domenica 27 ottobre 2013
L'ITALIA NELLA DIVINA COMMEDIA ( da uno studio a cura di Riccardo Merlante – Stefano Prandi)
Dante, oltre che il ruolo di giudice, assume nel poema anche quello di profeta del mondo terreno, che gli consente di scagliarsi polemicamente contro Firenze e le città italiane, causa di frazionamento politico, contro la Chiesa e Impero massime istituzioni medievali, ormai incapaci di assolvere alla funzione affidata da Dio per guidare l’umanità. La polemica politica viene programmaticamente sviluppata nei canti sesti di ciascuna cantica. La polemica contro Firenze e la constatazione della sua decadenza politica e morale coinvolge anche le città dell’Italia centro settentrionale, fino ad abbracciare, in una prospettiva sempre più ampia nell’apostrofe di Sordello da Goito (Purg.VI), l’Italia nel suo complesso.
La decadenza dei costumi va ricondotta , sostanzialmente, alla CUPIDIGIA, all’INGORDIGIA , all’AVIDITA’ sul piano morale, e alla VACANZA DELL’IMPERO sul piano politico. Al pari di Firenze nell’Inferno (la città partita, c.VI; il popolo fiorentino sì empio, c. X; gent’è avara, invidiosa e superba, c.XV; l’ingrato popolo maligno, c.XV) , anche altre città toscane (e italiane) vengono presentate con i tratti della bestialità.
Il giudizio negativo sulla complessiva situazione politica italiana viene ampiamente formulato nel canto VI del Purgatorio, dopo l’abbraccio tra Virgilio e il conterraneo Sordello da Goito. Nell’apostrofe iniziale, l’alta funzione dell’Italia e di Roma ( la città santa per eccellenza in quanto già sede dell’impero universale, ora centro della cristianità, perché sede del papato) è contraddetta dallo stato di decadenza attuale: Ahi serva Italia, di dolore ostello/ nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello! (Purg. VI, vv.76-78) prostrazione . Dante dedica ben 25 terzine ad una polemica quanto mai appassionata e vibrante; polemica che si distingue dalle altre, numerose, presenti nella Divina Commedia per essere rivolta a più interlocutori, coinvolgendo l’Italia intera ( qui considerata forse, per la prima volta, non solo come entità geografico-linguistica, ma come una nazione), l’Imperatore, la Chiesa, Dio stesso, che nella domanda di Dante sembra quasi aver disdegnato lo sventurato paese (son li occhi tuoi rivolti altrove?, v.120), e infine Firenze, le cui dolorose vicende coinvolgono direttamente Dante, in esilio dal 1302. Se nel VI canto dell’inferno l’invettiva politica è affidata a Ciacco, simbolo di insaziabile ingordigia, e nel VI del Paradiso all’imperatore Giustiniano, emblema dell’impero universale, nel VI del Purgatorio l’invettiva prorompe direttamente dalla bocca di Dante-autore, che assume in prima persona il ruolo di profeta del proprio tempo. Per quanto riguarda la scelta di Sordello da Goito ( XII-XIII sec., il più celebre trovatore italiano, intellettuale di “alta eloquenza” De vulgari eloquentia) come protagonista di un canto politico, va detto che questi ben rappresenta l’unità linguistica auspicata da Dante, perché, precorrendo l’idea del “volgare illustre”, ha rifiutato la divisione dei dialetti ed ha scelto di poetare in provenzale, mentre l’Italia – dice Dante - è ”serva” a causa del suo frazionamento e delle sue lotte intestine. Dante conferisce alla figura di Sordello da Goito tratti di grande rilievo stilistico: Sordello era un personaggio ideale per rappresentare l’aspra denuncia di Dante contro le lotte intestine tra i principi italiani, innanzitutto per il tono aspro e risentito dei suoi sirventesi politici e morali e del celebre “Compianto” scritto in morte di ser Blacats, poi per la scelta letteraria di poetare in una lingua sovraregionale (l’occitanico), che a Dante appariva come un “volgare illustre”. Per queste ragioni, oltre che per affinità biografica ( anche la vita di Sordello da Goito fu caratterizzata dalla peregrinazione tra le corti italiane), Dante proietta nel poeta mantovano i tratti caratteristici della propria stessa nobile, magnanima, solitaria figura di esule, propugnatore di una giustizia al di sopra delle fazioni.
Nei versi della lunga e appassionata digressione politica (Purg. vv.76-126), la faziosità dei cittadini italiani in perenne lotta tra loro viene espressa in termini di bestialità (l’un l’altro si rode, Purg. VI, v.83), richiamando l’atmosfera del canto di Ugolino, che rode il cranio dell’arcivescovo Ruggieri di Pisa (Inf. C.XXXIII). L’invettiva denuncia i mali dell’Italia e ne indica le origini: l’Italia, un tempo padrona del mondo, ora lasciata “vedova e sola” dall’imperatore ( Purg. VI, v. 113), è divenuta, senza cavaliere, un cavallo selvaggio che nessuno può domare( costei ch’è fatta indomita e selvaggia, Purg. VI, v.98). Molti hanno contribuito alla decadenza italiana: in primo luogo l’imperatore che non svolge adeguatamente il proprio alto ufficio di somma guida politica e sul quale, perciò, si abbatterà il castigo divino; i pontefici, che si oppongono all’imperatore per sostenere il primato del potere spirituale e per le continue ingerenze nella sfera politica (Ahi gente che dovresti esser devota/ e lasciar seder Cesare in la sella, Purg. VI, vv. 91-92); le grandi famiglie magnatizie, i tiranni ; le istituzioni popolari, le lotte interne dei cittadini ( in te non stanno sanza guerra/li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode/ di quei ch’un muro e una fossa serra, Purg. VI, vv.82-84).
La polemica del VI canto si riallaccia a quella del XVI canto Purgatorio, dove la situazione politica italiana diviene oggetto di analisi etico-politica di Marco Lombardo. Strutturalmente, i due canti hanno in comune sia L’OPPOSIZIONE PASSATO /PRESENTE, i cui poli sono rappresentati qui da Roma e Firenze, e in cui l’Italia, un tempo giardino de lo imperio, contrasta con lo stato di attuale abbandono, associabile ancora una volta alla selva oscura del c.I;sia l'idea della NECESSITA’ DI UNA GUIDA AUTOREVOLE, idea centrale del pensiero etico-politico di Dante, che nel VI canto è rappresentata dall’immagine viva dell’Italia diventata “selvaggia” per mancanza di una guida autorevole e universale, che sia garante di giustizia e di legalità. L’analisi delle complesse condizioni politiche dell’Italia, si conclude , nel VI canto del Purgatorio, con l’invocazione a Dio, e dal momento che non si vedono nell’immediato i segni di un suo intervento diretto (il cui bisogno è avvertibile anche nella profezia del Veltro, Inf. c.I), Dante conclude il suo duro intervento politico-profetico rimettendosi, non senza sgomento, alla imperscrutabile volontà divina (O è questa preparazion che ne l’abisso/ del tuo consiglio fai per alcun bene/ in tutto de l’accorger nostro scisso? Purg. VI, vv.121-123).
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