NELLO SVOLGIMENTO DELLA LIRICA LEOPARDIANA SI DISTINGUONO QUATTRO PERIODI:
1° il periodo delle poesie giovanili, scritte anteriormente al 1818;
2° il periodo delle canzoni civili e filosofiche e dei piccoli idilli, cha va dal 1828 al 1823;
3° il periodo della composizione dei grandi idilli, che va dal 1828 al 1830;
4° il periodo della composizione del ciclo di Aspasia e del soggiorno a Napoli, che va dal 1831 al 1837.
A. IL PRIMO PERIODO (1818)
Comprende i versi scritti dal Leopardi adolescente, anteriormente al 1818. Delle poesie scritte in questo periodo le più importanti sono incluse nei Canti: L'Appressamento della morte (1816) e due elegie, Elegia prima ( che nell'edizione dei Canti del 1831 è presentata col titolo Il primo amore), ed Elegia seconda, ambedue composte tra il 1817 e il 1818. Nell'edizione definitiva napoletana dei Canti del 1835 il Leopardi incluse soltanto l' Elegia seconda.
Nell'Appressamento della morte il Leopardi, preso dal presentimento della morte,esprime il dolore di dover morire così giovane e di dover rinunciare alle sue dolci illusioni, soprattutto a quella della gloria.
Le due elegie narrano la storia del suo amore, tutto intimo e segreto, per la cugina del padre Gertrude Cassi-Lazzari, giunta da Pesaro per accompagnare la figlia in un convento di suore ed ospite per tre giorni del Leopardi. Le poesie giovanili hanno un modesto valore poetico. Dal punto di vista formale, appaiono letterariamente elaborate e retoriche risentendo, forse eccessivamente, dell'imitazione dei poeti antichi e moderni, soprattutto dall'Arcadia e di Vincenzo Monti; sul piano del contenuto sono scopertamente autobiografiche, sentimentali e patetiche. Esse rivelano il primo dei limiti che insidia talvolta la purezza della poesia leopardiana, anche degli inni migliori: l'effusione eccessiva sentimentale e malinconica.
L'altro limite, che appare più tardi, è la riflessione filosofica che tuttavia, se da una parte raffredda l'ispirazione dei canti migliori, essa ha il potere e il merito di elevare su un piano universale la poesia del Leopardi, liberandola dalla forte componente autobiografica. La riflessione filosofica fa sì che l'infelicità del poeta, di fronte al mistero dell'universo, si tramuti in infelicità, angoscia e solitudine di tutti gli uomini. Anche quando il Leopardi, nella fase della maturità artistica (La ginestra), assume l'atteggiamento titanico di sfida al destino, noi avvertiamo in esso la dignitosa e stoica accettazione da parte del poeta di un destino universale di dolore, piuttosto che l'atteggiamento romantico dell'individuo-eroe, che si eleva sulla massa degli uomini comuni.
B. IL SECONDO PERIODO (1818 al 1823)
I motivi autobiografici, sentimentali e talvolta patetici scompaiono nelle canzoni civili e filosofiche, che appartengono, insieme ai piccoli idilli, al secondo periodo dello svolgimento della lirica leopardiana, periodo che si svolge dal 1818 al 1823.
Le canzoni civili sono così chiamate perché presentano un’ ispirazione patriottica e oratoria, volta ad ispirare negli Italiani l'amor di patria e il ricordo di un passato di antiche glorie. Esse sono cinque: All'Italia, Sopra il monumento di Dante, Ad Angelo Mai, Nelle nozze della sorella Paolina, Ad un vincitore nel gioco del pallone. Presentano tutte un identico schema, che resterà poi caratteristico della poesia leopardiana. In esse l’occasione è sempre offerta da una circostanza di cronaca (i soldati italiani morti nella campagna di Russia, per la canzone All'Italia; il monumento di Dante che si preparava a Firenze; la scoperta del De republica di Cicerone ad opera del Cardinale Angelo Mai; le nozze imminenti della sorella Paolina- esse poi non avvennero più per la rottura del fidanzamento -; la vittoria sportiva del recanatese Carlo Didimi), ma mirano ad esprimere la condanna del presente e la nostalgia del passato. Le canzoni civili rappresentano da un lato il frutto dell'amicizia col Giordani, di idee liberali, e della cosiddetta "conversione" politica del Leopardi, dall'altro, sono l'espressione della sensibilità romantica del poeta, il quale, soffocato dall'angustia e dalla meschinità delle vicende storiche contemporanee, vuole sopraelevarsi da esse trasferendosi idealmente nel passato, in un mondo storicamente remoto, eroico ed esemplare.
In un primo momento questo passato si identifica per il Leopardi nell’età classica, l’età degli eroi greci e romani, le cui virtù morali e civili il poeta addita, come esempio ed incitamento, agli Italiani degeneri del suo tempo. Ma, a poco a poco, anche questo passati di virtù e di eroismo si offusca, perché il Leopardi vi proietta la sua tristezza e il suo dolore, scoprendo anche nel passato la vanità delle illusioni e il sentimento della umana infelicità. In tal modo, l’ideale esplorazione del mondo classico, iniziato con l’ammirazione e la nostalgia delle virtù eroiche degli antichi, si conclude col cupo pessimismo delle due canzoni filosofiche, il Bruto minore e l’Ultimo canto di Saffo (dette anche le ‘’canzoni del suicidio’’), in cui i due suicidi, Bruto e Saffo, appaiono le vittime della tragica condizione dell’uomo: il passato della Grecia e di Roma ha ormai perduto agli occhi del Leopardi la sua esemplarità e viene assorbito nel comune destino di dolore del genere umano.
Deluso quindi dall’età classica per effetto della proiezione del suo pessimismo nel passato, il Leopardi si rifugia idealmente in un’età ancor più remota, al tempo dei primordi del genere umano, anteriore alla amara scoperta della ragione. Nasce così la canzone Alla primavera, che evoca idealmente la primavera del genere umano, allorché la natura era madre benigna e pia dispensatrice di felicità e di illusioni agli uomini. Nell’Inno ai patriarchi, questo mitico periodo di felicità è portato al mondo biblico di Abramo e dei primi padri, quasi per dire che essa non è mai esistita e che gli uomini sono stati sempre e dovunque infelici. L’ultima canzone di questa fase, Alla sua donna, rispecchia nel contenuto il cosiddetto pessimismo cosmico col quale il Leopardi conclude la sua ideale esplorazione della storia umana, tracciata nelle canzoni civili e filosofiche. Il Leopardi vi esprime la vanità della più cara delle illusioni, quella dell’amore. Nella canzone non è rappresentata una donna reale,bensì l’immagine consolatrice della “donna che non si trova”, come scrisse il Leopardi: è la donna dell’immaginazione e della fantasia. Se una donna simile a quella sognata esistesse realmente, chi l’amasse sarebbe felice e si sentirebbe incitato a seguire la gloria e la virtù, e vivrebbe una vita divina, il che andrebbe contro le disposizioni del fato che ha destinato l’uomo all’infelicità.
A questo svolgimento di contenuto della lirica leopardiana – dal vagheggiamento del passato, nella ricerca della felicità, al riassorbimento di tutto il passato nel dolore universale – corrisponde un analogo svolgimento della forma. Se infatti, nel complesso, le canzoni civili e filosofiche sono letterariamente assai elaborate, appesantite da elementi retorici, intellettualistici, eruditi, da una sintassi complessa, da un linguaggio ricercato e classicheggiante – è questa la <
Questa purificazione della forma è già in atto in un gruppo di liriche, che i critici sogliono chiamare i primi idilli o I PICCOLI IDILLI, per distinguerli dai grandi idilli, scritti dal Leopardi nel periodo più felice della sua ispirazione poetica (dal 1828 al 1830).
Etimologicamente idillio significa in greco “piccola immagine”. In sede letteraria il termina venne usato per indicare un piccolo quadro di vita, un componimento breve, di argomento per lo più pastorale o agreste, ma anche cittadino, di intonazione realistica. Autorevoli rappresentanti di questo genere letterario, l’idillio furono i poeti greci Bione di Smirne, Mosco e soprattutto Teocrito. Ma l’idillio leopardiano è del tutto diverso dagli idilli della tradizione letteraria. Infatti, mentre l’idillio tradizionale ha carattere realistico ed oggettivo, perché ritrae la vita dei pastori o dialoghi fra cittadini, quello leopardiano assume anche un carattere soggettivo, personale, interiore. Il leopardi stesso definì i suoi idilli “situazioni, affezioni, avventure storiche (cioè sentimenti vissuti in un dato momento) dello spirito”, suscitate dalla contemplazione della natura, che così offre lo spunto o alla introspezione, e alla meditazione del poeta, o alla rievocazione del passato e delle illusioni giovanili.
I piccoli Idilli sono: 1)La sera del dì di festa; 2)L’infinito; 3)Alla luna; 4)Il sogno;5)La vita solitaria; 6)Il frammento Odi, Melisso, pubblicato col titolo Lo spavento notturno. Essi costituiscono il primo tentativo leopardiano di una poesia pura – immune cioè da elementi intellettualistici, eruditi, retorici, o da intenzioni didascaliche e oratorie- ed espressione ingenua, semplice, limpida ed essenziale del sentimento.
Dal 1823 ai primi mesi del 1828, il Leopardi non scrisse poesie, se si eccettua l’Epistola al conte Carlo Pepoli(1826), in endecasillabi sciolti che espone aridamente le sue convinzioni filosofiche. Durante questi anni egli scrive però, in prosa, le Operette morali, che hanno una grande importanza, come abbiamo detto, nello svolgimento del suo pensiero e della sua poesia in quanto segnano il passaggio dal pessimismo personale e soggettivo al pessimismo cosmico. Il Leopardi in esse medita non più sulle proprie dolorose vicende, ma sul dolore come patrimonio comune, eterno, irrimediabile di tutti gli esseri viventi, acquistando via via, attraverso questa certezza, una nuova condizione spirituale, più distaccata e quasi serena. In questa nuova condizione spirituale matura la poesia dei grandi idilli.
C. IL TERZO PERIODO (1828 -1830)
Fu nell’aprile del 1828, nel periodo felice del soggiorno a Pisa, che nel cuore del Leopardi si risvegliò la poesia. Lo stesso Leopardi fu così consapevole del suo nuovo stato di grazia poetica da annunziare subito alla sorella Paolina di aver scritto nei versi “con il cuore di una volta”. Egli descrive il nuovo stato d’animo nelle agili strofe metastasiane del Risorgimento, in cui parla del ritorno di quei sentimenti che giù un tempo lo avevano ispirato.
Il Risorgimento apre, dunque, il nuovo ciclo dell’attività poetica del Leopardi, che si conclude nel 1830 e che comprende la composizione dei GRANDI IDILLI: 1) A Silvia; 2) Le Ricordanze; 3) La quiete dopo la tempesta; 4) Il sabato del villaggio; 5)Il passero solitario; 6 )Il canto notturno di un pastore errante nell’Asia.
La struttura dei grandi idilli è analoga a quella dei piccoli idilli. Dal particolare realistico, con trapassi spontanei e naturali, la poesia si eleva alla rappresentazione del mistero e del dolore universale. Il contenuto universale dei grandi idilli è il risultato della meditazione filosofica delle Operette morali, che ha operato da filtro purificatore del sentimento leopardiano, liberandolo dagli elementi strettamente autobiografici, storici ed eruditi e trasformando il dramma individuale del poeta in dramma cosmico, coinvolgente l’universo intero.
Il confronto tra La Sera del dì di festa, che appartiene ai piccoli idilli, e il Canto notturno è particolarmente significativo: tra l’uno e l’altro è passato il travaglio filosofico delle Operette morali. Nella Sera del dì di festa la meditazione del poeta verte sul suo dramma individuale di innamorato ignorato; poi, stimolata dal canto solitario dell’artigiano, risale al ricordo storico dell’impero romano, travolto dall’infinito scorrere del tempo, il che suggerisce al Leopardi il senso della vanità delle cose umane.
Nel Canto notturno il Leopardi trascende del tutto le esperienze personali e i ricordi storici; egli contempla l’universo intero, di cui coglie con stupenda immediatezza il senso dell’infinito e del mistero.
L’importanza dei grandi idilli non consiste solo nel loro contenuto universale, ma soprattutto nella felice attuazione di quella lirica pura, intesa come voce del cuore, che il Leopardi era venuto elaborando nella sua poetica. Ad attuare tale lirica concorrono, oltre al contenuto tutto rievocativo e sentimentale, immune cioè da elementi allotri, filosofici, polemici, storici, eruditi e letterari, anche la varietà e la libertà delle forme metriche (la canzone leopardiana assume pertanto una struttura lontanissima da quella petrarchesca) ed il linguaggio vago, indefinito, suggestivo, vibrante di risonanze interiori, quale il Leopardi aveva teorizzato nella sua poetica.
Una caratteristica di questo linguaggio è che le forme lessicali e le strutture sintattiche sono assunte dal linguaggio colloquiale, impreziosite soltanto, qua e là, di qualche elemento della tradizione colta, fusi insieme nel ritmo libero e vario dei versi, creano un’armonia indimenticabile, vaga e suggestiva, tipicamente leopardiana.
D. IL QUARTO PERIODO (1831 al 1837)
Comprende le poesie del ciclo di Aspasia e quelle del periodo napoletano: va quindi dal 1831 al 1837, l’anno della morte del poeta. Esse sono generalmente svalutate dalla tradizionale critica letteraria per la loro eccessiva elaborazione letteraria o la presenza di elementi filosofici, polemici, sarcastici. Anche Francesco De Sanctis (Morra Irpina, 1817 – Napoli 1883; scrittore, critico letterario, politico, Ministro della Pubblica Istruzione) vi aveva notato “un filosofare troppo scoperto”, il segno del “morire della poesia nell’anima del Leopardi”. La critica storicistica, invece, per merito soprattutto di Walter Binni (Perugia, 1913 – Roma 1997 critico letterario, storico e antifascista italiano ) autore di un celebre saggio intitolato “La nuova poetica leopardiana”, la considera come l’espressione di una svolta della lirica leopardiana, l’espressione di una nuova poetica, la “poetica dell’anti-idillio”, diversa dalla più nota “poetica dell’idillio” . La poetica dell’idillio era incentrata sulle rimembranze, sulla rievocazione cioè del passato, della giovinezza perduta e della felicità sognata, fatta in tono sentimentale e malinconico, idillico, dandoci il profilo di un Leopardi assorto e nostalgico. Le liriche, invece, dell’ultimo periodo ci presentano un Leopardi diverso, aspro, ironico, energico e polemico, che non rievoca più malinconicamente il passato, ma si pone di fronte al destino in atteggiamento prometeico di sfida, fatto di fierezza e di dignità. Un Leopardi, insomma, che accetta titanicamente e stoicamente il proprio destino, che è quello di universale dolore e che torna ad essere, come nelle canzoni civili e filosofiche, maestro e apostolo di certezze e di verità. Un Leopardi che lancia agli uomini un invito alla fratellanza e alla solidarietà, per vincere il dolore e l’infelicità (nella Ginestra). Le poesie dell’ultimo comprendono innanzitutto cinque canti ispirati all’amore infelici di Leopardi per la signora Fanny Targioni-Tozzetti durante l’ultimo soggiorno fiorentino. Essi sono: Il pensiero dominante, Amore e morte, Consalvo, A se stesso, Aspasia. I primi tre rappresentano l’ebbrezza del sentimento amoroso; A se stesso rappresenta la caduta dell’illusione; Aspasia, composta a Napoli, rappresenta la vendetta del poeta contro la donna che lo ha deluso. Aspasia era una cortigiana di Mileto che, giunta ad Atene, era divenuta amante e poi moglie di Pericle (metà del V sec. a.C.). Aspasia è la signora Fanny Targioni-Tozzetti, che il Leopardi chiama così, per essere stata adescatrice scaltra e maligna del poeta. Altre poesie dell’ultimo periodo sono: la Palinodìa (ritrattazione) diretta al marchese Gino Capponi, in cui Leopardi finge ironicamente di ritrattare i suoi principi pessimistici e di accettare la teoria del progresso; I nuovi credenti, in cui polemizza contro le nuove correnti spiritualistiche del secolo; i Paralipòmeni della Batracomiomachìa, ossia aggiunte al poemetto attribuito ad Omero intitolato Batracomiomachia, battaglia delle rane e dei topi. In essi Leopardi schernisce i moti liberali napoletani del ’20 e del ’21. Ma le migliori poesie del periodo napoletano sono La ginestra o il Fiore del deserto e Il tramonto della luna.
La Ginestra è variamente giudicata dai critici.
Walter Binni l’ha definita “una sinfonia eroica”: il capolavoro della poetica del cosiddetto anti-idillio, che ispirò l’ultimo periodo della lirica leopardiana. Anche la critica marxista la giudica positivamente, per il forte messaggio sociale in essa contenuto: Leopardi si rivolge agli uomini invitandoli alla costruzione di una catena umana di solidarietà, per la costruzione di un nuovo mondo. La critica di Benedetto Croce (Pescasseroli 1866 – Napoli 1952; filosofo, storico, scrittore e politico italiano) invece, e quella storicistica, pur apprezzando la novità del messaggio sociale, giudicano la ginestra notevole per l’abilità letteraria con cui è condotta, ma debole dal punto di vista strettamente poetico. In essa, infatti, coesistono confusamente elementi diversi – idillici, filosofici, storici, polemici, satirici, oratori – più giustapposti che fusi in armonica unità. Lo spinto iniziale, come negli Idilli, è dato da un particolare realistico, l’osservazione della ginestra che con i suoi cespi fioriti riveste il fianco del Vesuvio, simbolo della potenza distruttrice della natura. Dall’osservazione del particolare, il poeta passa alla meditazione dell’universale condizione di fragilità e di dolore della natura umana. La critica crociana e quella storicistica considerano Il tramonto della luna la migliore creazione dell’ultimo periodo della lirica leopardiana. Nuoce certamente al canto il lungo paragone iniziale che si distende per ben trentatré dei sessantotto versi che lo compongono: come nella notte la luna tramonta, lasciando il mondo nell’oscurità, così la giovinezza abbandona l’uomo, lasciandolo senza più illusioni e speranze. Ma, nonostante questo limite, il canto rinnova l’andamento lirico e la purezza dei migliori idilli leopardiani.
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