IL ROMANTICISMO IN ITALIA ebbe un caratteristiche peculiari moderato rispetto al movimento che interessò tutta l'Europa.
Le ragioni vanno ricercate
nella persistenza in ambito culturale della mai tramontata tradizione classicistica, che operò da freno, epurando il romanticismo italiano dagli aspetti morbosi, irrazionali e mistici che apparivano in contrasto con il principio classico di armonia ed equilibrio delle forme.
L’altra ragione va ricercata nella difficile condizione politica italiana, uscita ancora divisa dal Congresso di Vienna, ridotta ad “una semplice espressione geografica” secondo la sprezzante definizione di Metternich, ma tuttavia anelante all’indipendenza e all’unità. Pertanto molti scrittori romantici italiani isolarono e svilupparono del Romanticismo soprattutto l’aspetto politico, quello che esaltava il sentimento nazionale e la libertà dei popoli oppressi, e si assunsero il compito di risvegliare e galvanizzare la coscienza nazionale e l’amor di patria, di educare politicamente e di elevare spiritualmente il popolo italiano.
Altro elemento frenante del Romanticismo italiano fu, oltre alla complessa situazione politica e alla persistente tradizione classicistica, la presenza ancora viva, specialmente il Lombardia, di molti aspetti derivanti dalla cultura illuministica: il solido realismo degli scrittori del “Caffe”, le idee divulgate dai fratelli Pietro e Alessandro Verri, da Cesare Beccaria, l’influenza della poesia politico-civile di G. Parini, il neoclassicismo di U. Foscolo.
I Romantici italiani, pertanto, si sforzarono di conciliare le manifestazioni più esasperate del Romanticismo europeo con la tradizione culturale italiana di matrice classicistica.
Il Romanticismo italiano, al di là della comune base concettuale, presenta due indirizzi fondamentali, insiti nella natura stessa del Romanticismo: l’indirizzo realistico ed oggettivo (legato all’analisi del dato reale); l’indirizzo lirico, patetico e soggettivo ( di influenza prevalentemente nord europea).
1 L’indirizzo realistico ed oggettivo si fa testimone di un’arte il più possibile aderente al “vero” storico. L’arte deve svolgere principalmente una funzione didascalica : deve contribuire alla formazione nel cittadino di una coscienza nazionale; deve contribuire al progresso civile della società. In questo senso il Romanticismo diede luogo ad una ricca produzione patriottica del Risorgimento ed ebbe quale massimo esponente A.Manzoni (a.Manzoni: l'arte deve avere il vero come soggetto,l'utile per scopo, l'interessante per mezzo).
2 L’indirizzo lirico e soggettivo fa riferimento ad un’arte individualistica, che sia la chiara espressione dei sentimenti dell’artista , dei suoi dissidi interiori, del suo profondo senso del dolore. Qesto filone ha come massimo esponente G.Leopardi, proseguirà nel cosiddetto “Secondo Romanticismo” e nel movimento della Scapigliatura.
Il Manifesto del Romanticismo italiano è rappresentato dalla “ Lettera semiseria di Grisostomo” (1816) di Giovanni Berchet pubblicata nel 1816, anno in cui apparve sul primo numero della rivista “ La Biblioteca italiana” un articolo di Madame De Stael dal titolo “ Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni” (gennaio 1818).
La Lettera sembra scritta sotto l’influenza stessa dell’articolo sull’utilità delle traduzioni, perché il Berchet, sotto lo pseudonimo di grisostomo, finge di inviare il figlio, che è lontano in un collegio, la traduzione di due Ballate del poeta tedesco Goffried Burger (1747-94) - Il cacciatore feroce e l’Eleonora- di argomento fortemente romantico per la presenza di elementi drammatici, avventurosi, lugubri. Tale occasione offre al Berchet lo spunto per affrontare il tema della nuova poesia romantica e per metterne in evidenza, con notevole rigore logico, la modernità e la superiorità sulla poesia classica.
L’articolo di Madame De Stael Madame de Staël (scrittrice francese di origini svizzere, Parigi 1766 – Parigi, 1817), pubblicato nel 1816, nella traduzione di Pietro Giordani, polemizzava con i classicisti italiani per la loro staticità nelle tematiche, ormai antiche, anacronistiche e ripetitive ; consigliava dunque ai letterati italiani di abbandonare le tematiche della mitologia greco-romana, giudicate oramai anacronistiche nel resto d’Europa, e prendere spunto dalle letterature europee, come quella inglese e tedesca, che rappresentavano grande innovazione e modernità. Fra i grandi sostenitori del Classicismo italiano che risposero all'articolo della De Staël, furono Pietro Giordani e Giacomo Leopardi.
G. Leopardi partecipò alla polemica classico-romantica dapprima, ancora adolescente, con una lettera indirizzata ai compilatori della “Biblioteca italiana”, che però non venne pubblicata, e nel 1818, quando scrisse il “Discorso di un italiano sulla poesia romantica”. In entrambi gli interventi Giacomo Leopardi si dichiara contrario alle traduzioni dei opere straniere, giudicate infarcite di descrizioni mostruose, assurde e fantastiche, tutte cose lontanissime dalla “vera, castissima, santissima, leggiadrissima natura”.
« Dovrebbero a mio avviso gl'italiani tradurre diligentemente assai delle recenti poesie inglesi e tedesche; onde mostrare qualche novità a' loro cittadini. »
(Madame de Staël, "Sulla maniera e l'utilità delle traduzioni", traduzione di Pietro Giordani)
Già al momento della sua pubblicazione, l’articolo di Madame De Stael apparve come una denigrazione della gloriosa tradizione culturale italiana, suscitando subito la sdegnosa reazione dei classicisti italiani. L’articolo si inserì nella celebre “polemica classico romantica” che vide contrapposti intellettuali classicisti, pronti a difendere l’integrità e il carattere nazionale della cultura italiana, ed intellettuali romantici, che ritennero giuste le critiche della De Stael, riconoscendo la decadenza italiana nel contesto della cultura europea ed impegnandosi a vivificarla e a modernizzarla. Gli intellettuali romantici in Italia ebbero come organo di divulgazione la rivista “Il Conciliatore” (1818-1819), così intitolato perché mirava a “conciliare i sinceri amatori del vero”, come scrisse il suo redattore capo, Silvio Pellico. Furono collaboratori del “Conciliatore” Giovanni Berchet, Ludovico Di Breme, Ermes Visconti, Pietro Borsieri, Federico Confalonieri. Erano uomini di idee liberali e ben presto attirarono i sospetti e l’intervento della censura austriaca. Così l’attività del “Conciliatore” fu sospesa dal governo austriaco nel dicembre 1819.
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