lunedì 3 novembre 2014
TIPOLOGIA A - ANALISI TESTUALE : INFERNO, c.III. Dall'elaborato di Francesca Valeria Malagisi, III D, a.s.2013-14.
COMPRENSIONE
Il terzo canto dell'Inferno è tratto dalla Divina Commedia, il capolavoro di Dante Alighieri composto a partire dal 1304.
E' la sera dell' 8 aprile 1304, venerdì santo, ci troviamo nell'Antinferno, luogo dove risiedono gli ignavi, peccatori condannati a correre senza sosta dietro ad una bandiera bianca, priva di insegne, mentre vengono punzecchiati da mosconi e vespe; qui i due protagonisti, Dante e Virgilio, incontrano Caronte, il traghettatore delle anime dell'Inferno.
Il narratore – protagonista giunge davanti a una porta sulla cui sommità c'è un'iscrizione che preannuncia le caratteristiche del luogo, regno dell'eterno dolore senza speranza. Confortato da Virgilio, che lo incoraggia ad abbandonare ogni viltà, Dante viene introdotto nel regno dei morti. Ode subito, nelle tenebre, un clamore infernale, un misto di gemiti, bestemmie, imprecazioni, percosse, a tal punto da essere indotto al pianto. Virgilio, somma guida di Dante, insuperabile modello di cultura e di saggezza, spiega che sono le anime degli ignavi, le anime di coloro che vissero “sanza ‘nfamia e sanza lodo” (v. 36 ). A questi è unita la schiera degli angeli che, al momento della ribellione di Lucifero a Dio, non si allearono con nessuna delle due parti. Tutti costoro si lamentano per essere oggetto di disprezzo generale, di Dio come del demonio; perciò non è il caso di ragionarne oltre. La loro pena consiste nel correre senza sosta dietro ad una bandiera che si muove velocemente e nell'essere continuamente stimolati da mosconi e vespe, che rigano il loro volto producendo ferite il cui sangue mescolato alle lacrime, è raccolto ai loro piedi da vermi schifosi. Giunto in prossimità di un fiume, Dante scorge una grande moltitudine di anime che si radunano in attesa di esser traghettate alle sedi infernali. Una figura mostruosa, dalla lunga barba bianca (“un vecchio, bianco per antico pelo” v.83; il “nocchier de la livida palude, che ‘ntorno a li occhi avea di fiamme rote” vv.98-99) lancia loro orribili minacce, e invita lo stesso Dante a fuggir via da quel luogo di dolore. In difesa di quest'ultimo interviene Virgilio, che con tono aspro e solenne redarguisce Caronte sottolineando il significato provvidenzialistico del viaggio di Dante, voluto da Dio stesso, per la salvezza propria e dell’intera umanità : “Caron non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare” (vv.94-96) Il canto si chiude con l’immagine, malinconica e struggente , delle anime dannate che si apprestano l’una dopo l’altra, come tante foglie morte che si staccano inesorabilmente dai rami, a salire sulla barca di Caronte. Segue un improvviso terremoto che provoca lo svenimento di Dante.
ANALISI DEL SIGNIFICANTE E DEL SIGNIFICATO
Il terzo canto dell’Inferno è formato da 136 endecasillabi piani, divisi in quarantaquattro terzine più un'ultima quartina; i versi sono legati tra loro da una rima incatenata (terza rima) che segue lo schema ABA BCB CDC, e cosi via. La struttura narrativa è ben modulata per il sapiente alternarsi di sequenze descrittive e dialogiche che mantengono viva l'attenzione del lettore attraverso l'alternarsi di dialoghi a scopo chiarificatore e descrizioni di scene inusuali. A conferire musicalità al componimento si aggiungono anche le figure metriche, quali l'aferesi,l'apocope, la paragoge, nonché le figure foniche, come l'allitterazione al verso 21 (“mi mise dentro a le segrete cose”), dove la ripetizione della lettera “R” nei suoni “TR” e “GR” inseriti rispettivamente nelle parole “dentro” e “segrete” spingono il lettore ad immaginare con vivo realismo la scena in cui Dante e Virgilio si addentrano nell'antinferno.
Il terzo canto dell'inferno si apre con la terribile iscrizione sulla porta dell’ Inferno per ammonimento e avvertimento alle anime che entrano nel regno del dolore; la martellante anafora della prima terzina (“per me si va… per me si va…per me si va…”), la perifrasi della seconda (“Giustizia mosse il mio alto fattore…e ‘l primo amore”), la concisione lapidaria della terza (“ lasciate ogni speranza voi ch’entrate”) ribadiscono, con un linguaggio drammatico e minaccioso, il concetto della dannazione eterna: dall’Inferno cristiano ogni speranza di evasione è impossibile, ogni luce di speranza inesistente. La temporanea suspense, alimentata dallo stato d’animo di Dante, in preda all’angoscia e allo sgomento, coincide con ill momento dell'ingresso all’inferno, momento che segna l'inizio di un viaggio straordinario, non privo di dubbi e paure. Nel primo breve dialogo del canto appare una delle parole tematiche del canto: “viltà” . Dice infatti Virgilio : “ qui si convien lasciare ogni sospetto; ogne vilta' convien che qui sia morta” (vv.14-15); com’è evidente, il termine “viltà” è inserito in un’ affermazione di carattere sentenzioso, carattere ben evidenziato dalla struttura chiastica dei versi. L'intento è duplice: da un lato sottolinea la necessità per Dante di abbandonare ogni esitazione, e affidarsi alla saggezza della sua autorevole guida; dall'altro anticipa il tema dominante del canto: l'ignavia, la pusillanimità. Con il sovrapporsi del linguaggio gestuale a quello verbale (“E poi che la sua mano a la mia pose” v.22) si vuole sottolineare la gravità del momento. Con il CLIMAX ascendente del verso 22 “QUIVI SOSPIRI, PIANTI E ALTI GUAI” ci troviamo in un contesto di confusione e commistione che abbraccia tutta la gamma dei timbri, delle voci acute a quelle afone, con una connotazione generale di disumanità o bestialità. La similitudine del verso 30 (“come la rena quando turbo spira”) ha la funzione di offrire una rappresentazione concreata e realistica di un fenomeno atmosferico reso attraverso una sensazione uditiva caratterizzata dalla caoticità e dalla vorticosità del propagarsi disordinato dei suoni. Il secondo dialogo, invece, ha funzione ESPLICATIVO-DIDASCALICA poiché ci fornisce delucidazioni sulle anime degli ignavi:“Questo misero modo tengon l’anime triste di coloro che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo” (vv. 34-36) Vi predomina una linea di senso che si struttura intorno a parole-chiave incentrate sulla negazione e sull'assenza “VIVER SANZA 'NFAMIA E SANZA LODO” “NON FURON RIBELLI/ NE' FUR FEDELI A DIO” “CACCIANLI I CIEL PER NON ESSER MEN BELLI;/ NE' LO PROFONDO INFERNO LI RICEVE,/ C'ALCUNA GLORIA I REI AVREBBER D'ELLI”, “'NVIDIOSI SON D'OGNE ALTRA SORTE”. Nelle frasi in evidenza predominano elementi grammaticali legati all'idea dell'assenza, assenza che rappresenta metaforicamente l’assoluta mancanza di stimoli, di passioni, di volontà: la negazione di ogni moto dell'animo che spinga ad agire coerentemente con le proprie idee. Assenza e negazione si trasformano nel torpore e nell'inerzia propria dei pusillanimi e vili d'ogni tempo; “non ragioniam di lor, ma guarda e passa" è una formula lapidaria e proverbiale con cui Virgilio vuole esprimere il suo profondo disprezzo nei loro confronti.
La luce fioca presente nell'antinferno permette a Dante di scorgere altre anime che alimentano la curiosità del pellegrino inducendolo a fare ripetute domande al suo accompagnatore, il quale lo azzittisce con un rimprovero. Il silenzio che segue dura fino al momento in cui i due protagonisti giungono sulle rive del fiume all'Acheronte, dove appare la figura di Caronte, il traghettatore delle anime infernali. L'ultima sequenza, dominata dall’immagine orripilante del demone, ci fornisce altre importanti informazioni sulla natura dello stato infernale e sulla drammatica condizione dei dannati. La prima notazione riguarda la presenza costante delle tenebre: l'inferno, infatti, non può usufruire della luce del cielo e la coppia oppositiva risulta essere BUIO-LUCE, mediante cui l’autore vuole sottolineare la totale assenza di speranza, il concetto della dannazione eterna. La conclusione del canto è caratterizzata dalla descrizione di un evento naturale, un terremoto che provoca lo svenimento di Dante, a compimento di una tensione drammatica costruita, fin dai versi iniziali, grazie all’impiego di un linguaggio fortemente espressivo e di immagini intensamente drammatiche.
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