martedì 24 novembre 2015

A. MANZONI (1785-1873), Le Tragedie - Le Odi. Appunti del docente ( cfr. V.de Caprio- S.Giovanardi, I Testi della Letteratura italiana, L'Ottocento) )

LE ODI

Le odi testimoniano l’adesione del Manzoni alle tematiche del “vero”, la sua estrema attenzione agli avvenimenti politici che segnano la storia italiana del Risorgimento nella prima metà dell’Ottocento. L’ARTE DEL MANZONI , LUNGI DALL’ESSERE UNA STERILE E PEDANTESCA IMITAZIONE DI MODELLI CLASSICISTICI, VUOLE CONSEGUIRE PRINCIPALMENTE UNA FINALITÀ MORALISTICA ED EDUCATIVA (Dante Alighieri). Il poeta pur non avendo mai partecipato direttamente ai moti risorgimentali, contribuì con la letteratura alla costruzione di una coscienza nazionale ( concetto di “Rivoluzione incruenta”; vedi anche G. Verdi, Il Nabucco; G. Leopardi, All’Italia). Alcune delle sue opere divennero dei veri e propri manifesti risorgimentali, mirabili esempi di poesia civile. Tra queste ricordiamo le due Odi: MARZO 1821 e il 5 MAGGIO.
Le due liriche sono legate a particolari occasioni storiche: rispettivamente, le speranze in un intervento della monarchia sabauda nella persona di Carlo Alberto e di Carlo Felice in appoggio dei patrioti lombardi contro gli austriaci; l’improvvisa morte di Napoleone Bonaparte nell’esilio di Sant’Elena (1815).
Componimenti politici lasciati incompiuti sono, invece, le due canzoni civili: Aprile 1814, composta sull’onda delle speranze indipendentistiche suscitate dalla abdicazione di Napoleone e dalla ritirata dei francesi dall’Italia; il Proclama di Rimini, entusiastico plauso all’utopistica spedizione di Gioacchino Murat.
Oltre alle poesie espressamente civili, bisogna rilevare l carattere implicitamente politico di quasi tutta la produzione letteraria del Manzoni (le Tragedie, i Promessi sposi), volta sempre ad insegnare e ad esortare, a scuotere le coscienze.
Le due Odi fondono efficacemente l’invocazione al riscatto della patria con l’universalità del messaggio cristiano: in questa ottica la liberazione dell’Italia dallo straniero assume il significato di un evento voluto da Dio stesso (concezione provvidenzialistica della storia), in nome di valori cristiani di giustizia, uguaglianza e fraternità fra gli uomini.
La notizia della morte di Napoleone, pubblicata sulla “Gazzetta di Milano” il 16 dicembre 1821, fu appresa dal Manzoni nella sua villa di Brusuglio (avuta in eredità da Carlo Imbonati). Lo scrittore, che nel frammento di canzone Aprile 1814 aveva manifestato la propria ostilità politica all’Imperatore, fu colpito dalla sua improvvisa scomparsa, tanto più che, sempre secondo la “Gazzetta”, Napoleone era spirato con i conforti della religione cristiana. L’ode fu composta di getto in soli tre giorni, dal 18 al 20 luglio 1821..
La prima stampa italiana dell’ode uscì a Torino nel 1823, tuttavia già nel 1822 Goethe l’aveva pubblicata in versione tedesca e anche in Italia ne circolavano esemplari manoscritti. L’ode valuta la figura di Napoleone alla luce di valori eterni ed universali e non di criteri storico-politici: per questo essa appare essenzialmente come una lirica a carattere religioso. Il Cinque maggio è definibile un vero e proprio “inno sacro”, al di fuori delle circostanze del calendario liturgico. Significativo è il legame del Cinque maggio con il principale degli inni sacri, la Pentecoste, a partire dalla presenza in entrambi di un identico verso “dall’uno all’altro mar” v.30. Ancor più stretto è poi il legame dell’ode con l’Adelchi, soprattutto con il suo secondo coro (La morte di Ermengarda, vv.61-66). Manzoni stesso parla dell’immensa emozione che presiedette alla composizione della lirica, in una lettera all’amico Cesare Cantù: “Che volete? Era una uomo che bisognava ammirare senza poterlo amare; il maggior tattico, il più infaticabile conquistatore, colla maggior qualità dell’uomo politico, il saper aspettare e il saper operare. La sua morte mi scosse, come se al mondo venisse a mancare qualche elemento essenziale […]” .

LE TRAGEDIE – La storia degli umili

Il Romanticismo cristiano del Manzoni indirizza il poeta verso l’indagine storica per ricostruire con nuovi criteri di interpretazione una storia mai scritta prima: una possibile storia degli umili e degli oppressi, in linea con le tendenze dello storico francese Augutin Thierry, che indagava la storia degli oppressi.
La ricerca condotta dal Manzoni rappresentazione degli oppressi inizia concretizzarsi nelle Tragedie: Il Conte di Carmagnola (composta tra il 1816-19 e pubblicata1820), l’Adelchi (scritta tra il 1820-21 e pubblicata nel 1822). I grandi personaggi consacrati dalla tradizione letteraria (nobili di alto lignaggio, re e principi) appaiono in esse, seppur presenti, certamente smitizzati, delineati crudamente nella loro sete di potere e di violenza fratricida, di dominio terreno, di arroganza, che li conduce fatalmente alla perdita della felicità ultraterrena. Conquistare il mondo, conquistare il potere equivale a macchiarsi inevitabilmente di crimini terribili. I vincitori sono quelli destinati dalla Provvidenza e dalla giustizia divina alle sofferenze future; si salvano, invece, gli “umili”, coloro che la “provvida sventura” destina inizialmente alla sofferenza rendendoli vittima della legge del più forte. Per gli “umili” l’unica speranza resta la fede in un Dio di giustizia. Così, ad esempio, Carlo Magno, che salva la Chiesa dall’oppressione longobarda, è un uomo dominato dalla sete di potere e dalla ragion di Stato. Le conclusioni del principe Adelchi, morente, sono emblematiche: non c’è posto nel mondo per opere gentili ed innocenti, non resta che operare violenza / o patirla e rimanerne vittima(Adelchi, Ermengarda). L’anima stanca dell’eroe romantico anela solo di salire al cielo e ricongiungersi al re dei re, a Dio, che ripaga amorevolmente e a piene mani gli oppressi, per il sangue versato. LA STORIA DELL’UOMO APPARE INTRISA DI SANGUE E DI MALE.
Tuttavia, la scoperta che è possibile una storia degli oppressi non conduce Manzoni ad una posizione di identificazione con essi e con i loro destini. Basti pensare alla figura di Renzo , nei Promessi Sposi: “Renzo è presentato dal Manzoni come un personaggio attivissimo, ma ha sempre bisogno di un direttore di coscienza che lo guidi, altrimenti sbaglia per ingenuità paesana, o per un’esigenza di farsi giustizia da sé, che per il Manzoni è una prova dell’immaturità della sua, pur fondamentalmente buona, coscienza etico-religiosa”. I limiti della formazione culturale di A. Manzoni, la sua estrazione sociale aristocratico - borghese, il suo cattolicesimo moderato trattengono il poeta sempre al di qua di una totale identificazione con i destini degli oppressi. Dunque la storia degli “umili”, che il Manzoni si propone di rappresentare colloca l’autore pur sempre in una posizione di pacato e lucido distacco da essi: sarà la divina Provvidenza, imperscrutabile e misteriosa forza - strumento della giustizia divina - , che provvederà a riscattare i tragici destini degli uomini e a guidare le azioni umane verso più elevati fini. Dunque nella ideologia manzoniana la “storia degli oppressi” non viene misurata dal poeta con la categoria dell’uguaglianza né già con la nozione di democrazia. Nella ideologia manzoniana gli “umili” appaiono come una massa ingenua e istintiva, talvolta perfino irrazionale e feroce (vedi i tumulti di S.Martino, nei Promessi Sposi) che necessita di una guida etico-politica superiore e che ispira al poeta a volte un amorevole sguardo paternalistico, altre sentimenti di diffidenza, di sfiducia, di amara rassegnazione.

Cfr. De Caprio-Giovanardi, I testi della letteratura italiana, vol. 3, ed. “Einaudi”; Antonelli – Sapegno, L’Europa degli scrittori, vol. 2b, “La Nuova Italia”;

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