELLA PSICHE DOMINATA DA PULSIONI PRIMARIE –autoconservazione, riproduzione- CHE TROVANO LIBERO SFOGO NELLE FUGHE ONIRICHE, NELLA FANTASIA, NELL’ESPRESSIONE ARTISTICA).
L’intellettuale decadente, accogliendo i nuovi orientamenti scientifici in ambito neurologico (vedi la nascita della Psicanalisi con Freud), è consapevole che l’uomo moderno non è padrone assoluto della propria natura, del proprio IO, ma è in parte schiavo di pulsioni incoercibili e insopprimibili ( le pulsioni primarie dell’ES), solo parzialmente filtrate dal SUPER-IO.
 IL POETA VEGGENTE SI ESPRIME MEDIANTE UN’ARTE SIMBOLISTA

STILE
 Ampia utilizzazione DELL’ANALOGIA, DELLA SINESTESIA, DELLA METAFORA

 Rifiuto del discorso logico (il discorso fondato sulle categorie logiche tradizionali: spazio-tempo-causalità) a favore di un’arte che proceda per libere associazioni analogiche, che risponda solo alla logica stravolta del DELIRIO o della VISIONE ONIRICA
 Linguaggio fortemente evocativo, denso di simboli e di immagini ambigue.

AGLI ALUNNI DELLA I E

ASSEGNO DI ITALIANO PER VENERDI' 13.02.15

PROSEGUIRE IL PROGRAMMA DI EPICA CON LO STUDIO DEL BRANO SUCCESSIVO RIGUARDANTE L'ACCECAMENTO DEL GIGANTE POLIFEMO E LA FUGA DI ODISSEO (ODISSEA, LIBRO IX). SVOLGERE PARAFRASI SCRITTA + PRESENTAZIONE + RIASSUNTO.
A PRESTO, PROF.CARDAROPOLI

lunedì 9 febbraio 2015

ANALISI TESTO POETICO – IL COMMENTO



La struttura di un commento si articola in tre fasi: INTRODUZIONE, ANALISI DEL SIGNIFICATO, ANALISI DEL SIGNIFICANTE.

A) INTRODUZIONE - INFORMAZIONI SOMMARIE SUL TESTO (titolo, autore, opera da cui è tratto il testo, anno composizione, argomento generale della lirica).

B) PIANO DEL SIGNIFICATO (LIVELLO STILISTICO- RETORICO): lessico e parole chiave, sintassi(l'ordine delle parole nel testo poetico, la disposizione dei periodi in simmetria o in parallelismo), temi dominanti, messaggio che il poeta vuole trasmettere, figure retoriche di significato (similitudine, metafora, analogia, sinestesia, metonimia, sineddoche, iperbole, antitesi, ossimoro) e di ordine delle parole ( climax, anticlimax, anafora,chiasmo, inversione) contestualizzazione, conclusione. Relazione tra significato e significante(ad esempio, suoni aspri e duri possono comunicare l'idea del dolore).

C) PIANO del SIGNIFICANTE (STRUTTURA DEL TESTO DAL PUNTO DI VISTA TECNICO-FORMALE - LIVELLO METRICO RITMICO) : versi, strofe, rime, schema metrico, figure retoriche del significante: figure metriche, figure di suono; ritmo della lirica: accenti ritmici (ictus) ravvicinati o distanziati, pause metriche o sintattiche, enjambement.



Ciascuna opera letteraria va intesa, secondo i principi della moderna critica letteraria ispirati allo Strutturalismo e alla TEORIA DEL SEGNO LINGUISTICO di FERDINAND DE SAUSSURRE(Ginevra,1857 – Vufflens-le-Château, 1913; fu un linguista e semiologo svizzero. È considerato il fondatore della linguistica moderna), come un insieme di segni che devono essere decodificati in sede interpretativa al fine di cogliere il significato denotativo e connotativo che il testo vuole esprimere. Il segno linguistico è, infatti, una realtà polisemica, un “concetto dicotomico” composto da un significante e da un significato: il significante rappresenta l’aspetto esteriore e formale del segno, l’insieme degli artifici comunicativi dell’opera; il significato si riferisce al contenuto denotativo e connotativo dell’opera, al messaggio che il testo si propone di trasmettere attraverso il piano del significante. In tal senso un importante campo d’indagine, nell’analisi di un testo letterario, è il PIANO DEL SIGNIFICANTE, cioè il PIANO TECNICO-FORMALE, che riguarda le manifestazioni fonologiche e le nozioni di verso, strofa, rima, metro, ritmo, figure retoriche del significante, figure di suono.
Un altro campo d’indagine riguarda il PIANO DEL SIGNIFICATO, il contenuto connotativo del testo, ciò che la lirica vuole comunicare attraverso le figure retoriche, secondo un significato diverso da quello letterale. Attraverso lo studio del significante e del significato è possibile stabilire il contenuto connotativo dell’opera e giungere ad una corretta ed esaustiva decodificazione del testo letterario inteso come insieme di segni linguistici.

FACCIAMO IL PUNTO SU: G.CARDUCCI (1835-1907), LA PRODUZIONE LETTERARIA

IL CLASSICISMO LETTERARIO GIOVANILE ("GIACOBINO") : IUVENILIA, LEVIA GRAVIA, GIAMBI ED EPODI
GIAMBI ED EPODI
Raccolte in volume nel 1882, le poesie di Giambi ed Epodi rappresentano al meglio il Carducci “giacobino”, repubblicano e anticlericale. L’ultima composizione inseritavi è del 1879, l’anno della “conversione” monarchica e della riconciliazione con le istituzioni. Il titolo, che accosta due titoli pressoché sinonimi, allude alle poesie satiriche di Orazio di metro prevalentemente giambico, riunite nell’ Epodon liber (“Libro degli epòdi”), assunte come modello di invettiva politica e civile. Il principale obiettivo dello sdegno del poeta è il “tradimento” degli ideali risorgimentali perpetrato dallo Stato unitario, quando, come scrisse lo stesso Carducci nella prefazione dell’opera, “l’Italia ebbe inoculato il disonore: cioè la diffidenza e il disprezzo di se stessa, il discredito e il disprezzo sogghignante delle altre nazioni”. Di qui l’ammirazione (peraltro non ricambiata) per Mazzini, e la contrapposizione delle grandi idealità rappresentate dalla rivoluzione francese alla miseria morale del presente. ”Sono acerbe parole queste ch’io scrivo, lo so”, diceva ancora il poeta nella prefazione, “Ma anche so che per un popolo che ha nome dell’Italia non è vita […] non avere né un’idea né un valore politico, non rappresentare nulla, non contar nulla, essere in Europa quello che è il matto nel gioco de’ tarocchi: peggio […], essere un cameriere che chiede la mancia a quelli che si levano satolli dal famoso banchetto delle nazioni, e quasi sempre, con la scusa del mal garbo, la mancia gli è scontata in ischiaffi”.
[Fonte bibl.: Giambi ed Epodi, in G. Carducci, Opere, III, Zanichelli, Bologna 1935-1940]

IL CLASSICISMO LETTERARIO DELLA MATURITA': RIME NUOVE, ODI BARBARE, RIME E RITMI

RIME NUOVE (105 poesie composte tra il 1861- 1887)
Pubblicato in edizione definitiva nel 1887, il volume accoglie poesie scritte tra il 1861 e il 1887, e suddivise in nove libri, secondo affinità talvolta metriche, talvolta tematiche. Ad esempio, i sonetti sono raccolti nel libro II e le odi saffiche nel libro IV. Il libro III riunisce le liriche di natura “privata”, d’amore o di dolore, e il libro V ospita in prevalenza poesie ispirate a ricordi autobiografici. Nei libri VI e VIII trovano posto le rievocazioni di carattere storico, e il libro VII è occupato per intero dai sonetti di Ça ira, dedicati alla rivoluzione francese. I libri I e IX sono costituiti ciascuno da una sola poesia, rispettivamente Alla rima e Congedo. Il volume accoglie inoltre numerosi traduzioni da poeti stranieri, soprattutto tedeschi, in particolare Goethe ed Arrigo Heine. Il dato unificante dell’intera raccolta è comunque di carattere tecnico: si tratta infatti dell’uso della rima, presente in tutte le poesie ( mentre risulta completamente assente nelle Odi barbare).
Rispetto ai Giambi ed Epodi la disposizione di Carducci appare qui più distesa e più incline a vedere nella poesia una forma di consolazione. Ciò si avverte soprattutto nelle liriche scritte tra il 1871 e il 1880, durante la relazione con Carolina Cristofori Piva.
[Fonte bibl.: Rime nuove, in G. Carducci, Opere, III, cit.]

LO SPERIMENTALISMO CARDUCCIANO: ODI BARBARE (50 liriche tra il 1873-1889)

L’edizione definitiva delle Odi barbare (1893) raccoglie le Odi barbare del 1877, le Nuove odi barbare del 1882 e le Terze odi barbare del 1889. Il titolo è spiegato dallo stesso Carducci in una nota all’edizione del 1877: “Queste odi poi le intitolai barbare, perché tali sonerebbero agli orecchi e al giudizio dei greci e dei romani, se bene volute comporre nelle forme metriche della loro lirica, e perché tali sonerebbero pur troppo a moltissimi italiani, se bene composte e armonizzate di versi e accenti italiani”. Il dato più rilevante della raccolta è certamente la sperimentazione metrica, rivolta a riprodurre le cadenze e i ritmi della versificazione classica, seguendo prevalentemente i sistemi metrici che furono di Orazio e cercando di imitare, col gioco degli accenti, gli schemi metrici quantitativi della poesia latina e greca, basati sulla “durata” (quantità) delle sillabe (sillabe lunghe - sillabe brevi). Nelle Odi barbare il Carducci si sforza di far coincidere l’accento ritmico quantitativo con l’accento tonico della metrica italiana, conciliando così la metrica quantitativa antica con la metrica accentuativa moderna.
Per quanto riguarda i temi, a un gruppo omogeneo di poesie dedicate alla civiltà romana si affiancano le consuete rievocazioni storiche, - attraversate dall’ideale di “Nemesi”, una Provvidenza laica, per cui le colpe dei tiranni e dei conquistatori ricadono sui loro discendenti, che ne pagano il fio – e alcune composizioni di carattere privato e autobiografico. L’interesse di Carducci per l’imitazione dei metri classici è testimoniato anche dall’antologia La poesia barbara nei secoli XV e XVI, da lui curata nel 1881.
[Fonte bibl.: Odi barbare, in G. Carducci, Opere, IV, cit.]

RIME E RITMI (29 poesie composte tra il 1887 -1889)
Pubblicato nel 1889, il volume raccoglie l’ultima produzione poetica di Carducci, sia le poesie rimate in metri tradizionali, sia le poesie barbare. Gli argomenti sono di vario genere, ma non escono dai consueti schemi della commemorazione storica e della “confessione” autobiografica. Vi si accentuano, semmai, le riflessioni sulla morte e l’intensificarsi delle movenze oratorie nei versi celebrativi (sintomatiche, da questo punto di vista, odi celebri e troppo lodate come Piemonte o La chiesa di Polenta). Il volume si chiude con uno stornello d’addio che dichiara la fine dell’attività poetica: “Fior tricolore, | tramontano le stelle in mezzo al mare | e si spengono i canti entro il mio core”.
[Fonte bibl.: Rime e ritmi, in G. Carducci, Opere, IV, cit.]

lunedì 2 febbraio 2015

Arrigo Boito, Dualismo (1863, Libro dei versi)

Dualismo è una poesia manifesto delle inquietudini della Scapigliatura, perché pone al centro la lacerazione tra due opposti inconciliabili: l’uomo è un angelo e allo stesso tempo un demone. La lirica poggia su un sistema di opposizioni destinate a rappresentare la scissione e l’ambiguità della natura umana, angelica e demoniaca : luce-ombra; cherubo-demone; orazione-bestemmia; virtù peccato; arte eterea-arte reproba. Rifiuta la modernità e la bruttezza determinata dai nuovi ideali.
Il poeta aspira ad un’arte che realizzi la bellezza ideale, ma poiché tale bellezza è impossibile,egli può solo cantare il vero, la squallida realtà.

Arrigo Boito, Dualismo (1863, Libro dei versi)
Metro: strofe di sette settenari, di cui il primo e il terzo sdruccioli, il secondo, il quarto, il quinto e il sesto piani, il settimo tronco; il settimo, tronco, rima con l'ultimo della strofa seguente.

"Son luce e ombra; angelica
farfalla o verme immondo,
sono un caduto chèrubo
dannato a errar sul mondo,
o un demone che sale
affaticando l'ale,
verso un lontano ciel.

Ecco perché nell'intime
cogitazioni io sento
la bestemmia dell'angelo
che irride al suo tormento;
o l'umile orazione
dell'esule dimone
che riede a Dio, fedel.

Ecco perché m'affascina
l'ebbrezza di due canti
ecco perché mi lacera
l'angoscia di due pianti,
ecco perché il sorriso
che mi contorce il viso
o che m'allarga il cuor.

O creature fragili
del genio onnipossente!
Forse noi siamo l'homunculus
d'un chimico demente,
forse di fango e foco
per ozïoso gioco
un buio Iddio ci fe'.

E ci scagliò sull'umida gleba
che c'incatena,
poi dal suo ciel guatandoci
rise alla pazza scena,
e un dì a distrar la noia
della sua lunga gioia
ci schiaccerà col piè.


E sogno un'Arte eterea
che forse in cielo ha norma,
franca dai rudi vincoli
del metro e della forma,
piena dell'Ideale
che mi fa battere l'ale
e che seguir non so.

E sogno un’ Arte reproba
che smaga il mio pensiero
dietro le basse immagini
d'un ver che mente al Vero
e in aspre carme immerso
sulle mie labbra il verso
bestemmiando vien.

Come istrïon, su cupida
plebe di rischio ingorda,
fa pompa d'equilibrio
sovra una tesa corda,
tale è l'uman, librato
fra un sogno di peccato
e un sogno di virtù."

Anche questa lirica, come Preludio di Praga, è considerata un di manifesto della poesia scapigliata. Essa è fortemente improntata ancora su una tematica romantica, ovvero la contrapposizioni di termini astratti: reale-ideale, bene-male (tematica che percorre l'intera opera di Boito). Anche il linguaggio usato resta tradizionale, caratterizzato da latinismi e parole dotte e lo stesso autore ammette la propria incapacità di realizzare una nuova forma artistica (E sogno un'Arte eterea/che forse in cielo ha norma,/ franca dai rudi vincoli/del metro e della forma,/piena dell'Ideale/che mi fa battere l'ale / e che seguir non so).
La lirica sembrerebbe,a prima vista, come suggerisce Lina Bolzoni, una dichiarazione predecadente; ma in realtà l'Arte eterea di Boito si riduce qui a puro gioco "intellettualistico" di metro e forma (con scelte metriche e linguistiche assai ricercate). La struttura dualistica si ripete in tutta la poesia.
Nel poeta si presentano le figure contrapposte di un chérubo (angelo) dannato e di un demone redento. Il demone redento si sente ancora speranzoso e fiducioso, ma la sua è solo un'illusione che potrà sospingere la sua anima a volare e a rallegrare i suoi giorni mesti e soli, mentre la consapevolezza dell'inafferrabilità dell'Ideale porta a ridestare l'angelo fiaccato che sogna un altro universo, quello dei piaceri e della vita dissoluta (E sogno allor la maga Circe...): così la tristezza permane e le bestemmie a Dio sono cariche di veleno. Si desidera allora un Arte reproba (che possa estraniare il poeta dalla realtà), "d'un ver che mente al Vero" , e che è la causa di una spontanea bestemmia.
La poesia è ricca di allegorie e parallelismi; sono presenti riferimenti alla Divina Commedia di Dante e al Faust di Goethe. Inoltre è evidente la rappresentazione ironica di un Dio che si prende gioco dell'uomo, il riferimento alla maga Circe che trasforma gli uomini in "cervi e pardi".

La vita è per il poeta "ebete" , una contraddizione struggente poiché ogni tentativo di comprenderla è velleitario: « Questa è la vita! l'ebete / vita che c'innamora, / lenta che pare un secolo / breve che pare un'ora».

Il richiamo, evidente, ai poeti del Romanticismo europeo, e la lezione dei parnassiani francesi, sono da parte di Boito scelte culturali, artistiche che vogliono rompere con il provincialismo della poesia italiana.
La rottura con un clima culturale "languido e lacrimoso" si configura anche come aristocratica contrapposizione tra il "genio" (l'artista) e il popolo. Per questo le tematiche delle sue poesie appaiono bizzarre e le scelte linguistiche e metriche difficili.

FACCIAMO IL PUNTO SU : GIOSUE’ CARDUCCI (1835-1907)


1860: cattedra Letteratura italiana Università di Bologna
1890: nomina di senatore del Regno: scrive l’ode filosabauda Piemonte: è ormai il vate ufficiale dell’Italia umbertina
1906: Premio Nobel per la Letteratura.
Gravi lutti segnarono l’ esistenza di G. Carducci: il suicidio del fratello Dante, la morte prematura del figlioletto, Dante, avvenuta nel 1870, la morte della madre, ancora nel 1870. I due gravi lutti del 1870 (la morte della madre e del figlio Dante) indussero nel poeta una profonda crisi depressiva dalla quale lo riscosse soltanto la relazione, dapprima epistolare, poi anche amorosa con Carolina Cristofori Piva , chiamata Lina o Lidia nelle poesie. Fu questo per Carducci – che pure ebbe diverse relazioni extraconiugali, come quelle con Adele Bergamini, Dafne Gargiolli, e più tardi con la giovanissima scrittice Annie Vivanti- un legame lungo e importante, sia affettivamente che culturalmente, troncato solo dalla morte della donna nel 1881. A Carolina Cristofori Piva sono dedicate meravigliose liriche, Alla stazione in una mattina d’autunno, Ballata dolorosa.

PRODUZIONE LETTERARIA
IUVENILIA, LEVIA GRAVIA, INNO A SATANA (pubblicato nel 1865 con lo pseudonimo di enotrio Romano), GIAMBI ED EPODI, RIME NUOVE, ODI BARBARE , RIME E RITMI

1.PRIMA FASE: PRODUZIONE LETTERARIA IMPRONTATA A POSIZIONI IDEOLOGICHE DI STAMPO GIACOBINO, ANTICLERICALE.

Tematiche repubblicane e giacobine, poesie di invettiva politico-civile, sostenute da un taglio realista e dall’etica risorgimentale: Giuseppe Mazzini, La sacra di Enrico V, Per Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, Versaglia, A un heiniano d’Italia. Il ribellismo giovanile del Carducci trovò nutrimento nella lettura di scrittori illuministi e repubblicani, come Voltaire, Michelet e Quinet, poeti laici e radicali, come Arrigo Heine, il filosofo francese Proudhon, teorico del socialismo anarchico.
 In politica, l’Italia sopra di tutto
 In estetica, il Classicismo, come modello di rigore formale , come esaltazione della tradizione letteraria nazionale (Dante, Petrarca, Tasso, Parini, Monti, Alfieri, Leopardi)
 Nella vita pratica, la schiettezza , la virilità, l’intransigenza.

2. ANNI 80 : SPOSTAMENTO SU POSIZIONI MONARCHICHE FILOSABAUDE
Gli anni Ottanta vedono il progressivo allineamento del Carducci su posizioni più filomonarchiche e conservatrici; a ciò si accompagna il suo crescente impegno nel ruolo di “Vate della terza Italia” che si traduce nell’esigenza di allargare l’uditorio ideale, dal pubblico selezionato e culturalmente elevato delle origini, alla ben più vasta platea del pubblico borghese.
Nel 1879 era intanto cominciata la sua collaborazione al periodico filogovernativo e filomonarchico “Fanfulla della Domenica”, cui seguì, fra il 1881 e il 1885, quella alla “Cronaca bizantina” dell’editore romano Angelo Sommaruga. La sua fama di poeta andava intanto crescendo notevolmente, e la pubblicazione nel 1887 delle Rime nuove (che comprende poesie composte dal 1861 al 1887) sancì il suo ruolo di poeta nazionale, punto di riferimento insostituibile per le vicende culturali e politiche italiane; il 4 dicembre del 1890 fu nominato senatore a vita.
Carducci si calò completamente nel ruolo di poeta nazionale: sostenitore della politica coloniale di Francesco Crispi, fra il 1894 e il 1895 compose numerose odi che celebravano la storia italiana dal Medioevo ai suoi giorni , come le notissime odi Piemonte e Cadore, poi confluite insieme ad altre poesie nella raccolta Rime e ritmi (1899). Nel 1904 lasciò l’insegnamento nell’ateneo bolognese, che aveva ricoperto ininterrottamente per quarantatré anni. La sua fama ormai mondiale gli valse nel 1906 il premio Nobel per la letteratura. Morì a Bologna nella notte fra il 16 e il 17 febbraio del 1907.


TEMI DELLA POESIA CARDUCCIANA
 Il tema della NATURA, del Paesaggio; le incontaminate virtù del paesaggio toscano, che si arricchisce di suggestioni simboliche e irrazionali (Bolgheri, Castagneto, la Maremma aspra e selvaggia, custode di antichi, felici ricordi d’infanzia)
 Il tema della MEMORIA, della evocazione nostalgica del passato; il mito dell’infanzia come sogno di illusioni e di speranze di felicità
 Il mito della STORIA ANTICA – in particolare la Storia romana, la storia medievale- come memoria dei massimi civiltà, come retorica celebrazione di epoche gloriose. In questo solco si colloca la produzione carducciana di impronta storica ed epica (Dinanzi alle terme di caracalla, Presso una certosa, Il comune rustico, faida di comune
 Il SENTIMENTO DELLA MORTE, la fuga dalla realtà, il contrasto tra ideale/reale, il Simbolismo (Baudelaire, Mallarmé).
 ASPIRAZIONE ALLA POESIA PURA (“ritornare all’arte pura, di per se stessa morale più d’ogni altra”), un’arte indifferente alla realtà , volta a ricreare un mondo distante e mitico nel quale l’uomo viveva un rapporto “naturale” e istintivo con la Natura creatrice. Nella volontà del Carducci di riproporre l’ideale classico di una poesia pura e incontaminata, si scorge l’incontro della lirica carducciana con l’opera di Charles Baudelaire (il poeta delle Fleurs du mal) . Carducci ebbe modo di visionare l’opera omnia dello scrittore francese già a partire dal 1872 (anno in cui l’amico Giuseppe Chiarini invia al Carducci una prima opera del Baudelaire, Le litanie di Satana). Di chiara ispirazione baudelariana è la lirica del Carducci “Fantasia” dedicata a Lidia (Carolina Cristofori Piva, fervente ammiratrice di Baudelaire), lirica che trae ispirazione dal sonetto Parfum exotique, compreso ne Les fleurs du mal. La concezione baudelairiana della classicità appare, tuttavia, sostanzialmente diversa rispetto a quella maturata del Carducci, in quanto più estrema e decadente, volta ad enfatizzare gli elementi più sensuali e morbosi della Natura . Si tratta, dunque, di influenze episodiche nella poesia carducciana, che appaiono caratterizzate dalla tendenza del Carducci ad attenuare proprio gli elementi più sensuali presenti nel modello francese: l’estetica di Baudelaire non poteva trovare una profonda consonanza in Carducci, che nei confronti del mondo classico serbava l’atteggiamento tipicamente umanistico del restauratore ed imitatore.

Quintiliano – Institutio oratoria II, 2, 1-4 “Doveri del maestro”


“ (Il maestro) assuma anzitutto verso i suoi discepoli i sen¬timenti di un genitore e pensi (exsistimet) di subentrare al posto di coloro che gli hanno affidato i figli . Egli stesso non abbia e non ammetta vizi. La sua severità non sia rigorosa (cupa), la sua cordialità non sia eccessiva, in modo che non nasca di là (inde) l’odio, di qua (hinc) il disprezzo. Parli moltissimo (sermo sit ei plurimus) di ciò che è onesto e di ciò che è buono; infatti quanto più spesso avrà ammonito (monuerit), tanto più raramente castigherà (castigabit). Non sia affatto iracondo, nè trascuri (dissimulator sit) quei difetti che sono da correggere; sia chiaro nell’insegnare, sia amante del lavoro, assiduo piuttosto che eccessivo. (2) Risponda di buon grado a coloro che lo interrogano, di sua iniziativa interroghi coloro che non pongono domande. Nel lodare i modi di dire degli allievi non sia né più scarso del giusto, né eccessivo, poiché il primo atteggiamento (l’avarizia di parole di lode) genera noia per il lavoro; la prodigalità, assenza di preoccupazioni. (3) Nel correggere gli errori ( le cose che saranno da correggere: quae corrigenda erunt), non sia aspro e per nulla offensivo; infatti proprio ciò allontana (fugat) molti dal proposito di studiare e cioè il fatto che (quod dichiarativo) alcuni maestri rimproverino quasi come se odiassero (oderint: cong.perfetto con valore di cong. pres.: odi , odisti, odisse); (4) Egli stesso dica qualcosa di nuovo, anzi ogni giorno molte cose, che poi quelli che ascoltano possano ripetere fra loro (referant secum). Infatti sebbene (licet) il maestro fornisca attraverso la lettura esempi sufficienti da imitare, tuttavia la voce viva, come si suol dire (ut dicitur) nutre più pienamente (plenius) e specialmente la voce di quel precettore che i discepoli, se sono sati istruiti rettamente, amano e rispettano. A stento potrebbe dirsi, si stenta a dirlo, quanto più volentieri imitiamo coloro che ammiriamo”.
Testo originale

"Sumat igitur ante omnia parentis erga discipulos suos animum, ac succedere se in eorum locum a quibus sibi liberi tradantur existimet. Ipse nec habeat uitia nec ferat. Non austeritas eius tristis, non dissoluta sit comitas, ne inde odium, hinc contemptus oriatur. Plurimus ei de honesto ac bono sermo sit: nam quo saepius monuerit, hoc rarius castigabit; minime iracundus, nec tamen eorum quae emendanda erunt dissimulator, simplex in docendo, patiens laboris, adsiduus potius quam inmodicus. Interrogantibus libenter respondeat, non interrogantes percontetur ultro. In laudandis discipulorum dictionibus nec malignus nec effusus, quia res altera taedium laboris, altera securitatem parit. In emendando quae corrigenda erunt non acerbus minimeque contumeliosus; nam id quidem multos a proposito studendi fugat, quod quidam sic obiurgant quasi oderint. Ipse aliquid, immo multa cotidie dicat,quae secum auditores referant. Licet enim satis exemplorum ad imitandum ex lectione suppeditet, tamen viva illa, ut dicitur, vox alit plenius praecipueque eius praeceptoris, quem discipuli, si modo recte sunt instituti, et amant et verentur. Vix autem dici potest, quanto libentius imitemur eos, quibus favemus".

succedo, is, successi,, cessum, ere, 3
trado, is, tradidi, traditum, ere, 3
existimo, as, avi, atum , are, 1
orior, oreris e oriris, ortus sum, oriri, 3 e 4 dep
patior, pateris, passus sum, pati 3 dep
respondeo, es, responsi, responsum, ere 3
percontor, aris, atus sum, ari 1 dep
pario, is, peperi, partum , parere 3
emendo, as, vi, atum, are, 1
corrigo, is rexi, rectum, ere, 3
obiurgo, as, avi, atum , are, 1
vereor, ereris, veritus sum, eri , 2 dep
faveo, es, favi, autum, ere, 2; col dativo
imitor, aris, atus sum, ari, 1 dep

Quintiliano – Institutio oratoria II, 9, 1-3 “Doveri degli allievi”

“Dopo aver detto più cose sul dovere dei maestri, questo solo intanto raccomando agli allievi, che amino i maestri non meno degli stessi studi e che li ritengano (credant) genitori non certamente (non quidem) dei corpi, ma delle menti. (2) Questo rispetto (haec pietas) gioverà molto allo studio; perché così ascolteranno volentieri e crederanno alle parole e desidereranno essere simili (a loro); infine lieti e contenti si recheranno (convenient) nei gruppi (in coetus) dei compagni di scuola; ripresi non si arrabbieranno, lodati, proveranno piacere e al fine di risultare molto cari, si renderanno meritevoli grazie allo studio. (3) Infatti, come è dovere dei maestri (illorum: di quelli) insegnare, così è dovere dei discepoli (horum: di questi) mostrarsi docili; del resto nessuno dei due doveri (neutrum officium) è sufficiente senza l’altro. E così invano avrai sparso i semi (sparseris semina) se il solco preparato in precedenza (praemollius) non li alimenterà: così l’eloquenza non può svilupparsi (nequit coalescere) se non con lo sforzo condiviso di chi trasmette e di chi acquisisce (il sapere)”.


Testo originale
Plura de offlciis docentium locutus discipulos id unum interim moneo, ut praeceptores suos non minus quam ipsa studia ament, et parentes esse non quidem corporum sed mentium credant. Multum haec pietas conferet studio; nam ita et libenter audient et dictis credent et esse similes concupiscent, in ipsos denique coetus scholarum laeti alacresque convenient, emendati non irascentur, laudati gaudebunt, ut sint carissimi studio merebuntur. Nam ut illorum officium est docere, sic horum praebere se dociles; alioqui neutrum sine altero suflicit. Et sicut hominis ortus ex utroque gignentium confertur, et frustra sparseris semina, nisi illa praemollitus foverit sulcus: ita eloquentia coalescere nequit nisi sociata tradentis accipientisque concordia.

Audeo, es, ausus sum, audere, 2
Loquor, eris, locutus sum, loqui, 3 dep
Credo, is, credidi, creditum ere, 3
Concupisco, is, concupivi (ii), concupitum, ere 3
Convenio, is, conveni, conventum, ire
Irascor, irasceris, iratus sum irasci, 3 dep
Gaudeo, es, gavisus sum, ere 2
Mereor, mereris, meritus sum, eri 2 dep
Praebeo, es praebui, praebitum, ere 2
Sufficio, is, suffeci, suffectum, ere 3
Gigno, is, genui, genitum, ere 3
Confero, confers, contuli, collatum, conferre
Foveo, es, fovi, fotum, ere 2
Coalesco, is, coalui, alitum, ere 3
Accipio, is, accepi, acceptum ere 3
Trado, is, tradidi, traditum, ere 3
Nequeo, nequis, nequivi, nequitum, nequire, 4 atem.
Spargo, is, sparsi, sparsum, ere 3