ORA ET LABORA
lunedì 19 settembre 2016
ETA’ DI CESARE ( 78-44 a.C.) - INQUADRAMENTO STORICO-LETTERARIO (Cfr: L.Perelli, Storia della Letteratura latina, Paravia; G.De Bernardis-A.Sorci, Roma antica, vol.1, Palumbo editore; appunti docente)
Per età di Cesare, intendiamo convenzionalmente l'ultima fase della Repubblica romana, un periodo travagliato e convulso di rivolgimenti, conflitti e trasformazioni che portò, prima con la breve dittatura di Cesare (45-44 a. C.), poi con la conquista del potere da parte di Ottaviano Augusto (31 a. C.: battaglia di Azio contro Marco Antonio).), all'instaurazione di un nuovo regime, monarchico non di nome ma di fatto. Il periodo in cui Giulio Cesare fu protagonista sulla scena politica romana, va dal 60 a.C., anno del primo triumvirato, al 44 a. C., l'anno della sua morte.
Tuttavia, in ambito storico-politico ma anche artistico-letterario, l'epoca che va sotto il nome di “Età di Cesare” ha inizio circa trent'anni prima, a partire dagli anni della I GUERRA CIVILE A ROMA (83-82 a. C.) a cui fece seguito la DITTATURA DI SILLA (82-79 a. C.).
Un elemento fondamentale nel quadro politico dell’età di Cesare è il contrasto fra la fazione che Cicerone chiama degli Optimates (ottimati: i conservatori repubblicani), e quella dei “populares” (i democratici). Molto in generale, possiamo dire che i conservatori difendevano i privilegi dei ceti più elevati economicamente e socialmente, in particolare dell'aristocrazia senatoria gelosa di custodire gli antichi privilegi istituzionali, mentre i «populares» facevano leva sul malcontento di chi era escluso o tenuto ai margini della gestione del potere, per proporre mutamenti e innovazioni. All'attaccamento alla tradizione e ai valori del mos maiorum, di cui i conservatori si propugnavano difensori e sostenitori, si contrapponeva, da parte dei «popolari», una consapevolezza più chiara e più spregiudicata della necessità di modificare l'assetto politico e costituzionale per adeguarlo alle grandi trasformazioni economiche e sociali conseguenti all'espansione dell'impero romano; tali trasformazioni, infatti, avevano provocato la rottura degli equilibri preesistenti, rottura assai pericolosa per le istituzioni. Le strutture dello Stato, formatesi e consolidatesi quando la potenza di Roma era limitata ad un territorio relativamente ristretto, non erano più adeguate ad un vastissimo dominio che si estendeva dalla Spagna all'Asia Minore all'Africa settentrionale.
• PRIMA GUERRA CIVILE A ROMA TRA GAIO MARIO E LUCIO CORNELIO SILLA (83-82 a. C.)
• DITTATURA DI LUCIO CORNELIO SILLA : 82-79 a. C
• I TRIUMVIRATO (60-53 a.C) : GAIO GIULIO CESARE –MARCO LICINIO CRASSO- GNEO POMPEO
• II GUERRA CIVILE TRA CESARE E POMPEO (49-48 a.C.) Vittorie di Cesare contro i Pompeiani a Farsàlo, Tapso e Munda (45 a.C.)
• DITTATURA DI CESARE : 45-44 a.C.
• II TRIUMVIRATO : 43 a. C: MARCO ANTONIO- EMILIO LEPIDO- G.CESARE OTTAVIANO
(Proclamarono il divus Iulius; Liste di proscrizione: assassinio di M.T.Cicerone a Formia 43 a. C.)
• BATTAGLIA DI FILIPPI 42 a.C.: MARCO ANTONIO E OTTAVIANO CONTRO I CESARICIDI
• BATTAGLIA DI AZIO (Grecia) 31 a.C. : OTTAVIANO CONTRO MARCO ANTONIO – CLEOPATRA / Assedio di Alessandria d’Egitto, suicidio di Antonio e Cleopatra (30 a. C.)
• IMPERO DI AUGUSTO (27 a. C.-14 d.C.)
Nell’età di Cesare, Roma è pervasa dalla cultura greca, già fortemente presente in Italia fin dal II sec. A. C., ( basti ricordare i provvedimenti di bando emanati contro i filosofi greci giudicati corruttori, nel 173, nel 161 e nel 155 a. C.; ricordiamo anche l’impegno di Catone il Censore,234-149 a. C., a difesa dei costumi della romanità) che apre nuovi percorsi tematici e stilistici alla letteratura latina. A Roma si diffondono nuovi costumi sociali e nuovi ideali di vita: la vecchia società rude e sobria, fedele alle antiche istituzioni e ai principi etici del mos maiorum, ha ceduto il posto ad una società nuova e culturalmente eterogenea, frutto di un vastissimo impero che comprendeva popoli diversi per razza e cultura; inoltre le ingenti ricchezze pervenute a Roma con le guerre di conquista avevano favorito la nascita, nella classe dirigente romana, di nuove esigenze e di nuovi stili di vita di impronta ellenististica.
La cultura e l’arte dell’età di Cesare (80-44 a. C.) sono, dunque, il riflesso di una società in piena trasformazione, dominata da un contesto politico quanto mai difficile e convulso.
Così come sorgono e si alternano sullo scenario politico grandi personalità : Gaio Mario, L.C. Silla, G.Cesare, Gneo Pompeo, M. T. Cicerone, così fioriscono autorevoli individualità artistiche nonché nuove tendenze letterarie e filosofiche.
Accanto alle tradizionali forme della letteratura latina dell’Età arcaica (240- 78 a.C.):
LA POESIA EPICA = vedi Gneo Nevio (Capua 275-201 a. C.): Bellum Poenicum, I guerra punica, verso saturnio / Ennio( Magna Grecia 239-169 a. C.): Annales, verso esametro greco;
LA TRAGEDIA = Livio Andronico (Taranto 280 -200a. C.); Gneo Nevio.
LA COMMEDIA = Livio Andronico; Gneo Nevio; Plauto ( Sarsina 254-184 a. C), autore di almeno 21 fabulae palliatae; Terenzio (Cartagine 190-160 ca a.C.), autore di 6 fabulae palliatae
si affermano nuove correnti letterarie, nuove forme poetiche, nuovi generi letterari:
LA LIRICA (poesia d’amore a carattere soggettivo ed intimistico)
ELEGIA-EPIGRAMMA- EPILLIO
EPISTOLARIO
IL MIMO
E sul piano letterario, LA POESIA NEOTERICA.
I “poetae novi”, come furono sprezzamente definiti da Cicerone, o Neòteroi, ispirandosi alla poesia ellenistica ( III sec. a. C.) e ai poeti greci alessandrini (Callimaco, in primis), elaborarono componimenti molto dotti e raffinati sul piano formale, dal contenuto tenue e delicato, spesso amoroso e soggettivo; tra essi emersero Catullo, Elvio Cinna (Zmyrna), Licinio Calvo. Sul piano politico i poetae novi furono decisi avversari di Cesare.
In realtà, è da evidenziare come già a partire dal II sec. a. C. (eta arcaica) c’era stato qualche sintomo di cambiamento nei gusti e nelle tendenze della cultura romana in direzione filoellenica con la creazione del Circolo degli Scipioni ( Fondato e animato da personalità quali Scipione l’Emiliano, Gaio Lelio, Furio Filo, Publio Terenzio, Caio Lucilio; fra i Greci, Polibio e il filosofo Panezio di Rodi, ideologo del concetto di “humanitas”.Furono sostenitori degli ideali di humanitas, autonomia della persona umana nella scelta delle proprie inclinazioni naturali, otium letterario ).
LA SATIRA, il cui iniziatore fu Ennio ( Magna Grecia 239-169 a. C.) in età arcaica, fu un genere letterario che continuò a svilupparsi a Roma fino a raggiungere la massima espressione con
LUCILIO (148 - 102 a. C.?), ritenuto il vero fondatore di questo genere letterario, e successivamente con ORAZIO (età di Augusto), PERSIO E PETRONIO (età imperiale).
STORIA E POESIA IN ETA’ DI CESARE E DI AUGUSTO
Fra i poeti, letterati e storici dell’età di Cesare emergono CATULLO (Verona 84-54 a.C.), LUCREZIO (96- 53 a.C.), CESARE (100-44 a.C.), SALLUSTIO (86-34 a. C.), CORNELIO NEPOTE (100-43 a.C.), CICERONE (106-43 a. C.).
GENERI POETICI IN ETA’ DI CESARE (78-44 A. c.) e di AUGUSTO (27-14 d.C)
Poesia lirica: Catullo (86 a. C.), Virgilio (70 a. C. ), Orazio (65 a. C)
Epigramma: Catullo – Marziale (Dinastia flavia)
Elegia: Catullo, Tibullo(50 a.C.-19 a.C.); Properzio (50 a.C.-15 a.C); Ovidio
Poesia didascalica: Lucrezio (80-40 a. C.), Virgilio
Poesia epica (epico-storica): Ennio, Virgilio, Lucano
Satira: Lucilio, Orazio, Persio, Petronio
Poesia mitologica: Ovidio
LA STORIOGRAFIA: AUTORI DI OPERE STORICHE
Cesare (100-44 a.C.): De bello gallico (58-52 a. C.) in 7 libri; De bello civili (49-46 a. C.) in 3 libri
Cornelio Nepote (100-30 a. C.), cultore dell’aneddotica antica : De viris illustribus in 16 libri: di essi rimane la categoria dei condottieri stranieri (Alcibiade, Annibale ) e due storici latini (Catone il Censore, Pomponio Attico).
Sallustio (86-35 a. C.): autore di 2 monografie De coniuratione Catilinae, Bellum iugurthinum; Historiae; 2 Epistulae ad Caesarem.
Tito Livio (59 a. C.-17 d.C.), Tacito (54 d. C.-120 d. C.), Svetonio (70-140 d. C.).
LA STORIOGRAFIA E LA BIOGRAFIA
La Storiografia, come molti altri generi letterari antichi, nacque in Grecia in tempi assai antichi, già a partire dal VI sec. a. C. con l’attività letteraria dei cosiddetti logografi, i quali descrivevano i luoghi, gli usi e costumi dei popoli con i quali venivano a contatto nei loro viaggi.
A poco a poco dalla Logografia ebbe origine la Storiografia e ciò avvenne allorché agli interessi puramente etnogeografici (usi, costumi) subentrarono quelli più specificatamente storici. Il primo autore che potremmo definire “storico” è ERODOTO DI ALICARNASSO (484-430 a.C.), definito a tal proposito il “padre” dell genere storiografico.
Dopo Erodoto, il primo grande autore storico greco è TUCIDIDE di Atene (460-400), autore della celebre Guerra del Peloponneso, che con straordinaria capacità di analisi descrive il conflitto che condusse alla distruzione della egemonia ateniese, e quindi alla dissoluzione della Polis. Tucidide è considerato il fondatore del metodo storiografico: attento all’informazione precisa, all’utilizzo diretto delle fonti storiche, all’impiego di una documentazione rigorosa e scientifica basata su documenti originali, all’esposizione di fatti ordinati cronologicamente, all’acuta valutazione del fatto storico e all’inquadramento di esso all’interno di una più ampia visione che riguarda tutta la storia greca.
Dopo Tucidide, in età ellenistica (323- 31 a.C) la storiografia di stampo tucidideo declina e si diffonde piuttosto il genere della Biografia, legata spesso ad opere che raccontano le gesta eroiche di Alessandro Magno.
La Storiografia in senso stretto trovò più tardi un autorevole esponente nel grande storico greco POLIBIO di Megalopoli (II sec. a. C.). Deportato a Roma dopo la Battaglia di Pidna (168 a C.) ed inserito nel Circolo filoellenico degli Scipioni, Polibio fu cultore di una storiografia che, alla stregua dell’ideale tucidideo, fosse attenta all’informazione precisa, all’utilizzo di una documentazione rigorosa e scientifica basata su documenti originali e ben documentati. Per Polibio, come già era accaduto per Tucidide, la Storia e quindi anche l’opera storica, assume un carattere pragmatico ed universale, poiché da essa scaturiscono direttamente validi insegnamenti di natura pratica a carattere politico e civile, la Storia cioè può insegnare all’uomo politico le norme pratiche per giungere al successo.
A ROMA la Storiografia si diffuse come genere letterario a partire dalla conquista di Taranto e della magna Grecia (III sec a.C.), allorché Roma avvertì l’esigenza di far conoscere le sue gesta e la sua posizione di futuro perno politico militare di tutto il bacino mediterraneo.
Le prime forme di Storiografia romana sono di taglio annalistico (Storiografia annalistica: esposizione cronologica degli eventi accaduti nell’anno), sulla base del fatto che già in età arcaica si era diffusa l’abitudine da parte dei Pontefici massimi di stilare una lista nella quale venivano registrati gli eventi più significativi di ciascun anno.
Dopo gli annalisti, tra i quali ricordiamo l’opera di Fabio Pittore, fu Marco Porcio Catone (il Censore, 234- 149 a. C.) a distinguersi nel campo della Storiografia. Intransigente conservatore, noto per la celebre citazione “Ceterum censeo Carthaginem delendam esse”, fu un integerrimo custode della più antica tradizione romana e dei valori del mos maiorum (fides, pietas, industria, integritas,gravitas aequitas, magnitudo animi, frugalitas, virtus guerriera etc…).La sua opera storiografica, nonché il capolavoro della sua produzione letteraria, sono le Origines (174 a. C.), in 7 libri; le Origines rappresentano il primo esempio nel mondo romano di opera storica che, pur procedendo nella esposizione cronologica dei fatti a partire dalla Roma monarchica,non presenta una struttura annalistica. In tutti gli eventi narrati, Catone non fa menzione dei loro protagonisti e quindi instaura una prassi storiografica, successivamente poco fortunata, in controtendenza con la tradizione romana che invece accordava ampio spazio di celebrazione agli eroici protagonisti delle vicende narrate (vedi in seguito Tito Livio).La scelta, singolare, di non menzionare i protagonisti degli eventi va collegata all’esigenza di ascrivere le gesta di Roma e la sua grandezza non tanto al merito dei singoli, bensì alla dedizione e all’eroismo dell’intera collettività, sulla quale grava la salvezza della Res publica. (Storiografia: funzione moralistica)
- Dopo il contributo di Catone il Censore, dovremo aspettare l’età delle guerre civili (I guerra civile 88-81 a C./ II guerra civile 49-46 a.C.) per assistere ad una nuova fase di sviluppo della Storiografia. Infatti, in questo periodo sono Cesare (100-44 a. C.) e Sallustio (86-35 a.C.) a portare il genere letterario della storiografia a livelli di assoluta grandezza attraverso la composizione di celebri opere a carattere monografico.
Cesare fu autore di 2 importanti opere storiche: Commentarii de bello gallico, in 7 libri, riferiti ai 7 anni della guerra gallica dal 58 al 52 a. C.; Commentarii de bello civili, in 3 libri, riferiti alla seconda guerra civile tra Cesare e Pompeo (49-46 a. C.). Il Commentarius in realtà non è uno scritto letterario definito e compiuto, bensì un resoconto essenziale, stringato e compendioso, che successivamente sarebbe diventato un’opera di tipo storico. Anche lo stile si avvale di una prosa sobria e chiara, il tono volutamente distaccato, la narrazione in terza persona. L’intenzione fondamentale di Cesare nelle sue opere storiche è quella di presentare la propria immagine come quella di un condottiero che riesce a far coincidere la gloria personale con il superiore interesse della Repubblica romana, per la quale combatte fieramente e al cui servizio mette tutta la propria perizia militare. Aspetto fondamentale del De bello gallico è che Cesare non manca mai di attribuire parte dei successi militari alla fedeltà delle truppe nella loro collettività, al loro senso di abnegazione e di sacrificio.
Negli stessi anni in cui Cesare compose i suoi Commentarii, a Roma spicca la figura di un altro grande storico amico di Cesare, Gaio Sallustio (86-35 a.C.) autore di due opere a carattere monografico: il Bellum Catilinae (De coniuratione Catilinae) e il Bellum Iugurthinum, che raccontano rispettivamente la congiura ordita da Lucio Sergio Catilina, un estremista democratico di origine aristocratica, nel 63 a. c. ai danni della Res publica, e la guerra contro Giugurta (111-105 a. C.), in cui per la prima volta nella storia di Roma si era evidenziata con forza la corruzione dei dirigenti aristocratici. Le opere storiche testimoniano l’interesse di Sallustio per la politica e per le questioni morali che riguardavano la società del tempo. In entrambe le monografie l’autore mette in evidenza il legame tra ricchezza, potere, corruzione, decadimento dei costumi morali (cupiditas imperii, cupiditas pecuniae); in entrambe si scorge l’intento di esaltare celebri personalità del partito democratico, presentati come onesti e animati da nobili ideali e di colpire taluni aristocratici, ritenuti avidi e corrotti.(Storiografia: funzione moralistica)
Dopo la Battaglia di Azio (31 a. C.) e il suicidio di Antonio e Cleopatra, Ottaviano conquista il potere che divenne ufficiale nella seduta del senato del 27 a. C. Con la nascita del Principato di Augusto, si assiste ad una fase di intensa rinascita culturale, nonché di trasformazione dei costumi sociali in direzione di un recupero dei più antichi valori del mos maiorum, gli antiqui ac boni mores che le ultime generazioni avevano trascurato privilegiando disvalori come disvalori come l’ avaritia e la mala ambitio. Ottaviano stesso si fece promotore di una cultura ad indirizzo celebrativo e propagandistico, che celebrasse i fasti e la grandezza dell’impero romano, la sacralità delle proprie origini, l’appartenenza ad una storia antica fatta di gesta memorabili e di grandi eroi.
In questa ottica si colloca la monumentale opera storica di Tito Livio (59 a. C.-17 a. C.): Ab urbe condita libri, in cui l’esaltazione che l’autore fa di un passato insigne e miticamente riproposto risulta funzionale al progetto di restaurazione augustea e contribuisce a conferire all’opera un taglio decisamente epico. L’opera storica di Tito Livio tende ad esaltare la virtù, intesa essenzialmente come virtù eroica: la storia di Tito Livio è stata definita la storia del popolo romano, ma in realtà il popolo come totalità dei cittadini rimane in secondo piano sullo sfondo, mentre emergono le figure di uomini e condottieri dotati di virtù eccezionali. La grandezza e la superiorità di Roma sono determinate dalla presenza di una elite di uomini forti e virtuosi, elite la cui continuità è assicurata da una salda disciplina morale che affonda le sue radici nel rispetto del mos maiorum. Dell’immensa opera che doveva comprendere 142 libri o forse 150, sono rimasti 35 libri: la prima decade, La terza, la quarta e metà della quinta. (Storia e storiografia: funzione celebrativa, funzione educativa).
In età Giulio-claudia la Storiografia, come tutti i generi letterari, risentì non poco del clima liberticida instaurato dai Principes, per cui o aderì ai dettami della restaurazione morale già avviata in età augustea, schierandosi dalla parte del potere e diventando un efficace strumento propagandistico (vedi Virgilio, l’Eneide; Tito Livio, Ab urbe condita;), oppure percorse strade alternative, finendo col subire talvolta anche una durissima repressione.
Più tardi, in età di Traiano, spicca l’opera storica di Tacito (55-120 d.C.), autore degli “Annales” (16 libri, struttura annalistica) che trattano del periodo intercorrente tra la morte di Augusto (14 d. C.) e la fine di Nerone (68 d. C.); a noi sono pervenuti i primi sei libri sul principato di Tiberio, e i libri da metà dell’XI a metà del XVI che si riferiscono parte al regno di Claudio, parte a quello di Nerone, fino al 66 d. C.
Tacito rappresenta il maggiore storiografo dell’età di Traiano e forse di tutta la letteratura latina; egli saluta con ottimismo l’avvento del principato traianeo, dopo gli anni bui della tirannide di Domiziano (Dinastia Flavia). Con la sua attività di storiografo, Tacito rileva dapprima la degenerazione dell’istituzione imperiale in età flavia (vedi le Historiae), successivamente va a ricercarne le cause fino al tempo di Augusto (dinastia Giulio-claudia). L’attività storiografica di Tacito, tuttavia, non mira a delegittimare la figura imperiale: egli riconosce nell’Impero la sola forma di governo ormai possibile a Roma, e avanza la necessità di promuovere tra i cittadini una rinnovata fase di progresso civile. Tacito è legato al costume e alla memoria della repubblica aristocratica, coltivando un ideale etico-politico che gli consente di attribuire alla Storiografia una funzione moralistica: il conservatorismo moralistico di Tacito si risolve nel mito nostalgico di un passato antichissimo incorrotto.
Dopo l’età di Traiano la Storiografia entra in una crisi inarrestabile e spesso finisce col ridursi a semplice Biografia*. Da tutto il periodo tardo antico emerge solo la figura di Ammiano Marcellino (330-400 d. C.), il quale tentò con la sua opera Rerum gestarum libri XXXI di tracciare un quadro complessivo della crisi dell’Impero individuando, come già aveva fatto Tacito nel II sec. d.C., una matrice moralistica, senza attribuire il giusto peso a nuove cause endogene ed esogene, come la diffusione del Cristianesimo e l’intensificarsi delle invasioni barbariche.
LA BIOGRAFIA. La Biografia è un sottogenere della Storiografia; al pari della Storiografia, la Biografia si occupa di Storia, tuttavia, mentre la Storiografia tratta fatti accaduti in maniera generale e complessiva, la Biografia ha come oggetto la descrizione della vita di personaggi illustri presentata sotto il profilo dell’indagine curiosa e minuziosa sul comportamento, sui gusti, sulle gesta, sul carattere dei protagonisti della storia.
ANAISI DEL TESTO NARRATIVO. PROGRAMMA DI STUDIO classe I A a.s.2016/17
IL TESTO NARRATIVO è un testo che intende narrare una storia secondo un ordine logico e cronologico che è quello stabilito dal narratore.
ANALISI
A) PRESENTAZIONE SOMMARIA DEL TESTO (titolo, genere letterario, autore, opera da cui il testo è tratto, periodo di composizione).
B) ANALISI DEGLI ASPETTI STRUTTURALI DEL TESTO
LA TRAMA : è la storia presentata da ciascun testo narrativo; la trama si compone di due elementi fondamentali:
LA FABULA: è l’insieme degli avvenimenti che costituiscono la vicenda del testo narrativo, disposti secondo un ordine “naturale”, cioè secondo un ordine logico e cronologico, senza prolessi (anticipazioni) e senza analessi o flashback (richiami al passato). Le analessi e le prolessi alterano il regolare sviluppo dell’ordine narrativo.
L’INTRECCIO è l’ordine con cui il narratore dispone liberamente gli elementi della storia, che possono prescindere dall’ordine logico-temporale-causale della fabula (nei Promessi Sposi l’intreccio è dato dagli avvenimenti che si inseriscono e si sovrappongono alla storia principale tra Renzo e Lucia). In un testo narrativo fabula e intreccio possono coincidere o meno.
LE SEQUENZE: Le sequenze costituiscono le unità narrative del racconto; possono essere tagliate ed esaminate separatamente sulla base dei loro specifici contenuti.
Seuenza 1 (rr.1-5): Non capisco….mille metri; sequenza 2(rr. 6-15): Erano sbarcati…….minimamente infastidito; sequenza 3 (rr 16-37).
LE SEQUENZE POSSONO ESSERE DISTINTE IN:
- Sequenze narrative = sono sequenze dinamiche e fanno procedere la narrazione.
- Sequenze descrittive = sono sequenze statiche e frenano il “ritmo” della narrazione.
- Sequenze Riflessive = sono sequenze statiche e sono utilizzate dal narratore per esprimere il proprio pensiero, mediante delle digressioni personali.
- Sequenze dialogate = corrispondono ai dialoghi all’interno del tessuto narrativo. Possono essere statiche o dinamiche.
- Sequenze miste
STRUTTURA TIPO DEL TESTO NARRATIVO: Ciascun testo narrativo, smontato in sequenze può essere schematizzato e analizzato sulla base della seguente struttura tipo:
- situazione iniziale di equilibrio (righe 1-5): il narratore fornisce al lettore le coordinate essenziali per la collocazione degli eventi nello spazio e nel tempo. Il narratore ci presenta la vita del protagonista nella sua povertà e ignoranza (Cfr. I. Calvino, Il contadino astrologo, in “Fiabe italiane”).
- Rottura dell’equilibrio iniziale (righe 6-19):il narratore introduce un fatto imprevisto, l’irruzione sulla scena di un nuovo personaggio, o altro ancora, scompigliano l’equilibrio iniziale e mettono in moto la vicenda vera e propria. L’equilibrio iniziale viene rotto dal bando del re e dalla decisione di Gàmbara di spacciarsi per astrologo e di mettersi alla ricerca dell’anello.
- Peripezie (righe 20-31): la storia si sviluppa in un crescendo di avvenimenti. Iniziano le peripezie del protagonista che cerca di ingannare chi lo attornia fingendosi astrologo.
- Spannung (righe 32-42)momento di massima tensione narrativa. Il protagonista passa all’azione per far uscire allo scoperto i colpevoli : siamo al momento di Spannung.
- Scioglimento della vicenda e ricomposizione dell’equilibrio iniziale (righe 43-56) superato il momento di massima tensione narrativa, la vicenda si avvia verso la ricostituzione di un nuovo equilibrio. La confessione dei servi allenta la tensione e offre al protagonista la possibilità di raggiungere il suo scopo.
- Conclusione: il narratore descrive la situazione finale. La situazione finale vede Gàmbara ricco e ammirato.
C) I PERSONAGGI : possono essere personaggi reali, quando sono individui realmente esistiti (personaggi storici o dell’attualità), introdotti nel mondo della narrativa; possono essere personaggi immaginari (realistici: con caratteristiche verosimili ; fantastici).
Il personaggio può essere presentato dal narratore; da un altro personaggio; da se stesso. Quando più tecniche sono presenti, parliamo di tecnica mista.
PRESENTAZIONE DIRETTA E PRESENTAZIONE INDIRETTA
Si parla di presentazione diretta se il personaggio è caratterizzato immediatamente, se, cioè il narratore direttamente oppure attraverso altri personaggi o il personaggio medesimo, fornisce subito precise informazioni sulle sue caratteristiche fisiche, psicologiche, culturali creandone un profilo ben delineato. La presentazione diretta è molto usata nella fiaba, nella favola e, in generale, nei racconti tradizionali.
La presentazione indiretta avviene quando il personaggio non è presentato in maniera diretta, chiara e oggettiva, ma il suo profilo si delinea agli occhi del lettore gradualmente, mediante indizi che richiedono l’interpretazione e la riflessione da parte del pubblico.
- I Personaggi possono essere presentati mediante alcuni tratti che ne costituiscono la fisionomia:
secondo caratteristiche fisiche (sesso, età, aspetto fisico, abbigliamento, difetti fisici…);
caratteristiche psicologiche ( evidenziare gli elementi che rivelano il carattere del personaggio; impulsività/ riflessione; furbizia/ingenuità; viltà/coraggio; egoismo/generosità);
caratteristiche socio-culturali (lavoro, cultura, tipo di vita, ambiente, aspirazioni e interessi, abbigliamento).
I personaggi all’interno di una narrazione possono anche definirsi a tutto tondo o pluridimensionali , se il carattere è ben delineato dal narratore e se esso è costituito da molteplici sfaccettature e da un forte spessore psicologico;
Al contrario parliamo di personaggio piatto o unidimensionale se di un personaggio il narratore ci fornisce una descrizione superficiale, in cui spiccano uno o due caratteri psicologici distintivi: in tal caso parliamo di “tipo” legato ad un ruolo fisso e ben preciso all’interno della vicenda narrativa, dal comportamento prevedibile e stereotipato.
I personaggi possono classificarsi, inoltre, in personaggi statici (Mastro Geppetto in “Pinocchio”) e in personaggi dinamici (Pinocchio).
- I personaggi possono essere analizzati anche in base al ruolo e alle funzioni che essi svolgono all’interno della narrazione.
Il ruolo più rilevante è ricoperto dal Protagonista (perno della vicenda), a cui si oppone spesso un Antagonista o “oppositore” o “avversario”.
Talvolta il protagonista di una storia può essere costituito da un gruppo di personaggi che agiscono insieme, in maniera compatta: in questo caso si parlerà di Protagonista collettivo; altre volte sono presenti più protagonisti: in questo caso si parlerà di co-protagonisti.
Il fine che un protagonista si propone di raggiungere costituisce l’ oggetto del desiderio, che può essere l’amore di una fanciulla. Dall’azione del protagonista trae vantaggio il destinatario , non di rado coincidente col protagonista stesso.
E’ presente a volte anche un destinatore, un’entità al di sopra delle parti, una forza che funge da guida all’azione e la percorre nel suo svolgersi. Ad affiancare il protagonista e l’antagonista ci sono i vari aiutanti che svolgono la funzione di intermediari.
D) TEMPO-SPAZIO- RITMO DELLA NARRAZIONE
Ciascuna opera a carattere narrativo è delimitata da due coordinate fondamentali all’interno delle quali si muove la storia : il tempo ( che indica la successione e la progressione cronologica degli avvenimenti) e lo spazio ( che consente al lettore di definire l’ambiente in cui si svolge la vicenda).
IL TEMPO DELLA NARRAZIONE (Tempo del racconto o del discorso) non si presenta quasi mai nella durata reale ed effettiva degli avvenimenti, poiché il narratore scandisce a proprio piacimento i tempi del suo racconto, dilatando o accorciando sequenze. Dobbiamo quindi distinguere tra
- Il tempo del racconto, che è la durata della narrazione e non quella dei fatti narrati;
- Il tempo della storia, che è la durata reale dei fatti narrati.
Il tempo del racconto può dunque avere durata assai variabile ed essere scandito, proprio come un brano musicale, da un RITMO narrativo più veloce o più lento.
Per poter accelerare o dilatare il RITMO DELLA NARRAZIONE, il narratore ricorre ad alcuni artifici stilistici:
- L’Ellissi: consiste nella omissione di una serie di avvenimenti che si sono succeduti in un certo arco temporale, ritenuti poco utili ai fini della narrazione. Il ritmo della narrazione è accelerato.
- Il Sommario: consiste in una rapida sintesi degli avvenimenti. Il ritmo della narrazione è accelerato.
- La Digressione: è un particolare tipo di pausa narrativa inserita dal narratore, una deviazione dalla narrazione che ha lo scopo di fornire notizie aggiuntive su fatti e personaggi. Il ritmo della narrazione, in presenza di digressioni, appare rallentato.
- La Pausa: si ha in presenza di sequenze descrittive e sequenze riflessive. Il ritmo della narrazione appare rallentato.
- La Scena: si verifica quando c’è perfetta corrispondenza tra tempo della storia e tempo del racconto ( TEMPO DELLA STORIA= TEMPO DEL RACCONTO), e cioè in presenza di sequenze dialogate. Il ritmo della narrazione risulta rallentato.
LO SPAZIO : consente al lettore di definire l’ambiente in cui si svolge la vicenda e aiuta il lettore a percepire meglio le atmosfere delle storie, le azioni, le caratteristiche e gli stati d’animo dei personaggi; Gli spazi descritti in un testo possono essere interni (spazi chiusi) o esterni (spazi aperti); reali, realistici o fantastici.
E) AUTORE E NARRATORE. PUNTO DI VISTA
Un testo narrativo è un testo che si propone di raccontare una storia secondo un ordine (logico e cronologico) che è quello stabilito dal narratore. In un testo, tuttavia, la storia può essere raccontata dal PROTAGONISTA stesso (narrazione in I persona), da uno dei PERSONAGGI, oppure da un NARRATORE estraneo alla vicenda.
In un racconto dobbiamo distinguere: IL NARRATORE DALL' AUTORE DEL TESTO
L’AUTORE corrisponde alla persona reale che ha composto l’opera.
IL NARRATORE (VOCE NARRANTE) è colui che racconta la storia. Può coincidere o meno con l’autore del testo; può coincidere o non coincidere con uno dei personaggi della storia. Generalmente la voce narrante non coincide con l’autore, poiché esso è un artificio letterario, cioè un’invenzione dell’autore.
NARRATORE INTERNO – NARRATORE ESTERNO
Il narratore si dice interno(“omodiegetico”) quando partecipa, ha partecipato alla vicenda o ne è stato un semplice testimone e successivamente la racconta. Egli può coincidere con il protagonista dell’opera(narratore autodiegetico), oppure con uno dei personaggi della storia (narratore testimone). LA NARRAZIONE SI SVOLGE IN PRIMA PERSONA o anche in terza persona.
Il narratore si dice esterno (“eterodiegetico”) quando esso non partecipa e non ha partecipato alle vicende che racconta, non è uno dei personaggi, ma racconta gli avvenimenti dall’esterno, come una voce fuori campo. LA NARRAZIONE SI SVOLGE IN TERZA PERSONA.
Il narratore esterno può essere: IMPERSONALE o NASCOSTO (racconta astenendosi da qualsiasi commento); PERSONALE O PALESE(interviene nella narrazione con giudizi).
NARRATORE DI PRIMO GRADO-NARRATORE DI SECONDO GRADO
Talvolta può accadere che il narratore (interno o esterno alla storia) ceda la funzione di raccontare ad un’altra voce, costituita da uno dei personaggi o da un soggetto estraneo alla vicenda. Definiamo narratore di primo grado colui che inizia il racconto, narratore di secondo grado colui che la continua.
PUNTO DI VISTA O FOCALIZZAZIONE
Il narratore può presentarci la storia secondo tre diverse angolazioni. La prospettiva secondo la quale è presentata una storia si chiama PUNTO DI VISTA O FOCALIZZAZIONE.
Distinguiamo tre tipi di focalizzazione:
- FOCALIZZAZIONE ZERO: è L’OTTICA DEL NARRATORE ONNISCIENTE = che sa tutto (interno- esterno: A. Manzoni ne “I Promessi Sposi”).
Nel racconto a focalizzazione zero, il narratore sa tutto e vede tutto, più degli stessi protagonisti, conosce la storia passata, presente o futura, interviene spesso nella storia con digressioni, flashback e prolessi.
- FOCALIZZAZIONE INTERNA: è l’ottica del narratore che presenta i fatti secondo il punto di vista del protagonista o di uno dei personaggi; si tratta di una prospettiva parziale e ristretta. Il narratore può essere interno alla storia (molto spesso), oppure esterno.
- FOCALIZZAZIONE ESTERNA>: è l’ottica di un narratore esterno alla storia che si limita a registrare ciò che vede: le azioni, le parole, i dialoghi dei personaggi senza conoscere i loro pensieri, senza intervenire con giudizi e commenti personali.
F) TEMA MESSAGGIO CONTESTO
Il tema è l’argomento dominante di cui tratta il testo; Il messaggio indica qual è il significato del testo; ciò che il testo suggerisce al lettore; il contesto indica la collocazione cronologica dell’autore del testo, la tradizione letteraria di appartenenza dell’opera, il contesto storico, politico e sociale in cui si situa l’opera dell’autore.
G) TECNICHE NARRATIVE, LINGUA E STILE
gli scrittori hanno un personale modo di raccontare che si esprime mediante un particolare tipo di parole utilizzate, mediante il significato e l’espressività che sono attribuiti alle parole, mediante l’uso di figure retoriche e nel modo in cui sono strutturati i periodi.
STILE PARATTATTICO O IPOTATTICO. Stile paratattico: è uno stile semplice, chiaro e scorrevole, caratterizzato dalla prevalenza di periodi coordinati. La struttura sintattica della coordinazione contribuisce a determinare un ritmo narrativo incalzante, stringato, veloce. è lo stile narrativo che si è diffuso nel secondo dopoguerra. Stile ipotattico: è uno stile elaborato, caratterizzato dalla prevalenza di proposizioni subordinate con frasi lunghe e complesse Lo stile ipotattico conferisce alla narrazione un ritmo cadenzato, talora faticoso e di non semplice comprensione. E’ tipico dello stile classico; inoltre, se le proposizioni subordinate sono collegate dalla virgola, si dicono collegate per asindeto; se sono legate dalla congiunzione “e”, si dicono collegate per polisindeto.
COESIONE- COERENZA: La coesione riguarda la corretta concordanza degli elementi della frase mediante concordanze grammaticali (soggetto-verbo, sostantivo -articolo; ordine delle parole nella frase) e mediante i connettivi testuali (preposizioni, congiunzioni, avverbi,locuzioni avverbiali punteggiatura).
La coerenza riguarda i rapporti logici tra le varie parti del testo, e collega le informazioni del testo ad un tema dominante (idea centrale).
TIPI DI DISCORSO: discorso diretto, discorso indiretto (riferisce i pensieri facendoli dipendere da un verbo dichiarativo: dice che, dico che); discorso indiretto libero (il narratore riferisce i pensieri dei personaggi direttamente, senza introdurli da verbi dichiarativi); monologo interiore (il narratore entra nela mente di un personaggio e descrive ciò che il personaggio sta pensando); soliloquio ( il personaggio parla ad alta voce da solo; flusso di coscienza (è la registrazione dei pensieri dei personaggi in maniera alogica e irrazionale, così come si presentano; questa tecnica narrativa presenta un’assenza di punteggiatura.
FIGURE RETORICHE: sintattiche ( anacoluto, anadiplosi, asindeto, ellissi, iterazione, polisindeto); figure retoriche semantiche (accumulazione, climax, iperbole, ironia, litote, metafora, metonimia, reticenza, similitudine, sineddoche, sinestesia).
REGISTRO LINGUISTICO: registro aulico ( lessico colto e ricercato; sintassi complessa ed elaborata, con espedienti retorici e citazioni colte); registro formale(lessico preciso e ricercato, ma privo di fronzoli retorici; sintassi essenziale, chiara e rigorosa) registro medio ( lessico preciso ma non ricercato, la sintassi è corretta e scorrevole); registro basso, colloquiale e realistico (lessico generico e popolare, con inserti dialettali; sintassi semplice e talvolta scorretta, tipica del parlato quotidiano).
LA COMUNICAZIONE E I TESTI
Un TESTO, in generale, è un atto comunicativo che consente ad un EMITTENTE di trasmettere un MESSAGGIO al suo DESTINATARIO. Il testo è costituito, infatti, da un insieme di frasi collegate tra loro da una rete di rapporti. Tra i caratteri fondamentali del testo ricordiamo l'organicità e la compiutezza; il legame con una determinata situazione comunicativa , che dipende sia dagli obiettivi di chi produce il testo (l'emittente, che parla o scrive) sia dalle esigenze di chi riceve ( il ricevente, che ascolta o legge. Un testo può essere orale o scritto (una conversazione, una lezione, un articolo di giornale, una poesia, una romanzo).
Per comunicare, l’emittente utilizzerà un CODICE che può essere verbale o non verbale: i Codici verbali si affidano alle parole. Il Linguaggio verbale è, infatti, un codice organizzato di Segni ( ad es. le lettere dell’alfabeto) che può essere utilizzato sia in forma scritta che in forma orale. I codici non verbali si affidano a segni, che sono immagini, simboli, suoni. Tra i codici non verbali ricordiamo i Codici visivi e i Codici sonori. Vi sono, infine, i Codici misti, che impiegano parole insieme a segni di altro tipo, come il linguaggio dei fumetti - immagini e parole – il linguaggio della pubblicità – immagini, parole, suoni) e un CANALE ( cellulare, internet). L’intera comunicazione si svolgerà in un CONTESTO rispetto al quale il messaggio potrà fare riferimento.
I protagonisti della comunicazione
Il linguista russo Roman Jakobson (1896-1982) - uno dei grandi padri fondatori della Linguistica moderna insieme al linguista gineverino Ferdinand de Saussurre(1857- 1913) e al filosofo viennese Ludwig Wittgenstein (1898-1951) - ha elaborato uno schema che indica gli elementi costitutivi di un processo linguistico.
Nella elaborazione teorica di R. Jakobson, ciascun processo di comunicazione necessita di 6 elementi:
EMITTENTE -MESSAGGIO - DESTINATARIO – CANALE (contatto) - CODICE - CONTESTO.
[Oltre a R. Jakobson, ricordiamo in particolare il linguista ginevrino Ferdinand de Saussurre (1857-1913), il filosofo viennese Ludwig Wittgenstein (1898-1951). Ferdinand de Saussurre, agli inizi del 900, ha posto le basi della Linguistica moderna nel suo "Corso di Linguistica Generale" (1916) con l'esposizione teorica di due nodi concettuali: l'opposizione Significante/Significato e l'opposizione Langue/Parole. Questi concetti sono stati e restano alla base di tutti i successivi studi che a partire dalla Linguistica arrivano fino alle più recenti teorie che riguardano le Scienze della comunicazione].
I TESTI SI SUDDIVIDONO IN: TESTI LETTERARI E TESTI NON LETTERARI
I TESTI NON LETTERARI sono quelli a carattere pratico e pragmatico : sono quelli finalizzati a fornire informazioni al lettore, oppure a convincere e a persuadere (vedi, in particolare: testi descrittivi, espositivi, argomentativi, regolativi);
I TESTI LETTERARI sono quelli finalizzati a suscitare emozioni, sensazioni, stati d’animo; hanno lo scopo non tanto di persuadere, quanto di intrattenere e dilettare il lettore. Essi si suddividono in TESTI POETICI, TESTI TEATRALI, TESTI NARRATIVI ( FAVOLA E FIABA, NOVELLA, RACCONTO, ROMANZO).
L’ETA DELLA CONTRORIFORMA (Bibliografia: cfr. M.Pazzaglia, Gli autori della letteratura italiana, vol.2; R.Antonelli-M.S.Sapegno, L’Europa degli scrittori, vol. 2a)
Il periodo di massima fioritura del Rinascimento si svolge fino alla vigilia della Pace di Cateau-Cambresis (1559- Regno di Napoli, Sicilia, Sardegna, Ducato Milano, Stato dei Presidi sotto il dominio spagnolo). Gli ultimi decenni del Cinquecento sono caratterizzati da un processo di esaurimento delle forme rinascimentali, da una lenta trasformazione della cultura che condurrà alle soglie della nuova civiltà barocca del Seicento.
Questi anni sono dominati dalla Controriforma cattolica che condizionò non poco gli orientamenti culturali del tempo. La Controriforma rappresentò in primo luogo l’esigenza di rinnovamento totale da parte della Chiesa, sia nello spirito che nella struttura: dopo il Concilio di Trento, la Chiesa passò al contrattacco, sia rivolgendosi con ardore missionario ai Paesi extraeuropei, sia cercando di ridestare nella Europa cattolica un rinnovato ardore morale e religioso. Il Concilio di Trento, convocato da Papa Paolo III, si svolse tra il 1545 e il 1563 allo scopo di definire la riforma della Chiesa (o Controriforma) e la reazione alle teorie del calvinismo e del Luteranesimo. L’opera di restaurazione avviata dalla Chiesa ebbe un carattere essenzialmente conservatore, fu soprattutto l’imposizione di una disciplina di vita e di costume. Timorosa del pericolo sempre incombente della larga diffusione delle idee della Riforma protestante, la Chiesa cercò di soffocare con un clima di assoluto rigore moralistico ogni manifestazione di libero pensiero . In questi anni la Chiesa cattolica si macchiò di crimini atroci, ricorrendo spesso al Tribunale della Santa Inquisizione con il quale si perseguitavano gli eretici e tutti coloro che sostenevano teorie ed opinioni contrarie all’ortodossia cattolica (vedi giordano Bruno, Galileo Galilei), i quali, riconosciuti colpevoli dal Tribunale ecclesiastico, erano affidati al cosiddetto “braccio secolare”, cioè al potere giudiziario statale, per l’esecuzione materiale della pena di cui l’autorità ecclesiastica non poteva farsi carico. Il braccio secolare fu attivo dal periodo della Santa Inquisizione, fino all’età moderna: fu abolito nel 1871. L’atmosfera di persecuzione e di paura instaurata dalla Chiesa nel periodo della Controriforma segnò, insieme al peso esercitato in campo politico dal predominio spagnolo, il graduale declino dello spirito di libertà e di tolleranza, di affermazione della libertà individuale che era stata la manifestazione più significativa della civiltà rinascimentale.
In Italia gli intellettuali, i letterati e tutti gli uomini di cultura attraversarono una fase di profonda crisi poiché non fu più loro concesso di esprimere liberamente le loro idee, ritenute non sempre conformi ai principi religiosi della Chiesa cattolica; essi si piegarono, generalmente, alle esigenze del nuovo clima di austerità controriformistica, molto spesso per calcolo o per convenienza, o per il solo timore di non essere accusati di eresia . In realtà la civiltà umanistico-rinascimentale aveva esaurito ormai la stagione di grande fioritura artistico-letteraria, aveva perduto ogni slancio e virtù creatrice e si adagiava nel coltivare un tipo di letteratura ormai sterile, volta unicamente al decoro formale, all’ imitazione pedissequa e ossessiva di modelli classici esistenti: insomma l’intellettuale della Controriforma più che all’elaborazione di forme e contenuti originali, volge la propria attenzione all’estetismo formale, al rispetto rigoroso delle norme di stilistica e di retorica contemplate dalle Accademie e dai trattati poetici.
In questa società ormai scettica e stanca, la Chiesa si sforzò di restaurare un senso di rinnovato entusiasmo e di rinnovata moralità; tuttavia, il risveglio religioso auspicato dalla Chiesa si verificò solo in parte poiché le pesanti limitazioni imposte alla libertà di pensiero impedirono che si realizzasse un radicale e sincero rinnovamento delle coscienze. Inoltre, la rinnovata ed esasperata religiosità riportava nelle coscienze il senso del peccato, il timore della morte e delle pene infernali, la consapevolezza della fragilità e dei limiti della natura umana. In antitesi alla fiducia rinascimentale nella vita e nell’illimitata capacità creatrice dell’uomo faber, si diffonde alla fine del Cinquecento un senso di insicurezza, di fragilità umana: l’uomo avverte la forza imprevedibile ed irrazionale della Fortuna, capace di soggiogare e di stravolgere i destini umani. E’ un motivo, questo, che noteremo negli autori storici – Machiavelli e Guicciardini – e soprattutto in Torquato Tasso, autore che già prelude alla civiltà barocca del Seicento.
LA LETTERATURA DELL’ETÀ DELLA CONTRORIFORMA
- La letteratura della Controriforma è caratterizzata in primo luogo da un’estrema e raffinata elaborazione formale, che spesso diventa un esercizio sterile ed ossessivo, fine a se stesso. A ciò si aggiunge la tendenza, da parte degli intellettuali, a giustificare la propria opera spesso facendo riferimento a trattati di arte poetica, nei quali si cerca di dimostrare la piena regolarità dell’opera stessa, secondo i precetti desunti (arbitrariamente) dalla Poetica di Aristotele. Allo stesso tempo, gli autori della Controriforma avvertono e manifestano un senso di fastidio verso le regole, l’irrequieta tendenza al dilettoso, ad esprimere con intima spontaneità nuove esigenze e nuovi bisogni dello spirito. L’elemento essenziale della letteratura di fine Cinquecento è il proposito moraleggiante, in ossequio allo spirito della Controriforma, unito alla preoccupazione del comporre in maniera ortodossa nel pieno rispetto delle norme stilistiche e morali. Si tratta però quasi sempre di un ossequio esteriore, poiché prevale, in realtà, un’ispirazione sensuale e lasciva, sotto il peso del conformismo religioso, che esprime una civiltà decadente, frutto di spiriti oziosi e stanchi, generalmente inclini all’ipocrisia e al compromesso.
Autori rappresentativi della letteratura e del pensiero della Controriforma sono Giambattista Giraldi Cinzio, scrittore e teorico di arte poetica di Ferrara; Battista Guarini, di Ferrara; Giordano Bruno, scrittore e filosofo nolano condannato per eresia e morto sul rogo nel 1600; infine Torquato Tasso ( Sorrento 1544 - Roma 1595). Nel Tasso il dissidio culturale e letterario di quest’età assumerà un più profondo e drammatico carattere interiore, e assurgerà a una nuova, altissima e personale poesia.
venerdì 18 marzo 2016
LE TRE CORONE DEL MEDIOEVO - LA CULTURA UMANISTICO-RINASCIMENTALE.
DANTE 1265-1321 Opere in volgare fiorentino e in Latino: La Vita Nova, Il Convivio, De Monarchia, de Vulgari eloquentia, Epistolario, Divina Commedia, Le rime. Sommo poeta, massimo esponente della cultura medievale e della filosofia scolatica (aristotelico-tomistica). Opere a carattere didascalico allegorico.
PETRARCA (Arezzo 1304- Arquà1374) Opere in Latino e in Volgare fiorentino. Grande estimatore degli studi classici (Virgilio, Cicerone, Tito Livio, Padri della Chiesa: S. Agostino); scoprì nella Biblioteca capitolare di Verona le Epistole di Cicerone ad Attico, a Quinto e a Bruto. Fu incoronato poeta a Roma, in Campidoglio, nel 1341 dopo essere stato esaminato per 3 giorni dal re di Napoli, Roberto d’Angiò. Fu il primo grande autore medievale a coltivare lo studio del Greco, che apprese dal dotto bizantino Leonzio Pilato, conosciuto a Padova.
Opere latine: Secretum, l’Epistolario (Cicerone) De viris illustribus, Rerum memorandarum libri, Africa, De otio religioso, De vita solitaria; opere in volgare: Rerum vulgarium fragmenta (il Canzoniere o Rime sparse), i Trionfi. Opere concepite come esercizio di affinamento letterario, a testimonianza della sua profonda peritia litterarum – conoscenza grammaticale e lessicale - come espressione di dissidio interiore e di inclinazioni spirituali. Fasi di mondanità alternate a momenti di ripiegamento interiore, di ricerca del “locus amoenus”. Crisi della cultura medievale. Nel 1500 divenne modello di assoluta perfezione stilistica per la lirica.
BOCCACCIO 1313-1375. Periodo napoletano, opere a carattere narrativo di ispirazione bucolica, in lingua volgare toscano: Filocolo, Filostrato, Teseida, Caccia di Diana; periodo fiorentino (dal 1340 in poi): Ninfale d’Ameto, Ninfale fiesolano, Amorosa visione, Elegia di madonna Fiammetta. Decameron (1349-1351); Trattatello in laude di Dante (iniziò la lectura dantis nella Chiesa di S.Stefano di Badia, a Firenze, nel 1374). Opere in Latino: De casibus virorum illustrium, Genealogia deorum gentilium, De mulieribus claris. Crisi della cultura medievale. Nel 1500 divenne modello di perfezione stilistica per le opere in prosa.
UMANESIMO E RINASCIMENTO
Coi nomi Umanesimo e Rinascimento indichiamo il periodo di storia della civiltà che si svolse nei secoli XIV- XVI ed ebbe, per quanto riguarda la cultura e le lettere, il suo centro di irradiazione in Italia. E' un periodo di grandi trasformazioni nella vita e nel costume: assistiamo al graduale rinnovamento delle strutture politiche e alla nascita degli stati nazionali (in Italia si affermano le signorie e successivamente principati territoriali); si sviluppano le attività economiche e commerciali, mentre le grandi scoperte geografiche allargano i confini del mondo conosciuto; inoltre le nuove invenzioni in campo della tecnica ( la stampa e la polvere da sparo) apportano radicali mutamenti nei rapporti umani. L'Umanesimo si fa iniziare convenzionalmente dalla morte di Francesco Petrarca (1374), fino al 1470 (l'ultimo trentennio del 1400). il Rinascimento giunge fino all'ultimo trentennio del 1500.
Nuova concezione dell'uomo e della vita
Il punto di partenza per comprendere la nascita della cultura umanistica risiede nella consapevolezza che tra il Trecento e il Quattrocento muta la visione del mondo: si passa da una visione filosofica e culturale di tipo TEOCENTRICO ( per la quale tutta la realtà fenomenica veniva rapportata a Dio, derivando da ciò una fondamentale svalutazione della natura umana, un disprezzo per il corpo e per i beni materiali ritenuti fugaci e caduti) ad una visione ANTROPOCENTRICA in cui l'uomo pone se stesso al centro della realtà come protagonista ed autore della propria storia, in accordo con le nuove tendenze filosofiche di natura neoplatonica. Ne scaturisce un atteggiamento edonistico, che consiste nel ricercare la bellezza e il piacere senza sensi di colpa. L'edonismo va unito al naturalismo che è la tendenza a considerare la natura e a godersela al livello fenomenico ( in se stessa), senza implicazioni mistiche, metafisiche e trascendentali. L'uomo dell’umanesimo rinascimento non è più in antitesi con la natura, né lo spirito è posto al di sopra di essa: l’uomo riscopre la bellezza della natura, e la natura diviene un grande libro aperto, un meccanismo perfetto regolato da leggi razionali che possono essere comprese, analizzate e decodificate. L’uomo diventa finalmente l’artefice del proprio destino (homo faber fortunae suae). Per questo motivo gli umanisti sono affascinati dalla cultura letteraria classica ( opere della letteratura latina e greca) cioè dagli studia humanitatis – le humanae litterae ( letteratura, grammatica, retorica filosofia, storia) - che restituiscono l’uomo a se stesso, che rivelano l’antica sapienza e la capacità costruttiva dell’uomo, il segreto di una vita intesa come ricostruzione morale, nella prospettiva di un’armonica convivenza civile.
I MOTIVI FONDAMENDALI DELLA CULTURA UMANISTICA SONO:
1) PRINCIPIO DI IMITAZIONE . La necessità che si ebbe di rifarsi agli autori antichi – gli auctores- per imparare a conoscere meglio se stessi, per individuare un modello ideale sia a livello umano, sia a livello stilistico da cui trarre uno stimolo e una guida sicura per operare nella realtà contemporanea. Si afferma così il principio di imitazione che diventa un cardine dell'umanesimo: se gli antichi hanno raggiunto un livello insuperabile di perfezione in tutti i campi dello scibile umano, è necessario imitarli.
Gli autori antichi che noi oggi definiamo classici (termine introdotto nella letteratura a partire dall'800) in verità erano definiti dagli intellettuali del medioevo e umanesimo ''auctores'': l'auctor era colui che godeva di forte autorità letteraria, colui che arricchiva lo scrittore moderno e dal quale prendere esempio (auctor deriva dal verbo latino augeo-es -axi-auctum-augere = accrescere, aumentare).
Già in età medievale era stato realizzato un canone di autori classici in cui figuravano Virgilio, Orazio, Cicerone, Stazio, Lucano, Ovidio, Tito Livio e Seneca. Una traccia di questo canone si ha già nella Commedia di Dante, in particolare nel limbo anche se in forma limitata a pochi autori: Omero, sebbene Dante non avesse letto i suoi poemi, Ovidio, Orazio e Lucano. Virgilio è scelto da Dante come sua autorevole guida.
2) STUDIO DEL GRECO
Contemporaneamente alla riscoperta degli autori e delle opere classiche secondo il principio di imitazione, si affermò la necessità di studiare in maniera diretta la lingua e la filosofia greca: Petrarca e Boccaccio furono i primi autori che riconobbero l’importanza della lingua greca che il Medioevo aveva praticamente ignorato. Boccaccio infatti nel 1359 fece assegnare una cattedra di greco nello Studio fiorentino al suo maestro di greco, Leonzio Pilato. Successivamente, nel 1397, Coluccio Salutati, cancelliere della repubblica fiorentina, affidò la cattedra di greco ad un idotto bizantino Manuele Crisolora.
3) LA SCOPERTA DELLE HUMANAE LITTERAE
Nella cultura Umanistico-Rinascimentale, che poneva l'uomo al centro dell'universo, si afferma parallelamente un rinnovato interesse per gli studia humanitatis : grammatica, retorica (quest'ultima in particolare era una disciplina, l’ ars dictandi, praticata soprattutto da coloro che ne traevano vantaggi per la loro professione: notai, giudici, cancellieri, ambasciatori, membri del clero), eloquenza filosofia e storia.
La cultura letteraria rileva ai moderni l'interiorità e l'umanità dei grandi scrittori antichi al fine di insegnare loro a comprendere meglio se stessi nella realtà che li circonda.
4) NASCITA DLLA FILOLOGIA
Cicerone diviene nel 400 un autorevole modello di armonia e di decoro, di forza d'animo, di poteritia ( capacità di sopportare coraggiosamente le avversità della vita), nonché di bello stile. La filologia è una disciplina che si configura quale studio scientifico della parola e del suo significato nel tempo. La filologia mirava a studiare e ricostruire i testi classici per riportarli alle condizioni originali.
5) L’umanesimo come riscoperta della dignità dell’uomo: i caratteri dell’EDONISMO UMANISTICO.
La rivalutazione dell’individuo, con le sue doti spirituali e corporee, porta a riconsiderare, tra il Quattrocento e il Cinquecento, i beni dell’esistenza nella loro interezza. Il punto di partenza di questo atteggiamento può essere individuato nel passo in cui l’umanista fiorentino Giannozzo Manetti confuta il De contemptu mundi di Lotario De Segni ( Papa Innocenzo III ). Giannozzo Manetti, nella sua opera De dignitate et excellentia hominis riconosce la dignità e l’eccellenza dell’uomo il cui operato terreno e la cui fisicità vengono esaltati in una prospettiva pur sempre religiosa, ma in polemica con l’impostazione ascetica di stampo aristotelico–tomistico della spiritualità medievale. Se nella vita dell’uomo le gioie compensano i dolori, è preferibile concentrarsi su di esse, cercando di cogliere le opportunità favorevoli. Non bisogna tuttavia confondere un simile atteggiamento con l’invito grossolano ad approfittare di tutti i piaceri possibili. Si tratta di una disposizione intellettuale, che fa parte di una concezione della realtà sostenuta da precise basi filosofiche: il neoplatonismo, che porta ad idealizzare le concezioni materialistiche, l’epicureismo.
L'edonismo, ossia la ricerca del piacere diventa quindi un fenomeno culturale che ha i suoi riflessi sul piano del costume sociale e mondano, negli ambienti aristocratici e raffinati delle corti.
Sulle radici culturali dell’ EDONISMO UMANISTICO dobbiamo far riferimento da un lato alla letteratura classica per quanto riguarda la ripresa dell’elemento mitologico e idillico , nonché nell’invito oraziano a godere della fugacità dei piaceri che la vita concede (carpe diem); dall’altro il motivo edonistico si incontra con quello cristiano e petrarchesco del trascorrere del tempo, rivissuto però in una prospettiva che ignora la trascendenza .
L’ EDONISMO umanistico, che nasce sulla base di queste problematiche, presenta caratteristiche colte che si riscontrano nelle opere di grandi intellettuali umanisti come:
Lorenzo il Magnifico (1449 -1492)
Luigi Pulci : (1432-1484). Il poema epico cavalleresco : Il Morgante
Angelo Poliziano ( 1454- 1494): Stanze per la giostra, poemetto in ottave
Matteo Maria Boiardo( 1440-1494). Il poema epico cavalleresco: l’Orlando innamorato
CENTRI DI DIFFUSIONE DELLA CULTURA UMANISTICA: FIRENZE, ROMA , NAPOLI
I principali centri di irradiazione della cultura umanistica, che dall'Italia si confuse via in tutta l'Europa, furono Firenze, Roma e Napoli.
A FIRENZE continua la grande tradizione di studi, iniziata dal Petrarca e dal Boccaccio, con Coluccio Salutati (1331 -1406) cancelliere della signoria fiorentina, scopritore delle lettere familiari di Cicerone , Niccolò Niccoli (1364-1437), fiorentino, che scrisse una guida per i ricercatori di manoscritti in Germania, Leonardo Bruni (1374-1444) autore di una Historia florentina , modellata sull’esempio della storiografia latina, Poggio Bracciolini (1380-1459) che portò alla luce numerosi testi latini: il De rerum natura di Lucrezio, le Selve di Stazio , la Institutio oratoria di Quintiliano , le Puniche di Silio Italico e altri. Accanto a questi che furono più propriamente dei letterati, ricordiamo i filosofi Marsilio Ficino (1433-1499), autore della Theologia Platonica ove tentava di conciliare la filosofia di Platone con il cristianesimo, Giannozzo Mannetti (1369-1459), fiorentino, autore del De dignitate et excellentia hominis, che contiene, insieme al De hominis dignitate di Pico della Mirandola, e alle opere di Marsilio Ficino, la più alta lode della natura umana; ricordiamo, infine, a Firenze l’opera di Cristoforo Landino (1424-1498).
I Medici, signori di Firenze dal 1435, favorirono con splendido mecenatismo, lo sviluppo della cultura a Firenze. Ma in genere tutti i signori italiani accolsero e protessero i letterati alle loro corti, sia per l’altissima considerazione in cui venivano tenuti gli studia humanitatis , sia perché si vedeva nel letterato il dispensatore di gloria e immortalità. Il signore trova nel letterato chi dà lustro e splendore alla sua corte e alla sua dinastia, e, in compenso gli offre i mezzi per una dignitosa esistenza e per raccogliere i rari manoscritti costosissimi, necessari ai suoi studi che un privato difficilmente avrebbe potuto acquistare.
Anche ROMA fu un grande centro umanistico sotto la protezione di alcuni pontefici, come Niccolo V e Pio II, che furono a loro volta letterati umanisti. Alla corte pontificia i principali studiosi furono Lorenzo Valla (1407-1457), autore dell’ Elegantiarum latinae linguae libri e di un libro in cui dimostrò la falsità del documento secondo cui l’imperatore Costantino avrebbe donato, già agli inizi del IV sec., Roma ai pontefici .
A NAPOLI sotto la protezione della dinastia aragonese, sorse l’ Accademia pontaniana, fondata da Antonio Beccadelli detto il “Panormita”, ma così chiamata per onorare il principale animatore, Giovanni Pontano, nato a Cerreto nel 1426 e morto a Napoli, dove fu ministro politico nel 1503. Il Pontano scrisse dialoghi e poesie in latino e fu l’esempio dell’illusione umanistica di sostituire l’italiano al latino anche nei componimenti propriamente letterari . A Napoli operò anche Iacopo Sannazzaro che introdusse il nuovo genere del romanzo pastorale con l’Arcadia, un poemetto in volgare destinato ad avere immensa fortuna.
Fra gli altri centri di diffusione della cultura umanistica ricordiamo FERRARA, dove i signori Estensi furono magnifici mecenati; MANTOVA dove regnò la splendida signoria dei Gonzaga.
UMANESIMO E RINASCIMENTO (morte del Petrarca- 1470 ca / 1470-1570 ca ). Nuova concezione dell’uomo e della vita ( vedi Giannozzo Manetti, De dignitate et excellentia hominis; concezione teocentrica- concezione antropocentrica), riscoperta dei classici latini e greci come modello di perfezione stilistica e come esempi di grande umanità, esaltazione delle lettere (humanae litterae), e in genere di tutti gli studia humanitatis; nascita della Filologia; diffusione in Occidente dello studio del Greco, in particolare nello Studium fiorentino; Principio di imitazione- emulazione.
FIRENZE : UMANESIMO CIVILE (INTELLETTUALE CITTADINO) - UMANESIMO CORTIGIANO (INTELLETTUALE CORTIGIANO)
A Firenze distinguiamo dapprima una produzione letteraria che fa riferimento all’Umanesimo civile, frutto della civiltà comunale, che giunge a piena maturazione con la fine del regime repubblicano e con l’instaurarsi a Firenze nel 1435 della signoria dei Medici, una potente famiglia di mercanti e banchieri, nella figura di Cosimo I. L’umanesimo civile si realizza nell’ esaltazione di un ideale di cultura legato alla vita attiva e nella celebrazione dell’ intellettuale cittadino, impegnato nella vita pubblica del Comune, che non trae sostentamento dalla sua professione di intellettuale, ma da altre attività, che partecipa alla vita politica del Comune ricoprendo incarichi pubblici ed esprimendo nelle sue opere i suoi ideali civili. Nell’ambito dell’Umanesimo civile fiorentino, ricordiamo
Coluccio Salutati ( scoprì le epistole familiari di Cicerone), Leonardo Bruni ( scrisse una Historia fiorentina sul modello delle opere storiografiche latine), Poggio Bracciolini(riportò alla luce numerosi testi latini : De rerum natura di Lucrezio, Le Silvae di Stazio, Institutio oratoria di Quintiliano nella Biblioteca di San Gallo in Germania), Giannozzo Manetti ( autore del De dignitate et excellentia hominis, opera che contiene la più alta lode della natura umana).
Diffusione della cultura neoplatonica: Accademia neoplatonica a Firenze fondata da Marsilio Ficino nel 1454, per incarico di Cosimo de Medici, nella villa medicea di Careggi. Vi parteciparono Pico della Mirandola, Angelo Poliziano, L.B. Alberti, Lorenzo e Giuliano de’ Medici.
All’Umanesimo civile subentrerà, a partire dall’affermarsi a Firenze della signoria dei Medici (1435 in poi), il cosiddetto UMANESIMO CORTIGIANO, incentrato ancora sugli ideali feudali e cortesi quali la liberalità, la magnanimità, l’esaltazione di un mondo ideale di bellezza e di armonia. L’intellettuale umanista diviene un letterato di professione al servizio di un signore; alla partecipazione alla vita attiva si sostituisce l’isolamento dell’intellettuale nella cerchia esclusiva delle corti e delle Accademie, nuovi centri di diffusione culturale figura (cfr. pg. 11; pp.20-21)→ intellettuale cortigiano.
UMANESIMO CORTIGIANO a Firenze: Lorenzo de’ Medici, Angelo Poliziano, Luigi Pulci
Nella seconda metà del 400 il processo di riscoperta ed assimilazione della cultura classica, latina e greca, era ormai concluso, tuttavia tramonta definitivamente l’illusione della resurrezione e del trionfo del Latino nelle opere letterarie. La preminenza dell’Italiano, nella 2^ metà del 400, coincide col fenomeno letterario detto “Uman. Volgare”, fondato sulla persuasione che anche il volgare potesse essere capace di esprimere in forma eletta nobili concetti, purché lo si elevi dalla rozzezza del parlare quotidiano e gli si dia una certa dignità letteraria ( modelli stilistici autorevoli: Petrarca, Boccaccio). L’opera degli scrittori umanisti godette sempre più dell’appoggio degli aristocratici signori di corte (Medici a Firenze, Estensi a Ferrara, Gonzaga a Mantova), i quali, in linea con i nuovi ideali umanistico-rinascimentali di ricerca della bellezza e dell’armonia, e approfittando del particolare periodo storico di pace e benessere (1455-1492), favorirono il proliferare a corte di artisti e letterati. Questi furono cultori di una poesia prevalentemente di evasione, concepita come raffinato gioco letterario, celebrativa della bellezza e della gioia di vivere, nella consapevolezza della caducità e della fugacità della vita ( la Fortuna, come forza capace di stravolgere e condizionare gli eventi umani).
LORENZO IL MAGNIFICO (Firenze1449-1492). Nel 1469 divenne signore di Firenze assieme al fratello giuliano. Ebbe come maestri Marsilio Ficino, Cristoforo Landino, Giovanni Argiropulo (dotto bizantino), Angelo Poliziano.
Scrisse opere in Latino e in volgare, sviluppando una tendenza realistica e naturalistica, che si esprime con descrizioni vive e concrete di paesaggi, nel vagheggiamento di una vita libera e serena a contatto con la natura (ricerca del locus amoenus). Vedi i Canti carnascialeschi ( filosofia neoplatonica, ispirazione bucolica, tono comico-realistico).
ANGELO POLIZIANO (Montepulciano1454- Firenze1494)
Poeta umanista e drammaturgo; precettore di Piero de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico.
Scrisse opere in latino, greco, volgare. Fu tra i maggiori animatori, almeno fino al 1478 (anno della “Congiura dei Pazzi”), del circolo culturale riunito attorno alla potente famiglia de Medici ( Marsilio Ficino, Pico della mirandola, Cristoforo Landino. In questo periodo Lorenzo de medici gli schiuse la via dell’agiatezza e degli onori.
Il suo capolavoro furono le “Stanze per la giostra” 1475-1478, poemetto in ottave scritto per celebrare il trionfo di Giuliano de Medici in una giostra (gioco di armati a cavallo, nel quale riportava vittoria colui che riusciva a disarcionare l’avversario).
Dopo un breve periodo di allontanamento da Firenze dovuto ai dissapori sorti con la famiglia de Medici, vi fece ritorno nel 1480, quando ottenne la cattedra di eloquenza greca allo Studium fiorentino ( già a 16 anni aveva tradotto dal greco i libri dal II al V dell’Iliade di Omero).
Fu autore anche di una famosa opera teatrale: l’Orfeo, che fu inserita, successivamente, nell’indice dei testi proibiti dalla Chiesa.
LUIGI PULCI (Firenze1432-Padova1484). Esponente di una nobile famiglia decaduta.
Sua opera maggiore fu il Morgante, parodia del poema epico cavalleresco, in ottave. Il Morgante. fu pubblicato in una prima ed. del 1478, in 23 canti; seconda ed. del 1483, in 28 canti (il cosid Morgante maggiore). Per quanto riguarda lo stile, il modello a cui attinge Luigi Pulci per il suo poema è quello dei “cantari” popolari: componimenti cavallereschi del 400-500 accompagnati dalla musica e destinati ad una esecuzione in pubblico. Nel Morgante confluiscono temi e motivi dei grandi poemi epici medievali (ciclo carolingio- ciclo bretone), filtrati alla luce della nuova cultura rinascimentale.
Anche il Pulci, come il Poliziano, fu assiduo frequentatore del circolo culturale riunito attorno alla potente famiglia de Medici; egli godette per tutta la vita della simpatia di Lucrezia Tornabuoni e del figlio Lorenzo il Magnifico, dal quale ottenne numerosi incarichi ed aiuti economici.
MATTEO MARIA BOIARDO (Reggio Emilia 1441 -1494).
Poeta e letterato italiano di origini aristocratiche, vissuto nella raffinata corte di Ferrara.
Scrisse opere erudite in latino e in volgare; la sua più celebre fu, tuttavia,
l’Orlando innamorato, poema epico cavalleresco rinascimentale, in ottave (ottava rima: strofe di 8 versi che rimano secondo lo schema ABABAB CC) ispirato ai due grandi cicli della letteratura francese cavalleresca del medioevo, quello carolingio e quello bretone. Orlando, infatti, è l’eroico paladino dell’epopea carolingia, religiosa, nazionale e guerriera, incentrata sulla lotta dei Cristiani contro i Musulmani; ma l’aggettivo “innamorato” ci riconduce alle storie d’amore e d’avventura del ciclo bretone, dei cavalieri della Tavola rotonda, di Tristano e Lancillotto.Infatti, nella continua rielaborazione della materia cavalleresca medievale, gradita sia agli aristocratici signori di corte, che alle classi popolari, i due cicli si erano venuti progressivamente fondendo. Nel poema del Boiardo la fusione è completa: la struttura resta quella del poema epico medievale (stile formulare con l’ impiego di espressioni stabili e ripetute, disposte in situazioni metricamente identiche; affinità metriche e retoriche con l’agiografia; componente culturale religiosa; storicità del tema: scontro fra parti contrapposte decisivo per un’intera comunità e i suoi ideali; l’eroe del poema epico è un personaggio prode e magnanimo in cui si riconosce l’intera collettività e che trova nella guerra il senso del proprio onore).
Nell’Orlando innamorato, tuttavia, si riscontra una sostanziale innovazione della materia epica classica. Il paladino Orlando non è più soltanto l’eroe che combatte per difendere la patria e la fede cristiana: egli appare come un eroe nuovo e umanizzato, poiché diviene in primo luogo l’eroe innamorato, che nell’amore (forza istintiva e irrazionale) trova la ragione prima della sua vita e del suo agire. Il poema, dunque, si presenta non a carattere didascalico (come i testi dell’epica classica e medievale), bensì a carattere edonistico ed encomiastico. Lo scopo del Boiardo, infatti, era quello di intrattenere e divertire il raffinato pubblico della corte estensa, con un’opera dal carattere arguto e burlesco, con uno stile colorito, vivace e avvincente.
L’Orlando innamorato fu iniziato nel 1476, ed è diviso in 3 libri. I primi due libri, rispettivamente di 29 canti e di 31 canti, furono pubblicati nel 1483. Il terzo libro rimase interrotto al 9 canto, a causa della successiva morte del poeta avvenuta nel 1494 (anno della discesa in Italia di CARLOVIII).
La vanità dei beni terreni“[…]Non c’è chi facci bene, non ce n’è solo. Quasi tutta la vita de’ mortali è piena di peccati, in modo che appena si possi trovare chi non penda a mano sinistra, chi non torni al vomito, che non sia puzzolente nello sterco, che non si rallegri più tosto quando ha mal fatto e rallegrasi nelle cose pessime. Ripiene d’ogni iniquità, malizia, avarizia, nequizia; pieni d’invidia, omicidio, contenzione, inganno, malignità; sussurroni, mormoratori in odio di Dio, pieni di villanie, superbi, gonfiati, inventori de’ mali, disubbidienti a’ padri […] Questo mondo è ripieno di tali e molto peggiori: abonda di eretici, di scismatici, di perfidie tiranni, simoniaci, ipocriti, ambiziosi, cupidi, ladri, rubatori [..]astuti, golosi, ubriachi, adulteri etiam nel parentado, lascivi immondi pigri e negligenti. […]”. Lotario Diacono, De contemptu mundi, III (XII-XIII sec.)
GABRIELE D’ANNUNZIO (Pescara 1863- Gardone 1938) – PRODUZIONE LETTERARIA
La produzione letteraria di Gabriele D’Annunzio (1863-1938), sebbene vastissima e multiforme, presenta un profilo abbastanza unitario, nelle tematiche e nello stile: fin dal Canto Novo (1882) la sua fisionomia di scrittore risulta sufficientemente precisata e se anche gli sviluppi successivi la modificheranno in parte, non arriveranno mai a cancellarne i tratti originari.
La matrice della poetica dannunziana è POSITIVISTA E MATERIALISTICA , con in più un afflato mistico che conduce spesso l’autore ad una identificazione estatica con la materia stessa, nelle forme che essa assume nei corpi della natura, nei ritmi delle stagioni. Tutto quanto abbia a che fare con il corpo, dalla sensibilità alla sensualità fino alla malattia e al disfacimento della morte, diviene per il poeta un vero e proprio oggetto di culto e di esaltazione, che si riflette nel più ampio culto delle acque e dei boschi, delle spiagge e del sole, come manifestazioni meravigliose di una irrefrenabile energia vitale. Il poeta diviene il SACERDOTE LAICO che officia i riti di una religiosità pagana e amorale, depositario di un mistero che non ha nulla di metafisico: è il mistero della bellezza che si incarna nelle forze naturali positive, e che non sopporta vincoli di ordine etico o sociale.. la bellezza per D’Annunzio non va solo contemplata: al contrario essa va usata fino in fondo in una brama di possesso e di godimento estetico che non conosce limiti.
Agli albori della modernità italiana, tra Ottocento e Novecento, D’Annunzio scopre la cultura di massa e sa farsene interprete. Sempre aggiornato sui fenomeni più in voga, fonda sull’ imitazione la sua produzione letteraria, cogliendo abilmente di volta in volta gli umori del momento e rielaborando in modo originale. I modelli più disparati.
1.ESORDIO DI INFLUENZA CARDUCCIANA E NATURALISTA. L’esordio poetico di D’annunzio con Primo vere (1879) e Canto novo (1882) è all’insegna di Carducci, rivisitato nella direzione di un’intima comunione con la natura che ispira sentimenti sensuali e vitalistici. I racconti giovanili sono ambientati in Abruzzo, terra d’origine del poeta rappresentata come luogo dalla natura ferina e istintiva, aspra e selvaggia; questi, confluiti nel volume unico Novelle della Pescara (1902), risentono l’influenza del Naturalismo francese (Flaubert e Maupassant) e del Verismo italiano (Capuana e Verga); si tratta essenzialmente di un’imitazione prevalentemente formale, poiché il D’Annunzio col suo temperamento sensuale è lontanissimo sia dalla concezione sana, operosa e virile di Carducci, sia dalla profonda moralità e pietà del Verga.
2.DECADENTISMO ESTETIZZANTE. Dagli esordi giovanili carducciani e naturalistici, i percorsi dannunziani andranno sempre più intrecciandosi. Sono questi gli anni, dal 1883 in poi, in cui il D’Annunzio diventa una celebrità nei salotti romani più importanti; diventa il celebre cronista mondano di riviste importanti “Cronaca bizantina”, “Capitan Fracassa”, la “Tribuna”, fa una fuga d’amore con la duchessina Maria Hardouin di gallese, sedotta per scopi pubblicitari, e poi sposata per obbligo di riparazione. Gli anni romani (1881-1891) sono fondamentali per al sua formazione letteraria e per la sua crescita ed evoluzione artistica: divora i libri di Flaubert, Zola, Maupassant, i versi parnassiani di Baudelaire ( in particolare I fiori del male) e Mallarmé, i romantici Keats e Shelley, il decadente Swinburne. La ricchezza di esperienze erotiche e la molteplicità delle letture alimentano non solo la narrativa di questi anni, ma anche le prove poetiche del D’annunzio romano. Il poeta infatti si orienta verso un calcolato kitsch (letteralmente: fare opera antica con materiale moderno), un indirizzo estetico di fine Ottocentoche consiste nell’accumulo di materiali eterogenei nello stesso componimento. Ciò che conta per il poeta è l’effetto strabiliante dell’insieme, e soprattutto la perfezione della forma, la cui assoluta priorità è affermata nella chiusa del primo romanzo di D’Annunzio, Il Piacere (1889) “O poeta, divina è la Parola….e il verso è tutto”
Sull’esempio dei romanzi ciclici dell’Ottocento di Honoré de Balzac ( la commedia umana) DI EMILE Zola ( i Rougon Macquart), Verga (i vinti), il D’Annunzio si propose di scrivere un ciclo di romanzi distinti in tre trilogie: I romanzi della rosa, I romanzi del giglio, I romanzi del melograno a simboleggiare le tappe evolutive del suo spirito dalla schiavitù delle passioni alla vittoria su di esse.
La contemplazione e il godimento della bellezza, insieme intellettuale e istintuale – L’ESTETISMO - cioè l’esaltazione della Bellezza “pura e inutile” contraddistingue i primi tre romanzi di D’Annunzio: Il Piacere (1889), L’innocente (1892), Il trionfo della morte (1894) - poi riuniti nel ciclo I Romanzi della rosa – hanno per protagonisti raffinatissimi intellettuali, mossi dal comune desiderio di una sfrenata ricerca del piacere, che si trovano a scontrarsi in vari modi con la forza travolgente e incontrastabile della sensualità e delle passioni, e ne escono sconfitti, pagando la loro inadeguatezza con la nevrosi (Andrei Sperelli, Il Piacere), con il delitto (Tullio Hermil, L’Innocente), con la morte (Giorgio Aurispa, Il Trionfo della morte). Il vero modello de Il Piacere va cercato nel romanzo fondamentale del Decadentismo europeo, A ritroso del francese K. Huysmans. I protagonisti dei ROMANZI DELLA ROSA, il fiore simbolo della voluttà, d, pubblicato nel 1884 e subito letto e ammirato da D’Annunzio. ella passione invincibile, rappresentano simbolicamente l’autore stesso, sono delle controfigure dell’autore che si muovono nello stesso frivolo mondo nella nobiltà romana nel quale si muoveva in quegli anni D’Annunzio e ne condivideva i gusti e le inclinazioni. Non a caso il D’Annunzio forgia proprio in questi anni il proprio gusto decadente tutto nutrito di edonismo e di prezioso estetismo. Ma i personaggi suddetti non possiedono ancora la sufficiente energia vitale e sovrumana, necessaria per sopravvivere ai devastanti effetti di una vita vissuta all’insegna del puro edonismo, della sensualità scatenata: una energia che D’Annunzio riteneva esclusivo appannaggio del cosiddetto Superuomo, il mitico prodotto finale di una darwiniana selezione naturale intenta a falcidiare i più deboli e inadeguati.
LIRICA: La ricchezza delle esperienze erotiche e la vastità delle letture, in particolare di opere francesi, alimentano non solo la prosa di questi anni romani, ma anche la POESIA. Al gusto estetizzante si ispirano le due raccolte
Elegie romane (1883); Intermezzo di rime (1887-1892). In elegie romane il poeta esprime informe poetiche tradizionali (sonetti, madrigali, ecc.) ritratti femminili in un ambiente aristocratico e raffinato disfatto dall’eccesso di sensualità E’ evidente il queste opere la lezione dei Parnassiani francesi, in particolare di Th.Gautier,e di Charles Baudelaire (I fiori del male). I motivi fondamentali sono, ancora, la corrispondenza tra ARTE e VITA; il narcisismo edonistico, una forte componente sensuale che si esprime mediante un irrefrenabile godimento dei sensi; il nesso parnassiano tra la perfezione formale e la dissoluzione morale; la poetica del KITSCH.
3.FASE BONTA’: PERIODO NAPOLETANO (1891-93) Nel 1891 D’Annunzio abbandona la vita gaudente romana e perseguitato dai creditori si trasferisce a napoli. Anche nel periodo napoletano lo studio delle letterature straniere orienta e condiziona la sua poetica. La lettura in traduzione francese dei narratori russi Tolstoj e Dostoevskij (I fratelli Karamazov) Nascono opere di impianto fortemente morale e psicologico che mirano alla condanna dell’uomo che si abbandona senza coscienza e senza ideali alla ricerca del piacere. I motivi sono, dunque, la poetica del pentimento e dei buoni sentimenti; il Simbolismo come trasfigurazione di oggetti ed emozioni nella musicalità del verso.
Opere del periodo napoletano: I romanzi Giovanni Episcopo (1891) e L’innocente (1893); Il poema paradisiaco (1893).
4.IL SUPEROMISMO (1892). La seconda trilogia, I ROMANZI DEL GIGLIO fiore simbolo del superuomo, della passione che si purifica, si ispira al SUPEROMISMO DI NIETZSCHE. La conoscenza della filosofia di N. è databile intorno al 1892, anno in cui D’annunzio lesse Così parlo Zarathustra e ne rimase certamente colpito, tanto da segnare una svolta intellettuale destinata a dividere in due il percorso artistico dannunziano. Sarebbe tuttavia un errore ritenere che nel poeta l’idea del superuomo sia totalmente tributaria delle teorie nietzscheane: essa è infatti già presente nel forte Vitalismo che caratterizza la poetica dannunziana fin dal Canto novo. Dal superuomo di N., il superuomo dannunziano deriva il concetto della volontà di potenza creativa e della ricerca di una gioia nuova, derivata dalla capacità di non dubitare più di sé dinanzi al mondo. Al potere del superuomo si contrappone la banalità e la cieca passività della folla, cioè della massa della civiltà moderna che minaccia la singolare eccellenza dell’eroe, e che dunque deve essere sottomessa alla sua forza creatrice. Il superuomo dannunziano coincide con l’artista, un essere superiore che in virtù della propria vitalità intellettuale e del culto della Parola, ha il diritto di dominio assoluto sulla folla, semplice strumento della sua capacità di imprimere accelerazioni alla storia umana. L’autore si convince che è esattamente la parola, nei suoi valori tanto semantici quanto musicali, la garanzia del conquistato possesso del mondo da parte del poeta-superuomo (il poeta, accanto a Nietzsche, aveva scoperto anche la musica di Richard Wagner 1818-1888 teorico del cosiddetto dramma di parole e musica che realizza la perfetta compenetrazione tra canto e orchestra, parole e musica). Il suo estetismo di matrice materialista, reperisce i mezzi verbali più congeniali- volutamente straordinari- attraverso una assoluta ricerca inesausta di vocabolari, dizionari specializzati, lessici, attingendo a opere letterarie antiche e moderne, al punto da far incorrere D’Annunzio in numerose accuse di plagio. Si accentua in questa fase l’idea di una superiorità assoluta dell’artista e della sua sintonia con la natura. Una volta raggiunta la sicurezza della parola, una volta identificato in essa l’universo privilegiato del Superuomo, la vita stessa può farsi a sua volta parola, può manifestarsi attraverso una serie di gesti clamorosi ed eccentrici che recano in sé la finzione dell’arte: la vita come opera d’arte, vecchio sogno dei Scapigliati e dei bohemiens, ma anche dei Parnassiani e in generale dei decadenti francesi, può finalmente realizzarsi sotto l’egida del Superuomo, facendo di D’Annunzio un “caso” culturale assolutamente unico nella storia della letteratura europea moderna.
Il superuomo di D’Annunzio è fondamentalmente assai lontano dal suo modello nietzscheano: privo di spessore filosofico e conoscitivo, tanto gaudente, vitale e ottimista quanto l’altro appare pessimista e funebre, il Superuomo dannunziano affida la propria onnipotenza alle armi della parola: al parossismo dei sensi e della materia si può sopravvivere solo grazie al culto della parola, solo a patto di poter forgiare un linguaggio sublime e divino che sia all’altezza dell’eccezionalità dei contenuti da significare e comunicare.
I tratti distintivi del Superuomo possiamo riassumerli nelle parole del critico Carlo Salinari “culto dell’energia dominatrice, sia che si manifesti come forza o come capacità di godimento della bellezza; ricerca della propria tradizione storica nella civiltà pagana greco-romana e in quella rinascimentale; concezione aristocratica del mondo e disprezzo della massa; idea di una missione di potenza e di grandezza della nazione italiana da realizzarsi soprattutto attraverso la gloria militare; giudizio totalmente negativo sull’Italia postunitaria e necessità di energie nuove che la risollevino dal fango”.
Il tema del superuomo produce i suoi interessanti effetti sia in ambito poetico che, soprattutto, nel campo della narrativa. Se Il trionfo della morte (1894) è il romanzo che fotografa la graduale metamorfosi ideologica, il romanzo-manifesto della poetica del Superuomo è Le vergini delle rocce (1895) il primo e unico romanzo della trilogia “del giglio”.
Tuttavia, il primo personaggio davvero vincente che si incontra nella narrativa dannunziana è il grande poeta Stelio Effrena, incarnazione di un ideale artistico eroico, protagonista de Il fuoco (1900). Questo romanzo, unico della TRILOGIA DEL MELOGRANO, rappresenta il culmine del romanzo superomistico dannunziano, il livello più alto del suo ottimismo creativo. Giunge qui a compimento anche il processo di dissoluzione delle strutture del romanzo realista, a avntaggio di effetti musicali ispirati dalla wagneriana.
LIRICA : Accanto al romanzo, il mito superomistico alimenta anche la poesia di D’Annunzio. In questo ambito lo scrittore è debitore non soltanto del Così parlò Zaratustra, ma anche della nascita della tragedia di Nietzsche, in cui il filosofo tedesco aveva posto le forme della spiritualità greca all’origine della civiltà occidentale. In ambito lirico il mito del superuomo si sposa con la riscoperta e l’esaltazione da parte del poeta della Grecia antica, patria del “sentimento dell’energia e della potenza elevato al sommo grado”: il mito del mondo antico capace di illuminare e riscattare la decadenza del presente, si concretizza in un viaggio condotto da D’Anninzio nei siti archeologici ellenici nel 1895. Così dopo anni di dedizione alla prosa e al teatro, in una lettera del giugno 1899 D’Annunzio annuncia: “In questi giorni mi sono riaccostato alla poesia: ho scritto alcune delle Laudi del cielo, del mare, della terra degli eroi” Nasce così sul finire del 1890 il progetto delle Laudi, dedicate alla suprema ambizione del poeta-superuomo intenzionato a cantare la bellezza del mondo visibile e la gloria dell’eroe attraverso il tempo. Non si tratta solo di poesia: il richiamo del titolo alle Laudes creaturarum di S.Francesco, allude alla volonta del D’annunzio di fondare una moderna religione anticristiana, basata sul ricongiungimento dell’individuo alla potenza creatrice della natura. Il progetto delle Laudi prevede sette libri, ognuno dedicato ad una stella delle Pleiadi. Nei fatti, D’Annunzio pubblica i primi tre libri, composti tra il 1896 – 1903 : Maia (1903); Elettra (1904); Alcyone (1904). I motivi che sostanziano la poesia delle Laudi sono temi cari al Superuomo: l’esaltazione del mito attraverso un itinerario mentale e reale sulle tracce della Grecia antica; esaltazione degli eroi ed episodi del passato alla ricerca dei segni della grandezza dell’Italia (poesia di intonazione civile di stampo patriottico e nazionalistico); concezione aristocratica del mondo; fusione panica con la Natura e metamorfosi dell’uomo; intenso rapporto a carattere dionisiaco del poeta-superuomo con la Natura, fonte di inesauribile energia creativa (Vitalismo); il culto della parola. Questa poetica si riflette anche sul piano stilistico La parola sublime e “divina” è orchestrata in vista della maggiore musicalità possibile, in grado di assecondare le invenzioni della sua fantasia nella forma originale della “strofa lunga”: i testi poetici sono infatti concepiti come partiture orchestrate su una metrica ora tradizionale, ora libera, ma sempre caoace di assecondare il flusso delle immagini. Il culto della parola conosce la sua più piena realizzazione proprio nei primi tre libri delle Laudi e in particolare nell’Alcyone (1903) concordemente ritenuto il capolavoro della poesia dannunziana. In Alcyone il poeta si abbandona alla libera celebrazione dell’estate e della sua forza vitale, rifondendo il materiale poetico del Canto Novo in direzione di una ricerca stilistica che diviene l’obiettivo supremo della creazione artistica. Particolarmente efficace risulta l’utilizzo della “strofa lunga” composta da una prolungata sequenza di versi liberi, cioè di misura variabile,, ma preferibilmente breve, così da conferire agilità allo schema metrico. . Alla suggestione musicale collaborano le scelte lessicali, auliche e talvolta semplici, ma sempre ricche di particolari effetti fonici, l’uso di assonanze, allitterazioni, similitudini, metafore sinestesie volte ad ottenere una lingua poetica fortemente analogica.
5.NAZIONALISMO. Al rientro dalla Francia (1910-1915) D’annunzio manifesta di aver tradotto gli ideali superomistici di volontà di potenza in attivismo politico a base nazionalistica. Il superuomo dannunziano non veste più soltanto i panni dell’artista raffinato, ma diventa il banditore di una politica aggressiva, elitaria, antidemocratica, imperialistica. Diviene un poeta soldato, il vate d’Italia, si arruola nell’esercito italiano, combatte sul Carso, partecipa ad imprese militari marittime ed aeree ( in seguito ad un incidente aereo perde l’occhio destro, volo su Vienna; occupazione di Fiume). Alle impresa del poeta soldato fa eco sul piano letterario una poesia nazionalistica: le Canzoni delle gesta d’oltremare (1911-1912) scritte per esaltare la guerra di Libia e → confluite nel 4° libro delle Laudi dal titolo Merope; i Canti della guerra latina (1914-18) scritti per esaltare le gesta italiane durante la 1^ guerra mondiale e → confluiti nel 5° libro delle Laudi dal titolo Asterope (1932).
6.FASE NOTTURNA. PROSA LIRICA E MEMORIALE. Dopo gli anni di attivismo bellico, lo scrittore, cieco da un occhio, si dedica ad una prosa non più veemente e narrativa, virile, bensì descrittiva, a carattere memoriale, diaristico incentrata sulla trascrizione della sua “vita segreta” .La nuova prosa dannunziana diviene sfumata, frammentaria, fatta di appunti, ricordi e folgorazioni; è una prosa fortemente lirica che mira a ricreare il mito di un D’annunzio superumano la cui vista creativa, piuttosto che indebolirsi si affina con la cecità. Il capolavoro della fase notturna è il Notturno, un libro nato proprio nel periodo della cecità e poi ampliato in vista della sua pubblicazione avvenuta nel 1921.
BIBL: De Caprio Giovanardi, I testi della letteratura italiana; Antonelli-Sapegno, Il senso e le forme; appunti docente.
G. PASCOLI (1855-1912) - IL FANCIULLINO
Il Fancilullino è uno scritto teorico articolato in 20 capitoli , la cui composizione si svolge nell’arco di un decennio. Pubblicato inizialmente a puntate sulla rivista “Il Marzocco”, compare in edizione definitiva nel 1907 all’interno del volume “Pensieri e discorsi”. Il saggio costituisce la massima espressione della riflessione teorica del Pascoli sulla poesia; Il fanciullino si presenta come una lunga e dettagliata esposizione del programma poetico dell’autore, in cui è sviluppato il concetto prerazionale e intuitivo della poesia.
LA POETICA DEL IL FANCIULLINO
L’idea centrale della riflessione teorica è che il poeta è il solo privilegiato che riesce a dar voce al “fanciullo” – simbolo dell’irrazionale - che rimane nascosto in ognuno di noi; la poetica del fanciullino si collega al concetto di poesia intesa come “meraviglia”: come agli occhi puri e innocenti di un fanciullo il mondo appare meraviglioso e stupefacente anche nei suoi aspetti più comuni e banali, così il poeta deve saper cogliere LO STRAORDINARIO NELL’ORDINARIO, scavare nelle sensazioni fino ad isolarne tratti che sfuggono al senso comune ed esprimere quei tratti a parole, quasi come un novello Adamo che “mette il nome a tutto ciò che vede e sente”. Ma il fanciullo che è in noi è normalmente soffocato dalle esigenze della vita; esso è invece rimasto in vita nel poeta e parla e si esprime nei suoi versi. Il compito del poeta consiste nel comunicare il senso di stupore che nasce dalla conoscenza nuova e sempre diversa che hanno della realtà circostante coloro i quali possiedono la particolare facoltà di vedere ciò che è sotto gli occhi di tutti, ma non è percepito dalla maggior parte degli individui.
il Pascoli teorizza la sua poetica, intimamente connessa al Decadentismo, - la poetica del Fanciullino- all’incirca negli stessi anni in cui D’Annunzio elabora il mito del «superuomo. Questi i punti principali della poetica pascoliana:
NATURA IRRAZIONALE E INTUITIVA DELLA POESIA. Il poeta è quel fanciullino presente in un cantuccio dell’anima di ognuno di noi, un fanciullino che rimane piccolo anche quando noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, anche quando nell’età più matura siamo distratti e impegnati in attività pratiche. Il fanciullino che è in ciascuno di noi arriva alla verità non attraverso il ragionamento, ma in modo intuitivo ed irrazionale, guardando tutte le cose con stupore, con aurorale meraviglia, come fosse la prima volta: Fanciullo, che non sai ragionare se non a modo tuo, un modo fanciullesco che si chiama profondo, perché d’un tratto, senza farci scendere a uno a uno i gradini del pensiero, ci trasporti nell’abisso della verità. Anche la poesia, per Pascoli, deve essere spontanea e intuitiva, come intuitivo è il modo di conoscere e di giudicare dei fanciulli. C’è in Pascoli, dunque, l’idea della poesia “pura”, genuina espressione del sentimento, immune da interferenze intellettualistiche e da ogni finalità pratica.
La poesia tradizionale secondo Pascoli non sa di guazza e d’erba fresca: essa non ha la spontaneità e lo stupore della percezione fanciullesca, sovraccarica com’è di raffinatezza letteraria, di schemi retorici. La poesia, inoltre, deve essere pura e istintiva perché il fanciullo non s’intende di problemi politici o morali, né di lotte sindacali e di ideologie; una poesia che s’interessa programmaticamente di questi problemi è poesia applicata e si risolve in propaganda o retorica.
POTERE ANALOGICO E SUGGESTIVO DELLA POESIA. Se il poeta-fanciullo arriva alla verità in maniera alogica e irrazionale, per folgorazioni intuitive, la poesia allora deve affidarsi all’intatto potere analogico e suggestivo dei suoi occhi, non ancora inquinati da alcuno schema mentale, culturale, storico. Gli occhi del fanciullo scoprono nelle cose le somiglianze e le relazioni più ingegnose; adattano il nome della cosa più grande alla più piccola, e al contrario; impiccioliscono per poter vedere, ingrandiscono per poter ammirare, giungendo, immediatamente e intuitivamente, quasi per suggestione, al cuore delle cose, al mistero che palpita segreto in ogni aspetto della vita.
POESIA COME SCOPERTA e CONOSCENZA : VALORE GNOSEOLOGICO DELLA POESIA. La poesia non è invenzione, ma conoscenza e scoperta : scoperta di una realtà ultrasensibile che solo che solo il poeta , grazie alla sua particolare sensibilità di “fanciullo”, sa cogliere e decifrare (A.Rimbaud, Lettera del veggente). Poesia è trovare nelle cose il loro sorriso e la loro lacrima; e ciò si fa da due occhi infantili che guardano semplicemente, e serenamente di tra l’oscuro tumulto della nostra anima. La poesia ci mette in comunicazione immediata con il mistero che è la realtà vera dell’essere, essa è un mistico contatto con l’anima delle cose, è la forma suprema di conoscenza.
IL SIMBOLISMO. Il fanciullo-poeta non riesce a cogliere i rapporti logici di causa ed effetto tra le cose, a fissarle in un insieme o sistema coerente. Gli oggetti vengono piuttosto percepiti in modo isolato e svincolato dal contesto, scatenando così l’immaginazione del poeta che li carica di significati nuovi, antichi ricordi o esperienze del proprio universo immaginario, e ne fa un simbolo. Ecco allora che l’”aratro dimenticato” in mezzo al campo diventa il corrispettivo di una vita solitaria, di uno stato d’animo pervaso di malinconia e di tristezza. L’«albero spoglio e contorto» diventa simbolo dell’angoscia dell’uomo; il «nido vuoto» simbolo della casa vuota delle presenze familiari; i «fiori» simbolo dell’inquietudine e del peccato, della incomunicabilità dell’esistenza umana, gli annunciatori della morte. Tutta la poesia pascoliana è intrisa di simboli, perché la realtà che essa rappresenta è il mistero insondabile che circonda la vita degli esseri viventi e del cosmo. Il poeta è teso ad esprimere i palpiti arcani, le rivelazioni delle cose, le illuminazioni dell’ignoto. Il simbolismo pascoliano – e in generale tutta la sua sensibilità decadente- come rileverà anche successivamente Eugenio Montale, pur avvicinandosi a quello europeo, resta ancora un atteggiamento ristretto provinciale, più istintivo che consapevole e programmatico, perché modesti furono in verità i contatti del poeta con la cultura europea, ridotte le sollecitazioni esterne. (Il simbolismo pascoliano non raggiunge la profonda coscienza, la medesima tensione visionaria, l’agonismo conoscitivo del Simbolismo francese).
LE UMILI COSE. Se la poesia è nelle cose stesse, nel particolare poetico, allora anche i motivi della poesia non necessariamente devono essere grandiosi ed illustri, o avere il fascino dell’antico e dell’esotico, quel fascino che tanto ammalia i poeti del secondo Ottocento francese. Per il poeta, come per il fanciullo, sono degne di canto anche le piccole cose, umili, quotidiane, familiari, le piante più modeste, i piccoli animali, gli eventi del mondo naturale e campestre. La poesia del Pascoli canta l’umile fatica delle lavandare, la famiglia raccolta attorno alla tavola, i frulli d’uccelli, lo stormire dei cipressi, il lontano cantare di campane, il tuono, il lampo. La tematica, delle piccole cose è legata all’universo contadino, un mondo semplice e schietto intriso di sacralità e di arcana saggezza, da cui il Pascoli proviene e al quale sempre rimane fedele.
FUNZIONE CONSOLATRICE DELLA POESIA. La poesia, oltre a rappresentare uno strumento di conoscenza della realtà ultrasensibile, svolge una suprema funzione civile e morale: Il poeta, se e quando è veramente poeta, cioè tale che significhi solo ciò che il fanciullo detta dentro, riesce ispiratore di buoni e civili costumi, d’amor patrio e familiare e umano. E’ la poesia che persuade l’uomo ad accontentarsi del poco e del suo stato, perché pone un soave e leggero freno all’instancabile desiderio, quello di crescere socialmente. La poesia, dunque, invita alla fratellanza contro la comune infelicità, e non alla lotta di classe che divide; invita alla conciliazione delle contraddizioni, ad una comunione degli uomini nella rassegnazione per una impossibile felicità. Ma tale rassegnazione, è evidente, lascia regressivamente il mondo com’è, con le sue disuguaglianze, le sue miserie, le sue sopraffazioni.
giovedì 25 febbraio 2016
G PASCOLI (1855-1912) (V.De Caprio - S.Giovanardi, I Testi della Letteratura italiana)
G. Pascoli nasce nel 1885 a San Mauro di Romagna in provincia di Forlì, quarto di dieci figli di Ruggero e di Caterina Vincenzi Alloccatelli. Il padre, amministratore della tenuta “La Torre” dei principi Torlonia, poteva garantire alla numerosa famiglia un’ agiata condizione economica. Dai sette ai quattordici anni Giovanni studia nel collegio dei Padri Scolopi di Urbino, particolarmente versati nell’insegnamento delle Lettere classiche. La vita del poeta fu segnata per sempre da una tragica catena di lutti che inizia fatalmente il 10 agosto 1867. Il quel giorno il padre Ruggero fu ucciso da una fucilata sulla via del ritorno a casa; l’anno successivo muore di tifo la sorella maggiore Margherita, seguita a pochi giorni di distanza dalla madre, colpita da un’improvvisa cardiopatia; più tardi , nel 1871, una meningite stronca il fratello Luigi. Infine muore di tifo anche il fratello Giacomo. Il Pascoli si ritrovò così a fronteggiare una situazione economica fattasi improvvisamente assai difficile.
Nel 1873 Pascoli vince una borsa di studi che gli consente l’iscrizione alla facoltà di Lettre dell’Università di Bologna. Qui Il poeta aderì alle idee socialiste ed anarchiche e prese parte anche a manifestazioni studentesche di protesta; per questa ragione perde la borsa di studio e viene anche arrestato, rimanendo in carcere per tre mesi. Finalmente a 27 anni si laurea, discutendo una tesi sul poeta greco Alceo, e intraprende la carriera di insegnante liceale di latino e greco, carriera che lo porterà a stabilirsi dapprima a Matera, successivamente a Massa, poi a Livorno.
A Massa, nel 1885, il poeta chiama a vivere con sé le due sorelle minori Maria (Mariù) e Ida, ricostruendo a finalmente quel “nido” che il destino aveva distrutto e inaugurando uno stile di vita non privo di aspetti morbosi, basato sul culto dei morti e sul tacito patto di non farsi una famiglia propria, rispettando una sorta di voto di castità ( “Il mio cuore è tutto pieno di Ida e Maria. Se a Livorno non guardo le donne, quando sono a Roma o a Firenze le guardo con orrore! Oh le mie due piccine! O Ida! O Maria! E mi addormmento col vostro nome, stringendo quella crocettina!” ). La riunione della famiglia, dopo tanti lutti, la faticosa ricostituzione del nido, è un momento di grande importanza per l’equilibrio psicologico del Pascoli.
Il 1895 è un anno cruciale nella vita del Pascoli: la sorella Ida si sposa, e quel matrimonio è sentito da Giovanni e Maria come un vero e proprio tradimento che sconvolge ulteriormente i loro già fragili equilibri psichici ed esistenziali. Ancora, nel 1895 si stabilisce con la sorella Maria a Castelvecchio di Barga, in provincia di Lucca, che diverrà la sede definitiva del loro nido, pur mutilato dalla defezione di Ida.
Nel 1898 Pascoli è nominato professore ordinario di letteratura latina all’università di Messina; successivamente viene chiamato dall’università di Pisa; infine nel 1905 è chiamato dall’università di Bologna a succedere a Giosué Carducci nella cattedra di letteratura italiana: il poeta accetta, ma l’insegnamento bolognese sarà sempre fonte di angosce per il difficile confronto con il predecessore, che pure era stato uno dei massimi estimatori della sua opera. Morì nella sua casa di Castelvecchio nel 1912.
LA PRODUZIONE LETTERARIA
A partire dagli anni Novanta, il Pascoli arriva a definire le principali linee della sua poesia in raccolte poetiche differenti e spesso parallele. Le maggiori raccolte poetiche di G. Pascoli sono: Myricae (1891), i Poemetti (1897)– divisi poi in Primi poemetti (1904) e Nuovi poemetti (1909)- I Canti di Castelvecchio (1903), I poemi conviviali (1904), Odi e Inni (1906).
Occorre tener presente che Pascoli , come Carducci, porta avanti in parallelo diversi generi poetici in cui articola l’insieme del suo lavoro poetico:
una poesia prettamente lirica e di ispirazione “umile”, dedicata alla realtà contadina, alla quotidianità agreste evocata già nel titolo della sua prima opera, Miricae(cioè tamerici, piccoli arbusti sgraziati e assai diffusi) e poi ripresa e continuata idealmente nella raccolta I canti di Castelvecchio.
una poesia a carattere narrativo, affidata a lunghi componimenti raccolti nei Poemeti
una poesia di argomento classicistico e impegnativo, riversata nei Poemi conviviali
una poesia a carattere civile e patriottico: Odi e Inni, Le canzoni di re Enzio, I poemi italici, I poemi del Risorgimento.
In Pascoli abbiamo la copresenza di più “maniere” poetiche che egli frequentava contemporaneamente, mutando di volta in volta l’impostazione stilistica e le scelte tematiche di fondo. Le sue raccolte poetiche non si concludono in brevi spazi temporali, ma rappresentano un percorso stilistico prolungato nel tempo: ciò è testimoniato dalle numerose e successive edizioni che le caratterizzano. Le raccolte costituiscono cioè dei contenitori sempre aperti, che accolgono nel corso del tempo i vari prodotti poetici, a seconda delle loro caratteristiche. Lo stesso Pascoli era bel consapevole di ciò, tanto che pensò di contraddistinguere i diversi volumi delle sue opere con un motto tratto dai versi iniziali della IV Egloga di Virgilio(Sicelides Musae, paulo maiora canamus./ Non opmnes arbusta iuvant humilesque myricae).
Pertanto le raccolte Myricae e Canti di Castelvecchio - ispirate al motivo georgico - recano il motto “Arbusta iuvant humilesque myricae”; PASCOLI DECADENTE
i Primi e i Nuovi poemetti recano il motto “Paulo maiora”;
Odi e Inni “Canamus”; PASCOLI IDEOLOGICO - piccolo borhese
i Poemi conviviali “Non omnes arbusta iuvant”. PASCOLI CLASSICISTA
COMPONENTI CULTURALI IN PASCOLI
Il Classicismo, come modello di raffinatezza formale : il poeta fu un attento conoscitore della letteratura classica acquisita attraverso gli studi liceali e universitari (tesi di laurea sulla metrica del poeta greco Alceo) nonché della tradizione letteraria nazionale (Dante, Petrarca, Boccaccio, Tasso, Parini, Monti, Alfieri, Leopardi).
Fu uno studioso e conoscitore, seppur modesto, delle letterature straniere da cui derivò la sua spiccata sensibilità decadente (fatta eccezione per Victor Hugo, Theophile Gautier, Edgar Allan Poe, Baudelaire, i romantici tedeschi, non abbiamo notizie di particolari contatti o sollecitazioni dalla cultura d’oltralpe). Altre rilevanti componenti sono il Positivismo e il Realismo, il Parnassianesimo, il Simbolismo.
TEMI DELLA POESIA PASCOLIANA
IL TEMA AGRESTE: la realtà contadina è accuratamente descritta dal poeta in veri e propri dipinti poetici, quadretti di vita contadina ( l’aratura, la sfogliatura, il crocchio delle comari, la veglia serale) che procedono dalla descrizione esterna dei campi fino all’interno familiare. La realtà contadina è tanto più accuratamente descritta, quanto più Pascoli vi individua il luogo innocente e paradisiaco della propria infanzia, un mondo schietto, custode di saggezza atavica, di sentimenti autentici, di innocenti virtù. Da qui l’attenzione minuziosa del Pascoli per i dettagli paesaggistici che si ampliano di una suggestiva notazione fotografica, l’attenzione per i particolari anche minimi del mondo della campagna, con un raffinato gusto per il dettaglio che ha fatto parlare di “impressionismo” pascoliano.
Sotto l’apparenza dell’idillio, del quadretto lirico di intonazione agreste, si muovono contenuti misteriosi e nascosti. Ecco che il mondo fenomenico, realisticamente e puntigliosamente descritto, si arricchisce in Pascoli di una potente carica simbolico – evocativa.
Il motivo agreste ha dato vita a una poesia prettamente lirica e di ispirazione “umile”, dedicata alla realtà contadina, alla quotidianità agreste evocata già nel titolo della sua prima opera, Myricae(cioè tamerici, piccoli arbusti sempreverdi, sgraziati e assai diffusi) e poi ripresa e continuata idealmente nella raccolta I canti di Castelvecchio.
• Il motivo georgico si esprime attraverso il TEMA DELLA NATURA: in Pascoli rivivono, in chiave simbolica, le incontaminate virtù del paesaggio della Garfagnana (dove il poeta visse dal 1895, in compagnia dell’ adorata sorella Maria) che si arricchisce di suggestioni simboliche e irrazionali (San Mauro di Romagna, custode di antichi e felici ricordi d’infanzia, Castelvecchio di Barga)
• PREVALENZA della MEMORIA, del SOGNO, DEL SIMBOLO sulla realtà: ciò si realizza in Pascoli mediante la regressione inconscia del suo mondo psichico; si esprime attraverso la dimensione onirica e simbolica del RICORDO come della evocazione nostalgica del passato; il mito dell’infanzia come sogno di innocenti illusioni e di speranze di felicità.
• VISIONE TRAGICA DEL MONDO - TEMA DELLA MORTE E DEL DOLORE: la fuga dalla realtà, la regressione emotiva e psicologica dell’autore, il contrasto tra ideale/reale, il Simbolismo. Il sentimento della morte, che alimenta incessantemente la produzione artistica del Pascoli, in gran parte legato al trauma originario della morte del padre, si esprime mediante la descrizione di orfani, morti precoci di neonati, madri in lacrime. Il motivo funebre si fonde intimamente col TEMA AGRESTE e col tema della NATURA . La Natura si carica di un intrinseco e spiccato potere evocativo, di una accentuata valenza simbolica e diviene partecipe, attraverso dettagliati quadretti di vita rurale e domestica, del dolore immenso del poeta, del suo profondo disagio esistenziale. Paesaggio naturale e motivo funebre generano un Simbolismo fatto di descrizioni quotidiane, di segni appena percepibili, ma fortemente inquietanti che producono angoscia. Profondo legame tra vita psichica e vita cosmica: la natura magnanima e benevola, custode di un antico sogno di felicità, osserva con profonda commozione le sciagure umane, partecipa impotente alla disperazione del mondo “atomo opaco del male”.
• IL TEMA DEL NIDO: è il vero e proprio sottofondo psicologico non soltanto di Myricae e di Canti di Castelvecchio, ma di tutta la produzione letteraria del Pascoli. Il mito del nido, nel quale si organizzano il focolare domestico e il vincolo parentale , rappresenta un universo chiuso e protetto, un guscio protettivo riscaldato dall’affetto sincero e incondizionato dei cari. L’esaltazione costante che il pascoli fa del legame di sangue, conduce il poeta ad esaltare e a mitizzare un modello di società agraria e di tipo patriarcale, non contaminata dal progresso, né da ideologie utilitaristiche. Il Pascoli si fa nostalgico sostenitore di un modello di società antica, preindustriale, destinata, ad una lenta ed inesorabile dissoluzione, minacciata ormai dall’ombra della morte a causa della pressione della modernità urbana, che il poeta osserva con orrore e sgomento. Il nido, dunque, rappresenta un luogo psicologico protettivo, un rifugio ideale nel quale convivono il rimpianto di un eden antico (e ormai perduto) e la feroce ossessione dei legami con i familiari.
IL TEMA DEL NIDO SI COLLEGA AD UN DESIDERIO DI REGRESSIONE INCONSCIA E DI FUGA DALLA REALTA’
• UMANITARISMO e NAZIONALISMO: in Pascoli convivono una accentuata sensibilità decadente e una componente ideologica che portano il poeta ad esprimere la propria idea sociale improntata a un umanitarismo e ad una generica simpatica per le classi diseredate, i cui mali cesserebbero solo in una società contraddistinta dalla equa diffusione della piccola proprietà terriera.
L’umanitarismo del Pascoli interpretava la visione sociale della piccola borghesia di provincia, saldamente legata ai valori della TERRA E DELLA FAMIGLIA.
Accanto all’ideale umanitario, si sviluppa successivamente nel poeta anche un sentimento di entusiastica esaltazione patriottica. L’ambiente culturale italiano tra l’Ottocento e il Novecento è fortemente nutrito di spinte nazionalistiche e il Pascoli, ideologicamente fragile, non resta immune dal clima di generale ed entusiastica esaltazione patriottica. Ciò accade, in particolare, dagli inizi del 900, allorché nel 1905, dopo aver insegnato a Messina e a Pisa, il poeta succede nel 1905 a G. Carducci come docente di Letteratura italiana presso l’università di Bologna. Il nuovo ruolo accademico opprime il poeta di grandi responsabilità ufficiali: egli raccoglie dal grande predecessore l’eredità di poeta vate dell’Italia monarchica.
Dunque, alla viglia della 1^ guerra mondiale in pascoli si registra un ulteriore, inevitabile, sviluppo del sua pensiero politico, una significativa involuzione ideologica: impressionato dalla minaccia dei conflitti generati dai contrapposti interessi delle nuove classi operaie e del capitalismo, egli passa da un atteggiamento umanitaristico di matrice socialista, vicino alle sofferenze degli umili e a un modello di società arcaica, ad un atteggiamento di adesione alla politica nazionalistica del tempo, in aperto sostegno della politica e della cultura imperialistica, sostenendo ad esempio, l’impresa coloniale dell’Italia ai tempi della guerra in Libia(1911-12). Basti pensare all’ultimo celebre Discorso ufficiale pronunciato dal poeta nel 1911 in onore dei morti e feriti italiani nella guerra contro i turchi per la conquista della Libia, “La grande proletaria si è mossa” (discorso ricco di enfasi oratoria, celebrazione della politica colonialista esaltazione della tradizione imperiale di Roma )
L’involuzione ideologica del Pascoli, dal Socialismo al Populismo e al Nazionalismo non sarebbe rimasto un caso isolato.
Seguendo il complesso percorso artistico ed ideologico del Pascoli rileviamo una produzione poetica varia per stile e contenuti.
• PASCOLI DECADENTE (Decadentismo, Simbolismo, Naturalismo) → Myricae, Canti di Castelvecchio
• PASCOLI IDEOLOGICO: POESIA ATTENTA ALLE TEMATICHE SOCIALI, DI ISPIRAZIONE UMANITARIA → i Poemetti (1897); Primi poemetti (1904); Nuovi Poemetti (1909)
POESIA CIVILE E PATRIOTTICA → Odi e inni (1906); Canzoni di Re Enzio; i Poemi italici (1911) i Poemi del Risorgimento (1910-1912); Pensieri e Discorsi (1907)
• PASCOLI CLASSICISTA → Poemi conviviali (1904)
LINGUA E STILE IN PASCOLI
Con Pascoli assistiamo al profondo sovvertimento della lingua poetica tradizionale; ciò si manifesta nella sua mirabile capacità di dar voce all’irrazionale e di gestire musicalmente le parole: sono queste le caratteristiche della poesia pascoliana che hanno agito durevolmente sulla tradizione lirica del Novecento. I più illustri critici di G.Pascoli - Renato Serra, G. Contini, Giacomo Debenedetti, Eugenio Montale, Pier Paolo Pasolini ) hanno evidenziato la carica innovativa della sua lingua poetica, collocando la produzione artistica del pascoli tra le più significative avanguardie artistico- letterarie del 900. Gianfranco Contini, in particolare, ha sottolineato
• IL POTERE EVOCATIVO DEL LINGUAGGIO ONOMATOPEICO “AGRAMMATOCALE” O PREGRAMMATICALE, spesso usato accanto a termini tecnici e gergali con potenti effetti espressivi.
Lo Sperimentalismo linguistico si manifesta in Pascoli attraverso
IL FONOSIMBOLISMO: organizzazione del suono in parole che richiamano alla mente immagini e sensazioni. Il Fonosimbolismo si realizza mediante lo strumento dell’ ONOMATOPEA: figura retorica per cui il suono della parola imita il suono dell’oggetto designato; i suoni delle parole possono dunque assumere significati evocativi autonomi, cioè possono significare di per sé, non solo in quanto si combinano a significare la parola. Es: “dlin…dlin” della bicicletta, “tri… tri” dei grilli; “cu… cu” del cuculo, il “chiù” dell’assiuolo.
ANALOGIA: procedimento retorico forgiato dai più grandi poeti romantici che diventa la risorsa espressiva primaria dei Decadenti e dei Simbolisti. Consiste nella connessione fulminea tra due concetti o immagini, più rapida della similitudine e tutta fondata su uno scatto metaforico che conduce alla rapida sintesi di due elementi.
ALLITTERAZIONE: figura retorica che consiste nella ripetizione degli stessi fonemi in due o più parole vicine.
ASSONANZA: si ha quando due o più parole al termine del verso presentano le medesime vocali a partire da quella tonica.
SINESTESIA: associazione espressiva di parole pertinenti a sfere sensoriali differenti.
LA PRECISIONE E NITIDEZZA LESSICALE : uso di una lingua poetica nuova che abolisce i termini aulici della tradizione letteraria, perché ritenuti generici e vaghi, a favore di una sterminata nomenclatura specifica - uso di termini tecnici - per indicare con esattezza tecnica fiori, piante, animali, attrezzi da lavoro). Riscontriamo in ciò tracce della lezione del Positivismo e del Naturalismo.
L’IMPRESSIONISMO PASCOLIANO: la precisione e la nitidezza lessicale SI TRADUCE in uno stile pittorico impressionistico, fatto di tocchi rapidi di denso cromatismo. Alcune delle più celebri liriche appaiono dei veri e propri quadretti descrittivi, vividi e accurati. La lirica “Patria” rappresenta uno dei culmini dell’impressionismo pascoliano. Così il poeta definisce le nuvole “bianche spennellate/in tutto il ciel turchino”. L’Impressionismo pascoliano è affidato a una rapida sequenza di immagini, a una successione di note visive accostate tra loro da un’interpunzione fitta, costituita prevalentemente da due punti e virgole, con un tocco rapido derivante dalla prevalenza di uno stile nominale “Siepi di melograno/ fratte di tamerice/ il palpito lontano/ d’una trebbiatrice / l’angelus argentino”.
PLURILINGUISMO→ USO DI TERMINI TECNICI E GERGALI, LATINISMI, VOCABOLI STRANIERI (vedi ad es. il poemetto Italy)
ESPRESSIONISMO LINGUISTICO: il gusto del vocabolo preciso diventa in Pascoli una puntigliosa registrazione del parlato popolare che si introduce con forza espressiva nelle strutture della lingua poetica; contaminazione linguistica tra lingua poetica-modi linguistici tipici della Garfagnana .
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