venerdì 25 settembre 2015
U.Foscolo (1778- 1827) , Dei Sepolcri (vv.1-90). (Bibliografia: V.De Caprio- S.Giovanardi, I testi della letteratura italiana. L'Ottocento)
“Omnia migrant, omnia commutat Natura et vertere cogit”; Panteismo: Forza e moto.
La composizione Dei Sepolcri avviene tra l’estate e l’autunno del 1806. i tempi precisi della sua creazione non ci sono noti con sicurezza, ma possiamo dire con sicurezza che l’opera, nel gennaio 1807, era già stata ultimata. Un’ importanza notevole nella stesura del carme dei Sepolcri ebbe l’editto di Sant-Cloud (1804), che vietava le sepolture private nelle chiese e aveva stabilito che i cimiteri fossero posti al di fuori del perimetro cittadino. Questa legislazione, che contrastava improvvisamente con una secolare consuetudine riguardante il culto cristiano dei morti, fu estesa all’Italia nel 1806. ( Nei versi 51 e 53, si nota come il Foscolo abbia introdotto nel carme il riferimento attualizzante alle recenti norme legislative)
L’idea di scrivere I Sepolcri è nata in Ugo Foscolo a seguito di un colloquio, avvenuto nel giugno 1806, avuto con l’amico Ippolito Pindemonte (1753-1828) già autore di un poemetto incompiuto “I Cimiteri “ e con la nobildonna veneziana Isabella Teotochi Albrizzi (1760-1836) riguardante il tema della sepoltura. In questa circostanza il poeta, un po’ per simpatia verso la cultura rivoluzionaria nonché per convinzioni materialistiche e laiche, aveva sostenuto la validità della legislazione francese, che invece i suoi due interlocutori osteggiavano recisamente.
Nell’estate dello stesso anno, impossessatosi del tema poetico del Pindemonte e capovolgendo le sue iniziali posizioni, Foscolo compose Dei Sepocri, senza però ritrattare il punto di vista materialistico e laico.
Il carme Dei Sepolcri si compone di 295 versi di endecasillabi sciolti, cioè svincolati da strutture strofiche e da legami di rima. Si trattava di una forma metrica particolarmente diffusa nella poesia neoclassica (vedi già G. Parini, Il Giorno) che con il suo fluire ininterrotto, privo di partizioni strofiche, rispondeva perfettamente al gusto neoclassico per la linea continua e modulata. Inoltre l’endecasillabo sciolto aveva una lunga tradizione letteraria come metro in cui veniva reso, nelle traduzioni, l’esametro della poesia classica; Foscolo tradurrà in esametri “La chioma di Berenice “ di Catullo.
IL CARME DEI SEPOLCRI FU REDATTO NELLA FORMA DI UN’EPISTOLA IN VERSI INDIRIZZATA ALL’AMICO IPPOLITO PINDEMONTE, il quale decise a questo punto di interrompere la stesura dei Cimiteri e , quando l’opera fosco liana fu pubblicata, nel 1807, il Pindemonte rispose con un’epistola in endecasillabi sciolti intitolata anch’essa Dei Sepolcri. Fin dal momento della sua pubblicazione, il carme foscoliano aveva suscitato parere contrastanti tra i lettori: molti intellettuali rimasero coltiti dalla eccessiva complessità del testo, dalla sua STRUTTURA LOGICA E ARGOMENTATIVA, tanto che esso fu definito seccamente da Pietro Giordani “ un fumoso enigma”. Per questa ragione il Foscolo ne fece un sommario, in una lettera indirizzata a “Monsieur Guillon”, pubblicata nel 1807 sul “Giornale italiano”, rispondendo così alle critiche di oscurità e di mancanza di un coerente filo conduttore che un letterato francese, AIMÉ GUILLON (1758-1824) aveva rivolto all’opera di Ugo Foscolo sulla stessa rivista.
Sulla base del sommario redatto dal Foscolo è possibile divider il Carme in QUATTRO SEQUENZE (ciascuna articolata in un certo numero di quadri):
1 FUNZIONE SOGGETTIVA E PRIVATA DEI SEPOLCRI (vv.1-90): giustificazione sentimentale
2 IL CULTO DELLE TOMBE NELLE DIVERSE CIVILTà (vv.91-150) : giustificazione storica
3 FUNZIONE CIVILE DEI SEPOLCRI (vv.151-212) : giustificazione patriottica
4 FUNZIONE POETICA DEI SEPOLCRI (vv.213-295) : giustificazione poetica
L’innovazione apportata nel carme riguarda l’intento dimostrativo, il contenuto etico- civile e didascalico che induce il Foscolo a procedere per argomentazioni ed esempi, secondo una struttura logico-argomentativa, cioè per via filosofica; nel testo è evidente inoltre una fortissima carica attualizzante nel rapporto continuamente stabilito, ora in modo implicito ora in modo esplicito, tra passato e presente.
INTRODUZIONE, PARAFRASI
Il carme Dei Sepolcri è costituito da 295 endecasillabi sciolti. La metrica del carme foscoliano comprende l’uso di endecasillabi sciolti con un’inedita funzione argomentativa e filosofica. I frequenti enjambements rafforzano il senso di difficoltà e di densità espressiva già comunicato alla sintassi ricercata, ma allo stesso tempo sottolineano il distendersi del pensiero nel corso della versificazione che assume un andamento fluido e ininterrotto. Dunque, anche la metrica partecipa a questa “innovazione” del Foscolo, che ha creato una poesia che non vuol descrive ma piuttosto ragionare.
Il testo e suddivisibile in quattro parti, secondo il suggerimento offerto dallo stesso autore.
1 LA PRIMA SEQUENZA (vv. 1-90) affronta il tema della FUNZIONE SOGGETTIVA E PRIVATA DEI SEPOLCRI, l’utilità delle tombe e dei riti dedicati ai morti. Dal punto di vista materialistico e laico i sepolcri sono inutili e non riscattano, per chi muore, la perdita della vita: da un punto di vista oggettivo essi non possono mutare una condizione irreversibile. D’importanza fondamentale appare invece la funzione che le tombe svolgono dal punto di vista dei valori soggettivi, perché creano una CORRISPONDENZA DI AMOROSI SENSI FRA VIVI E MORTI, segno della sopravvivenza ideale dell’estinto nel ricordo dei vivi, a condizione però che l’estinto abbia lasciato ai suoi una preziosa eredità d’affetti, tale da annullare l’oblio.
La nuova legislazione francese risulta ingiusta agli occhi del Foscolo perché, al fine di cancellare le differenze sociali e sottolineare l’eguaglianza di natura fra gli uomini, nega di offrire il giusto riconoscimento ai meriti dei migliori. Ed è appunto rispetto a ciò che la legge napoleonica sulle sepolture estesa all’Italia con l’Editto di Saint Cloud svela il proprio carattere assolutamente inumano.
2 LA SECONDA SEQUENZA (vv. 91-150) ha per tema IL CULTO DELLE TOMBE COME ISTITUZIONE. Il Foscolo evidenza come la coscienza del culto dei sepolcri sia alla base di tutte le civiltà, anche se esso ha assunto nelle diverse epoche storiche e nei diversi luoghi forme e manifestazioni rituali differenti. L’usanza di seppellire i morti, infatti, nacque nel momento in cui l’umanità uscì dallo stato ferino per avviarsi verso la civiltà. Da allora, dice il F., il culto dei sepolcri ha assunto un carattere sacrale che si è mantenuto per tutti i secoli successivi.
Il Foscolo passa i rassegna i principali riti legati al culto dei morti che si sono manifestati nel tempo: esprime il suo elogio per l’antichità classica durante la quale le sepolture avvenivano in luoghi aperti e verdeggianti e i cimiteri rappresentavano occasioni di incontro affettivo tra vivi e morti ; così avviene anche in Inghilterra dove i cimiteri hanno la funzione di testimonianza degli affetti familiari e delle memorie civili. Altre forme di sepoltura, come quelle proprie dl Medioevo cristiano sono biasimevoli, poiché incutono il terrore della morte.
3 LA TERZA SEQUENZA (vv. 151-212) ha per tema LA FUNZIONE CIVILE DEI SEPOLCRI. Il Foscolo rileva come le tombe dei grandi personaggi (che si sono distinti per magnanimità, per imprese, per testimonianze lasciate ai posteri) hanno una doppia funzione: incitano gli animi a imprese valorose e rendono sacra la terra che li accoglie. Le tombe dei grandi costituiscono la sede della memoria storica: grazie ad esse si conservano i valori della tradizione che formano il carattere di una nazione e allo stesso tempo si mantiene viva la possibilità che quei valori tornino ad operare nel presente. Così risulta evidente di fronte alle tombe dei grandi in Santa Croce a Firenze (Machiavelli, Michelangelo, Galilei, Alfieri) o davanti ai sepolcri dei caduti nella Battaglia di Maratona in Grecia.
4 LA QUARTA SEQUENZA (vv. 213-295) svolge il tema della FUNZIONE POETICA DEI SEPOLCRI. La funzione memoriale e sacrale delle tombe dei grandi fa sì che ad esse si ispirino i poeti di tutti i tempi per celebrare le grandi imprese degli eroi antichi. Alla poesia, la più grande delle illusioni, spetta il compito di rendere sacre per l’eternità le gesta dei grandi eroi; la poesia, tramandando le antiche imprese goriose, si fa eternatrice della memoria storica che potrà sopravvivere nei posteri anche quando i sepolcri saranno distrutti dalla inesorabile forza del destino di dissoluzione che travolge tutte le cose umane.
DEI SEPOLCRI, parafrasi (vv.1-90)
“Deorum Manium iura sancta sunto” Leggi XII Tavole, V sec. a.C (= Siano sacri i diritti degli Dei Mani ).
Metro: Endecasillabi sciolti
(vv.1-90) Il sonno della morte è forse meno doloroso all’ombra dei cipressi e nei sepolcri su cui i parenti possono piangere i loro morti?
Quando il Sole per me non feconderà più la terra con le belle specie piante e di animali, e quando il futuro per me non ci sarà più davanti, ricco di lusinghe, né potrò più udire, dolce amico, la tua poesia malinconica, né più sentirò nel cuore l’ispirazione poetica e il sentimento d’amore, unico alimento per la mia vita di esule, quale risarcimento per i giorni perduti potrà mai costruire una pietra tombale che distingua le mie ossa da tutte le altre che la morte dissemina in terra e in mare? E’ proprio vero, Pindemonte! Anche la Speranza, ultima Dea, abbandona i sepolcri; e la dimenticanza avvolge ogni cosa nelle tenebre della notte; il tempo muta l’uomo, i sepolcri, le spoglie e ciò che resta della terra e del cielo.
Ma perché l’uomo dovrà privarsi prima del tempo dell’illusione che seppur morto possa tuttavia soffermarsi sulla soglia del regno dei morti?
Non vive anche egli sotto terra, quando la bellezza del mondo sarà per lui cessata, se può destare l’illusione di sopravvivenza con il ricordo dei teneri affetti nella mente dei suoi cari?
Questa corrispondenza di affetti tra i defunti e i vivi è un dono celeste; e spesso attraverso di essa si continua a vivere con l’amico morto, e il morto continua a vivere con noi, a condizione che la terra pietosa che lo accolse e lo nutrì da bambino, offrendogli nel suo grembo materno l’ultimo rifugio, renda inviolabili i suoi resti dagli oltraggi degli agenti atmosferici e dal sacrilegio piede del volgo, e una lapide conservi il nome, e un albero amico, profumato di fiori consòli le ceneri con la dolce ombra. Solo chi non lascia affetti tra i vivi ha poco conforto nella tomba; e se pure immagina ciò che accadrà dopo i funerali, vede il suo spirito vagare nel pianto nelle regioni d’Acheronte, o rifugiarsi sotto le grandi ali del perdono di Dio; ma le sue ceneri lasciano alle ortiche in una deserta terra dove né una donna innamorata verrà a pregare, né un passante solitario potrà udire il sospiro che la natura manda dalla tomba.
Tuttavia una nuova legge oggi impone che i sepolcri siano posti fuori dagli sguardi pietosi, e toglie la possibilità di nomi sulle tombe. E senza tomba giace il tuo sacerdote, o Talia (poesia), il quale cantando per te nella sua povera casa fece crescere una pianta d’alloro con amore costante, e ti offriva serti di fiori; e tu rendevi bella con la tua ispirazione la poesia che criticava il nobile lombardo (Sardanapalo) per il quale è gradito solo il muggito dei buoi che, provenendo dalle rive dell’Adda e del Ticino, lo rendono beato di ozi e di cibi. Oh bella Musa, dove sei? Non sento il profumo dell’ambrosia, che indica la presenza della musa, fra questi tigli dove io sto seduto sospirando per la mia patria lontana. E tu venivi e gli sorridevi sotto quel tiglio che ora con le fronde intristite sembra fremere perché non ricopre, o Dea, la tomba del vecchio a cui già aveva profuso calma e ombra. Forse tu fra le tombe comuni stai vagando ansiosamente per cercare dove sia sepolto il capo sacro del tuo Parini? A lui la città corrotta compensatrice di cantanti evirati, non ha dedicato una tomba ombrosa, non una lapide, non un’epigrafe; e forse insanguina le ossa di Parini il capo mozzato di un ladro che è stato giustiziato sul patibolo per i suoi delitti. Senti raspare tra le tombe ridotte a macerie e gli sterpi la cagna randagia che vaga tra le fosse, latrando per la fame; e uscire dal teschio, dove si era rintanata per sfuggire la luna, l’upupa e svolazzare tra le croci sparse nel cimitero di campagna, e senti l’immondo uccello rimproverare con il suo verso lugubre i raggi che pietosamente le stelle inviano alle sepolture dimenticate. Invano sulla tomba del tuo poeta, o Dea, invochi gocce di rugiada dalla squallida notte. Ahi! Sui morti non sorgono fiori, se il morto non viene onorato dalle lodi umane e dal pianto amoroso (v.90).
Analisi testuale della poesia “A Zacinto” di Ugo Foscolo (1802-1803)
Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque
cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.
La poesia, come tutti i testi letterari, presenta una struttura organica e funzionale i cui vari elementi non possono essere compresi se non all’interno della loro connessione formale e contenutistica, pur senza tralasciare la tradizione culturale ed il contesto storico che ne orientano la creazione.
Ciascun testo letterario contiene, infatti, un insieme di segni che hanno un elevatissimo potenziale di ambiguità, hanno cioè una valenza polisemia, e con i quali bisogna confrontarsi in fase interpretativa.
Due sono i campi di indagine da affrontare: il primo è quello TECNICO-FORMALE, ciò che la critica semiologia definisce il piano del “significante” del testo. Tale livello di analisi consente di cogliere gli elementi stilistici e comunicativi dell’opera, ossia gli aspetti fonologici, le caratteristiche metriche e ritmiche e il lessico del testo.
Il secondo livello da esaminare riguarda l’ASPETTO CONTENUTISTICO E DENOTATIVO del testo, cioè il “significato”, ciò che la poesia vuole comunicare nell’immediato (nella sua immediata rappresentazione).
Dall’insieme di questi due campi di indagine, significante-significato, si possono cogliere i principi ispiratori e connotativi del messaggio poetico.
A) COMPRENSIONE
Nella prima parte del sonetto (vv.1-11) a carattere descrittivo, il poeta si rivolge direttamente alla sua terra d’origine, Zacinto (materna mia terra, v. 13), isola greca del mar Ionio, attraverso una triplice negazione (né, piu, mai), riferendosi alla sua impossibilità a ritornare in patria. Le sponde di Zacinto sono “sacre” perché il ricordo dell’isola è legato al mito classico: dalle acque del mare di Zacinto nacque Venere, dea dell’amore, descritta dal poeta come potenza vivificatrice e generatice, come la grande madre Universale, l’isola, inoltre, era uno dei centri del culto di Diana.
Nella seconda parte (vv 12-14), il Foscolo affronta il tema del presentimento della morte in esilio, ciò che il poeta chiama “illacrimata sepoltura”.
B ) ANALISI DEL SIGNIFICATO
Importanti figure retoriche del sonetto sono una litote al sesto verso (non tacque) ; ancora la lunga perifrasi per indicare Omero (l’inclito verso di colui che l’acque cantò fatali….Ulisse), un ossimoro (liete nubi) , un’ endiadi (bello di fama e di sventura = bello per la fama delle sue sventure), un’apostrofe in apertura della seconda terzina (Tu non altro che il canto avrai del figlio o materna mia terra), due sineddoche (sacre sponde, le tue limpide nubi e le tue fronde) un iperbato (onde non tacque le tue limpide nubi …l’inclito verso), l’antitesi dell’ultima terzina rispetto a quella precedente: al contrario di quanto accadde a Ulisse, il cui peregrinare si concluse con un rientro in patria, il poeta è invece destinato a morire in esilio (Londra 1827), e soltanto i suoi versi risarciranno la sua terra natale per la morte del figlio in terra straniera.
• Il linguaggio si avvale di un lessico altamente ricercato, selezionato e letterario, costruito con parole auliche e poetiche; frequenti sono i latinismi (fea, inclito, diverso esiglio) che imprimono al sonetto una forma neoclassica in pieno contrasto con i sentimenti espressi, già di natura romantica, quali il sofferto rapporto tra il desiderio di pace del poeta ed il senso angoscioso della vita che lo travaglia. L’espressione “diverso esiglio” è ripresa fedelmente dal poeta latino Virgilio ( Eneide libro III, 4).
IL MESSAGGIO INTRINSECO emerso dalla nostra analisi riguarda il tema dell'esilio sviluppato dal Foscolo attraverso la rievocazione della patria lontana, Zacinto, isola greca del mar Ionio; il tema dell’esilio è ben espresso mediante il mito di Ulisse ( vv, 8-11) le cui gesta furono narrate nel poema di Omero. Ulisse, re di Itaca, aveva partecipato alla guerra di Troia ed aveva dovuto affrontare, anch'egli come il Foscolo,un lungo e faticoso viaggio prima di poter rientrare in patria, presso la moglie Penelope e il figlio Telemaco che lo attendevano.
c) PIANO DEL SIGNIFICANTE (PIANO TECNICO-FORMALE)
"A Zacinto” si compone di due quartine e di due terzine di endecasillabi, una forma metrica consolidata dalla tradizione retorica; la rima è alternata nelle quartine (ABAB,ABAB), invertita nelle terzine (CDE, CED).
• Si può notare l’uso frequente di iterazioni foniche (allitterazioni), in particolare la ripetizione dei suoni consonantici c, l, f e delle vocali, i, e, o.
• Oltre alle numerose assonanze, il testo presenta una figura metrica quale il troncamento ( “greco mar”) e il neologismo illacrimata.
• Da notare gli enjambement dei vv. 4-5 (nacque/ Venere), dei vv. 8-9 (acque/ canto fatali) che, rompendo la struttura strofica del sonetto, sembrano ampliare all’infinito l’orizzonte della riflessione creando nel lettore un senso di attesa e di sospensione.
Né più mai toccherò le sacre sponde
ove il mio corpo fanciulletto giacque,
Zacinto mia, che te specchi nell'onde
del greco mar da cui vergine nacque
Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l'inclito verso di colui che l'acque
cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.
Tu non altro che il canto avrai del figlio,
o materna mia terra; a noi prescrisse
il fato illacrimata sepoltura.
La poesia, come tutti i testi letterari, presenta una struttura organica e funzionale i cui vari elementi non possono essere compresi se non all’interno della loro connessione formale e contenutistica, pur senza tralasciare la tradizione culturale ed il contesto storico che ne orientano la creazione.
Ciascun testo letterario contiene, infatti, un insieme di segni che hanno un elevatissimo potenziale di ambiguità, hanno cioè una valenza polisemia, e con i quali bisogna confrontarsi in fase interpretativa.
Due sono i campi di indagine da affrontare: il primo è quello TECNICO-FORMALE, ciò che la critica semiologia definisce il piano del “significante” del testo. Tale livello di analisi consente di cogliere gli elementi stilistici e comunicativi dell’opera, ossia gli aspetti fonologici, le caratteristiche metriche e ritmiche e il lessico del testo.
Il secondo livello da esaminare riguarda l’ASPETTO CONTENUTISTICO E DENOTATIVO del testo, cioè il “significato”, ciò che la poesia vuole comunicare nell’immediato (nella sua immediata rappresentazione).
Dall’insieme di questi due campi di indagine, significante-significato, si possono cogliere i principi ispiratori e connotativi del messaggio poetico.
A) COMPRENSIONE
Nella prima parte del sonetto (vv.1-11) a carattere descrittivo, il poeta si rivolge direttamente alla sua terra d’origine, Zacinto (materna mia terra, v. 13), isola greca del mar Ionio, attraverso una triplice negazione (né, piu, mai), riferendosi alla sua impossibilità a ritornare in patria. Le sponde di Zacinto sono “sacre” perché il ricordo dell’isola è legato al mito classico: dalle acque del mare di Zacinto nacque Venere, dea dell’amore, descritta dal poeta come potenza vivificatrice e generatice, come la grande madre Universale, l’isola, inoltre, era uno dei centri del culto di Diana.
Nella seconda parte (vv 12-14), il Foscolo affronta il tema del presentimento della morte in esilio, ciò che il poeta chiama “illacrimata sepoltura”.
B ) ANALISI DEL SIGNIFICATO
Importanti figure retoriche del sonetto sono una litote al sesto verso (non tacque) ; ancora la lunga perifrasi per indicare Omero (l’inclito verso di colui che l’acque cantò fatali….Ulisse), un ossimoro (liete nubi) , un’ endiadi (bello di fama e di sventura = bello per la fama delle sue sventure), un’apostrofe in apertura della seconda terzina (Tu non altro che il canto avrai del figlio o materna mia terra), due sineddoche (sacre sponde, le tue limpide nubi e le tue fronde) un iperbato (onde non tacque le tue limpide nubi …l’inclito verso), l’antitesi dell’ultima terzina rispetto a quella precedente: al contrario di quanto accadde a Ulisse, il cui peregrinare si concluse con un rientro in patria, il poeta è invece destinato a morire in esilio (Londra 1827), e soltanto i suoi versi risarciranno la sua terra natale per la morte del figlio in terra straniera.
• Il linguaggio si avvale di un lessico altamente ricercato, selezionato e letterario, costruito con parole auliche e poetiche; frequenti sono i latinismi (fea, inclito, diverso esiglio) che imprimono al sonetto una forma neoclassica in pieno contrasto con i sentimenti espressi, già di natura romantica, quali il sofferto rapporto tra il desiderio di pace del poeta ed il senso angoscioso della vita che lo travaglia. L’espressione “diverso esiglio” è ripresa fedelmente dal poeta latino Virgilio ( Eneide libro III, 4).
IL MESSAGGIO INTRINSECO emerso dalla nostra analisi riguarda il tema dell'esilio sviluppato dal Foscolo attraverso la rievocazione della patria lontana, Zacinto, isola greca del mar Ionio; il tema dell’esilio è ben espresso mediante il mito di Ulisse ( vv, 8-11) le cui gesta furono narrate nel poema di Omero. Ulisse, re di Itaca, aveva partecipato alla guerra di Troia ed aveva dovuto affrontare, anch'egli come il Foscolo,un lungo e faticoso viaggio prima di poter rientrare in patria, presso la moglie Penelope e il figlio Telemaco che lo attendevano.
c) PIANO DEL SIGNIFICANTE (PIANO TECNICO-FORMALE)
"A Zacinto” si compone di due quartine e di due terzine di endecasillabi, una forma metrica consolidata dalla tradizione retorica; la rima è alternata nelle quartine (ABAB,ABAB), invertita nelle terzine (CDE, CED).
• Si può notare l’uso frequente di iterazioni foniche (allitterazioni), in particolare la ripetizione dei suoni consonantici c, l, f e delle vocali, i, e, o.
• Oltre alle numerose assonanze, il testo presenta una figura metrica quale il troncamento ( “greco mar”) e il neologismo illacrimata.
• Da notare gli enjambement dei vv. 4-5 (nacque/ Venere), dei vv. 8-9 (acque/ canto fatali) che, rompendo la struttura strofica del sonetto, sembrano ampliare all’infinito l’orizzonte della riflessione creando nel lettore un senso di attesa e di sospensione.
“Alla sera”, U. Foscolo (1802-1803): proposta di analisi testuale.
La poesia, come tutti i testi letterari, presenta una struttura organica e funzionale i cui vari elementi non possono essere compresi se non all’interno della loro connessione formale e contenutistica, pur senza tralasciare la tradizione culturale ed il contesto storico che ne orientano la creazione.
Ciascun testo letterario contiene, infatti, un insieme di segni che hanno un elevatissimo potenziale di ambiguità, hanno cioè una valenza polisemia, e con i quali bisogna confrontarsi in fase interpretativa.
Due sono i campi di indagine da affrontare: il primo è quello TECNICO-FORMALE, ciò che la critica semiologia definisce il piano del “significante” del testo. Tale livello di analisi consente di cogliere gli elementi stilistici e comunicativi dell’opera, ossia gli aspetti fonologici, le caratteristiche metriche e ritmiche e il lessico del testo.
Il secondo livello da esaminare riguarda l’ASPETTO CONTENUTISTICO E DENOTATIVO del testo, il “significato”, ciò che la poesia vuole comunicare nella sua immediata rappresentazione.
Dall’insieme di questi due campi di indagine, significante-significato, è possibile cogliere i principi ispiratori e connotativi del messaggio poetico.
b> A) PRESENTAZIONE- COMPRENSIONE
Il sonetto “Alla Sera” fu composto tra la fine de 1802 e l’inizio del 1803, quando il Foscolo si trovava esule a Milano ed era ancora fedele a Napoleone, anche se profondamente amareggiato per il Trattato di Campoformio (1797), con il quale il generale francese aveva ceduto all’Austria Venezia in cambio della Lombardia e del Belgio.
Le delusioni sul piano politico, le sofferenze emotive per una recente delusione amorosa (il poeta si era perdutamente innamorato di Isabella Concioni, conosciuta a Firenze nel 1801), rappresentano la cornice all’interno della quale nasce questa poesia.
Nelle prime due quartine, a carattere descrittivo, il poeta si rivolge alla sera, dicendo che essa rappresenta per lui un momento di serena dolcezza; sia in estate, quando si accompagna a venti primaverili (“E quando ti corteggian liete le nubi e i zeffiri sereni”), sia in inverno quando la sera è foriera di notti cupe e tempestose (”e quando dal nevoso aere inquiete tenebre e lunghe all’universo meni”). Nelle due terzine conclusive, a carattere riflessivo, il Foscolo analizza il suo stato d’animo dinanzi allo spettacolo della sera (“vagar mi fai co’ pensieri sull’orme che vanno al nulla eterno”). Dice che la sera è ispiratrice dei suoi più intimi pensieri, lo induce a vagheggiare la morte, il nulla eterno, la condizione di annullamento totale e definitivo della materia; la sola condizione capace di porre fine a tutti i suoi tormenti. Ma a questa dimensione indefinita e infinita, il nulla eterno, il poeta contrappone il tempo che, seppur causa di continue delusioni, scorre rapidamente portando con sé anche gli eventi più tristi, in una spirale di autoconsunzione. E mentre il Foscolo contempla la pace della sera, la sua anima per un momento sembra rasserenarsi : “e mentre guardo la tua pace, dorme quello spirto guerrier ch’entro mi rugge”.
B) PIANO DEL SIGNIFICATO
Il MESSAGGIO INTRINSECO che è emerso dalla nostra analisi, risiede nella opposizione che l’ autore vuole farci cogliere tra il desiderio di pace interiore e la negatività del presente storico dal quale il poeta si sente sopraffatto..
Il tema centrale della poesia è dunque la sera, vista come immagine di morte e di annullamento totale (la fatal quiete, il nulla eterno), ma anche come la pace dell’anima, cioè come la conquista di un superiore distacco dagli affanni del vivere ( le torme delle cure). La sera ha il potere di placare l’anima ribelle e guerriera che lo agita per donargli un momento di riposo e di liberazione;
L’obiettivo della poesia è anche quello di esprimere la visione del mondo di U. Foscolo: egli è un letterato figlio della cultura illuministica, nutrito di una filosofia sensistica e meccanicistica, secondo la quale la morte equivale ad una condizione di annullamento totale e assoluto. Nonostante tale concezione di sottofondo, la poesia lascia trasparire una condizione di intima insofferenza che si traduce nel desiderio del poeta di meditare sul destino dell’uomo cercando di carpire ciò che sta al di là dei limiti dell’umana ragione. Quest’ansia costante di infinito sarà propria dei poeti romantici.
Il sonetto rappresenta una mirabile sintesi della cultura del tempo: da una parte emerge il desiderio di dominare le passioni (secondo la lezione del Winckelmann), dall’altra sentimenti di angoscia, malinconia, travaglio interiore, propri della sensibilità romantica.
Il poeta concepisce la vita dell'universo come un ciclo perenne di nascita, di morte e di trasformazione della materia, che costituisce l'unica realtà. Ma da questa Weltanschauung (*) di sottofondo la poesia lascia trasparire anche una Sehnsucht (*), un'aspirazione struggente e inappagata all'infinito, un atteggiamento di inquietudine e di nostalgia, un desiderio di conoscere ciò che sta fuori dei limiti del finito, che si concretizzano nella sofferenza per l'impossibilità di appagare questo desiderio.
La lirica trae la sua bellezza dalla perfetta sintesi ed equilibrio tra il linguaggio poetico (forma) ed i sentimenti espressi (contenuto). Il tono emotivo e languido, le riflessioni del poeta, sono resi mediante uno stile elegante e ricercato, selezionato e letterario che raggiunge elevati risultati poetici ed estetici; anche il lessico è ricercato e fortemente connotativo. Frequenti sono, inoltre, i latinismi (reo, aere, secrete cure, torme) che imprimono al sonetto una forma neoclassica in pieno contrasto con i sentimenti espressi, già di natura romantica, quali il sofferto rapporto tra il desiderio di pace del poeta ed il senso angoscioso della vita che lo travaglia.
Il Foscolo fonde,così, in maniera mirabile elementi della tradizione classica con quelli della nascente cultura del Romanticismo.
Importanti figure retoriche del sonetto sono l’ossimoro riscontrabile al primo verso (fatal quiete) e al decimo verso ( Nulla eterno); ancora, l’ antitesi degli ultimi due versi (e mentre io guardo la tua pace………rugge).
NOTE
SEHNSUCHT. Una parola che significa allo stesso tempo desiderio e languore, aspirazione e nostalgia. Mette a nudo "una forza selvaggia che svela un individuo e porta in sé un pizzico dolce e amaro di separazione, di rassegnazione" (Valeska Grisebach, autore del film omonimo).
WELTANSCHAUUNG. Termine che gli autori di lingua tedesca dichiarano pressoché intraducibile e i non Tedeschi lasciano volentieri non tradotta, concedendosi di interrompere il flusso del loro dettato perché consapevoli che un equivalente di fatto non esiste. Un corrispettivo italiano potrebbe essere "visione del mondo", dal momento che, nel composto tedesco, è presente, insieme al sostantivo Welt che significa "mondo", un "vedere a" o, anche, un "vedere su" (anschauen). Preferibile, forse, è la traduzione "concezione del mondo", non perché s'approssimi di più al termine tedesco, ma perché in grado di veicolare significati ulteriori (Giorgio Antonelli).
C) PIANO DEL SIGNIFICANTE
Sul piano TECNICO-FORMALE "Alla sera" si compone di due quartine e di due terzine di endecasillabi, una forma metrica consolidata dalla tradizione retorica; la rima è alternata nelle quartine (ABAB,ABAB), incatenata nelle terzine (CDC, DCD).
• Si può notare l’uso frequente di iterazioni foniche (allitterazioni),cioè la ripetizione dei suoni delle vocali, i ed e nelle quartine e quella dei suoni cupi delle vocali o ed u, nelle terzine.
• Nell’ultimo verso del sonetto notiamo la ripetizione del fonema r che conferisce al verso stesso un andamento onomatopeico.
• Oltre alle numerose assonanze, il testo presenta figure metriche quali la dieresi (v.1, quiete, e v.5, inquiete), la sincope (v. 14, spirto), il troncamento ( corteggiar, cuor, vagar,co’, pensier, guerrier) che danno al testo un andamento ritmico particolarmente elaborato e musicale allo stesso tempo.
• Da notare gli enjambements dei vv. 5-6 (inquiete tenebre), dei vv. 7-8 (secrete vie) e dei vv. 11-12 (torme delle cure) volti a creare un senso di attesa e di sospensione nel lettore e a dare un maggior rilievo espressivo a tutto il periodo.
TEMI FONDAMENTALI DEI SONETTI FOSCOLO: Tema dell’esilio- Tema della morte- Il mito del sepolcro come centro di affetti familiari, illusione della vittoria della vita sulla morte, garanzia della sopravvivenza delle tradizioni civili di un popolo nella storia.-Temi Neoclassici: presenza di numerosi Grecismi e Latinismi, di richiami mitoogici: Venere, Omero, Ulisse - Il mito della poesia eternatrice- mezzo per tramandare alla generazioni successive i più grandi valori della civiltà umana.–Celebrazione della bellezza della natura ( Zante risulta essere un paesaggio luminoso, un paradiso perduto che richiama alla mente il fascino della Grecia classica, incarnazione ideale della bellezza e dell'armonia cosmica in cui l'uomo si sente immerso).
domenica 20 settembre 2015
ETA' NAPOLEONICA. Lezione di collegamento.
Il periodo storico tra la rivoluzione francese (1789) e il Congresso di Vienna (1814-15) può essere definito:
ETA’ NEOCLASSICA O PREROMANTICA
ETA’ NAPOLEONICA
Napoleone Bonaparte (Ajaccio, 15 agosto 1769 – Isola di Sant'Elena, 5 maggio 1821) ottenne il consolato a vita il 2 agosto 1802 grazie ai numerosi successi militari; provvide a far approvare una nuova Costituzione che prevedeva la perdita di ogni forma di democrazia; il 2 dicembre 1804 fu incoronato Imperatore a Parigi dal papa Pio VII. Il 2 dicembre 1804 nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi, fu celebrata la cerimonia di incoronazione: dopo che le insegne imperiali furono benedette da papa Pio VII, Napoleone incoronò prima se stesso imperatore dei Francesi, e quindi imperatrice sua moglie Giuseppina di Beauharnais.
PRIMA FASE : 1796-1799
A partire dal 1796 Napoleone Bonaparte inizia la campagna militare in Italia:
creazione della Repubblica transpadana (Lombardia), della Repubblica cispadana (Bologna, Ferrara, Modena, Reggio Emilia), cessione del Veneto all’Austria con il Trattato di Campoformio (18 ottobre 1797), instaurazione della Repubblica partenopea, della Repubblica romana con la fuga del Papa in Toscana. Caduta delle Repubbliche giacobine riconquistate dall’esercito di Ferdinando IV di Borbone in collaborazione con l’ammiraglio Nelson.
SECONDA FASE : 1800-1805
Proclamazione della seconda Repubblica cisalpina allargata territorialmente a spese del Piemonte e del Veneto (ancora sotto il dominio austriaco); ricostituzione della Repubblica ligure; nascita della Repubblica italiana (1802) con capitale Milano.
TERZA FASE : 1805-1814
Napoleone Bonaparte si proclama re d’Italia; fallimento dell’impresa napoleonica in Russia (1812). Con la disfatta di Lipsia (1813) e quella di Waterloo (1814) crolla definitivamente l’ Impero napoleonico e l’Italia torna sotto l’egemonia austriaca. Napoleone fu esiliato dapprima all’isola d’Elba (maggio 1814), poi all’isola di sant’Elena, dove morì il 5 maggio 1821.
Il 19 luglio 1821, poco dopo aver appreso la notizia della morte di Napoleone, Alessandro Manzoni scrisse la famosa ode Il cinque maggio, che ebbe una forte risonanza in tutta Europa e che fu tradotta in tedesco da Johann Wolfgang Goethe.
« Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro,così percossa, attonita la terra al nunzio sta, muta pensando all'ultima ora dell'uom fatale; né sa quando una simile orma di pie' mortale la sua cruenta polvere a calpestar verrà. »
(Alessandro Manzoni, Il cinque maggio)
L’ETÀ NAPOLEONICA sotto il profilo artistico-letterario assume il nome di NEOCLASSICISMO.
Nella storia della cultura il termine “classico” fa riferimento al patrimonio culturale pagano, greco-romano; per Classicismo intendiamo un movimento di studio, di ammirazione ed imitazione delle opere antiche considerate modello insuperabile di perfezione stilistica e formale, ma anche patrimonio di integrità morale, di onestà e rettitudine. Ciò che è definito “bello” per i Neoclassici deve essere anche “buono”, deve cioè trasmettere ideali elevati, valori etici e non soltanto estetici.
L’aggettivo “classico” deriva dal latino classis(=classe) che in età monarchica indicava le 5 classi sociali in cui erano divisi i cittadini romani in base al censo; Aulo Gellio nel II sec. d.C. definisce classicus auctor un autore perfetto, degno di essere imitato, appartenente alla prima delle 5 classi indicate da Servio Tullio ( sesto re di Roma, 578 a.C. al 539 a.C.).
Il Neoclassicismo consiste, dunque, nel ritorno al culto e all’imitazione dell’arte classica (Grecia antica, età repubblicana di Roma, età augustea) ed interessò tutte le manifestazione dello spirito dell’epoca: la letteratura, le arti figurative , la vita politica, la moda il costume.
La genesi storica e culturale del Neoclassicismo di fine 700 va ricercata in età illuministica, allorché si manifestò il graduale e netto rifiuto per le forme eccessive dell’arte barocca e del Rococò a favore di un’arte essenziale, razionale, sobria che esprimesse ideali di compostezza, di semplicità e di decoro. Il Classicismo costituì la formazione culturale di base di Ugo Foscolo, di A. Manzoni, di G. Leopardi : esso fu la ragione più vera della misura e della compostezza della loro lirica. Inoltre si deve proprio alla tradizione classica, sempre vive e tenace in Italia, se il Romanticismo italiano apparirà tanto più misurato rispetto alle effusioni sentimentali e passionali del Romanticismo europeo.
Favorirono lo sviluppo del Neoclassicismo:
• le scoperte archeologiche di Ercolano e di Pompei
• i contributi teorici di alcuni grandi studiosi del passato, tra i quali l’archeologo tedesco J.Winckelmann (1717-1768). Questi nella sua celebre Storia dell’arte dell’antichità (1764)aveva indicato nell’arte greca il punto più alto, di massima perfezione, mai raggiunto dall’uomo nel campo dell’espressione figurativa: il bello è visto come il risultato di un processo di graduale epurazione e selezione della natura e degli elementi fisici ; ciò a cui l’artista deve tendere è una bellezza ideale che si compone di elementi naturali, ma che allo stesso tempo li trascende per assumere una dimensione che va al di là della realtà fisica e della temporalità storica. La bellezza ideale per il W. è una bellezza non esistente in natura, intesa come suprema armonia di forme, tanto più pure, quanto meno risentono del mondo sensibile e passionale. L’esempio mirabile della bellezza ideale per il W. Sono le sculture classiche di Fidia (490 a. C.), sculture che rispecchiano lo spirito puro e apollineo della cultura greca.
In ambito artistico, Roma e Parigi rappresentarono le due capitali dell’Europa neoclassica, mentre i massimi rappresentati del Neoclassicismo furono lo scultore A. Canova (1757-1822, Amore e psiche, Le tre grazie, Paolina Bonaparte Borghese) e Jacques-Louis David (1748-1825).
L’altro aspetto della letteratura italiana dell’età napoleonica è rappresentato da un atteggiamento preromantico. Vi sono infatti poeti e scrittori, come Ugo Foscolo e Ippolito Pindemonte che, sotto l’incalzare degli avvenimenti storici (il fallimento degli ideali libertari Rivoluzione francese, il dispotismo della dominazione napoleonica e il comportamento vessatorio e piratesco delle truppe francesi), avevano intuito il fallimento degli ideali illuministici, il declino inesorabile dell’ottimismo illuministico, riconoscendo i segni precorritori della futura età romantica:
l’istanza di anteporre le esigenze dello spirito e del sentimento a quelle della ragione esaltata dagli Illuministi;
la necessità di anteporre il valore dell’individuo come soggetto unico e irripetibile rispetto all’egualitarismo illuministico;
la necessità di esaltare il valore della religione contrapposta all’ateismo e al materialismo illuministico;
l’atteggiamento storicistico volto a rivalutare la storia passata, vista non più come epoca di barbarie, come condizione di oppressione e di dolore subentrata ad uno stato primitivo di felicità naturale, ma come momento indispensabile per comprendere le ragioni del presente;
il senso drammatico della vita, intesa come perenne conflitto tra l’ideale e il reale, come contrasto tra le aspirazioni dell’anima alla felicità assoluta e la realtà angusta, banale e limitata in cui l’uomo si dibatte quotidianamente; ciò è contrapposto al facile e illusorio ottimismo illuministico.
il valore della Patria e della Nazione intesa come comunanza di lingua, religione, tradizioni, storia, usi e costumi, contrapposto al concetto illuministico di Cosmopolitismo.
In effetti la dominazione napoleonica e gli eccessi compiuti dalle sue “armate liberatrici” aveva avuto l’effetto di risvegliare la coscienza nazionale dei popoli sottomessi e di farli insorgere per combattere ed ottenere la liberta e l’indipendenza: non senza ragione la battaglia di Lipsia (1813) fu chiamata la “battaglia delle nazioni”; anche in Italia la dominazione napoleonica, dopo i primi illusori entusiasmi, ebbe per effetto il risveglio della coscienza nazionale e diede l’avvio al Risorgimento: molti in Italia furono i liberali delusi per i saccheggi e le violenze, per le condizioni di vassallaggio delle repubbliche giacobine prima, e dei regni e viceregni napoleonici poi (Regno italico, 1805; Regno d’Italia, 1807).
La cultura italiana dell’età napoleonica, come osserva Natalino Sapegno, “presenta, tutte le caratteristiche di un’età di transizione, incerta e sbandata tra il vecchio e il nuovo”. Volendo tracciare un quadro sintetico della cultura italiana dell’età napoleonica, dobbiamo distinguere:
1 La critica dell’astratto dottrinarismo illuministico (ottimismo illuministico);
2 Il neoclassicismo letterario, già pervaso da motivi e da istanze preromantiche;
3 Il riproporsi della questione della lingua, al fine di combattere il liberismo linguistico del 700 e dare alla nostra lingua un’impronta di maggiore italianità.
ETA’ NEOCLASSICA O PREROMANTICA
ETA’ NAPOLEONICA
Napoleone Bonaparte (Ajaccio, 15 agosto 1769 – Isola di Sant'Elena, 5 maggio 1821) ottenne il consolato a vita il 2 agosto 1802 grazie ai numerosi successi militari; provvide a far approvare una nuova Costituzione che prevedeva la perdita di ogni forma di democrazia; il 2 dicembre 1804 fu incoronato Imperatore a Parigi dal papa Pio VII. Il 2 dicembre 1804 nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi, fu celebrata la cerimonia di incoronazione: dopo che le insegne imperiali furono benedette da papa Pio VII, Napoleone incoronò prima se stesso imperatore dei Francesi, e quindi imperatrice sua moglie Giuseppina di Beauharnais.
PRIMA FASE : 1796-1799
A partire dal 1796 Napoleone Bonaparte inizia la campagna militare in Italia:
creazione della Repubblica transpadana (Lombardia), della Repubblica cispadana (Bologna, Ferrara, Modena, Reggio Emilia), cessione del Veneto all’Austria con il Trattato di Campoformio (18 ottobre 1797), instaurazione della Repubblica partenopea, della Repubblica romana con la fuga del Papa in Toscana. Caduta delle Repubbliche giacobine riconquistate dall’esercito di Ferdinando IV di Borbone in collaborazione con l’ammiraglio Nelson.
SECONDA FASE : 1800-1805
Proclamazione della seconda Repubblica cisalpina allargata territorialmente a spese del Piemonte e del Veneto (ancora sotto il dominio austriaco); ricostituzione della Repubblica ligure; nascita della Repubblica italiana (1802) con capitale Milano.
TERZA FASE : 1805-1814
Napoleone Bonaparte si proclama re d’Italia; fallimento dell’impresa napoleonica in Russia (1812). Con la disfatta di Lipsia (1813) e quella di Waterloo (1814) crolla definitivamente l’ Impero napoleonico e l’Italia torna sotto l’egemonia austriaca. Napoleone fu esiliato dapprima all’isola d’Elba (maggio 1814), poi all’isola di sant’Elena, dove morì il 5 maggio 1821.
Il 19 luglio 1821, poco dopo aver appreso la notizia della morte di Napoleone, Alessandro Manzoni scrisse la famosa ode Il cinque maggio, che ebbe una forte risonanza in tutta Europa e che fu tradotta in tedesco da Johann Wolfgang Goethe.
« Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro,così percossa, attonita la terra al nunzio sta, muta pensando all'ultima ora dell'uom fatale; né sa quando una simile orma di pie' mortale la sua cruenta polvere a calpestar verrà. »
(Alessandro Manzoni, Il cinque maggio)
L’ETÀ NAPOLEONICA sotto il profilo artistico-letterario assume il nome di NEOCLASSICISMO.
Nella storia della cultura il termine “classico” fa riferimento al patrimonio culturale pagano, greco-romano; per Classicismo intendiamo un movimento di studio, di ammirazione ed imitazione delle opere antiche considerate modello insuperabile di perfezione stilistica e formale, ma anche patrimonio di integrità morale, di onestà e rettitudine. Ciò che è definito “bello” per i Neoclassici deve essere anche “buono”, deve cioè trasmettere ideali elevati, valori etici e non soltanto estetici.
L’aggettivo “classico” deriva dal latino classis(=classe) che in età monarchica indicava le 5 classi sociali in cui erano divisi i cittadini romani in base al censo; Aulo Gellio nel II sec. d.C. definisce classicus auctor un autore perfetto, degno di essere imitato, appartenente alla prima delle 5 classi indicate da Servio Tullio ( sesto re di Roma, 578 a.C. al 539 a.C.).
Il Neoclassicismo consiste, dunque, nel ritorno al culto e all’imitazione dell’arte classica (Grecia antica, età repubblicana di Roma, età augustea) ed interessò tutte le manifestazione dello spirito dell’epoca: la letteratura, le arti figurative , la vita politica, la moda il costume.
La genesi storica e culturale del Neoclassicismo di fine 700 va ricercata in età illuministica, allorché si manifestò il graduale e netto rifiuto per le forme eccessive dell’arte barocca e del Rococò a favore di un’arte essenziale, razionale, sobria che esprimesse ideali di compostezza, di semplicità e di decoro. Il Classicismo costituì la formazione culturale di base di Ugo Foscolo, di A. Manzoni, di G. Leopardi : esso fu la ragione più vera della misura e della compostezza della loro lirica. Inoltre si deve proprio alla tradizione classica, sempre vive e tenace in Italia, se il Romanticismo italiano apparirà tanto più misurato rispetto alle effusioni sentimentali e passionali del Romanticismo europeo.
Favorirono lo sviluppo del Neoclassicismo:
• le scoperte archeologiche di Ercolano e di Pompei
• i contributi teorici di alcuni grandi studiosi del passato, tra i quali l’archeologo tedesco J.Winckelmann (1717-1768). Questi nella sua celebre Storia dell’arte dell’antichità (1764)aveva indicato nell’arte greca il punto più alto, di massima perfezione, mai raggiunto dall’uomo nel campo dell’espressione figurativa: il bello è visto come il risultato di un processo di graduale epurazione e selezione della natura e degli elementi fisici ; ciò a cui l’artista deve tendere è una bellezza ideale che si compone di elementi naturali, ma che allo stesso tempo li trascende per assumere una dimensione che va al di là della realtà fisica e della temporalità storica. La bellezza ideale per il W. è una bellezza non esistente in natura, intesa come suprema armonia di forme, tanto più pure, quanto meno risentono del mondo sensibile e passionale. L’esempio mirabile della bellezza ideale per il W. Sono le sculture classiche di Fidia (490 a. C.), sculture che rispecchiano lo spirito puro e apollineo della cultura greca.
In ambito artistico, Roma e Parigi rappresentarono le due capitali dell’Europa neoclassica, mentre i massimi rappresentati del Neoclassicismo furono lo scultore A. Canova (1757-1822, Amore e psiche, Le tre grazie, Paolina Bonaparte Borghese) e Jacques-Louis David (1748-1825).
L’altro aspetto della letteratura italiana dell’età napoleonica è rappresentato da un atteggiamento preromantico. Vi sono infatti poeti e scrittori, come Ugo Foscolo e Ippolito Pindemonte che, sotto l’incalzare degli avvenimenti storici (il fallimento degli ideali libertari Rivoluzione francese, il dispotismo della dominazione napoleonica e il comportamento vessatorio e piratesco delle truppe francesi), avevano intuito il fallimento degli ideali illuministici, il declino inesorabile dell’ottimismo illuministico, riconoscendo i segni precorritori della futura età romantica:
l’istanza di anteporre le esigenze dello spirito e del sentimento a quelle della ragione esaltata dagli Illuministi;
la necessità di anteporre il valore dell’individuo come soggetto unico e irripetibile rispetto all’egualitarismo illuministico;
la necessità di esaltare il valore della religione contrapposta all’ateismo e al materialismo illuministico;
l’atteggiamento storicistico volto a rivalutare la storia passata, vista non più come epoca di barbarie, come condizione di oppressione e di dolore subentrata ad uno stato primitivo di felicità naturale, ma come momento indispensabile per comprendere le ragioni del presente;
il senso drammatico della vita, intesa come perenne conflitto tra l’ideale e il reale, come contrasto tra le aspirazioni dell’anima alla felicità assoluta e la realtà angusta, banale e limitata in cui l’uomo si dibatte quotidianamente; ciò è contrapposto al facile e illusorio ottimismo illuministico.
il valore della Patria e della Nazione intesa come comunanza di lingua, religione, tradizioni, storia, usi e costumi, contrapposto al concetto illuministico di Cosmopolitismo.
In effetti la dominazione napoleonica e gli eccessi compiuti dalle sue “armate liberatrici” aveva avuto l’effetto di risvegliare la coscienza nazionale dei popoli sottomessi e di farli insorgere per combattere ed ottenere la liberta e l’indipendenza: non senza ragione la battaglia di Lipsia (1813) fu chiamata la “battaglia delle nazioni”; anche in Italia la dominazione napoleonica, dopo i primi illusori entusiasmi, ebbe per effetto il risveglio della coscienza nazionale e diede l’avvio al Risorgimento: molti in Italia furono i liberali delusi per i saccheggi e le violenze, per le condizioni di vassallaggio delle repubbliche giacobine prima, e dei regni e viceregni napoleonici poi (Regno italico, 1805; Regno d’Italia, 1807).
La cultura italiana dell’età napoleonica, come osserva Natalino Sapegno, “presenta, tutte le caratteristiche di un’età di transizione, incerta e sbandata tra il vecchio e il nuovo”. Volendo tracciare un quadro sintetico della cultura italiana dell’età napoleonica, dobbiamo distinguere:
1 La critica dell’astratto dottrinarismo illuministico (ottimismo illuministico);
2 Il neoclassicismo letterario, già pervaso da motivi e da istanze preromantiche;
3 Il riproporsi della questione della lingua, al fine di combattere il liberismo linguistico del 700 e dare alla nostra lingua un’impronta di maggiore italianità.
sabato 19 settembre 2015
ANAISI DEL TESTO NARRATIVO. PROGRAMMA DI STUDIO classe I B a.s.2014/15
IL TESTO NARRATIVO è un testo che intende narrare una storia secondo un ordine logico e cronologico che è quello stabilito dal narratore.
ANALISI
A) PRESENTAZIONE SOMMARIA DEL TESTO (titolo, genere letterario, autore, opera da cui il testo è tratto, periodo di composizione).
B) ANALISI DEGLI ASPETTI STRUTTURALI DEL TESTO
LA TRAMA : è la storia presentata da ciascun testo narrativo; la trama si compone di due elementi fondamentali:
LA FABULA: è l’insieme degli avvenimenti che costituiscono la vicenda del testo narrativo, disposti secondo un ordine “naturale”, cioè secondo un ordine logico e cronologico, senza prolessi (anticipazioni) e senza analessi o flashback (richiami al passato). Le analessi e le prolessi alterano il regolare sviluppo dell’ordine narrativo.
L’INTRECCIO è l’ordine con cui il narratore dispone liberamente gli elementi della storia, che possono prescindere dall’ordine logico-temporale-causale della fabula (nei Promessi Sposi l’intreccio è dato dagli avvenimenti che si inseriscono e si sovrappongono alla storia principale tra Renzo e Lucia). In un testo narrativo fabula e intreccio possono coincidere o meno.
LE SEQUENZE: Le sequenze costituiscono le unità narrative del racconto; possono essere tagliate ed esaminate separatamente sulla base dei loro specifici contenuti.
Seuenza 1 (rr.1-5): Non capisco….mille metri; sequenza 2(rr. 6-15): Erano sbarcati…….minimamente infastidito; sequenza 3 (rr 16-37).
LE SEQUENZE POSSONO ESSERE DISTINTE IN:
- Sequenze narrative = sono sequenze dinamiche e fanno procedere la narrazione.
- Sequenze descrittive = sono sequenze statiche e frenano il “ritmo” della narrazione.
- Sequenze Riflessive = sono sequenze statiche e sono utilizzate dal narratore per esprimere il proprio pensiero, mediante delle digressioni personali.
- Sequenze dialogate = corrispondono ai dialoghi all’interno del tessuto narrativo. Possono essere statiche o dinamiche.
- Sequenze miste
STRUTTURA TIPO DEL TESTO NARRATIVO: Ciascun testo narrativo, smontato in sequenze può essere schematizzato e analizzato sulla base della seguente struttura tipo:
- situazione iniziale di equilibrio (righe 1-5): il narratore fornisce al lettore le coordinate essenziali per la collocazione degli eventi nello spazio e nel tempo. Il narratore ci presenta la vita del protagonista nella sua povertà e ignoranza (Cfr. I. Calvino, Il contadino astrologo, in “Fiabe italiane”).
- Rottura dell’equilibrio iniziale (righe 6-19):il narratore introduce un fatto imprevisto, l’irruzione sulla scena di un nuovo personaggio, o altro ancora, scompigliano l’equilibrio iniziale e mettono in moto la vicenda vera e propria. L’equilibrio iniziale viene rotto dal bando del re e dalla decisione di Gàmbara di spacciarsi per astrologo e di mettersi alla ricerca dell’anello.
- Peripezie (righe 20-31): la storia si sviluppa in un crescendo di avvenimenti. Iniziano le peripezie del protagonista che cerca di ingannare chi lo attornia fingendosi astrologo.
- Spannung (righe 32-42)momento di massima tensione narrativa. Il protagonista passa all’azione per far uscire allo scoperto i colpevoli : siamo al momento di Spannung.
- Scioglimento della vicenda e ricomposizione dell’equilibrio iniziale (righe 43-56) superato il momento di massima tensione narrativa, la vicenda si avvia verso la ricostituzione di un nuovo equilibrio. La confessione dei servi allenta la tensione e offre al protagonista la possibilità di raggiungere il suo scopo.
- Conclusione: il narratore descrive la situazione finale. La situazione finale vede Gàmbara ricco e ammirato.
C) I PERSONAGGI : possono essere personaggi reali, quando sono individui realmente esistiti (personaggi storici o dell’attualità), introdotti nel mondo della narrativa; possono essere personaggi immaginari (realistici: con caratteristiche verosimili ; fantastici).
Il personaggio può essere presentato dal narratore; da un altro personaggio; da se stesso. Quando più tecniche sono presenti, parliamo di tecnica mista.
PRESENTAZIONE DIRETTA E PRESENTAZIONE INDIRETTA
Si parla di presentazione diretta se il personaggio è caratterizzato immediatamente, se, cioè il narratore direttamente oppure attraverso altri personaggi o il personaggio medesimo, fornisce subito precise informazioni sulle sue caratteristiche fisiche, psicologiche, culturali creandone un profilo ben delineato. La presentazione diretta è molto usata nella fiaba, nella favola e, in generale, nei racconti tradizionali.
La presentazione indiretta avviene quando il personaggio non è presentato in maniera diretta, chiara e oggettiva, ma il suo profilo si delinea agli occhi del lettore gradualmente, mediante indizi che richiedono l’interpretazione e la riflessione da parte del pubblico.
- I Personaggi possono essere presentati mediante alcuni tratti che ne costituiscono la fisionomia:
secondo caratteristiche fisiche (sesso, età, aspetto fisico, abbigliamento, difetti fisici…);
caratteristiche psicologiche ( evidenziare gli elementi che rivelano il carattere del personaggio; impulsività/ riflessione; furbizia/ingenuità; viltà/coraggio; egoismo/generosità);
caratteristiche socio-culturali (lavoro, cultura, tipo di vita, ambiente, aspirazioni e interessi, abbigliamento).
I personaggi all’interno di una narrazione possono anche definirsi a tutto tondo o pluridimensionali , se il carattere è ben delineato dal narratore e se esso è costituito da molteplici sfaccettature e da un forte spessore psicologico;
Al contrario parliamo di personaggio piatto o unidimensionale se di un personaggio il narratore ci fornisce una descrizione superficiale, in cui spiccano uno o due caratteri psicologici distintivi: in tal caso parliamo di “tipo” legato ad un ruolo fisso e ben preciso all’interno della vicenda narrativa, dal comportamento prevedibile e stereotipato.
I personaggi possono classificarsi, inoltre, in personaggi statici (Mastro Geppetto in “Pinocchio”) e in personaggi dinamici (Pinocchio).
- I personaggi possono essere analizzati anche in base al ruolo e alle funzioni che essi svolgono all’interno della narrazione.
Il ruolo più rilevante è ricoperto dal Protagonista (perno della vicenda), a cui si oppone spesso un Antagonista o “oppositore” o “avversario”.
Talvolta il protagonista di una storia può essere costituito da un gruppo di personaggi che agiscono insieme, in maniera compatta: in questo caso si parlerà di Protagonista collettivo; altre volte sono presenti più protagonisti: in questo caso si parlerà di co-protagonisti.
Il fine che un protagonista si propone di raggiungere costituisce l’ oggetto del desiderio, che può essere l’amore di una fanciulla. Dall’azione del protagonista trae vantaggio il destinatario , non di rado coincidente col protagonista stesso.
E’ presente a volte anche un destinatore, un’entità al di sopra delle parti, una forza che funge da guida all’azione e la percorre nel suo svolgersi. Ad affiancare il protagonista e l’antagonista ci sono i vari aiutanti che svolgono la funzione di intermediari.
D) TEMPO-SPAZIO- RITMO DELLA NARRAZIONE
Ciascuna opera a carattere narrativo è delimitata da due coordinate fondamentali all’interno delle quali si muove la storia : il tempo ( che indica la successione e la progressione cronologica degli avvenimenti) e lo spazio ( che consente al lettore di definire l’ambiente in cui si svolge la vicenda).
IL TEMPO DELLA NARRAZIONE (Tempo del racconto o del discorso) non si presenta quasi mai nella durata reale ed effettiva degli avvenimenti, poiché il narratore scandisce a proprio piacimento i tempi del suo racconto, dilatando o accorciando sequenze. Dobbiamo quindi distinguere tra
- Il tempo del racconto, che è la durata della narrazione e non quella dei fatti narrati;
- Il tempo della storia, che è la durata reale dei fatti narrati.
Il tempo del racconto può dunque avere durata assai variabile ed essere scandito, proprio come un brano musicale, da un RITMO narrativo più veloce o più lento.
Per poter accelerare o dilatare il RITMO DELLA NARRAZIONE, il narratore ricorre ad alcuni artifici stilistici:
- L’Ellissi: consiste nella omissione di una serie di avvenimenti che si sono succeduti in un certo arco temporale, ritenuti poco utili ai fini della narrazione. Il ritmo della narrazione è accelerato.
- Il Sommario: consiste in una rapida sintesi degli avvenimenti. Il ritmo della narrazione è accelerato.
- La Digressione: è un particolare tipo di pausa narrativa inserita dal narratore, una deviazione dalla narrazione che ha lo scopo di fornire notizie aggiuntive su fatti e personaggi. Il ritmo della narrazione, in presenza di digressioni, appare rallentato.
- La Pausa: si ha in presenza di sequenze descrittive e sequenze riflessive. Il ritmo della narrazione appare rallentato.
- La Scena: si verifica quando c’è perfetta corrispondenza tra tempo della storia e tempo del racconto ( TEMPO DELLA STORIA= TEMPO DEL RACCONTO), e cioè in presenza di sequenze dialogate. Il ritmo della narrazione risulta rallentato.
LO SPAZIO : consente al lettore di definire l’ambiente in cui si svolge la vicenda e aiuta il lettore a percepire meglio le atmosfere delle storie, le azioni, le caratteristiche e gli stati d’animo dei personaggi; Gli spazi descritti in un testo possono essere interni (spazi chiusi) o esterni (spazi aperti); reali, realistici o fantastici.
E) AUTORE E NARRATORE. PUNTO DI VISTA
Un testo narrativo è un testo che si propone di raccontare una storia secondo un ordine (logico e cronologico) che è quello stabilito dal narratore. In un testo, tuttavia, la storia può essere raccontata dal PROTAGONISTA stesso (narrazione in I persona), da uno dei PERSONAGGI, oppure da un NARRATORE estraneo alla vicenda.
In un racconto dobbiamo distinguere: IL NARRATORE DALL' AUTORE DEL TESTO
L’AUTORE corrisponde alla persona reale che ha composto l’opera.
IL NARRATORE (VOCE NARRANTE) è colui che racconta la storia. Può coincidere o meno con l’autore del testo; può coincidere o non coincidere con uno dei personaggi della storia. Generalmente la voce narrante non coincide con l’autore, poiché esso è un artificio letterario, cioè un’invenzione dell’autore.
NARRATORE INTERNO – NARRATORE ESTERNO
Il narratore si dice interno(“omodiegetico”) quando partecipa, ha partecipato alla vicenda o ne è stato un semplice testimone e successivamente la racconta. Egli può coincidere con il protagonista dell’opera(narratore autodiegetico), oppure con uno dei personaggi della storia (narratore testimone). LA NARRAZIONE SI SVOLGE IN PRIMA PERSONA o anche in terza persona.
Il narratore si dice esterno (“eterodiegetico”) quando esso non partecipa e non ha partecipato alle vicende che racconta, non è uno dei personaggi, ma racconta gli avvenimenti dall’esterno, come una voce fuori campo. LA NARRAZIONE SI SVOLGE IN TERZA PERSONA.
Il narratore esterno può essere: IMPERSONALE o NASCOSTO (racconta astenendosi da qualsiasi commento); PERSONALE O PALESE(interviene nella narrazione con giudizi).
NARRATORE DI PRIMO GRADO-NARRATORE DI SECONDO GRADO
Talvolta può accadere che il narratore (interno o esterno alla storia) ceda la funzione di raccontare ad un’altra voce, costituita da uno dei personaggi o da un soggetto estraneo alla vicenda. Definiamo narratore di primo grado colui che inizia il racconto, narratore di secondo grado colui che la continua.
PUNTO DI VISTA O FOCALIZZAZIONE
Il narratore può presentarci la storia secondo tre diverse angolazioni. La prospettiva secondo la quale è presentata una storia si chiama PUNTO DI VISTA O FOCALIZZAZIONE.
Distinguiamo tre tipi di focalizzazione:
- FOCALIZZAZIONE ZERO: è L’OTTICA DEL NARRATORE ONNISCIENTE = che sa tutto (interno- esterno: A. Manzoni ne “I Promessi Sposi”).
Nel racconto a focalizzazione zero, il narratore sa tutto e vede tutto, più degli stessi protagonisti, conosce la storia passata, presente o futura, interviene spesso nella storia con digressioni, flashback e prolessi.
- FOCALIZZAZIONE INTERNA: è l’ottica del narratore che presenta i fatti secondo il punto di vista del protagonista o di uno dei personaggi; si tratta di una prospettiva parziale e ristretta. Il narratore può essere interno alla storia (molto spesso), oppure esterno.
- FOCALIZZAZIONE ESTERNA>: è l’ottica di un narratore esterno alla storia che si limita a registrare ciò che vede: le azioni, le parole, i dialoghi dei personaggi senza conoscere i loro pensieri, senza intervenire con giudizi e commenti personali.
F) TEMA MESSAGGIO CONTESTO
Il tema è l’argomento dominante di cui tratta il testo; Il messaggio indica qual è il significato del testo; ciò che il testo suggerisce al lettore; il contesto indica la collocazione cronologica dell’autore del testo, la tradizione letteraria di appartenenza dell’opera, il contesto storico, politico e sociale in cui si situa l’opera dell’autore.
G) TECNICHE NARRATIVE, LINGUA E STILE
gli scrittori hanno un personale modo di raccontare che si esprime mediante un particolare tipo di parole utilizzate, mediante il significato e l’espressività che sono attribuiti alle parole, mediante l’uso di figure retoriche e nel modo in cui sono strutturati i periodi.
STILE PARATTATTICO O IPOTATTICO. Stile paratattico: è uno stile semplice, chiaro e scorrevole, caratterizzato dalla prevalenza di periodi coordinati. La struttura sintattica della coordinazione contribuisce a determinare un ritmo narrativo incalzante, stringato, veloce. è lo stile narrativo che si è diffuso nel secondo dopoguerra. Stile ipotattico: è uno stile elaborato, caratterizzato dalla prevalenza di proposizioni subordinate con frasi lunghe e complesse Lo stile ipotattico conferisce alla narrazione un ritmo cadenzato, talora faticoso e di non semplice comprensione. E’ tipico dello stile classico; inoltre, se le proposizioni subordinate sono collegate dalla virgola, si dicono collegate per asindeto; se sono legate dalla congiunzione “e”, si dicono collegate per polisindeto.
COESIONE- COERENZA: La coesione riguarda la corretta concordanza degli elementi della frase mediante concordanze grammaticali (soggetto-verbo, sostantivo -articolo; ordine delle parole nella frase) e mediante i connettivi testuali (preposizioni, congiunzioni, avverbi,locuzioni avverbiali punteggiatura).
La coerenza riguarda i rapporti logici tra le varie parti del testo, e collega le informazioni del testo ad un tema dominante (idea centrale).
TIPI DI DISCORSO: discorso diretto, discorso indiretto (riferisce i pensieri facendoli dipendere da un verbo dichiarativo: dice che, dico che); discorso indiretto libero (il narratore riferisce i pensieri dei personaggi direttamente, senza introdurli da verbi dichiarativi); monologo interiore (il narratore entra nela mente di un personaggio e descrive ciò che il personaggio sta pensando); soliloquio ( il personaggio parla ad alta voce da solo; flusso di coscienza (è la registrazione dei pensieri dei personaggi in maniera alogica e irrazionale, così come si presentano; questa tecnica narrativa presenta un’assenza di punteggiatura.
FIGURE RETORICHE: sintattiche ( anacoluto, anadiplosi, asindeto, ellissi, iterazione, polisindeto); figure retoriche semantiche (accumulazione, climax, iperbole, ironia, litote, metafora, metonimia, reticenza, similitudine, sineddoche, sinestesia).
REGISTRO LINGUISTICO: registro aulico ( lessico colto e ricercato; sintassi complessa ed elaborata, con espedienti retorici e citazioni colte); registro formale(lessico preciso e ricercato, ma privo di fronzoli retorici; sintassi essenziale, chiara e rigorosa) registro medio ( lessico preciso ma non ricercato, la sintassi è corretta e scorrevole); registro basso, colloquiale e realistico (lessico generico e popolare, con inserti dialettali; sintassi semplice e talvolta scorretta, tipica del parlato quotidiano).
LA COMUNICAZIONE E I TESTI
Un TESTO, in generale, è un atto comunicativo che consente ad un EMITTENTE di trasmettere un MESSAGGIO al suo DESTINATARIO. Il testo è costituito, infatti, da un insieme di frasi collegate tra loro da una rete di rapporti. Tra i caratteri fondamentali del testo ricordiamo l'organicità e la compiutezza; il legame con una determinata situazione comunicativa , che dipende sia dagli obiettivi di chi produce il testo (l'emittente, che parla o scrive) sia dalle esigenze di chi riceve ( il ricevente, che ascolta o legge. Un testo può essere orale o scritto (una conversazione, una lezione, un articolo di giornale, una poesia, una romanzo).
Per comunicare, l’emittente utilizzerà un CODICE che può essere verbale o non verbale: i Codici verbali si affidano alle parole. Il Linguaggio verbale è, infatti, un codice organizzato di Segni ( ad es. le lettere dell’alfabeto) che può essere utilizzato sia in forma scritta che in forma orale. I codici non verbali si affidano a segni, che sono immagini, simboli, suoni. Tra i codici non verbali ricordiamo i Codici visivi e i Codici sonori. Vi sono, infine, i Codici misti, che impiegano parole insieme a segni di altro tipo, come il linguaggio dei fumetti - immagini e parole – il linguaggio della pubblicità – immagini, parole, suoni) e un CANALE ( cellulare, internet). L’intera comunicazione si svolgerà in un CONTESTO rispetto al quale il messaggio potrà fare riferimento.
I protagonisti della comunicazione
Il linguista russo Roman Jakobson (1896-1982) - uno dei grandi padri fondatori della Linguistica moderna insieme al linguista gineverino Ferdinand de Saussurre(1857- 1913) e al filosofo viennese Ludwig Wittgenstein (1898-1951) - ha elaborato uno schema che indica gli elementi costitutivi di un processo linguistico.
Nella elaborazione teorica di R. Jakobson, ciascun processo di comunicazione necessita di 6 elementi:
EMITTENTE -MESSAGGIO - DESTINATARIO – CANALE (contatto) - CODICE - CONTESTO.
[Oltre a R. Jakobson, ricordiamo in particolare il linguista ginevrino Ferdinand de Saussurre (1857-1913), il filosofo viennese Ludwig Wittgenstein (1898-1951). Ferdinand de Saussurre, agli inizi del 900, ha posto le basi della Linguistica moderna nel suo "Corso di Linguistica Generale" (1916) con l'esposizione teorica di due nodi concettuali: l'opposizione Significante/Significato e l'opposizione Langue/Parole. Questi concetti sono stati e restano alla base di tutti i successivi studi che a partire dalla Linguistica arrivano fino alle più recenti teorie che riguardano le Scienze della comunicazione].
I TESTI SI SUDDIVIDONO IN: TESTI LETTERARI E TESTI NON LETTERARI
I TESTI NON LETTERARI sono quelli a carattere pratico e pragmatico : sono quelli finalizzati a fornire informazioni al lettore, oppure a convincere e a persuadere (vedi, in particolare: testi descrittivi, espositivi, argomentativi, regolativi);
I TESTI LETTERARI sono quelli finalizzati a suscitare emozioni, sensazioni, stati d’animo; hanno lo scopo non tanto di persuadere, quanto di intrattenere e dilettare il lettore. Essi si suddividono in TESTI POETICI, TESTI TEATRALI, TESTI NARRATIVI ( FAVOLA E FIABA, NOVELLA, RACCONTO, ROMANZO).
giovedì 17 settembre 2015
LA STRUTTURA DEL TESTO POETICO-PROGRAMMA SVOLTO a.s.2014-15 classe IIA
FIGURE METRICHE: Afèresi: caduta della sillaba in posizione iniziale , presenta segno grafico‘: “là ‘ve cantando..”; Sincope : caduta sillaba in posizione centrale; Apocope: caduta sillaba fine parola. “veder, cantar,”; Prostesi : figura metrica di aggiunta di sillaba in posizione iniziale; Epentesi: figura di aggiunta in posizione centrale;, Epitesi o Paragòge: aggiunta di sillaba in posizione finale; Tmèsi: divisione di 1 parola in 2 parti, delle quali la 1 è posta alla fine del verso, l’altra all’inizio o a metà del verso successivo “ tra gli argini su cui mucche tranquilla / mente pascolano” G.Pascoli; Dieresi: dittongo sciolto in iato, Sineresi: lega due vocali aspre in una sillaba; Sinalèfe : fusione dell' ultima vocale di una parola con la vocale iniziale della parola successiva, senz’apostrofo; Dialèfe, Elisione ’: eliminazione vocale finale di parola dinanzi a parola iniziante per vocale. Presenta segno grafico).
FIGURE FONICHE
Onomatopea, Allitterazione(iterazione fonica), Paronomàsia: accostamento di 2 parole con suono simile ma con significato diverso “ma sedendo e mirando, interminati/spazi di là da quella...G.Leopardi, L’Infinito. “I’ fui per ritornar più volte volto” Dante, Inf. c.I,v.36.
FIGURE SINTATTICHE
anafora; ellissi; enumerazione per asindeto-polisindeto/climax; parallelismo; inversione (anastrofe; ipèrbato: separazione gruppo sintattico con l’inserimento di 1 o più lessemi; chiasmo); Ripetizione ( figura etimologica, anadiplosi, poliptòto); Ipàllage: riferire ad un termine un aggettivo che andrebbe riferito ad altro termine “ ma io a voi deluse le palme tendo”, U.Foscolo, In morte del fratello Giovanni. “cauti passi” G.Pascoli, Le ciaramelle, v.12. Enàllage: parte del discorso con funzione di altra “sbocciasti improvviso (improvvisamente) G.Pascoli, "Il sogno della vergine"; Anacoluto: costrutto sintattico con cambio di soggetto; Apostrofe: deviazione durante un’esposizione per rivolgersi a qualcuno); Esclamazione : esprimere con enfasi un concetto in forma esclamativa “Guai a voi, anime prave!/non isperate mai veder lo cielo!”Dante, Inf. c.III.
FIGURE SEMANTICHE
Antonomasia: sostituzione di un nome con una proprietà che gli appartiene “il divino poeta”= Dante; Perìfrasi; Eufemismo: uso di parole o di perifrasi per attenuare il carico espressivo del discorso “Forse tu fra plebei tumulti guardi/vagolando, ove dorma il sacro capo/ del tuo Parini” U.Foscolo, Dei Sepolcri, vv 70-72 ; Ipèrbole : affermazione esagerata per esprimere un concetto “ ho sceso, dandoti il braccio almeno un milione di scale, E. Montale”; Similitudine; Metafora; Analogia; Sinestesìa; Metonìmia: contenete-contenuto/ materiale-oggetto/ effetto-causa; Sineddoche: parte per il tutto; Personificazione; Antìtesi: esposizione di concetti opposti;Ossimoro: unione di parole con significato opposto; Litòte: affermare un concetto negando il contrario “non senza inganno”; Dittologia: uso di due vocaboli di significato affine, legati da congiunzione “solo e pensoso ” F. Petrarca; Endìadi: esprimere un concetto con due parole in sostituzione di un unico sostantivo accompagnato da un aggettivo o da un complemento“vedo splendere la luce e il sole /vedo splendere la luce del sole”; Zèugma: far dipendere da 1 solo termine 2 parole di cui una soltanto si accorda logicamente ad esso “parlare e lagrimar vedrai insieme- Dante, Inf. XXXIII, v.9”.
IL VERSO:unità fondamentale della poesia corrispondente ad una riga di testo che non utilizza, per intero, lo spazio bianco del foglio; il verso si misura in sillabe metriche. Il verso può essere piano, sdrucciolo o tronco; raramente bisdrucciolo. I versi vengono considerati come se fossero tutti piani(accento sulla penultima sillaba): ciò significa che dopo l'ultimo accento, si conta sempre una sillaba metrica in più, anche se le sillabe grammaticali sono due (verso sdrucciolo) o non ci sono del tutto ( verso tronco).
Classificazione dei versi:
bisillabo (accento ritmico 1^ sillaba); trisillabo ( un solo ictus, cioè accento ritmico, sulla 2^ sillaba); quadrisillabo ( ha 2 ictus fissi sulla 1^ e 3 ^sillaba); quinario ( 1^ o 2^; 4^ sillaba), senario ( ha 2 ictus fissi, 2^ e 5^ sillaba), settenario ( è uno dei versi più usati, ha un ictus fisso sulla 6^sillaba), ottonario (3^ e 7^sillaba), novenario ( ictus fissi sulla 2^,5^, 8^ sillaba), decasillabo (ictus sulla 3^,6^,9^ sillaba), endecasillabo ( è il verso maggiormente usato nella poesia italiana; presenta un ictus fisso sulla 10^sillaba e diversi accenti mobili, mai sulla 5^ sillaba) dodecasillabo ( o doppio senario).
LA RIMA: identità di suoni che si ripetono alla fine dei versi.
Rima baciata(AA), alternata (ABAB); incrociata o chiusa(ABBA); incatenata o terza rima(ABA BCB CDC), invertita(ABC ACB); interna: collega 2 parole con identità fonetica, di cui 1 è interna al verso; rima al mezzo: collega 2 parole con identità fonetica, di cui una cade a metà verso (emistichio), versi sciolti: non sono legati da alcuno schema di rima; sono entrati in uso nell’800 e caratterizzano la poesia moderna; assonanza e consonanza; rima siciliana (in cui la E chiusa rima con la I, la O chiusa rima con la U).
LA STROFA : sequenza di versi che in un componimento poetico formano un'unità ritmica.
Distico (due versi a rima baciata AA BB CC), Terzina (o terza rima: generalmente endecasillabi a rima incatenata, ABA BCB CDC), Quartina (rime alternate o incrociate ABAB, ABBA), Sestina (4 rime alternate AB AB, 2 rime baciate CC); Ottava ( strofa di otto versi, generalmente endecasillabi: i primi sei a rima alternata AB AB AB, gli ultimi a rima baciata CC); l'ottava è la strofa del poema epico-cavalleresco); Stanza [costituita da versi endecasillabi e settenari. Sempre suddivisa in due settori: la Fronte (1°Piede, 2°Piede che rimano tra loro. Ciascun Piede può variare da 1 a 4 versi), la Sirma ( 1^Volta, 2^Volta rigidamente rimate). Tra la Fronte e la Sirma può trovarsi 1 verso che rima con l’ultimo verso della Fronte, detto Chiave. Le stanze di una Canzone possono essere “unissonanti” (stesso schema metrico e stessa rima) oppure “dissonanti o singolari” (stesso schema metrico, ma con rima diversa). A termine della Canzone può trovarsi una strofa detta Congedo o Commiato; Strofa libera (numero di versi variabile, schema metrico variabile, rime senza schema fisso)
TIPI DI COMPONIMENTO
Sonetto (due quartine a rima alternata o chiusa, due terzine a rima incatenata o invertita o ripetuta); Canzone(componimento tipico della letteratura romanza medievale, composta da strofe dette "Stanze", tutte identiche, aventi lo stesso numero di versi e lo stesso schema metrico); Ballata (componimento di origine medievale destinato alla musica e danza, composta da Stanze, alternate da brevi strofe sempre uguali dette “Ritornelli” o “Riprese”); Lauda (componimento in lingua volgare di origine medievale, a carattere popolare, con accompagnamento musicale. A livello metrico la Lauda è identica alla Ballata, ma il contenuto è a carattere religioso. Il primo esempio di Lauda a noi interamente pervenuta: Laudes Creaturarum, S. Francesco d’ Assisi); Ode (derivata dalla Canzone, con strofe brevi di numero variabile di versi ed eliminando la “Chiave”); Madrigale(componimento costituito da strofe di 3 versi, endecasillabi o settenari, rimati); Carme (componimento in versi endecasillabi).
FIGURE FONICHE
Onomatopea, Allitterazione(iterazione fonica), Paronomàsia: accostamento di 2 parole con suono simile ma con significato diverso “ma sedendo e mirando, interminati/spazi di là da quella...G.Leopardi, L’Infinito. “I’ fui per ritornar più volte volto” Dante, Inf. c.I,v.36.
FIGURE SINTATTICHE
anafora; ellissi; enumerazione per asindeto-polisindeto/climax; parallelismo; inversione (anastrofe; ipèrbato: separazione gruppo sintattico con l’inserimento di 1 o più lessemi; chiasmo); Ripetizione ( figura etimologica, anadiplosi, poliptòto); Ipàllage: riferire ad un termine un aggettivo che andrebbe riferito ad altro termine “ ma io a voi deluse le palme tendo”, U.Foscolo, In morte del fratello Giovanni. “cauti passi” G.Pascoli, Le ciaramelle, v.12. Enàllage: parte del discorso con funzione di altra “sbocciasti improvviso (improvvisamente) G.Pascoli, "Il sogno della vergine"; Anacoluto: costrutto sintattico con cambio di soggetto; Apostrofe: deviazione durante un’esposizione per rivolgersi a qualcuno); Esclamazione : esprimere con enfasi un concetto in forma esclamativa “Guai a voi, anime prave!/non isperate mai veder lo cielo!”Dante, Inf. c.III.
FIGURE SEMANTICHE
Antonomasia: sostituzione di un nome con una proprietà che gli appartiene “il divino poeta”= Dante; Perìfrasi; Eufemismo: uso di parole o di perifrasi per attenuare il carico espressivo del discorso “Forse tu fra plebei tumulti guardi/vagolando, ove dorma il sacro capo/ del tuo Parini” U.Foscolo, Dei Sepolcri, vv 70-72 ; Ipèrbole : affermazione esagerata per esprimere un concetto “ ho sceso, dandoti il braccio almeno un milione di scale, E. Montale”; Similitudine; Metafora; Analogia; Sinestesìa; Metonìmia: contenete-contenuto/ materiale-oggetto/ effetto-causa; Sineddoche: parte per il tutto; Personificazione; Antìtesi: esposizione di concetti opposti;Ossimoro: unione di parole con significato opposto; Litòte: affermare un concetto negando il contrario “non senza inganno”; Dittologia: uso di due vocaboli di significato affine, legati da congiunzione “solo e pensoso ” F. Petrarca; Endìadi: esprimere un concetto con due parole in sostituzione di un unico sostantivo accompagnato da un aggettivo o da un complemento“vedo splendere la luce e il sole /vedo splendere la luce del sole”; Zèugma: far dipendere da 1 solo termine 2 parole di cui una soltanto si accorda logicamente ad esso “parlare e lagrimar vedrai insieme- Dante, Inf. XXXIII, v.9”.
IL VERSO:unità fondamentale della poesia corrispondente ad una riga di testo che non utilizza, per intero, lo spazio bianco del foglio; il verso si misura in sillabe metriche. Il verso può essere piano, sdrucciolo o tronco; raramente bisdrucciolo. I versi vengono considerati come se fossero tutti piani(accento sulla penultima sillaba): ciò significa che dopo l'ultimo accento, si conta sempre una sillaba metrica in più, anche se le sillabe grammaticali sono due (verso sdrucciolo) o non ci sono del tutto ( verso tronco).
Classificazione dei versi:
bisillabo (accento ritmico 1^ sillaba); trisillabo ( un solo ictus, cioè accento ritmico, sulla 2^ sillaba); quadrisillabo ( ha 2 ictus fissi sulla 1^ e 3 ^sillaba); quinario ( 1^ o 2^; 4^ sillaba), senario ( ha 2 ictus fissi, 2^ e 5^ sillaba), settenario ( è uno dei versi più usati, ha un ictus fisso sulla 6^sillaba), ottonario (3^ e 7^sillaba), novenario ( ictus fissi sulla 2^,5^, 8^ sillaba), decasillabo (ictus sulla 3^,6^,9^ sillaba), endecasillabo ( è il verso maggiormente usato nella poesia italiana; presenta un ictus fisso sulla 10^sillaba e diversi accenti mobili, mai sulla 5^ sillaba) dodecasillabo ( o doppio senario).
LA RIMA: identità di suoni che si ripetono alla fine dei versi.
Rima baciata(AA), alternata (ABAB); incrociata o chiusa(ABBA); incatenata o terza rima(ABA BCB CDC), invertita(ABC ACB); interna: collega 2 parole con identità fonetica, di cui 1 è interna al verso; rima al mezzo: collega 2 parole con identità fonetica, di cui una cade a metà verso (emistichio), versi sciolti: non sono legati da alcuno schema di rima; sono entrati in uso nell’800 e caratterizzano la poesia moderna; assonanza e consonanza; rima siciliana (in cui la E chiusa rima con la I, la O chiusa rima con la U).
LA STROFA : sequenza di versi che in un componimento poetico formano un'unità ritmica.
Distico (due versi a rima baciata AA BB CC), Terzina (o terza rima: generalmente endecasillabi a rima incatenata, ABA BCB CDC), Quartina (rime alternate o incrociate ABAB, ABBA), Sestina (4 rime alternate AB AB, 2 rime baciate CC); Ottava ( strofa di otto versi, generalmente endecasillabi: i primi sei a rima alternata AB AB AB, gli ultimi a rima baciata CC); l'ottava è la strofa del poema epico-cavalleresco); Stanza [costituita da versi endecasillabi e settenari. Sempre suddivisa in due settori: la Fronte (1°Piede, 2°Piede che rimano tra loro. Ciascun Piede può variare da 1 a 4 versi), la Sirma ( 1^Volta, 2^Volta rigidamente rimate). Tra la Fronte e la Sirma può trovarsi 1 verso che rima con l’ultimo verso della Fronte, detto Chiave. Le stanze di una Canzone possono essere “unissonanti” (stesso schema metrico e stessa rima) oppure “dissonanti o singolari” (stesso schema metrico, ma con rima diversa). A termine della Canzone può trovarsi una strofa detta Congedo o Commiato; Strofa libera (numero di versi variabile, schema metrico variabile, rime senza schema fisso)
TIPI DI COMPONIMENTO
Sonetto (due quartine a rima alternata o chiusa, due terzine a rima incatenata o invertita o ripetuta); Canzone(componimento tipico della letteratura romanza medievale, composta da strofe dette "Stanze", tutte identiche, aventi lo stesso numero di versi e lo stesso schema metrico); Ballata (componimento di origine medievale destinato alla musica e danza, composta da Stanze, alternate da brevi strofe sempre uguali dette “Ritornelli” o “Riprese”); Lauda (componimento in lingua volgare di origine medievale, a carattere popolare, con accompagnamento musicale. A livello metrico la Lauda è identica alla Ballata, ma il contenuto è a carattere religioso. Il primo esempio di Lauda a noi interamente pervenuta: Laudes Creaturarum, S. Francesco d’ Assisi); Ode (derivata dalla Canzone, con strofe brevi di numero variabile di versi ed eliminando la “Chiave”); Madrigale(componimento costituito da strofe di 3 versi, endecasillabi o settenari, rimati); Carme (componimento in versi endecasillabi).
ANALISI DEL TESTO POETICO - TIP. A . PROGRAMMA SVOLTO a.s. 2014-15 - classe IIA
La struttura di un commento si articola in tre fasi: COMPRENSIONE, ANALISI DEL SIGNIFICATO, ANALISI DEL SIGNIFICANTE.
A) COMPRENSIONE - INFORMAZIONI SOMMARIE SUL TESTO (titolo, autore, opera da cui è tratto il testo, anno composizione, argomento generale della lirica).
B) PIANO DEL SIGNIFICATO (LIVELLO STILISTICO- RETORICO): lessico e parole chiave, sintassi(l'ordine delle parole nel testo poetico, la disposizione dei periodi in simmetria o in parallelismo), temi dominanti, messaggio che il poeta vuole trasmettere, figure retoriche di significato (similitudine, metafora, analogia, sinestesia, metonimia, sineddoche, iperbole, antitesi, ossimoro) e di ordine delle parole ( climax, anticlimax, anafora,chiasmo, inversione) contestualizzazione, conclusione. Relazione tra significato e significante(ad esempio, suoni aspri e duri possono comunicare l'idea del dolore).
C) PIANO del SIGNIFICANTE (STRUTTURA DEL TESTO DAL PUNTO DI VISTA TECNICO-FORMALE - LIVELLO METRICO RITMICO) : versi, strofe, rime, schema metrico, figure retoriche del significante: figure metriche, figure di suono; ritmo della lirica: accenti ritmici (ictus) ravvicinati o distanziati, pause metriche o sintattiche, enjambement.
Ciascuna opera letteraria va intesa, secondo i principi della moderna critica letteraria ispirati allo Strutturalismo e alla TEORIA DEL SEGNO LINGUISTICO di FERDINAND DE SAUSSURRE(Ginevra,1857 – Vufflens-le-Château, 1913; fu un linguista e semiologo svizzero. È considerato il fondatore della linguistica moderna), come un insieme di segni che devono essere decodificati in sede interpretativa al fine di cogliere il significato denotativo e connotativo che il testo vuole esprimere. Il segno linguistico è, infatti, una realtà polisemica, un “concetto dicotomico” costituito da un significante e da un significato: il significante rappresenta l’aspetto esteriore e formale del segno, l’insieme degli artifici comunicativi dell’opera; il significato si riferisce al contenuto denotativo e connotativo dell’opera, al messaggio che il testo si propone di trasmettere attraverso il piano del significante. In tal senso un importante campo d’indagine, nell’analisi di un testo letterario, è il PIANO DEL SIGNIFICANTE, cioè il PIANO TECNICO-FORMALE, che riguarda le manifestazioni fonologiche e le nozioni di verso, strofa, rima, metro, ritmo, figure retoriche del significante: figure metriche, figure di suono.
Un altro campo d’indagine riguarda il PIANO DEL SIGNIFICATO, il contenuto connotativo del testo, ciò che la lirica vuole comunicare attraverso le figure retoriche, secondo un significato diverso da quello letterale. Attraverso lo studio del significante e del significato è possibile stabilire il contenuto connotativo dell’opera e giungere ad una corretta ed esaustiva decodificazione del testo letterario.
A) COMPRENSIONE - INFORMAZIONI SOMMARIE SUL TESTO (titolo, autore, opera da cui è tratto il testo, anno composizione, argomento generale della lirica).
B) PIANO DEL SIGNIFICATO (LIVELLO STILISTICO- RETORICO): lessico e parole chiave, sintassi(l'ordine delle parole nel testo poetico, la disposizione dei periodi in simmetria o in parallelismo), temi dominanti, messaggio che il poeta vuole trasmettere, figure retoriche di significato (similitudine, metafora, analogia, sinestesia, metonimia, sineddoche, iperbole, antitesi, ossimoro) e di ordine delle parole ( climax, anticlimax, anafora,chiasmo, inversione) contestualizzazione, conclusione. Relazione tra significato e significante(ad esempio, suoni aspri e duri possono comunicare l'idea del dolore).
C) PIANO del SIGNIFICANTE (STRUTTURA DEL TESTO DAL PUNTO DI VISTA TECNICO-FORMALE - LIVELLO METRICO RITMICO) : versi, strofe, rime, schema metrico, figure retoriche del significante: figure metriche, figure di suono; ritmo della lirica: accenti ritmici (ictus) ravvicinati o distanziati, pause metriche o sintattiche, enjambement.
Ciascuna opera letteraria va intesa, secondo i principi della moderna critica letteraria ispirati allo Strutturalismo e alla TEORIA DEL SEGNO LINGUISTICO di FERDINAND DE SAUSSURRE(Ginevra,1857 – Vufflens-le-Château, 1913; fu un linguista e semiologo svizzero. È considerato il fondatore della linguistica moderna), come un insieme di segni che devono essere decodificati in sede interpretativa al fine di cogliere il significato denotativo e connotativo che il testo vuole esprimere. Il segno linguistico è, infatti, una realtà polisemica, un “concetto dicotomico” costituito da un significante e da un significato: il significante rappresenta l’aspetto esteriore e formale del segno, l’insieme degli artifici comunicativi dell’opera; il significato si riferisce al contenuto denotativo e connotativo dell’opera, al messaggio che il testo si propone di trasmettere attraverso il piano del significante. In tal senso un importante campo d’indagine, nell’analisi di un testo letterario, è il PIANO DEL SIGNIFICANTE, cioè il PIANO TECNICO-FORMALE, che riguarda le manifestazioni fonologiche e le nozioni di verso, strofa, rima, metro, ritmo, figure retoriche del significante: figure metriche, figure di suono.
Un altro campo d’indagine riguarda il PIANO DEL SIGNIFICATO, il contenuto connotativo del testo, ciò che la lirica vuole comunicare attraverso le figure retoriche, secondo un significato diverso da quello letterale. Attraverso lo studio del significante e del significato è possibile stabilire il contenuto connotativo dell’opera e giungere ad una corretta ed esaustiva decodificazione del testo letterario.
LA STRUTTURA DEL TESTO POETICO-PROGRAMMA SVOLTO a.s.2014-15 classe IIA
FIGURE METRICHE: Afèresi: caduta della sillaba in posizione iniziale , presenta segno grafico‘: “là ‘ve cantando..”; Sincope : caduta sillaba in posizione centrale; Apocope: caduta sillaba fine parola. “veder, cantar,”; Prostesi : figura metrica di aggiunta di sillaba in posizione iniziale; Epentesi: figura di aggiunta in posizione centrale;, Epitesi o Paragòge: aggiunta di sillaba in posizione finale; Tmèsi: divisione di 1 parola in 2 parti, delle quali la 1 è posta alla fine del verso, l’altra all’inizio o a metà del verso successivo “ tra gli argini su cui mucche tranquilla / mente pascolano” G.Pascoli; Dieresi: dittongo sciolto in iato, Sineresi: lega due vocali aspre in una sillaba; Sinalèfe : fusione dell' ultima vocale di una parola con la vocale iniziale della parola successiva, senz’apostrofo; Dialèfe, Elisione ’: eliminazione vocale finale di parola dinanzi a parola iniziante per vocale. Presenta segno grafico).
FIGURE FONICHE
Onomatopea, Allitterazione(iterazione fonica), Paronomàsia: accostamento di 2 parole con suono simile ma con significato diverso “ma sedendo e mirando, interminati/spazi di là da quella...G.Leopardi, L’Infinito. “I’ fui per ritornar più volte volto” Dante, Inf. c.I,v.36.
FIGURE SINTATTICHE
anafora; ellissi; enumerazione per asindeto-polisindeto/climax; parallelismo; inversione (anastrofe; ipèrbato: separazione gruppo sintattico con l’inserimento di 1 o più lessemi; chiasmo); Ripetizione ( figura etimologica, anadiplosi, poliptòto); Ipàllage: riferire ad un termine un aggettivo che andrebbe riferito ad altro termine “ ma io a voi deluse le palme tendo”, U.Foscolo, In morte del fratello Giovanni. “cauti passi” G.Pascoli, Le ciaramelle, v.12. Enàllage: parte del discorso con funzione di altra “sbocciasti improvviso (improvvisamente) G.Pascoli, "Il sogno della vergine"; Anacoluto: costrutto sintattico con cambio di soggetto; Apostrofe: deviazione durante un’esposizione per rivolgersi a qualcuno); Esclamazione : esprimere con enfasi un concetto in forma esclamativa “Guai a voi, anime prave!/non isperate mai veder lo cielo!”Dante, Inf. c.III.
FIGURE SEMANTICHE
Antonomasia: sostituzione di un nome con una proprietà che gli appartiene “il divino poeta”= Dante; Perìfrasi; Eufemismo: uso di parole o di perifrasi per attenuare il carico espressivo del discorso “Forse tu fra plebei tumulti guardi/vagolando, ove dorma il sacro capo/ del tuo Parini” U.Foscolo, Dei Sepolcri, vv 70-72 ; Ipèrbole : affermazione esagerata per esprimere un concetto “ ho sceso, dandoti il braccio almeno un milione di scale, E. Montale”; Similitudine; Metafora; Analogia; Sinestesìa; Metonìmia: contenete-contenuto/ materiale-oggetto/ effetto-causa; Sineddoche: parte per il tutto; Personificazione; Antìtesi: esposizione di concetti opposti;Ossimoro: unione di parole con significato opposto; Litòte: affermare un concetto negando il contrario “non senza inganno”; Dittologia: uso di due vocaboli di significato affine, legati da congiunzione “solo e pensoso ” F. Petrarca; Endìadi: esprimere un concetto con due parole in sostituzione di un unico sostantivo accompagnato da un aggettivo o da un complemento“vedo splendere la luce e il sole /vedo splendere la luce del sole”; Zèugma: far dipendere da 1 solo termine 2 parole di cui una soltanto si accorda logicamente ad esso “parlare e lagrimar vedrai insieme- Dante, Inf. XXXIII, v.9”.
IL VERSO:unità fondamentale della poesia corrispondente ad una riga di testo che non utilizza, per intero, lo spazio bianco del foglio; il verso si misura in sillabe metriche. Il verso può essere piano, sdrucciolo o tronco; raramente bisdrucciolo. I versi vengono considerati come se fossero tutti piani(accento sulla penultima sillaba): ciò significa che dopo l'ultimo accento, si conta sempre una sillaba metrica in più, anche se le sillabe grammaticali sono due (verso sdrucciolo) o non ci sono del tutto ( verso tronco).
Classificazione dei versi:
bisillabo (accento ritmico 1^ sillaba); trisillabo ( un solo ictus, cioè accento ritmico, sulla 2^ sillaba); quadrisillabo ( ha 2 ictus fissi sulla 1^ e 3 ^sillaba); quinario ( 1^ o 2^; 4^ sillaba), senario ( ha 2 ictus fissi, 2^ e 5^ sillaba), settenario ( è uno dei versi più usati, ha un ictus fisso sulla 6^sillaba), ottonario (3^ e 7^sillaba), novenario ( ictus fissi sulla 2^,5^, 8^ sillaba), decasillabo (ictus sulla 3^,6^,9^ sillaba), endecasillabo ( è il verso maggiormente usato nella poesia italiana; presenta un ictus fisso sulla 10^sillaba e diversi accenti mobili, mai sulla 5^ sillaba) dodecasillabo ( o doppio senario).
LA RIMA: identità di suoni che si ripetono alla fine dei versi.
Rima baciata(AA), alternata (ABAB); incrociata o chiusa(ABBA); incatenata o terza rima(ABA BCB CDC), invertita(ABC ACB); interna: collega 2 parole con identità fonetica, di cui 1 è interna al verso; rima al mezzo: collega 2 parole con identità fonetica, di cui una cade a metà verso (emistichio), versi sciolti: non sono legati da alcuno schema di rima; sono entrati in uso nell’800 e caratterizzano la poesia moderna; assonanza e consonanza; rima siciliana (in cui la E chiusa rima con la I, la O chiusa rima con la U).
LA STROFA : sequenza di versi che in un componimento poetico formano un'unità ritmica.
Distico (due versi a rima baciata AA BB CC), Terzina (o terza rima: generalmente endecasillabi a rima incatenata, ABA BCB CDC), Quartina (rime alternate o incrociate ABAB, ABBA), Sestina (4 rime alternate AB AB, 2 rime baciate CC); Ottava ( strofa di otto versi, generalmente endecasillabi: i primi sei a rima alternata AB AB AB, gli ultimi a rima baciata CC); l'ottava è la strofa del poema epico-cavalleresco); Stanza [costituita da versi endecasillabi e settenari. Sempre suddivisa in due settori: la Fronte (1°Piede, 2°Piede che rimano tra loro. Ciascun Piede può variare da 1 a 4 versi), la Sirma ( 1^Volta, 2^Volta rigidamente rimate). Tra la Fronte e la Sirma può trovarsi 1 verso che rima con l’ultimo verso della Fronte, detto Chiave. Le stanze di una Canzone possono essere “unissonanti” (stesso schema metrico e stessa rima) oppure “dissonanti o singolari” (stesso schema metrico, ma con rima diversa). A termine della Canzone può trovarsi una strofa detta Congedo o Commiato; Strofa libera (numero di versi variabile, schema metrico variabile, rime senza schema fisso)
TIPI DI COMPONIMENTO
Sonetto ( due quartine a rima alternata o chiusa, due terzine a rima incatenata o invertita o ripetuta); Canzone(componimento tipico della letteratura romanza medievale, composta da strofe dette "Stanze", tutte identiche, aventi lo stesso numero di versi e lo stesso schema metrico); Ballata (componimento di origine medievale destinato alla musica e danza, composta da Stanze, alternate da brevi strofe sempre uguali dette “Ritornelli” o “Riprese”); Lauda (componimento in lingua volgare di origine medievale, a carattere popolare, con accompagnamento musicale. A livello metrico la Lauda è identica alla Ballata, ma il contenuto è a carattere religioso. Il primo esempio di Lauda a noi interamente pervenuta: Laudes Creaturarum, di S. Francesco d’ Assisi); Ode (derivata dalla Canzone, con strofe brevi di numero variabile di versi ed eliminando la “Chiave”); Madrigale(componimento costituito da strofe di 3 versi, endecasillabi o settenari, rimati); Carme (componimento in versi endecasillabi).
ANALISI TESTO POETICO ( TIP.A) – IL COMMENTO- PROGRAMMA SVOLTO a.s.2014-15 classe IIA
La struttura di un commento si articola in tre fasi: COMPRENSIONE, ANALISI DEL SIGNIFICATO, ANALISI DEL SIGNIFICANTE.
A) COMPRENSIONE - INFORMAZIONI SOMMARIE SUL TESTO (titolo, autore, opera da cui è tratto il testo, anno composizione, argomento generale della lirica).
B) PIANO DEL SIGNIFICATO (LIVELLO STILISTICO- RETORICO): lessico e parole chiave, sintassi(l'ordine delle parole nel testo poetico, la disposizione dei periodi in simmetria o in parallelismo), temi dominanti, messaggio che il poeta vuole trasmettere, figure retoriche di significato (similitudine, metafora, analogia, sinestesia, metonimia, sineddoche, iperbole, antitesi, ossimoro) e di ordine delle parole ( climax, anticlimax, anafora,chiasmo, inversione) contestualizzazione, conclusione. Relazione tra significato e significante(ad esempio, suoni aspri e duri possono comunicare l'idea del dolore).
C) PIANO del SIGNIFICANTE (STRUTTURA DEL TESTO DAL PUNTO DI VISTA TECNICO-FORMALE - LIVELLO METRICO RITMICO) : versi, strofe, rime, schema metrico, figure retoriche del significante: figure metriche, figure di suono; ritmo della lirica: accenti ritmici (ictus) ravvicinati o distanziati, pause metriche o sintattiche, enjambement.
Ciascuna opera letteraria va intesa, secondo i principi della moderna critica letteraria ispirati allo Strutturalismo e alla TEORIA DEL SEGNO LINGUISTICO di FERDINAND DE SAUSSURRE(Ginevra,1857 – Vufflens-le-Château, 1913; fu un linguista e semiologo svizzero. È considerato il fondatore della linguistica moderna), come un insieme di segni che devono essere decodificati in sede interpretativa al fine di cogliere il significato denotativo e connotativo che il testo vuole esprimere. Il segno linguistico è, infatti, una realtà polisemica, un “concetto dicotomico” costituito da un significante e da un significato: il significante rappresenta l’aspetto esteriore e formale del segno, l’insieme degli artifici comunicativi dell’opera; il significato si riferisce al contenuto denotativo e connotativo dell’opera, al messaggio che il testo si propone di trasmettere attraverso il piano del significante. In tal senso un importante campo d’indagine, nell’analisi di un testo letterario, è il PIANO DEL SIGNIFICANTE, cioè il PIANO TECNICO-FORMALE, che riguarda le manifestazioni fonologiche e le nozioni di verso, strofa, rima, metro, ritmo, figure retoriche del significante: figure metriche, figure di suono.
Un altro campo d’indagine riguarda il PIANO DEL SIGNIFICATO, il contenuto connotativo del testo, ciò che la lirica vuole comunicare attraverso le figure retoriche, secondo un significato diverso da quello letterale. Attraverso lo studio del significante e del significato è possibile stabilire il contenuto connotativo dell’opera e giungere ad una corretta ed esaustiva decodificazione del testo letterario.
PROPOSTA DI ANALISI TESTUALE - TIP. A - a.s.2014-15, classe VE
“ L’infinito” - G. Leopardi (primavera-autunno1819)
L’“infinito” di Leopardi è il primo dei sei idilli composti tra il 1819 e il 1821 e confluiti, insieme ad altre opere inedite, nella prima edizione dei “Canti” pubblicata a Firenze nel 1831. Una seconda edizione dei “Canti” modificata e ampliata uscì a Napoli nel 1835 ad opera dello stesso Leopardi e di Antonio Ranieri. Quest’ultimo, dopo la morte del poeta e secondo la sua volontà, nel 1845, curò l’edizione definitiva dei “Canti” costituita da 41 componimenti pubblicata a Firenze presso l’editore Le Monnier.
L’idillio leopardiano, a differenza degli idilli della tradizione classica, che consistevano in brevi componimenti ispirati alla vita campestre, è l’espressione di un’avventura interiore che nasce dalla contemplazione della natura: gli idilli leopardiani mostrano, infatti, un carattere intimo e riflessivo.
La lirica si articola in quattro sezioni : nella prima parte (vv 1-3) il poeta descrive con pochi tratti una sorta di scenografia, all’interno della quale egli introduce direttamente e “concretamente” il lettore grazie all’uso degli aggettivi dimostrativi questo e questa (quest’ermo colle, e questa siepe). Leopardi crea l’illusione teatrale che egli stia componendo la poesia proprio su “quest’ermo colle” e davanti a “questa siepe”, quasi si trattasse di una “presa diretta” del paesaggio e dello stesso atto creativo. La prima parte è essenzialmente descrittiva, poiché il Leopardi fa riferimento ad uno spazio fatto di immagini reali e concrete (il colle, la siepe).
La seconda parte dell’idillio (vv.4-8) inizia con la particella avversativa ma, al verso 4. L’avversativa ma, infatti introduce il nucleo tematico dell’idillio, riassumendo il contrasto tra la limitatezza della vista fisica e il potere sconfinato della visione interiore. Per il poeta inizia il processo di astrazione mentale: il pensiero immagina ciò che non vede, tutto ciò che esiste al di là dei limiti fisici imposti all’uomo dalla natura (la siepe e il colle). Egli è spinto a percepire l’infinità dello spazio oltre la siepe, una vastità tale fatta di silenzi e di quiete, tali da risultare difficilmente intelligibili per la mente di un uomo. L’idea dell’infinito non ha in Leopardi alcun valore mistico-religioso, né allude a una trascendenza metafisica ( esso è ontologicamente assimilato al non essere, al nulla): è una realtà che prende forma (io nel pensier mi fingo) nel pensiero nel poeta con straordinaria forza persuasiva, grazie alla capacità immaginativa che ne dilata i confini percettivi.Tali sensazioni sono ben espresse grazie all’utilizzo di un lessico ricercato e funzionale che si avvale di termini astratti (interminati spazi, sovrumani silenzi ).
La terza parte (vv.8-13) si apre, ancora una volta, con un’immagine concreta, cioè il fruscio delle piante scosse dal vento (…e come il vento odo stormir tra queste piante) che richiama il poeta dalla sua meditazione e lo spinge alla percezione dell’eternità, al confronto tra il tempo eterno e il tempo reale dell’uomo, che scorre inesorabilmente attraverso il ciclo delle stagioni.
Il silenzio assoluto e immobile degli spazi interminati costruiti dall’immaginazione è rotto improvvisamente dallo stormire del vento tra le fronde, con una notazione realistica che non riporta, tuttavia, a dimensione umane, ma consente, anzi, di percepire l’infinità dello spazio insieme all’infinità del tempo. Come l’infinità dello spazio era stata suscitata da una sensazione visiva (la siepe), così l’idea dell’infinità del tempo scaturisce da una sensazione uditiva ( e come il vento odo stormir tra queste piante). Il contrasto tra ciò che è vicino e ciò che è lontano, sia nello spazio che nel tempo, è ottenuto attraverso la contrapposizione dei dimostrativi “queste piante,, quello infinito silenzio, questa voce”, cioè tra ciò che è tangibile e presente (queste piante, questa voce), e ciò che invece appartiene all’astrazione infinita dello spazio e del tempo.
Nell’ultima parte della poesia (vv. 13-15), Leopardi esprime il sentimento di dolce turbamento che la coscienza prova dinanzi alla percezione dell’eternità e dell’universo infinito (e il naufragar m’è dolce in questo mare).
Gli elementi della natura, richiamati continuamente nella lirica attraverso la descrizione di immagini reali e concrete (il colle, la siepe, l’orizzonte, il vento tra le piante, il mare), concorrono a sottolineare la limitatezza della realtà umana dinanzi alla facoltà immaginativa e fantastica di ciascun uomo. Il tema dominante dell’ idillio è costituito proprio dal contrasto fra i limiti fisici della realtà materiale e la sconfinata capacità percettiva del pensiero e dell’immaginazione individuali.
Il Leopardi nell’”Infinito” si pone in un atteggiamento contemplativo. La contemplazione della natura in Leopardi è priva di implicazioni spiritualistiche o religiose, come accade spesso per i poeti romantici. Essa mira essenzialmente alla ricerca del “piacere” attraverso l’annullamento della coscienza che si dilata, e allo stesso tempo si diletta (…e il naufragar m’è dolce in questo mare) nella percezione di realtà fantastiche e indefinite. La chiave per la comprensione del testo risiede ancora nel gioco dei dimostrativi: sia il concetto di immensità che di mare sono accompagnati dall’aggettivo dimostrativo questa/questo, che indica vicinanza e presenza: si è dunque compiuto un rovesciamento della situazione iniziale, in cui gli oggetti reali e presenti (quest’ ermo colle e questa siepe) erano contrapposti a quello infinito silenzio, ossia alle dimensioni sovrumane aperte dalla facoltà immaginativa. Ormai i concetti di infinità e immensità sono del tutto acquisiti dal pensiero e dalla immaginazione del poeta. Tali concetti sono vivi e presenti (questa immensità, questo mare) proprio perché sentiti come parte integrante di una condizione psichica nella quale il pensiero (inteso come pensiero logicamente organizzato) e la coscienza dell’uomo si annullano e annegano (naufragano), sulla scia di una sensazione di allargamento e di dilatazione della coscienza individuale.
L’infinito in cui “naufraga” provvisoriamente il pensiero del poeta non designa una realtà trascendente, mistica o addirittura religiosa ( come alcune interpretazioni critiche, del tutto inadeguate, hanno voluto intendere), indica la dilatazione della coscienza percettiva che, nel farsi coscienza poetica, si trasfigura. Il naufragar è dolce, perché indica il prevalere della fantasia e della immaginazione poetica sui limiti angusti del pensiero razionale. L’immaginazione è per il poeta la più grande delle illusioni umane, perché consente di percepire realtà grandiose che sole possono procurare all’uomo sensazioni di felicità e di piacere assoluto. La lirica si pone sul piano privilegiato della “visione”, sia nel senso di puro atto del vedere, sia in quello di proiezione fantastica di immagini scaturite dalla facoltà rappresentativa del soggetto.
Seduto sulla cima di un colle (tradizionalmente identificato con il monte Tabor, che sorge poco fuori Recanati, non distante dal palazzo Leopardi) meta delle sue abituali passeggiate, davanti a una siepe che gli impedisce di vedere gran parte della linea dell’orizzonte, il poeta fa scattare una sorta di “vista interiore”, una “visione”, che gli permette di spaziare con l’immaginazione in dimensioni sconfinate, segnate da un silenzio e da una quiete che nulla hanno di umano: dimensioni sconfinate dello spazio, ma anche del tempo, poiché l’idea dell’infinito spaziale non può essere disgiunta dall’idea dell’infinito temporale, ossia dell’eternità.
L’immensità del Leopardi è un concetto che il debole pensiero umano non può controllare né comprendere in pieno: il pensiero può averne solo una sensazione indefinita e fantastica, che si traduce in un senso di spossato smarrimento, nel dolce naufragio dell’identità individuale in quel Nulla cosmico che custodisce le verità ultime dell’esistere e del morire.
ANALISI TECNICO FORMALE
Sul piano formale l’infinito è una lirica composta in endecasillabi sciolti (cioè non associati in schemi di rima).
• Da notare l’uso frequente di iterazioni foniche (allitterazioni), cioè la ripetizione dei suoni in /re/, /er/, /ar/, /or/ (sempre, caro, ermo, parte, orizzonte) e in /ol/, /el/, /ul/, /lu/ (colle, dell’ultimo, esclude) ai vv.1-3. Dal punto di vista fonico altre allitterazioni in /er/, /or/ /ur/, (pensier, per, cor, spaura) sono presenti ai vv.7-8; allitterazioni in /s/ (sedendo, spazi, sovrumani, silenzi, profondissima, si spaura) e in /p/ ( spazi, profondissima, pensier, per poco, spaura) ai vv. 4-8; allitterazioni in /st/ (stormir, queste, questa, stagioni) ai vv 9-12 che alludono onomatopeicamente al soffiare del vento tra le piante; infine, allitterazioni in /er/, /or/, /ar/ (l’eterno, morte, pensier, naufragar, mare) ai vv. 11-12 e vv.14-15. L’allitterazione in /ar/ dell’ultimo verso “il naufragar m’è dolce in questo mare” suscita una sensazione uditiva oltre che visiva, creando un raffinato effetto onomatopeico.
• Oltre alle numerose assonanze, il testo presenta figure metriche quali il troncamento (pensier, cor, stormir, sovvien pensier, naufragar), la dieresi (quiete) e incontri vocalici in sinalefe (sedendo e; mirando, interminati; quella, e; silenzi,e), espedienti che conferiscono alla lirica un andamento ritmico straordinariamente musicale e consentono una lettura scorrevole e piana.
• Al verso 8 l’importante cesura dopo la parola “spaura” vuole evidenziare come, dinanzi agli spazi illimitati immaginati dalla mente, in quel silenzio assoluto, il cuore del poeta provi sensazioni di profondo sgomento e smarrimento.
• Il ritmo della poesia appare rallentato grazie all’uso pressoché costante dell’ enjambement ( tanta parte /dell’ultimo orizzonte, interminati / spazi, sovrumani/ silenzi, vento/odo stormir, quello/infinito silenzio, voce/vo comparando, la presente/ e viva, questa/immensità,) che rallenta e dilata la cadenza ritmica, creando un senso di attesa e di sospensione .
• Da notare anche l’uso del polisindeto in e (e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei). Anche questo espediente stilistico ha lo scopo di rallentare il ritmo dei versi e trasmettere al lettore l’immagine di dilatazione spaziale e temporale.
• Importanti figure retoriche della lirica sono l’ossimoro al secondo verso (tanta parte) e al quindicesimo (questo mare); la similitudine (E come il vento/ odo stormir tra queste piante, io quello/ infinito silenzio a questa voce/ vo comparando); la metafora ( s’annega il pensier mio:/ e il naufragar m’è dolce in questo mare), la sinestesia (il naufragar m’è dolce in questo mare).
• L’aggettivo dimostrativo al verso 15 (questo) suggerisce l’idea di vicinanza e presenza, di una realtà vicina e tangibile per il poeta. Il sostantivo mare, al contrario, suggerisce l’infinita grandezza che la mente dell’uomo riesce a percepire dinanzi allo spettacolo della natura. L’espressione conclusiva “questo mare”, sta a sottolineare come il poeta abbia ormai pienamente raggiunto uno stato di totale fusione con l’universo: l’immensità e il mare sono presenti e vivi nella mente del poeta, sono percepiti come parte integrante dell’immaginazione poetica.
• Il linguaggio si avvale di un lessico ricercato e letterario, costruito con espressioni tipiche della tradizione letteraria e poetica ( ermo colle, ultimo orizzonte); sono presenti alcuni latinismi ( ultimo, mirando, quiete, mi fingo).
L’idillio si apre con la descrizione del luogo reale in cui il poeta si trova: il monte Tabor, non lontano dalla casa paterna, dove egli andava spesso a rifugiarsi. Non a caso il poeta utilizza l’avverbio “sempre” e il verbo al passato “fu” - unico verbo al passato di tutta la poesia ( “sempre caro mi fu quest’ermo colle”) - proprio a voler sottolineare l’antico affetto che lega il poeta a quel luogo e, più in generale, alla natura, intesa, ancora, qui, come una forza benigna, dispensatrice di dolci illusioni e fonte di consolazione per l’animo umano.
Anche il Leopardi, come il Foscolo, fa riferimento al nulla eterno. In Foscolo, il nulla eterno si identifica, alla luce del suo meccanicismo razionalista di stampo illuministico, con la morte e, dunque, con l’annullamento del tutto. Leopardi, invece, pervaso da una spiritualità di stampo romantico, è consapevole della inadeguatezza della ragione: il suo “nulla eterno” è una dimensione in cui la mente dell’uomo cerca di allargare a dismisura i propri confini per percepire delle verità supreme e assolute che altrimenti non riuscirebbe a comprendere.
L’“infinito” di Leopardi è il primo dei sei idilli composti tra il 1819 e il 1821 e confluiti, insieme ad altre opere inedite, nella prima edizione dei “Canti” pubblicata a Firenze nel 1831. Una seconda edizione dei “Canti” modificata e ampliata uscì a Napoli nel 1835 ad opera dello stesso Leopardi e di Antonio Ranieri. Quest’ultimo, dopo la morte del poeta e secondo la sua volontà, nel 1845, curò l’edizione definitiva dei “Canti” costituita da 41 componimenti pubblicata a Firenze presso l’editore Le Monnier.
L’idillio leopardiano, a differenza degli idilli della tradizione classica, che consistevano in brevi componimenti ispirati alla vita campestre, è l’espressione di un’avventura interiore che nasce dalla contemplazione della natura: gli idilli leopardiani mostrano, infatti, un carattere intimo e riflessivo.
La lirica si articola in quattro sezioni : nella prima parte (vv 1-3) il poeta descrive con pochi tratti una sorta di scenografia, all’interno della quale egli introduce direttamente e “concretamente” il lettore grazie all’uso degli aggettivi dimostrativi questo e questa (quest’ermo colle, e questa siepe). Leopardi crea l’illusione teatrale che egli stia componendo la poesia proprio su “quest’ermo colle” e davanti a “questa siepe”, quasi si trattasse di una “presa diretta” del paesaggio e dello stesso atto creativo. La prima parte è essenzialmente descrittiva, poiché il Leopardi fa riferimento ad uno spazio fatto di immagini reali e concrete (il colle, la siepe).
La seconda parte dell’idillio (vv.4-8) inizia con la particella avversativa ma, al verso 4. L’avversativa ma, infatti introduce il nucleo tematico dell’idillio, riassumendo il contrasto tra la limitatezza della vista fisica e il potere sconfinato della visione interiore. Per il poeta inizia il processo di astrazione mentale: il pensiero immagina ciò che non vede, tutto ciò che esiste al di là dei limiti fisici imposti all’uomo dalla natura (la siepe e il colle). Egli è spinto a percepire l’infinità dello spazio oltre la siepe, una vastità tale fatta di silenzi e di quiete, tali da risultare difficilmente intelligibili per la mente di un uomo. L’idea dell’infinito non ha in Leopardi alcun valore mistico-religioso, né allude a una trascendenza metafisica ( esso è ontologicamente assimilato al non essere, al nulla): è una realtà che prende forma (io nel pensier mi fingo) nel pensiero nel poeta con straordinaria forza persuasiva, grazie alla capacità immaginativa che ne dilata i confini percettivi.Tali sensazioni sono ben espresse grazie all’utilizzo di un lessico ricercato e funzionale che si avvale di termini astratti (interminati spazi, sovrumani silenzi ).
La terza parte (vv.8-13) si apre, ancora una volta, con un’immagine concreta, cioè il fruscio delle piante scosse dal vento (…e come il vento odo stormir tra queste piante) che richiama il poeta dalla sua meditazione e lo spinge alla percezione dell’eternità, al confronto tra il tempo eterno e il tempo reale dell’uomo, che scorre inesorabilmente attraverso il ciclo delle stagioni.
Il silenzio assoluto e immobile degli spazi interminati costruiti dall’immaginazione è rotto improvvisamente dallo stormire del vento tra le fronde, con una notazione realistica che non riporta, tuttavia, a dimensione umane, ma consente, anzi, di percepire l’infinità dello spazio insieme all’infinità del tempo. Come l’infinità dello spazio era stata suscitata da una sensazione visiva (la siepe), così l’idea dell’infinità del tempo scaturisce da una sensazione uditiva ( e come il vento odo stormir tra queste piante). Il contrasto tra ciò che è vicino e ciò che è lontano, sia nello spazio che nel tempo, è ottenuto attraverso la contrapposizione dei dimostrativi “queste piante,, quello infinito silenzio, questa voce”, cioè tra ciò che è tangibile e presente (queste piante, questa voce), e ciò che invece appartiene all’astrazione infinita dello spazio e del tempo.
Nell’ultima parte della poesia (vv. 13-15), Leopardi esprime il sentimento di dolce turbamento che la coscienza prova dinanzi alla percezione dell’eternità e dell’universo infinito (e il naufragar m’è dolce in questo mare).
Gli elementi della natura, richiamati continuamente nella lirica attraverso la descrizione di immagini reali e concrete (il colle, la siepe, l’orizzonte, il vento tra le piante, il mare), concorrono a sottolineare la limitatezza della realtà umana dinanzi alla facoltà immaginativa e fantastica di ciascun uomo. Il tema dominante dell’ idillio è costituito proprio dal contrasto fra i limiti fisici della realtà materiale e la sconfinata capacità percettiva del pensiero e dell’immaginazione individuali.
Il Leopardi nell’”Infinito” si pone in un atteggiamento contemplativo. La contemplazione della natura in Leopardi è priva di implicazioni spiritualistiche o religiose, come accade spesso per i poeti romantici. Essa mira essenzialmente alla ricerca del “piacere” attraverso l’annullamento della coscienza che si dilata, e allo stesso tempo si diletta (…e il naufragar m’è dolce in questo mare) nella percezione di realtà fantastiche e indefinite. La chiave per la comprensione del testo risiede ancora nel gioco dei dimostrativi: sia il concetto di immensità che di mare sono accompagnati dall’aggettivo dimostrativo questa/questo, che indica vicinanza e presenza: si è dunque compiuto un rovesciamento della situazione iniziale, in cui gli oggetti reali e presenti (quest’ ermo colle e questa siepe) erano contrapposti a quello infinito silenzio, ossia alle dimensioni sovrumane aperte dalla facoltà immaginativa. Ormai i concetti di infinità e immensità sono del tutto acquisiti dal pensiero e dalla immaginazione del poeta. Tali concetti sono vivi e presenti (questa immensità, questo mare) proprio perché sentiti come parte integrante di una condizione psichica nella quale il pensiero (inteso come pensiero logicamente organizzato) e la coscienza dell’uomo si annullano e annegano (naufragano), sulla scia di una sensazione di allargamento e di dilatazione della coscienza individuale.
L’infinito in cui “naufraga” provvisoriamente il pensiero del poeta non designa una realtà trascendente, mistica o addirittura religiosa ( come alcune interpretazioni critiche, del tutto inadeguate, hanno voluto intendere), indica la dilatazione della coscienza percettiva che, nel farsi coscienza poetica, si trasfigura. Il naufragar è dolce, perché indica il prevalere della fantasia e della immaginazione poetica sui limiti angusti del pensiero razionale. L’immaginazione è per il poeta la più grande delle illusioni umane, perché consente di percepire realtà grandiose che sole possono procurare all’uomo sensazioni di felicità e di piacere assoluto. La lirica si pone sul piano privilegiato della “visione”, sia nel senso di puro atto del vedere, sia in quello di proiezione fantastica di immagini scaturite dalla facoltà rappresentativa del soggetto.
Seduto sulla cima di un colle (tradizionalmente identificato con il monte Tabor, che sorge poco fuori Recanati, non distante dal palazzo Leopardi) meta delle sue abituali passeggiate, davanti a una siepe che gli impedisce di vedere gran parte della linea dell’orizzonte, il poeta fa scattare una sorta di “vista interiore”, una “visione”, che gli permette di spaziare con l’immaginazione in dimensioni sconfinate, segnate da un silenzio e da una quiete che nulla hanno di umano: dimensioni sconfinate dello spazio, ma anche del tempo, poiché l’idea dell’infinito spaziale non può essere disgiunta dall’idea dell’infinito temporale, ossia dell’eternità.
L’immensità del Leopardi è un concetto che il debole pensiero umano non può controllare né comprendere in pieno: il pensiero può averne solo una sensazione indefinita e fantastica, che si traduce in un senso di spossato smarrimento, nel dolce naufragio dell’identità individuale in quel Nulla cosmico che custodisce le verità ultime dell’esistere e del morire.
ANALISI TECNICO FORMALE
Sul piano formale l’infinito è una lirica composta in endecasillabi sciolti (cioè non associati in schemi di rima).
• Da notare l’uso frequente di iterazioni foniche (allitterazioni), cioè la ripetizione dei suoni in /re/, /er/, /ar/, /or/ (sempre, caro, ermo, parte, orizzonte) e in /ol/, /el/, /ul/, /lu/ (colle, dell’ultimo, esclude) ai vv.1-3. Dal punto di vista fonico altre allitterazioni in /er/, /or/ /ur/, (pensier, per, cor, spaura) sono presenti ai vv.7-8; allitterazioni in /s/ (sedendo, spazi, sovrumani, silenzi, profondissima, si spaura) e in /p/ ( spazi, profondissima, pensier, per poco, spaura) ai vv. 4-8; allitterazioni in /st/ (stormir, queste, questa, stagioni) ai vv 9-12 che alludono onomatopeicamente al soffiare del vento tra le piante; infine, allitterazioni in /er/, /or/, /ar/ (l’eterno, morte, pensier, naufragar, mare) ai vv. 11-12 e vv.14-15. L’allitterazione in /ar/ dell’ultimo verso “il naufragar m’è dolce in questo mare” suscita una sensazione uditiva oltre che visiva, creando un raffinato effetto onomatopeico.
• Oltre alle numerose assonanze, il testo presenta figure metriche quali il troncamento (pensier, cor, stormir, sovvien pensier, naufragar), la dieresi (quiete) e incontri vocalici in sinalefe (sedendo e; mirando, interminati; quella, e; silenzi,e), espedienti che conferiscono alla lirica un andamento ritmico straordinariamente musicale e consentono una lettura scorrevole e piana.
• Al verso 8 l’importante cesura dopo la parola “spaura” vuole evidenziare come, dinanzi agli spazi illimitati immaginati dalla mente, in quel silenzio assoluto, il cuore del poeta provi sensazioni di profondo sgomento e smarrimento.
• Il ritmo della poesia appare rallentato grazie all’uso pressoché costante dell’ enjambement ( tanta parte /dell’ultimo orizzonte, interminati / spazi, sovrumani/ silenzi, vento/odo stormir, quello/infinito silenzio, voce/vo comparando, la presente/ e viva, questa/immensità,) che rallenta e dilata la cadenza ritmica, creando un senso di attesa e di sospensione .
• Da notare anche l’uso del polisindeto in e (e mi sovvien l’eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei). Anche questo espediente stilistico ha lo scopo di rallentare il ritmo dei versi e trasmettere al lettore l’immagine di dilatazione spaziale e temporale.
• Importanti figure retoriche della lirica sono l’ossimoro al secondo verso (tanta parte) e al quindicesimo (questo mare); la similitudine (E come il vento/ odo stormir tra queste piante, io quello/ infinito silenzio a questa voce/ vo comparando); la metafora ( s’annega il pensier mio:/ e il naufragar m’è dolce in questo mare), la sinestesia (il naufragar m’è dolce in questo mare).
• L’aggettivo dimostrativo al verso 15 (questo) suggerisce l’idea di vicinanza e presenza, di una realtà vicina e tangibile per il poeta. Il sostantivo mare, al contrario, suggerisce l’infinita grandezza che la mente dell’uomo riesce a percepire dinanzi allo spettacolo della natura. L’espressione conclusiva “questo mare”, sta a sottolineare come il poeta abbia ormai pienamente raggiunto uno stato di totale fusione con l’universo: l’immensità e il mare sono presenti e vivi nella mente del poeta, sono percepiti come parte integrante dell’immaginazione poetica.
• Il linguaggio si avvale di un lessico ricercato e letterario, costruito con espressioni tipiche della tradizione letteraria e poetica ( ermo colle, ultimo orizzonte); sono presenti alcuni latinismi ( ultimo, mirando, quiete, mi fingo).
L’idillio si apre con la descrizione del luogo reale in cui il poeta si trova: il monte Tabor, non lontano dalla casa paterna, dove egli andava spesso a rifugiarsi. Non a caso il poeta utilizza l’avverbio “sempre” e il verbo al passato “fu” - unico verbo al passato di tutta la poesia ( “sempre caro mi fu quest’ermo colle”) - proprio a voler sottolineare l’antico affetto che lega il poeta a quel luogo e, più in generale, alla natura, intesa, ancora, qui, come una forza benigna, dispensatrice di dolci illusioni e fonte di consolazione per l’animo umano.
Anche il Leopardi, come il Foscolo, fa riferimento al nulla eterno. In Foscolo, il nulla eterno si identifica, alla luce del suo meccanicismo razionalista di stampo illuministico, con la morte e, dunque, con l’annullamento del tutto. Leopardi, invece, pervaso da una spiritualità di stampo romantico, è consapevole della inadeguatezza della ragione: il suo “nulla eterno” è una dimensione in cui la mente dell’uomo cerca di allargare a dismisura i propri confini per percepire delle verità supreme e assolute che altrimenti non riuscirebbe a comprendere.
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