lunedì 2 febbraio 2015
Quintiliano – Institutio oratoria II, 2, 1-4 “Doveri del maestro”
“ (Il maestro) assuma anzitutto verso i suoi discepoli i sen¬timenti di un genitore e pensi (exsistimet) di subentrare al posto di coloro che gli hanno affidato i figli . Egli stesso non abbia e non ammetta vizi. La sua severità non sia rigorosa (cupa), la sua cordialità non sia eccessiva, in modo che non nasca di là (inde) l’odio, di qua (hinc) il disprezzo. Parli moltissimo (sermo sit ei plurimus) di ciò che è onesto e di ciò che è buono; infatti quanto più spesso avrà ammonito (monuerit), tanto più raramente castigherà (castigabit). Non sia affatto iracondo, nè trascuri (dissimulator sit) quei difetti che sono da correggere; sia chiaro nell’insegnare, sia amante del lavoro, assiduo piuttosto che eccessivo. (2) Risponda di buon grado a coloro che lo interrogano, di sua iniziativa interroghi coloro che non pongono domande. Nel lodare i modi di dire degli allievi non sia né più scarso del giusto, né eccessivo, poiché il primo atteggiamento (l’avarizia di parole di lode) genera noia per il lavoro; la prodigalità, assenza di preoccupazioni. (3) Nel correggere gli errori ( le cose che saranno da correggere: quae corrigenda erunt), non sia aspro e per nulla offensivo; infatti proprio ciò allontana (fugat) molti dal proposito di studiare e cioè il fatto che (quod dichiarativo) alcuni maestri rimproverino quasi come se odiassero (oderint: cong.perfetto con valore di cong. pres.: odi , odisti, odisse); (4) Egli stesso dica qualcosa di nuovo, anzi ogni giorno molte cose, che poi quelli che ascoltano possano ripetere fra loro (referant secum). Infatti sebbene (licet) il maestro fornisca attraverso la lettura esempi sufficienti da imitare, tuttavia la voce viva, come si suol dire (ut dicitur) nutre più pienamente (plenius) e specialmente la voce di quel precettore che i discepoli, se sono sati istruiti rettamente, amano e rispettano. A stento potrebbe dirsi, si stenta a dirlo, quanto più volentieri imitiamo coloro che ammiriamo”.
Testo originale
"Sumat igitur ante omnia parentis erga discipulos suos animum, ac succedere se in eorum locum a quibus sibi liberi tradantur existimet. Ipse nec habeat uitia nec ferat. Non austeritas eius tristis, non dissoluta sit comitas, ne inde odium, hinc contemptus oriatur. Plurimus ei de honesto ac bono sermo sit: nam quo saepius monuerit, hoc rarius castigabit; minime iracundus, nec tamen eorum quae emendanda erunt dissimulator, simplex in docendo, patiens laboris, adsiduus potius quam inmodicus. Interrogantibus libenter respondeat, non interrogantes percontetur ultro. In laudandis discipulorum dictionibus nec malignus nec effusus, quia res altera taedium laboris, altera securitatem parit. In emendando quae corrigenda erunt non acerbus minimeque contumeliosus; nam id quidem multos a proposito studendi fugat, quod quidam sic obiurgant quasi oderint. Ipse aliquid, immo multa cotidie dicat,quae secum auditores referant. Licet enim satis exemplorum ad imitandum ex lectione suppeditet, tamen viva illa, ut dicitur, vox alit plenius praecipueque eius praeceptoris, quem discipuli, si modo recte sunt instituti, et amant et verentur. Vix autem dici potest, quanto libentius imitemur eos, quibus favemus".
succedo, is, successi,, cessum, ere, 3
trado, is, tradidi, traditum, ere, 3
existimo, as, avi, atum , are, 1
orior, oreris e oriris, ortus sum, oriri, 3 e 4 dep
patior, pateris, passus sum, pati 3 dep
respondeo, es, responsi, responsum, ere 3
percontor, aris, atus sum, ari 1 dep
pario, is, peperi, partum , parere 3
emendo, as, vi, atum, are, 1
corrigo, is rexi, rectum, ere, 3
obiurgo, as, avi, atum , are, 1
vereor, ereris, veritus sum, eri , 2 dep
faveo, es, favi, autum, ere, 2; col dativo
imitor, aris, atus sum, ari, 1 dep
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