martedì 13 ottobre 2015

PROPOSTA DI ANALISI TESTUALE - I CANTO DELL' INFERNO Marika Caruso III D (A.S.2013-14)


Con il primo canto dell' inferno ha inizio il viaggio ultramondano che Dante afferma di aver compiuto nella sua opera maggiore, la Commedia, composta a partire dal 1303-1304 fino agli ultimi anni di vita dell'autore (1321). L'inizio è in medias res: nella notte tra il 7 e l '8 aprile Dante erra, tormentato dalla paura in una selva oscura senza sapere come ci sia giunto. Al mattino vede però un dilettoso colle davanti a sé, illuminato dai primi raggi del sole. Attratto da quella luce e sperando in essa la salvezza si avvia dunque per conquistarne la cima ma invano poiché tre fiere gli sbarrano la strada: sono una lonza prima, poi un leone e infine una lupa che gli fanno perdere la speranza di salire sul colle. La lupa, orrida a vedersi, spinge anzi di nuovo Dante verso il basso e lo riporta nell' angoscia del peccato, nell' esperienza buia della paura. Appare però al poeta un' ombra: è Virgilio che gli indica la strada per cui potrà salvarsi. Dante dovrà attraversare il regno della perdizione eterna e quello della penitenza poiché solo così potrà salire nel regno della luce. Inoltre Virgilio annuncia a Dante l'avvento di un Veltro che libererà la terra dalle tre fiere che dominano il mondo e in particolare saprà cacciare la lupa ingorda. Intanto Virgilio si offre di guidare Dante nel viaggio attraverso i regni ultramondani dell' inferno e del Purgatorio, poi lo affiderà a Beatrice, che accompagnerà il poeta in Paradiso. Il primo canto dell' inferno, ma in generale l' intera opera dantesca, è costituito da strofe di tre versi endecasillabi a rima incatenata. Talvolva l'unità metrica non coincide con l'unità sintattica, ossia il verso non corrisponde alla frase di senso compiuto, quindi in tale caso le strofe vengono ad essere legate l'una all'altra accelerando così il ritmo (esempi sono le strofe 5-6,8-9,13-14,14-15,17-18,19-20,44-45)La paranomasia presente al verso 36 "più volte volto" rimanda allo smarrimento di Dante alla prospettiva di ritornare nella selva oscura. Le caratteristiche della lupa vengono espresse attraverso un' allitterazione della r (versi 49-51) mentre quella della l nei versi descrittivi della lonza e della sua leggerezza creano quasi un effetto onomatopeico. Il poeta utilizza anche un' altra allitterazione con una sequenza degli stessi suoni duri per rendere l'idea dell'asprezza della selva. A ciò contribuisce anche il lessico che si conforma alla materia trattata, infatti come la sequenza degli aggettivi "esta selva selvaggia e aspra e forte" e la presenza della figura etimologica trasmettono l'idea della difficoltà del luogo così l' espressione "spalle vestite già de' raggi del sole" riferita al colle, lo rende cordiale, umanizzato. La lingua poetica del primo canto dell'inferno però oltre ad essere densa di realismo è anche carica di allegorie. Infatti nelle immagini della lonza, del leone e della lupa, tratte dai bestiari medievali, sono visibili le allegorie della lussuria o della frode, della superbia o della violenza e dell' avarizia come cupidigia. La verità di questi vizi è espressa attraverso il lessico e in particolare nella leggerezza rapida della lonza, nella fierezza spaventosa del leone e nella magrezza famelica e insaziabile della lupa. La natura crudele di quest' ultima viene delineata dalla dittologia "sì malvagia e rìa" (verso 97). Le stesse parole di Virgilio confermano il rapporto figurato che sussiste tra lupa e avidità, un vizio che esattamente come l'animale descritto dal poeta non si sazia mai di accumulare beni e dopo ogni successo è più affamato di prima. Inoltre il fatto che le tre bestie impediscano il cammino di Dante verso il colle inducendolo a tornare indietro è la rappresentazione allegorica di come le inclinazioni peccaminose impediscano la via dell' uomo verso la salvezza inducendolo a restare nel peccato. Sono rilevanti le metafore del "dilettoso colle", ossia la speranza della salvezza, e della "selva oscura" che rappresenta il peccato e quindi, lo smarrimento in essa indica la presa di coscienza dell' io narrante di trovarsi in uno stato di errore. Lo stesso sonno va inteso non come bisogno fisico ma come sonno della ragione, stordimento e ottenebramento della mente, figure tipiche del peccato nella Bibbia la cui influenza è evidente anche nell' espressione "Miserere di me" che è anche un latinismo, insieme al termine "pelago".
Il primo canto dell'inferno è denso di simbolismo e allegorie: prima fra tutte l'immagine di Virgilio, simbolo della ragione e del pensiero umani. Ciò è evidente nel suo discorrere pacato, nel suo trepido consigliare, nel suo paterno correggere e nel suo bonario decidere per l' allievo. Essendo Virgilio simbolo della ragione, il suo essere senza voce è metafora di come la voce della ragione abbia a lungo taciuto nell' uomo che viveva nel peccato. Anche l'avvicendamento delle due figure di Virgilio e Beatrice ha un significato simbolico cioè la sola ragione umana rappresentata dal poeta non è sufficiente per condurre l' uomo fino in Paradiso ma deve essere soccorsa dalla fede, rappresentata da Beatrice, che è superiore anche se complementare alla razionalità. Inoltre contribuiscono a trasmettere l'idea della difficoltà del luogo la similitudine tra il naufrago che si volge a rimirare le onde pericolose e il poeta che, ancora tutto inorridito, si volge a guardare la selva (versi 22-27) e la similitudine tra la disposizione d' animo di Dante che viene ricacciato nella selva dalla lupa e quella dell' avaro che perde tutto(versi 55-60). Inoltre la condizione di Dante che si volge indietro a rimirare la selva è a sua volta metafora dell' uomo che prende coscienza dei suoi errori e guarda alla vita passata con spavento. Numerosissime sono le perifrasi: "Nel mezzo del cammin di nostra vita" che apre l' opera, "Nel tempo de li dei falsi e bugiardi " (verso 72) ovvero in periodo pagano, la perifrasi astronomica "Temp' era dal principio del mattino" ed altre ai versi 30 e 60. Altre figure retoriche semantiche possono essere rilevate nel lungo discorrere tra Dante e Virgilio. Quest'ultimo, quando prende per la prima volta la parola, apre il suo discorso con un chiasmo e allo stesso tempo un' antitesi: "Non omo, omo già fui". Dante invece con le sue parole mette in evidenza la grandezza morale, intellettuale e in ambito retorico di Virgilio tramite l' endiadi "de li altri poeti onore e lume"(verso 82), la metafora ai versi 79-80 e l'apostrofe "famoso saggio" che sottolineano tutte la sua riverenza nei confronti di Virgilio. Altre figure retoriche, utilizzate frequentemente da Dante nella sua opera ed anche in questo canto, sono la sinestesia (" 'l sol tace" al verso 60), la metonimia (verso 109) e la personificazione ("animo mio ch' ancor fuggiva" al verso 25). A livello sintattico sono molto numerose le anastrofi (versi 12,15,33,49-50,80,95-96) ed è presente un'anafora ai versi 85 e 86 ("Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore, tu se' solo colui...") con la quale Dante sottolinea ciò che Virgilio è stato per lui. Senso di angoscia e speranza, peccato e desiderio di salvezza sono i temi dominanti di questo primo canto introduttivo della Commedia: tali temi vengono interpretati con le immagini metaforiche del buio e della luce e, ancor meglio, mediante i quadri simbolici della "selva oscura" e del "dilettoso monte". Virgilio mostrando a Dante l'altra strada, il viaggio attraverso i tre mondi, rende chiaro il messaggio: all'uomo la via diretta al Paradiso è preclusa e per raggiungere il cielo gli è necessario un percorso che comprende la coscienza razionale del peccato, il distacco da esso e la deliberata purificazione. Il viaggio attraverso i tre mondi è perciò metafora del percorso introspettivo di conoscenza razionale del peccato e pentimento, il solo che può condurre l' uomo alla salvezza.
Marika Caruso IIID

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