martedì 13 ottobre 2015
ALESSANDRO MANZONI, la produzione letteraria: INNI SACRI. (Cfr. De Caprio-Giovanardi, I testi della letteratura italiana, vol. 3, ed. “Einaudi”; Antonelli – Sapegno, L’Europa degli scrittori, vol. 2b, “La Nuova Italia”; appunti del docente)
LA PRIMA FASE DELLA SUA PRODUZIONE LETTERARIA – PRECEDENTE ALLA CONVERSIONE , 1810-appare caratterizzata da una sostanziale adesione alla poetica e al gusto del Neoclassicismo , dal prevalere dell’ influenza di V. Monti e di G. Parini, ma soprattutto da un radicalismo giacobino (ideali libertari, ateismo anticleriacale), cioè da un atteggiamento di contestazione rispetto ad una realtà sociale contraddittoria, nella quale il poeta non si ritrova.
A questa prima fase fanno riferimento le opere giovanili: Il trionfo della libertà (1801), una macchinosa celebrazione del valore della libertà contro ogni forma di superstizione e di tirannide; Urania , un poemetto mitologico dedicato alla funzione civilizzatrice della poesia; un sonetto-autoritratto di imitazione alfieriana; I Sermoni, quattro aggressive satire sul modello oraziano, contro il malcostume della società milanese, contrassegnata da false ipocrisie e da pseudo poeti . Questa fase culmina nel carme in endecasillabi sciolti, In morte di Carlo Imbonati (1806), nel quale rifacendosi a Parini, celebra il ruolo dell’intellettuale impegnato nel progresso civile.
Una svolta radicale nell’opera del Manzoni è generata dalla CONVERSIONE AL CATTOLICESIMO (1810) , conversione che si configurerà anche come conversione letteraria, segnando un’ evoluzione sia sul piano etico che sul piano estetico. Il Manzoni abbandona la mitologia e le tematiche consuete della poetica neoclassica (repertorio culturale greco-romano) per sostanziare la propria lirica di contenuti religiosi, assumendo come repertorio di immagini e di metafore quello offerto dai testi sacri ( in particolare la Bibbia). Il nuovo patrimonio di cultura cristiano, tuttavia, non sostituisce, bensì affianca il consueto retroterra offerto dagli studi classici. La conversione- il ritorno alla fede e ai riti- operò in Manzoni su due piani.
Sul piano personale e biografico non riuscì a sanare la sua nevrosi, anzi la ingigantì e la approfondì, contribuendo a formare in lui l’immagine di un Dio come forza tremenda, che opera in modo imperscrutabile negli avvenimenti umani. Il solo senso degli avvenimenti è fornito dalla presenza della DIVINA PROVVIDENZA , che corregge le ingiustizie e le storture della storia con un ritmo che trascende la comprensione umana.
Intanto, il matrimonio con la giovane moglie appena sedicenne, Enrichetta Blondel “angelo di ingenuità e di semplicità”, già celebrato con rito calvinista, fu ricelebrato con rito cattolico e la famiglia Manzoni abbandonò definitivamente Parigi per stabilirsi definitivamente in Italia nella villa di Brusuglio, vicino Milano, dove lo scrittore trascorse gran parte della sua vita.
Sul piano letterario la conversione produsse in Manzoni la convinzione che era necessaria una nuova poesia, svuotata da contenuti legati alla mitologia classica e volta a diffondere messaggi cristiani. La conversione produce conseguenze immediate essenzialmente sul piano tematico, mentre su quello formale, la poesia manzoniana continua ad essere legata alla tradizione classicistica. La conversione al cattolicesimo segna l’inizio del periodo di più intensa attività creativa del Manzoni.
INNI SACRI
La conversione al Cattolicesimo segna l’inizio del periodo di più intensa attività creativa del Manzoni. IL CATTOLICESIMO DEL MANZONI, maturato al termine di un lungo percorso di studi e meditazioni filosofico - morali, non è un sentimento dogmatico, né fondato su astrazioni filosofiche; esso è un sentimento vivo, intenso e autentico, volto a cogliere il senso consolatorio dell’eterna presenza di Dio nella dolorosa vita degli uomini; un cattolicesimo che nasce dalla sintesi dialettica delle pregresse esperienze culturali e umane del poeta: progressismo illuminista, idealismo romantico, calvinismo, giansenismo, la filosofia morale di S. Agostino e di Blaise Pascal .
Gli anni immediatamente successivi alla conversione risalgono gli Inni Sacri composti a partire dal 1812. Manzoni ne aveva progettato 12, ciascuno dei quali avrebbe dovuto celebrare le principale feste del calendario liturgico, ma riuscì a comporne solo cinque. Nel 1815 il Manzoni pubblicò i primi quattro Inni , La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale. Complessa la vicenda compositiva del quinto inno sacro : iniziata nel 1816, La Pentecoste subì ulteriori revisioni e fu data alle stampe solo 1822.
Negli Inni sacri il poeta si rifà alla tradizione della poesia religiosa antica e medievale (Cantico delle creature; le laude di Jacopone da Todi; la Commedia dantesca; la Canzone alla Vergine del Petrarca), nella quale gli Inni erano destinati alla declamazione corale da parte dei credenti di fondamentali verità di fede, in un linguaggio piano e comprensibile a tutti (il sermo humilis). Anche il Manzoni intende esprimere il proprio concetto di fede secondo un punto di vista corale, rendendosi interprete del rapporto tra Dio e il suo popolo. Tuttavia sul piano formale il risultato al quale giunge il Manzoni è altalenante: non sempre l’autore riesce a rendere la solennità del contenuto, ricco di immagini bibliche, mediante una forma agevole; spesso la sintassi appare complessa e involuta, il lessico appare legato a una obsoleta tradizione letteraria.
LA PENTECOSTE, ULTIMO INNO SACRO, È LA PIÙ VALIDA OPERA A LIVELLO POETICO: il contenuto tematico agisce prepotentemente sulla fantasia, che funge da filtro, e dona forma al contenuto poetico. Mentre negli altri inni sacri l’entusiasmo del neofita uccide la forma, nella Pentecoste il poeta realizza un perfetto equilibrio tra contenuto e forma: il contenuto – la discesa dello Spirito Santo e la nascita della Chiesa; la presenza del divino nelle cose umane; la divina Provvidenza .
La Pentecoste (in greco, 50° giorno), celebra la legittimazione della Chiesa alla predicazione e alla divulgazione del messaggio evangelico, partendo dalla descrizione di “quel sacro dì” in cui avvenne la discesa dello Spirito santo sugli apostoli sotto forma di lingue di fuoco, infondendo in loro la forza d’animo necessaria a superare le persecuzioni e il dono della glossolalia, cioè la conoscenza delle lingue. Nella Pentecoste il Manzoni rappresenta un Dio pieno d’amore che partecipa costantemente alle vicende umane; UN DIO CALATO TRA GLI UOMINI che si manifesta sia attraverso i doni dello Spirito Santo, sia attraverso i segni della Divina Provvidenza. La divina Provvidenza è concepita dal Manzoni come una delle forze fondamentali che agiscono nella Storia determinandone il corso: l’uomo che ha ricevuto la forza e il dono dello Spirito Santo può trovare nella Divina Provvidenza una guida superiore, e affidarsi completamente alla volontà di Dio. Nella Pentecoste il Manzoni sottolinea, inoltre, l’uguaglianza degli uomini dinanzi a Dio: in essa si traducono poeticamente gli ideali manzoniani di libertà e fraternità in Dio e nel sacrificio di Cristo. Sotto questo punto di vista non è evidente alcuna frattura tra il Manzoni della prima esperienza e il Manzoni rinnovato, dopo la conversione. LA FEDE SI FA ACCOMUNATRICE DI TUTTI GLI UOMINI ATTRAVERSO I VALORI ILLUMINISTICI DI LIBERTÀ, UGUAGLIANZA, FRATERNITÀ.
Il Manzoni, anche negli Inni sacri, testimonia di essere un autore calato perfettamente nella realtà del suo tempo. Egli analizza il dato reale con spirito analitico: ne evidenzia le contraddizioni, le ingiustizie, le sopraffazioni, le molteplici disarmonie. IL MANZONI AVVERTE IN MANIERA LUCIDA E DISINCANTATA IL PROFONDO CONTRASTO, TIPICAMENTE ROMANTICO, TRA REALE E IDEALE. LUNGI DAL RITENERE SUFFICIENTE L’APPORTO DELLA RAGIONE (la ragione da sola non garantisce più la felicità dell’uomo), EGLI DIMOSTRA COME LA SOFFERENZA UMANA PUÒ ESSERE SUPERATA MEDIANTE LA FEDE IN DIO, mediante la certezza che anche il dolore rientra in un disegno superiore e imperscrutabile (la provvida sventura), pertanto le pene di oggi troveranno una giusta ricompensa nella salvezza ultraterrena.
Già negli Inni Sacri si manifesta la CONCEZIONE PROVVIDENZIALISTICA DELLA STORIA che troverà ampio riscontro nei Promessi Sposi: Dio guida le vicende della storia, partecipa alle sofferenze degli uomini, vive in tutti coloro che soffrono per diffondere ideali di giustizia.
PROPOSTA DI ANALISI TESTUALE , Giovanni Pascoli , Novembre - Miyricae (1891). Dall'elaborato di A. Greco II A (a.s. 2014-15).
Gemmea l'aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro
senti nel cuore...
Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.
Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. E' l'estate
fredda, dei morti.
La lirica “Novembre”, inclusa nella raccolta “Myricae” (1891), è una delle più suggestive di Giovanni Pascoli ed esprime il gusto del poeta per le sensazioni sfuggenti, per la visione di un reale ambiguo e non nettamente definito.
Il componimento può essere suddiviso in tre quadretti descrittivi netti e ben distinguibili, e allo stesso tempo coesi e coerenti : la strofa iniziale presenta una giornata di apparente primavera, con un sole “così chiaro” e “gli albicocchi in fiore”; ma ecco che , osservando più attentamente, l'io lirico si accorge che le piante sono “stecchite”, il biancospino è “secco” ed il suono cupo dei passi riecheggia come se il terreno fosse vuoto: "cavo al piè sonante sembra il terreno”. Alla vivida sensazione di un’atmosfera primaverile (Gemmea l’aria, il sole così chiaro) fa dunque riscontro una realtà diversa (ma secco è il pruno): è autunno, il biancospino non è in fiore, ma secco; i rami degli alberi ormai spogli segnano nere trame; il terreno non è fecondo, ma indurito dal freddo e riecheggia sotto il passo degli uomini, come se fosse cavo. Infine l'ultimo “periodo” costituisce una riflessione sull'inganno ordito dalla natura: l'illusione della primavera in una particolare giornata di novembre evoca la precarietà dell'esistenza. La primavera era soltanto un’illusione e nella giovinezza è già preannunciata la morte. Nella terza strofa, infatti, l’atmosfera si delinea in tutta la sua naturale tristezza: il silenzio del paesaggio autunnale è appena interrotto dal vento che fa cadere dagli alberi le fragili foglie, metafora della precarietà e della finitezza umana. All’illusione della primavera, immagine e simbolo della giovinezza e più in generale della vita, si sostituisce un’atmosfera di morte: l’estate di San Martino “E’ l’estate fredda dei morti”.
Con la poesia, Pascoli vuole evidenziare la fragilità umana rispetto alla inesorabilità alla natura: sebbene nella giovinezza ci possa sembrare di avere tutta una vita davanti, un giorno ogni uomo diverrà “secco” e “stecchito” come il “pruno”. Il tema della precarietà della vita umana è sottolineato dall'espressione “di foglie un cader fragile”. L'immagine metaforica mette in relazione la vita umana e le foglie secche autunnali: la precarietà dell'uomo è come una foglia debolmente attaccata ad un ramo, che continua a resistere e a lottare contro la forza di gravità, ma prima o poi sarà vinta; allo stesso modo la morte incombe inevitabilmente sull'uomo.
Nella lirica il poeta inserisce una lunga antitesi, che si estende per le prime due intere strofe. La figura semantica svolge un ruolo di particolare incidenza: allude metaforicamente alla vita, la gioia e la bellezza di una luminosa giornata primaverile, che è troncata bruscamente dalla morte e dall'aridità dell'inverno. Pascoli ricorre all'artificio per evidenziare una realtà bifacciale, tema portante del componimento, assieme alla riflessione sulla fragilità umana.
Il tema della contrapposizione vita-morte è sottolineato dall'ossimoro in conclusione del brano: “estate / fredda”. L'espressione, non meno rilevante e suggestiva dell'antitesi, è evidenziata da un enjambement.
I campi semantici intorno ai quali ruota la lirica sono dunque la vita e la morte. Le espressioni che concorrono all'individuazione del primo campo semantico sono concentrate nella prima strofa: “gemmea”, “sole chiaro”, “albicocchi in fiore” ed è presente un topos letterario ben consolidato dalla tradizione: l'immagine del “cuore”, da sempre centro propulsore della vita. Al secondo campo, invece, fanno riferimento le espressioni “secco”, “stecchite”, “nere trame”, “vuoto” e “cavo”.
Il componimento è ben ritmato, sono presenti cesure ed enjambement. La terza strofa, ad esempio, è caratterizzata dai segni d'interpunzione, che aumentano notevolmente rispetto alle strofe precedenti, alternandosi quasi con le parole, in modo da creare -mediante le cesure- un senso di solenne solitudine e di vuoto, collegati alla morte.
A conferire musicalità alla lirica si aggiungono le figure metriche, come i molteplici esempi si sinalefe.
Il registro stilistico solenne ed autorevole conferisce gravità ed intensità alla lirica, accrescescendo la sensazione di impotenza dell'uomo dinanzi alla morte e alla natura.
A livello strutturale la lirica è composta da tre quartine di tre versi endecasillabi ed un quinario, che rimano secondo lo schema ABAb CDCd EFEf.
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro
senti nel cuore...
Ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.
Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. E' l'estate
fredda, dei morti.
La lirica “Novembre”, inclusa nella raccolta “Myricae” (1891), è una delle più suggestive di Giovanni Pascoli ed esprime il gusto del poeta per le sensazioni sfuggenti, per la visione di un reale ambiguo e non nettamente definito.
Il componimento può essere suddiviso in tre quadretti descrittivi netti e ben distinguibili, e allo stesso tempo coesi e coerenti : la strofa iniziale presenta una giornata di apparente primavera, con un sole “così chiaro” e “gli albicocchi in fiore”; ma ecco che , osservando più attentamente, l'io lirico si accorge che le piante sono “stecchite”, il biancospino è “secco” ed il suono cupo dei passi riecheggia come se il terreno fosse vuoto: "cavo al piè sonante sembra il terreno”. Alla vivida sensazione di un’atmosfera primaverile (Gemmea l’aria, il sole così chiaro) fa dunque riscontro una realtà diversa (ma secco è il pruno): è autunno, il biancospino non è in fiore, ma secco; i rami degli alberi ormai spogli segnano nere trame; il terreno non è fecondo, ma indurito dal freddo e riecheggia sotto il passo degli uomini, come se fosse cavo. Infine l'ultimo “periodo” costituisce una riflessione sull'inganno ordito dalla natura: l'illusione della primavera in una particolare giornata di novembre evoca la precarietà dell'esistenza. La primavera era soltanto un’illusione e nella giovinezza è già preannunciata la morte. Nella terza strofa, infatti, l’atmosfera si delinea in tutta la sua naturale tristezza: il silenzio del paesaggio autunnale è appena interrotto dal vento che fa cadere dagli alberi le fragili foglie, metafora della precarietà e della finitezza umana. All’illusione della primavera, immagine e simbolo della giovinezza e più in generale della vita, si sostituisce un’atmosfera di morte: l’estate di San Martino “E’ l’estate fredda dei morti”.
Con la poesia, Pascoli vuole evidenziare la fragilità umana rispetto alla inesorabilità alla natura: sebbene nella giovinezza ci possa sembrare di avere tutta una vita davanti, un giorno ogni uomo diverrà “secco” e “stecchito” come il “pruno”. Il tema della precarietà della vita umana è sottolineato dall'espressione “di foglie un cader fragile”. L'immagine metaforica mette in relazione la vita umana e le foglie secche autunnali: la precarietà dell'uomo è come una foglia debolmente attaccata ad un ramo, che continua a resistere e a lottare contro la forza di gravità, ma prima o poi sarà vinta; allo stesso modo la morte incombe inevitabilmente sull'uomo.
Nella lirica il poeta inserisce una lunga antitesi, che si estende per le prime due intere strofe. La figura semantica svolge un ruolo di particolare incidenza: allude metaforicamente alla vita, la gioia e la bellezza di una luminosa giornata primaverile, che è troncata bruscamente dalla morte e dall'aridità dell'inverno. Pascoli ricorre all'artificio per evidenziare una realtà bifacciale, tema portante del componimento, assieme alla riflessione sulla fragilità umana.
Il tema della contrapposizione vita-morte è sottolineato dall'ossimoro in conclusione del brano: “estate / fredda”. L'espressione, non meno rilevante e suggestiva dell'antitesi, è evidenziata da un enjambement.
I campi semantici intorno ai quali ruota la lirica sono dunque la vita e la morte. Le espressioni che concorrono all'individuazione del primo campo semantico sono concentrate nella prima strofa: “gemmea”, “sole chiaro”, “albicocchi in fiore” ed è presente un topos letterario ben consolidato dalla tradizione: l'immagine del “cuore”, da sempre centro propulsore della vita. Al secondo campo, invece, fanno riferimento le espressioni “secco”, “stecchite”, “nere trame”, “vuoto” e “cavo”.
Il componimento è ben ritmato, sono presenti cesure ed enjambement. La terza strofa, ad esempio, è caratterizzata dai segni d'interpunzione, che aumentano notevolmente rispetto alle strofe precedenti, alternandosi quasi con le parole, in modo da creare -mediante le cesure- un senso di solenne solitudine e di vuoto, collegati alla morte.
A conferire musicalità alla lirica si aggiungono le figure metriche, come i molteplici esempi si sinalefe.
Il registro stilistico solenne ed autorevole conferisce gravità ed intensità alla lirica, accrescescendo la sensazione di impotenza dell'uomo dinanzi alla morte e alla natura.
A livello strutturale la lirica è composta da tre quartine di tre versi endecasillabi ed un quinario, che rimano secondo lo schema ABAb CDCd EFEf.
PROPOSTA DI ANALISI TESTUALE - I CANTO DELL' INFERNO Marika Caruso III D (A.S.2013-14)
Con il primo canto dell' inferno ha inizio il viaggio ultramondano che Dante afferma di aver compiuto nella sua opera maggiore, la Commedia, composta a partire dal 1303-1304 fino agli ultimi anni di vita dell'autore (1321). L'inizio è in medias res: nella notte tra il 7 e l '8 aprile Dante erra, tormentato dalla paura in una selva oscura senza sapere come ci sia giunto. Al mattino vede però un dilettoso colle davanti a sé, illuminato dai primi raggi del sole. Attratto da quella luce e sperando in essa la salvezza si avvia dunque per conquistarne la cima ma invano poiché tre fiere gli sbarrano la strada: sono una lonza prima, poi un leone e infine una lupa che gli fanno perdere la speranza di salire sul colle. La lupa, orrida a vedersi, spinge anzi di nuovo Dante verso il basso e lo riporta nell' angoscia del peccato, nell' esperienza buia della paura. Appare però al poeta un' ombra: è Virgilio che gli indica la strada per cui potrà salvarsi. Dante dovrà attraversare il regno della perdizione eterna e quello della penitenza poiché solo così potrà salire nel regno della luce. Inoltre Virgilio annuncia a Dante l'avvento di un Veltro che libererà la terra dalle tre fiere che dominano il mondo e in particolare saprà cacciare la lupa ingorda. Intanto Virgilio si offre di guidare Dante nel viaggio attraverso i regni ultramondani dell' inferno e del Purgatorio, poi lo affiderà a Beatrice, che accompagnerà il poeta in Paradiso. Il primo canto dell' inferno, ma in generale l' intera opera dantesca, è costituito da strofe di tre versi endecasillabi a rima incatenata. Talvolva l'unità metrica non coincide con l'unità sintattica, ossia il verso non corrisponde alla frase di senso compiuto, quindi in tale caso le strofe vengono ad essere legate l'una all'altra accelerando così il ritmo (esempi sono le strofe 5-6,8-9,13-14,14-15,17-18,19-20,44-45)La paranomasia presente al verso 36 "più volte volto" rimanda allo smarrimento di Dante alla prospettiva di ritornare nella selva oscura. Le caratteristiche della lupa vengono espresse attraverso un' allitterazione della r (versi 49-51) mentre quella della l nei versi descrittivi della lonza e della sua leggerezza creano quasi un effetto onomatopeico. Il poeta utilizza anche un' altra allitterazione con una sequenza degli stessi suoni duri per rendere l'idea dell'asprezza della selva. A ciò contribuisce anche il lessico che si conforma alla materia trattata, infatti come la sequenza degli aggettivi "esta selva selvaggia e aspra e forte" e la presenza della figura etimologica trasmettono l'idea della difficoltà del luogo così l' espressione "spalle vestite già de' raggi del sole" riferita al colle, lo rende cordiale, umanizzato. La lingua poetica del primo canto dell'inferno però oltre ad essere densa di realismo è anche carica di allegorie. Infatti nelle immagini della lonza, del leone e della lupa, tratte dai bestiari medievali, sono visibili le allegorie della lussuria o della frode, della superbia o della violenza e dell' avarizia come cupidigia. La verità di questi vizi è espressa attraverso il lessico e in particolare nella leggerezza rapida della lonza, nella fierezza spaventosa del leone e nella magrezza famelica e insaziabile della lupa. La natura crudele di quest' ultima viene delineata dalla dittologia "sì malvagia e rìa" (verso 97). Le stesse parole di Virgilio confermano il rapporto figurato che sussiste tra lupa e avidità, un vizio che esattamente come l'animale descritto dal poeta non si sazia mai di accumulare beni e dopo ogni successo è più affamato di prima. Inoltre il fatto che le tre bestie impediscano il cammino di Dante verso il colle inducendolo a tornare indietro è la rappresentazione allegorica di come le inclinazioni peccaminose impediscano la via dell' uomo verso la salvezza inducendolo a restare nel peccato. Sono rilevanti le metafore del "dilettoso colle", ossia la speranza della salvezza, e della "selva oscura" che rappresenta il peccato e quindi, lo smarrimento in essa indica la presa di coscienza dell' io narrante di trovarsi in uno stato di errore. Lo stesso sonno va inteso non come bisogno fisico ma come sonno della ragione, stordimento e ottenebramento della mente, figure tipiche del peccato nella Bibbia la cui influenza è evidente anche nell' espressione "Miserere di me" che è anche un latinismo, insieme al termine "pelago".
Il primo canto dell'inferno è denso di simbolismo e allegorie: prima fra tutte l'immagine di Virgilio, simbolo della ragione e del pensiero umani. Ciò è evidente nel suo discorrere pacato, nel suo trepido consigliare, nel suo paterno correggere e nel suo bonario decidere per l' allievo. Essendo Virgilio simbolo della ragione, il suo essere senza voce è metafora di come la voce della ragione abbia a lungo taciuto nell' uomo che viveva nel peccato. Anche l'avvicendamento delle due figure di Virgilio e Beatrice ha un significato simbolico cioè la sola ragione umana rappresentata dal poeta non è sufficiente per condurre l' uomo fino in Paradiso ma deve essere soccorsa dalla fede, rappresentata da Beatrice, che è superiore anche se complementare alla razionalità. Inoltre contribuiscono a trasmettere l'idea della difficoltà del luogo la similitudine tra il naufrago che si volge a rimirare le onde pericolose e il poeta che, ancora tutto inorridito, si volge a guardare la selva (versi 22-27) e la similitudine tra la disposizione d' animo di Dante che viene ricacciato nella selva dalla lupa e quella dell' avaro che perde tutto(versi 55-60). Inoltre la condizione di Dante che si volge indietro a rimirare la selva è a sua volta metafora dell' uomo che prende coscienza dei suoi errori e guarda alla vita passata con spavento. Numerosissime sono le perifrasi: "Nel mezzo del cammin di nostra vita" che apre l' opera, "Nel tempo de li dei falsi e bugiardi " (verso 72) ovvero in periodo pagano, la perifrasi astronomica "Temp' era dal principio del mattino" ed altre ai versi 30 e 60. Altre figure retoriche semantiche possono essere rilevate nel lungo discorrere tra Dante e Virgilio. Quest'ultimo, quando prende per la prima volta la parola, apre il suo discorso con un chiasmo e allo stesso tempo un' antitesi: "Non omo, omo già fui". Dante invece con le sue parole mette in evidenza la grandezza morale, intellettuale e in ambito retorico di Virgilio tramite l' endiadi "de li altri poeti onore e lume"(verso 82), la metafora ai versi 79-80 e l'apostrofe "famoso saggio" che sottolineano tutte la sua riverenza nei confronti di Virgilio. Altre figure retoriche, utilizzate frequentemente da Dante nella sua opera ed anche in questo canto, sono la sinestesia (" 'l sol tace" al verso 60), la metonimia (verso 109) e la personificazione ("animo mio ch' ancor fuggiva" al verso 25). A livello sintattico sono molto numerose le anastrofi (versi 12,15,33,49-50,80,95-96) ed è presente un'anafora ai versi 85 e 86 ("Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore, tu se' solo colui...") con la quale Dante sottolinea ciò che Virgilio è stato per lui. Senso di angoscia e speranza, peccato e desiderio di salvezza sono i temi dominanti di questo primo canto introduttivo della Commedia: tali temi vengono interpretati con le immagini metaforiche del buio e della luce e, ancor meglio, mediante i quadri simbolici della "selva oscura" e del "dilettoso monte". Virgilio mostrando a Dante l'altra strada, il viaggio attraverso i tre mondi, rende chiaro il messaggio: all'uomo la via diretta al Paradiso è preclusa e per raggiungere il cielo gli è necessario un percorso che comprende la coscienza razionale del peccato, il distacco da esso e la deliberata purificazione. Il viaggio attraverso i tre mondi è perciò metafora del percorso introspettivo di conoscenza razionale del peccato e pentimento, il solo che può condurre l' uomo alla salvezza.
Marika Caruso IIID
MERAVIGLIOSAMENTE" - JACOPO DA LENTINI. PROPOSTA DI ANALISI TESTUALE di VALENTINA RICCARDELLI, MATTEO MARCACCIO III F (A.S.2012-13)
MERAVIGLIOSAMENTE" - JACOPO DA LENTINI. PROPOSTA DI ANALISI TESTUALE di VALENTINA RICCARDELLI, MATTEO MARCACCIO III F (A.S.2012-13)
Iacopo da Lentini, Meravigliosamente
Meravigliosamente
un amor mi distringe
e mi tene ad ogn'ora.
Com'om che pone mente
in altro exemplo pinge 5
la simile pintura,
così, bella, facc'eo,
che 'nfra lo core meo
porto la tua figura.
In cor par ch'eo vi porti, 1 0
pinta como parete,
e non pare di fore.
O Deo, co' mi par forte.
Non so se lo sapete,
con' v'amo di bon core: 15
ch'eo son sì vergognoso
ca pur vi guardo ascoso
e non vi mostro amore.
Avendo gran disio,
dipinsi una pintura, 20
bella, voi simigliante,
e quando voi non vio
guardo 'n quella figura,
e par ch'eo v'aggia avante:
come quello che crede 25
salvarsi per sua fede,
ancor non veggia inante.
Al cor m'arde una doglia
com'om che ten lo foco
a lo suo seno ascoso, 30
e quando più lo 'nvoglia,
allora arde più loco
e non pò stare incluso:
similemente eo ardo
quando pass'e non guardo 35
a voi, vis'amoroso.
S'eo guardo, quando passo,
inver voi, no mi giro,
bella, per risguardare.
Andando, ad ogni passo 40
getto uno gran sospiro
che facemi ancosciare;
e certo bene ancoscio,
c'a pena mi conoscio,
tanto bella mi pare.
Assai v'aggio laudato,
madonna, in tutte parti
di bellezze ch'avete.
Non so se v'è contato
ch'eo lo faccia per arti, 50
che voi pur v'ascondete.
Sacciatelo per singa,
zo ch'eo no dico a linga,
quando voi mi vedrite.
Canzonetta novella, 55
va' canta nova cosa;
lèvati da maitino
davanti a la più bella,
fiore d'ogni amorosa,
bionda più c'auro fino:60
«Lo vostro amor, ch'è caro,
donatelo al Notaro
ch'è nato da Lentino».
PRESENTAZIONE DEL TESTO
"Meravigliosamente" è una lirica composta da Jacopo Da Lentini (Siracusa, 1210 – 1260), notaio alla corte di Federico II di Svevia. Dante lo cita nel XXIV canto del Purgatorio, vv. 55-57,come autorevole rappresentazione della Scuola Siciliana: "O frate, issa vegg'io, diss' egli, il nodo che 'l Notaro e Guittone e me riten ne di qua dal dolce stil novo ch'i odo !" Codificò le forme metriche della canzone, e fu probabilmente l'inventore del sonetto. La lirica "Meravigliosamente" affronta il tema, tipicamente provenzale, dell'innamorato timido che non osa esprimere all'amata i propri sentimenti. Questi, però, si rivelano egualmente attraverso gli sguardi, i sospiri e i pianti. Per placare la passione struggente che lo avvolge, il poeta dice di aver riprodotto dentro di sé l’immagine della sua donna , dal cui vagheggiamento deriva un’emozione di gioia pari a quella che uno spirito credente trae dalla fede. La figura interiore è così nitida e ben presente che il poeta incontrando la reale persona dell’amata, può anche fare a meno di guardarla, per eccesso di timidezza : la bellezza di lei è tanto grande che il cuore quasi non può sostenerla, e un tremore assale il poeta, il tremore che si prova di fronte alle cose che sembrano appartenere ad una realtà più grande di quella che comunemente viviamo. L'avverbio " meravigliosamente", che occupa per esteso il primo verso, per la sua posizione isolata che accentra vivamente su di sé l’attenzione e per il suo ritmo lentamente modulato, introduce un'atmosfera di eccezione, di fuor dell’usato, che corrisponde alla " nova cosa" del v. 56, nel congedo. Meravigliosamente rappresenta una delle liriche migliori di Giacomo da Lentini: un’intima e accorata confessione d’amore sotto forma di monologo interiore che si risolve nel dolce e malinconico vagheggiamento della donna amata.
ANALISI DEL SIGNIFICATO E DEL SIGNIFICANTE (livello metrico - ritmico/ stilistico-retorico)
Meravigliosamente è una “canzonetta” apparentemente leggera , sia per la leggerezza del ritmo,
che per l’ umana verità del sentimento ; essa rappresenta, tuttavia, il nuovo modo di cantare l’amore, in cui i precedenti trobadorici sono rielaborati con raffinata leggerezza e spinti ad analizzare la questione amorosa principalmente in termini di indagine interiore e di affinamento spirituale: il poeta tende ad esprimere i risvolti psicologici e interiori dell’esperienza amorosa, il momento in cui essa è pura contemplazione e non osa manifestarsi. La lirica, una canzonetta di settenari ( schema ritmico "abc abc" nella fronte, "ddc" nella sirima; l'ultimo verso della fronte rima con l'ultimo della sirima) , si articola in tre principali nuclei tematici. Nella prima parte( vv. 1-45), il poeta svolge il motivo della contemplazione intima e sofferta della donna amata : attraverso un processo di interiorizzazione, il poeta “dipinge “ nel proprio cuore l’immagine della donna amata (“ così, bella, facc’eo, che ‘nfra lo core meo porto la tua figura”, vv.7-9) la cui bellezza gli appare come un miracolo, che suscita nell'animo un sentimento di stupefazione, come se il poeta si trovasse al cospetto di una creatura ultraterrena. Alla gioia della contemplazione, si alterna poi il dolore, la pena di non riuscire ad esprimere, per timidezza e per pudore, il proprio sentimento di ammirazione e di dolcezza, e di doverlo perciò tenere segreto e nascosto quando egli le passa accanto e non osa guardarla. Nella seconda parte della lirica, ( vv. 46-54), il poeta manifesta la sincerità del suo sentimento d'amore contro le insinuazioni dei calunniatori. Nella terza parte della lirica ( vv. 55-63), costituita dal "congedo", il poeta rivolge alla donna amata una preghiera franca, decisa, nella speranza che ella gli faccia dono del suo caro amore.
La penultima strofa dichiara l'intento della canzone e riassume nel motivo della lode la ragione
profonda che l'ha ispirata. Il "congedo", segue una consuetudine già provenzale e poi stilnovistica: la poesia, personificata, è pregata di rivolgersi direttamente alla donna amata e di intercedere per il poeta, che " firma" così la sua composizione.
La struttura della lirica si rivela semplice grazie all’uso del verso settenario e alla presenza di un lessico non particolarmente difficile o tecnicistico. Pur nella complessiva semplicità del tessuto retorico, sono presenti studiate simmetrie tematiche e strutturali, basti pensare al motivo guida della straordinarietà dell’esperienza amorosa, cui corrispondono il desiderio del poeta di immortalare l’intensità del suo sentimento mediante versi d’amore e il riferimento alla raffigurazione dell’oggetto amato. Nel componimento non mancano, tuttavia, artifici stilistici ben individuabili, come l’uso della tecnica coblas capfinidas che si manifesta nel legame tra la prima e la seconda stanza (“ ‘nfra lo cor meo porto la tua figura”, vv.8-9; ”In cor par ch’eo vi porti pinta como parete”vv.10-11 ) e tra le stanze quarta e quinta ( “quando pass’ e non guardo a voi vis’amoroso”, vv.35-36 ; ”S’eo guardo, quando passo, in ver’voi , non mi giro” vv.36-38 ). Con la ripetizione del verbo "parere" ai versi 10 e 13, la canzone ribadisce il concetto della donna amata impressa nel cuore, tema che avrà molta fortuna nella evoluzione della lirica d’amore, fino allo Stilnovo. ll riferimento alla fede "come quello che crede salvarsi per sua fede, ancor non veggia inante" (vv 25-27) prelude alla splendida metafora del fuoco del v.29 (“com'om che ten lo foco") , simbolo di una passione amorosa incontrastabile, che arde e consuma l’animo. E’ questa la tematica, tipicamente provenzale, della sofferenza d'amore, sviluppata in un senso più propriamente "psicologico" nella quinta strofa e mediata dal motivo dello "sguardo”, motivo che si arricchirà, nella poetica del Dolce Stil Novo, di nuovi intrinseci sviluppi.
Ancora, nella quarta e quinta strofa emergono i motivi della segretezza dell’amore e della timidezza dell’amante : il poeta è incapace di comunicare il suo amore e si limita ad ammirare l’oggetto del desiderio di nascosto, fingendo di essere indifferente ("pare che io vi porti dipinta proprio come realmente siete, e di fuori non si vede nulla") .
CONTESTUALIZZAZIONE - APPROFONDIMENTO
“ Meravigliosamente” rappresenta una canzone di “transizione” in quanto contiene ancora elementi della tradizione provenzale rivisti e rielaborati alla luce della nuova sensibilità poetica. Nei provenzali il rituale d’amore è modellato sull’omaggio feudale, e s’incentra sul rapporto tra il servizio d’amore e l’attesa di una ricompensa, investendo sessualmente anche il corpo della donna. Nella poesia della scuola siciliana il corpo della donna scompare del tutto: si realizza un'assoluta separazione tra la “figura”, ovvero l’immagine che il poeta porta nel cuore, e la persona della dama che egli rinuncia a guardare. Sul piano linguistico, la Scuola Siciliana ricorre spesso ad una sorta di impasto linguistico fatto di volgare locale mescolato a latinismi e a francesismi, in particolare si tratta di francesismi del Trobar Clus e del Trobar Leu. Più tardi, nell’ambito del Dolce Stil Novo, Dante criticherà l’eccessivo riferimento da parte dei rimatori della Scuola Siciliana alla produzione lirica francese Valentina Riccardelli, Matteo Marcaccio III F
Iacopo da Lentini, Meravigliosamente
Meravigliosamente
un amor mi distringe
e mi tene ad ogn'ora.
Com'om che pone mente
in altro exemplo pinge 5
la simile pintura,
così, bella, facc'eo,
che 'nfra lo core meo
porto la tua figura.
In cor par ch'eo vi porti, 1 0
pinta como parete,
e non pare di fore.
O Deo, co' mi par forte.
Non so se lo sapete,
con' v'amo di bon core: 15
ch'eo son sì vergognoso
ca pur vi guardo ascoso
e non vi mostro amore.
Avendo gran disio,
dipinsi una pintura, 20
bella, voi simigliante,
e quando voi non vio
guardo 'n quella figura,
e par ch'eo v'aggia avante:
come quello che crede 25
salvarsi per sua fede,
ancor non veggia inante.
Al cor m'arde una doglia
com'om che ten lo foco
a lo suo seno ascoso, 30
e quando più lo 'nvoglia,
allora arde più loco
e non pò stare incluso:
similemente eo ardo
quando pass'e non guardo 35
a voi, vis'amoroso.
S'eo guardo, quando passo,
inver voi, no mi giro,
bella, per risguardare.
Andando, ad ogni passo 40
getto uno gran sospiro
che facemi ancosciare;
e certo bene ancoscio,
c'a pena mi conoscio,
tanto bella mi pare.
Assai v'aggio laudato,
madonna, in tutte parti
di bellezze ch'avete.
Non so se v'è contato
ch'eo lo faccia per arti, 50
che voi pur v'ascondete.
Sacciatelo per singa,
zo ch'eo no dico a linga,
quando voi mi vedrite.
Canzonetta novella, 55
va' canta nova cosa;
lèvati da maitino
davanti a la più bella,
fiore d'ogni amorosa,
bionda più c'auro fino:60
«Lo vostro amor, ch'è caro,
donatelo al Notaro
ch'è nato da Lentino».
PRESENTAZIONE DEL TESTO
"Meravigliosamente" è una lirica composta da Jacopo Da Lentini (Siracusa, 1210 – 1260), notaio alla corte di Federico II di Svevia. Dante lo cita nel XXIV canto del Purgatorio, vv. 55-57,come autorevole rappresentazione della Scuola Siciliana: "O frate, issa vegg'io, diss' egli, il nodo che 'l Notaro e Guittone e me riten ne di qua dal dolce stil novo ch'i odo !" Codificò le forme metriche della canzone, e fu probabilmente l'inventore del sonetto. La lirica "Meravigliosamente" affronta il tema, tipicamente provenzale, dell'innamorato timido che non osa esprimere all'amata i propri sentimenti. Questi, però, si rivelano egualmente attraverso gli sguardi, i sospiri e i pianti. Per placare la passione struggente che lo avvolge, il poeta dice di aver riprodotto dentro di sé l’immagine della sua donna , dal cui vagheggiamento deriva un’emozione di gioia pari a quella che uno spirito credente trae dalla fede. La figura interiore è così nitida e ben presente che il poeta incontrando la reale persona dell’amata, può anche fare a meno di guardarla, per eccesso di timidezza : la bellezza di lei è tanto grande che il cuore quasi non può sostenerla, e un tremore assale il poeta, il tremore che si prova di fronte alle cose che sembrano appartenere ad una realtà più grande di quella che comunemente viviamo. L'avverbio " meravigliosamente", che occupa per esteso il primo verso, per la sua posizione isolata che accentra vivamente su di sé l’attenzione e per il suo ritmo lentamente modulato, introduce un'atmosfera di eccezione, di fuor dell’usato, che corrisponde alla " nova cosa" del v. 56, nel congedo. Meravigliosamente rappresenta una delle liriche migliori di Giacomo da Lentini: un’intima e accorata confessione d’amore sotto forma di monologo interiore che si risolve nel dolce e malinconico vagheggiamento della donna amata.
ANALISI DEL SIGNIFICATO E DEL SIGNIFICANTE (livello metrico - ritmico/ stilistico-retorico)
Meravigliosamente è una “canzonetta” apparentemente leggera , sia per la leggerezza del ritmo,
che per l’ umana verità del sentimento ; essa rappresenta, tuttavia, il nuovo modo di cantare l’amore, in cui i precedenti trobadorici sono rielaborati con raffinata leggerezza e spinti ad analizzare la questione amorosa principalmente in termini di indagine interiore e di affinamento spirituale: il poeta tende ad esprimere i risvolti psicologici e interiori dell’esperienza amorosa, il momento in cui essa è pura contemplazione e non osa manifestarsi. La lirica, una canzonetta di settenari ( schema ritmico "abc abc" nella fronte, "ddc" nella sirima; l'ultimo verso della fronte rima con l'ultimo della sirima) , si articola in tre principali nuclei tematici. Nella prima parte( vv. 1-45), il poeta svolge il motivo della contemplazione intima e sofferta della donna amata : attraverso un processo di interiorizzazione, il poeta “dipinge “ nel proprio cuore l’immagine della donna amata (“ così, bella, facc’eo, che ‘nfra lo core meo porto la tua figura”, vv.7-9) la cui bellezza gli appare come un miracolo, che suscita nell'animo un sentimento di stupefazione, come se il poeta si trovasse al cospetto di una creatura ultraterrena. Alla gioia della contemplazione, si alterna poi il dolore, la pena di non riuscire ad esprimere, per timidezza e per pudore, il proprio sentimento di ammirazione e di dolcezza, e di doverlo perciò tenere segreto e nascosto quando egli le passa accanto e non osa guardarla. Nella seconda parte della lirica, ( vv. 46-54), il poeta manifesta la sincerità del suo sentimento d'amore contro le insinuazioni dei calunniatori. Nella terza parte della lirica ( vv. 55-63), costituita dal "congedo", il poeta rivolge alla donna amata una preghiera franca, decisa, nella speranza che ella gli faccia dono del suo caro amore.
La penultima strofa dichiara l'intento della canzone e riassume nel motivo della lode la ragione
profonda che l'ha ispirata. Il "congedo", segue una consuetudine già provenzale e poi stilnovistica: la poesia, personificata, è pregata di rivolgersi direttamente alla donna amata e di intercedere per il poeta, che " firma" così la sua composizione.
La struttura della lirica si rivela semplice grazie all’uso del verso settenario e alla presenza di un lessico non particolarmente difficile o tecnicistico. Pur nella complessiva semplicità del tessuto retorico, sono presenti studiate simmetrie tematiche e strutturali, basti pensare al motivo guida della straordinarietà dell’esperienza amorosa, cui corrispondono il desiderio del poeta di immortalare l’intensità del suo sentimento mediante versi d’amore e il riferimento alla raffigurazione dell’oggetto amato. Nel componimento non mancano, tuttavia, artifici stilistici ben individuabili, come l’uso della tecnica coblas capfinidas che si manifesta nel legame tra la prima e la seconda stanza (“ ‘nfra lo cor meo porto la tua figura”, vv.8-9; ”In cor par ch’eo vi porti pinta como parete”vv.10-11 ) e tra le stanze quarta e quinta ( “quando pass’ e non guardo a voi vis’amoroso”, vv.35-36 ; ”S’eo guardo, quando passo, in ver’voi , non mi giro” vv.36-38 ). Con la ripetizione del verbo "parere" ai versi 10 e 13, la canzone ribadisce il concetto della donna amata impressa nel cuore, tema che avrà molta fortuna nella evoluzione della lirica d’amore, fino allo Stilnovo. ll riferimento alla fede "come quello che crede salvarsi per sua fede, ancor non veggia inante" (vv 25-27) prelude alla splendida metafora del fuoco del v.29 (“com'om che ten lo foco") , simbolo di una passione amorosa incontrastabile, che arde e consuma l’animo. E’ questa la tematica, tipicamente provenzale, della sofferenza d'amore, sviluppata in un senso più propriamente "psicologico" nella quinta strofa e mediata dal motivo dello "sguardo”, motivo che si arricchirà, nella poetica del Dolce Stil Novo, di nuovi intrinseci sviluppi.
Ancora, nella quarta e quinta strofa emergono i motivi della segretezza dell’amore e della timidezza dell’amante : il poeta è incapace di comunicare il suo amore e si limita ad ammirare l’oggetto del desiderio di nascosto, fingendo di essere indifferente ("pare che io vi porti dipinta proprio come realmente siete, e di fuori non si vede nulla") .
CONTESTUALIZZAZIONE - APPROFONDIMENTO
“ Meravigliosamente” rappresenta una canzone di “transizione” in quanto contiene ancora elementi della tradizione provenzale rivisti e rielaborati alla luce della nuova sensibilità poetica. Nei provenzali il rituale d’amore è modellato sull’omaggio feudale, e s’incentra sul rapporto tra il servizio d’amore e l’attesa di una ricompensa, investendo sessualmente anche il corpo della donna. Nella poesia della scuola siciliana il corpo della donna scompare del tutto: si realizza un'assoluta separazione tra la “figura”, ovvero l’immagine che il poeta porta nel cuore, e la persona della dama che egli rinuncia a guardare. Sul piano linguistico, la Scuola Siciliana ricorre spesso ad una sorta di impasto linguistico fatto di volgare locale mescolato a latinismi e a francesismi, in particolare si tratta di francesismi del Trobar Clus e del Trobar Leu. Più tardi, nell’ambito del Dolce Stil Novo, Dante criticherà l’eccessivo riferimento da parte dei rimatori della Scuola Siciliana alla produzione lirica francese Valentina Riccardelli, Matteo Marcaccio III F
TIPOLOGIA A : analisi testuale. G. Da Lentini "Amor è un[o] desio", dagli elaborati di Serena Capodiferro, Mario Massimo Cappuccia III E (A.S.2012-13)
PRESENTAZIONE DEL TESTO- COMPRENSIONE
In Italia si ha l’affermarsi della lirica cortese con l’ascesa al trono, prima del Regno di Sicilia e poi dell’Impero, di Federico II di Svevia. Alla sua corte, localizzata principalmente in Sicilia, nascerà un indirizzo poetico che prende il nome di Scuola siciliana. Essa comprendeva un gruppo di circa venticinque poeti attivi tra il 1230 e 1250 (nel 1266 con la sconfitta di Benevento si avrà il tramonto della dinastia degli Svevi e l’affermarsi di quella degli Angioini). Se si esclude la presenza della poesia a carattere morale e didascalico, fondata sul sentimento religioso in Umbria, è con la Scuola siciliana che si hanno le prime forme letterarie italiane. Tra queste, naturalmente, è anche la lirica “Amore è un[o] desio” di Giacomo da Lentini, che fu proprio il capostipite della scuola. Egli era noto in Toscana, e anche Dante lo citerà nella sua Commedia come il “Notaro” (Purgatorio, XXIV). L’attività notarile di Giacomo da Lentini è documentata tra il 1233 e il 1240: con essa coincide la sua produzione poetica. Nella lirica “Amor è un[o] desio che ven da core” il poeta si sofferma sulla fenomenologia dell’amore, e ne illustra i modi del suo nascere e manifestarsi. All’interno del sonetto sono presenti alcuni temi tipici e immagini ricorrenti della Scuola Siciliana che fanno riferimento quasi esclusivamente all’amore, concepito come un desiderio travolgente, un impulso vitale che nasce dallo sguardo e si insinua nel cuore dell’uomo, divenendo il principale nutrimento dell’animo. Questo genere di sentimento è vissuto spesso nella mente del poeta come un’esperienza di natura intellettualistica. Uno dei tòpoi presenti, (seppur non in maniera manifesta), è quello della “pintura”: gli occhi trasmettono al cuore l’immagine della donna nella sua manifestazione esteriore; il cuore mette in atto la sua “cogitatio imaginativa” (come teorizza già Andrea Cappellano nel suo trattato “De Amore” sec. XII), cioè la sua facoltà di elaborare immagini ricevute, e costruisce una figura della donna amata. Il piacere del cuore consiste proprio nel contemplare in ogni momento tale rappresentazione che unisce al dato sensoriale la rielaborazione mentale. La figura dell’amata, quindi, si discosta dalla persona reale della dama, che non è più descritta nelle sue caratteristiche esteriori, ma è vagheggiata attraverso le sensazioni e le emozioni che ella stessa suscita nella mente e nell’animo del poeta. Il verso finale suggella la concezione erotica di Giacomo da Lentini “ e questo amore regna tra la gente” G. da Lentini, contrapponendosi a quanto sostenuto dal trovatore provenzale Jaufrè Rudel, teorico dell’amor de lonh, afferma che l’amore non può essere vissuto in lontananza, e sottolinea il ruolo fondamentale ricoperto dalla presenza dell’oggetto amoroso.
B –ANALISI DEL SIGNIFICATO E DEL SIGNIFICANTE
Il componimento, tratto da una tenzone a cui partecipano Iacopo Mastacci e Pier della Vigna, si presenta nella forma del sonetto, di cui con ogni probabilità Giacomo da Lentini fu l’inventore. I quattordici endecasillabi si raccolgono in un ottetto e in una sestina. L’ottetto si divide in due quartine legate da rime alternate (schema ABAB), mentre le due terzine della sestina presentano la rima ripetuta (schema CDECDE). La seconda quartina e la prima terzina sono legate dalla ripresa del termine “occhi”, presente sia al v.8 che al v.9. Questa tecnica, già ampiamente utilizzata dai rimatori provenzali, prende il nome di “clobas capfinidas” ed è ricorrente al fine di conferire maggiore musicalità e armonia. Il lessico è semplice, ricco di termine che appartengono all’area semantica dell’amore (amore/core/nnamoramento/desio); La lirica presenta poche figure retoriche. Dal punto di vista metrico, riscontriamo l’uso frequente del troncamento (Amor,gran,cor), dell’apocope ( al v.1 da') e dell’aferesi (al v.6 ’namoramento), figure stilistiche che sottolineano l’interesse dell’autore per l’accuratezza formale. Sintatticamente il componimento presenta l’enumerazione per polisindeto (ai vv 3-4; 12 e 14) che si manifesta attraverso la ripresa anaforica della congiunzione “e”. Notiamo, ancora, l’ uso della personificazione con cui l’amore, vero protagonista del componimento è descritto come un qualcosa che nutre (v.4), stringe (v.7) e regna (v.14). Nella lirica ricorre il topos della “pintura”, già presente in “Meravigliosamente” dello stesso G. da lentini e nela canzone “Madonna dir vo voglio “ di Guido delle Colonne.
C – CONTESTUALIZZAZIONE- APPROFONDIMENTO Il testo di G. da Lentini si colloca nell’ambito dello sviluppo della lirica d’amore nella corte di Federico II di Svevia (1220-1250), il principale catalizzatore di tale attività, che inserì lo sviluppo della Scuola siciliana nel proprio mecenatismo e in un proprio organico progetto politico. A questa scuola poetica presero parte circa trenta rimatori che poetavano per desiderio di sperimentazione linguistica, confrontandosi in ardite competizioni poetiche. Essi erano di solito funzionari regi, dilettanti colti inclini a considerare la poesia come elegante e aristocratico esercizio intellettuale.Componevano prevalentemente sonetti, canzoni e canzonette, rifacendosi all’esperienza lirica provenzale diffusasi a partire dall’XII secolo nella Francia Meridionale e giunta in Italia ad opera di trovatori francesi migrati nelle corti dell’Italia centro settentrionale (è opportuno ricordare che anche la corte di Federico II tra il 1235-40 ebbe sede in alcuni luoghi dell’Italia settentrionale). Naturalmente le differenze politiche, ideologiche e istituzionali che caratterizzavano la corte di Federico II determinarono all’interno della lirica siciliana lo sviluppo di alcuni caratteri peculiari rispetto al modello provenzale. Alla frammentazione feudale della Francia meridionale e alla complessa articolazione gerarchica imperniata sul rapporto di omaggio vassallatico, corrisponde invece in Sicilia un organismo fortemente accentrato che fa capo all’imperatore. Vengono a cadere i temi politico – sociali tipici del sirventese, componimento espressione di una realtà politico sociale fortemente conflittuale, e forse scompare l’accompagnamento musicale del testo poetico. Sopravvive la tematica d’amore inteso come servizio e dedizione alla donna lontana e spesso inaccessibile, il servitium amoris (servizio d'amore), tipico della società feudale. La letteratura provenzale e la Scuola siciliana esprimono entrambe gli ideali di magnanimità, liberalità, riproponendo gli schemi vassallatici del mondo feudale, tuttavia la figura del poeta-innamorato non coincide più con quella del vassallo, tenuto a porgere rispettoso e referente omaggio al suo signore e alla sua consorte. Lo stesso amore non è più concepito in rapporto esclusivo con la dama, ma come sentimento in quanto tale. L’amore è rappresentato come un sentimento astratto e rarefatto e l’attenzione si focalizza su di esso in quanto forza naturale e travolgente che induce all’affinamento spirituale e all’analisi introspettiva del poeta. L’epicentro della lirica provenzale è la donna, depositaria di ogni virtù, generatrice di ogni piacere sensuale e morale, fine ultimo del canto poetico. La poesia siciliana vede invece la donna come spunto per avviare un complesso percorso di introspezione interiore; l’epicentro di questa lirica è infatti ciò che l’amore per la donna suscita nell’animo del poeta.
In Italia si ha l’affermarsi della lirica cortese con l’ascesa al trono, prima del Regno di Sicilia e poi dell’Impero, di Federico II di Svevia. Alla sua corte, localizzata principalmente in Sicilia, nascerà un indirizzo poetico che prende il nome di Scuola siciliana. Essa comprendeva un gruppo di circa venticinque poeti attivi tra il 1230 e 1250 (nel 1266 con la sconfitta di Benevento si avrà il tramonto della dinastia degli Svevi e l’affermarsi di quella degli Angioini). Se si esclude la presenza della poesia a carattere morale e didascalico, fondata sul sentimento religioso in Umbria, è con la Scuola siciliana che si hanno le prime forme letterarie italiane. Tra queste, naturalmente, è anche la lirica “Amore è un[o] desio” di Giacomo da Lentini, che fu proprio il capostipite della scuola. Egli era noto in Toscana, e anche Dante lo citerà nella sua Commedia come il “Notaro” (Purgatorio, XXIV). L’attività notarile di Giacomo da Lentini è documentata tra il 1233 e il 1240: con essa coincide la sua produzione poetica. Nella lirica “Amor è un[o] desio che ven da core” il poeta si sofferma sulla fenomenologia dell’amore, e ne illustra i modi del suo nascere e manifestarsi. All’interno del sonetto sono presenti alcuni temi tipici e immagini ricorrenti della Scuola Siciliana che fanno riferimento quasi esclusivamente all’amore, concepito come un desiderio travolgente, un impulso vitale che nasce dallo sguardo e si insinua nel cuore dell’uomo, divenendo il principale nutrimento dell’animo. Questo genere di sentimento è vissuto spesso nella mente del poeta come un’esperienza di natura intellettualistica. Uno dei tòpoi presenti, (seppur non in maniera manifesta), è quello della “pintura”: gli occhi trasmettono al cuore l’immagine della donna nella sua manifestazione esteriore; il cuore mette in atto la sua “cogitatio imaginativa” (come teorizza già Andrea Cappellano nel suo trattato “De Amore” sec. XII), cioè la sua facoltà di elaborare immagini ricevute, e costruisce una figura della donna amata. Il piacere del cuore consiste proprio nel contemplare in ogni momento tale rappresentazione che unisce al dato sensoriale la rielaborazione mentale. La figura dell’amata, quindi, si discosta dalla persona reale della dama, che non è più descritta nelle sue caratteristiche esteriori, ma è vagheggiata attraverso le sensazioni e le emozioni che ella stessa suscita nella mente e nell’animo del poeta. Il verso finale suggella la concezione erotica di Giacomo da Lentini “ e questo amore regna tra la gente” G. da Lentini, contrapponendosi a quanto sostenuto dal trovatore provenzale Jaufrè Rudel, teorico dell’amor de lonh, afferma che l’amore non può essere vissuto in lontananza, e sottolinea il ruolo fondamentale ricoperto dalla presenza dell’oggetto amoroso.
B –ANALISI DEL SIGNIFICATO E DEL SIGNIFICANTE
Il componimento, tratto da una tenzone a cui partecipano Iacopo Mastacci e Pier della Vigna, si presenta nella forma del sonetto, di cui con ogni probabilità Giacomo da Lentini fu l’inventore. I quattordici endecasillabi si raccolgono in un ottetto e in una sestina. L’ottetto si divide in due quartine legate da rime alternate (schema ABAB), mentre le due terzine della sestina presentano la rima ripetuta (schema CDECDE). La seconda quartina e la prima terzina sono legate dalla ripresa del termine “occhi”, presente sia al v.8 che al v.9. Questa tecnica, già ampiamente utilizzata dai rimatori provenzali, prende il nome di “clobas capfinidas” ed è ricorrente al fine di conferire maggiore musicalità e armonia. Il lessico è semplice, ricco di termine che appartengono all’area semantica dell’amore (amore/core/nnamoramento/desio); La lirica presenta poche figure retoriche. Dal punto di vista metrico, riscontriamo l’uso frequente del troncamento (Amor,gran,cor), dell’apocope ( al v.1 da') e dell’aferesi (al v.6 ’namoramento), figure stilistiche che sottolineano l’interesse dell’autore per l’accuratezza formale. Sintatticamente il componimento presenta l’enumerazione per polisindeto (ai vv 3-4; 12 e 14) che si manifesta attraverso la ripresa anaforica della congiunzione “e”. Notiamo, ancora, l’ uso della personificazione con cui l’amore, vero protagonista del componimento è descritto come un qualcosa che nutre (v.4), stringe (v.7) e regna (v.14). Nella lirica ricorre il topos della “pintura”, già presente in “Meravigliosamente” dello stesso G. da lentini e nela canzone “Madonna dir vo voglio “ di Guido delle Colonne.
C – CONTESTUALIZZAZIONE- APPROFONDIMENTO Il testo di G. da Lentini si colloca nell’ambito dello sviluppo della lirica d’amore nella corte di Federico II di Svevia (1220-1250), il principale catalizzatore di tale attività, che inserì lo sviluppo della Scuola siciliana nel proprio mecenatismo e in un proprio organico progetto politico. A questa scuola poetica presero parte circa trenta rimatori che poetavano per desiderio di sperimentazione linguistica, confrontandosi in ardite competizioni poetiche. Essi erano di solito funzionari regi, dilettanti colti inclini a considerare la poesia come elegante e aristocratico esercizio intellettuale.Componevano prevalentemente sonetti, canzoni e canzonette, rifacendosi all’esperienza lirica provenzale diffusasi a partire dall’XII secolo nella Francia Meridionale e giunta in Italia ad opera di trovatori francesi migrati nelle corti dell’Italia centro settentrionale (è opportuno ricordare che anche la corte di Federico II tra il 1235-40 ebbe sede in alcuni luoghi dell’Italia settentrionale). Naturalmente le differenze politiche, ideologiche e istituzionali che caratterizzavano la corte di Federico II determinarono all’interno della lirica siciliana lo sviluppo di alcuni caratteri peculiari rispetto al modello provenzale. Alla frammentazione feudale della Francia meridionale e alla complessa articolazione gerarchica imperniata sul rapporto di omaggio vassallatico, corrisponde invece in Sicilia un organismo fortemente accentrato che fa capo all’imperatore. Vengono a cadere i temi politico – sociali tipici del sirventese, componimento espressione di una realtà politico sociale fortemente conflittuale, e forse scompare l’accompagnamento musicale del testo poetico. Sopravvive la tematica d’amore inteso come servizio e dedizione alla donna lontana e spesso inaccessibile, il servitium amoris (servizio d'amore), tipico della società feudale. La letteratura provenzale e la Scuola siciliana esprimono entrambe gli ideali di magnanimità, liberalità, riproponendo gli schemi vassallatici del mondo feudale, tuttavia la figura del poeta-innamorato non coincide più con quella del vassallo, tenuto a porgere rispettoso e referente omaggio al suo signore e alla sua consorte. Lo stesso amore non è più concepito in rapporto esclusivo con la dama, ma come sentimento in quanto tale. L’amore è rappresentato come un sentimento astratto e rarefatto e l’attenzione si focalizza su di esso in quanto forza naturale e travolgente che induce all’affinamento spirituale e all’analisi introspettiva del poeta. L’epicentro della lirica provenzale è la donna, depositaria di ogni virtù, generatrice di ogni piacere sensuale e morale, fine ultimo del canto poetico. La poesia siciliana vede invece la donna come spunto per avviare un complesso percorso di introspezione interiore; l’epicentro di questa lirica è infatti ciò che l’amore per la donna suscita nell’animo del poeta.
TIPOLOGIA A : analisi testuale. G. Da Lentini "Amor è un[o] desio", dagli elaborati di Serena Capodiferro, Valerio Massimo Cappuccia III E (A.S.2012-13)
PRESENTAZIONE DEL TESTO- COMPRENSIONE
In Italia si ha l’affermarsi della lirica cortese con l’ascesa al trono, prima del Regno di Sicilia e poi dell’Impero, di Federico II di Svevia. Alla sua corte, localizzata principalmente in Sicilia, nascerà un indirizzo poetico che prende il nome di Scuola siciliana. Essa comprendeva un gruppo di circa venticinque poeti attivi tra il 1230 e 1250 (nel 1266 con la sconfitta di Benevento si avrà il tramonto della dinastia degli Svevi e l’affermarsi di quella degli Angioini). Se si esclude la presenza della poesia a carattere morale e didascalico, fondata sul sentimento religioso in Umbria, è con la Scuola siciliana che si hanno le prime forme letterarie italiane. Tra queste, naturalmente, è anche la lirica “Amore è un[o] desio” di Giacomo da Lentini, che fu proprio il capostipite della scuola. Egli era noto in Toscana, e anche Dante lo citerà nella sua Commedia come il “Notaro” (Purgatorio, XXIV). L’attività notarile di Giacomo da Lentini è documentata tra il 1233 e il 1240: con essa coincide la sua produzione poetica. Nella lirica “Amor è un[o] desio che ven da core” il poeta si sofferma sulla fenomenologia dell’amore, e ne illustra i modi del suo nascere e manifestarsi. All’interno del sonetto sono presenti alcuni temi tipici e immagini ricorrenti della Scuola Siciliana che fanno riferimento quasi esclusivamente all’amore, concepito come un desiderio travolgente, un impulso vitale che nasce dallo sguardo e si insinua nel cuore dell’uomo, divenendo il principale nutrimento dell’animo. Questo genere di sentimento è vissuto spesso nella mente del poeta come un’esperienza di natura intellettualistica. Uno dei tòpoi presenti, (seppur non in maniera manifesta), è quello della “pintura”: gli occhi trasmettono al cuore l’immagine della donna nella sua manifestazione esteriore; il cuore mette in atto la sua “cogitatio imaginativa” (come teorizza già Andrea Cappellano nel suo trattato “De Amore” sec. XII), cioè la sua facoltà di elaborare immagini ricevute, e costruisce una figura della donna amata. Il piacere del cuore consiste proprio nel contemplare in ogni momento tale rappresentazione che unisce al dato sensoriale la rielaborazione mentale. La figura dell’amata, quindi, si discosta dalla persona reale della dama, che non è più descritta nelle sue caratteristiche esteriori, ma è vagheggiata attraverso le sensazioni e le emozioni che ella stessa suscita nella mente e nell’animo del poeta. Il verso finale suggella la concezione erotica di Giacomo da Lentini “ e questo amore regna tra la gente” G. da Lentini, contrapponendosi a quanto sostenuto dal trovatore provenzale Jaufrè Rudel, teorico dell’amor de lonh, afferma che l’amore non può essere vissuto in lontananza, e sottolinea il ruolo fondamentale ricoperto dalla presenza dell’oggetto amoroso.
B –ANALISI DEL SIGNIFICATO E DEL SIGNIFICANTE
Il componimento, tratto da una tenzone a cui partecipano Iacopo Mastacci e Pier della Vigna, si presenta nella forma del sonetto, di cui con ogni probabilità Giacomo da Lentini fu l’inventore. I quattordici endecasillabi si raccolgono in un ottetto e in una sestina. L’ottetto si divide in due quartine legate da rime alternate (schema ABAB), mentre le due terzine della sestina presentano la rima ripetuta (schema CDECDE). La seconda quartina e la prima terzina sono legate dalla ripresa del termine “occhi”, presente sia al v.8 che al v.9. Questa tecnica, già ampiamente utilizzata dai rimatori provenzali, prende il nome di “clobas capfinidas” ed è ricorrente al fine di conferire maggiore musicalità e armonia. Il lessico è semplice, ricco di termine che appartengono all’area semantica dell’amore (amore/core/nnamoramento/desio); La lirica presenta poche figure retoriche. Dal punto di vista metrico, riscontriamo l’uso frequente del troncamento (Amor,gran,cor), dell’apocope ( al v.1 da') e dell’aferesi (al v.6 ’namoramento), figure stilistiche che sottolineano l’interesse dell’autore per l’accuratezza formale. Sintatticamente il componimento presenta l’enumerazione per polisindeto (ai vv 3-4; 12 e 14) che si manifesta attraverso la ripresa anaforica della congiunzione “e”. Notiamo, ancora, l’ uso della personificazione con cui l’amore, vero protagonista del componimento è descritto come un qualcosa che nutre (v.4), stringe (v.7) e regna (v.14). Nella lirica ricorre il topos della “pintura”, già presente in “Meravigliosamente” dello stesso G. da lentini e nela canzone “Madonna dir vo voglio “ di Guido delle Colonne.
C – CONTESTUALIZZAZIONE- APPROFONDIMENTO Il testo di G. da Lentini si colloca nell’ambito dello sviluppo della lirica d’amore nella corte di Federico II di Svevia (1220-1250), il principale catalizzatore di tale attività, che inserì lo sviluppo della Scuola siciliana nel proprio mecenatismo e in un proprio organico progetto politico. A questa scuola poetica presero parte circa trenta rimatori che poetavano per desiderio di sperimentazione linguistica, confrontandosi in ardite competizioni poetiche. Essi erano di solito funzionari regi, dilettanti colti inclini a considerare la poesia come elegante e aristocratico esercizio intellettuale.Componevano prevalentemente sonetti, canzoni e canzonette, rifacendosi all’esperienza lirica provenzale diffusasi a partire dall’XII secolo nella Francia Meridionale e giunta in Italia ad opera di trovatori francesi migrati nelle corti dell’Italia centro settentrionale (è opportuno ricordare che anche la corte di Federico II tra il 1235-40 ebbe sede in alcuni luoghi dell’Italia settentrionale). Naturalmente le differenze politiche, ideologiche e istituzionali che caratterizzavano la corte di Federico II determinarono all’interno della lirica siciliana lo sviluppo di alcuni caratteri peculiari rispetto al modello provenzale. Alla frammentazione feudale della Francia meridionale e alla complessa articolazione gerarchica imperniata sul rapporto di omaggio vassallatico, corrisponde invece in Sicilia un organismo fortemente accentrato che fa capo all’imperatore. Vengono a cadere i temi politico – sociali tipici del sirventese, componimento espressione di una realtà politico sociale fortemente conflittuale, e forse scompare l’accompagnamento musicale del testo poetico. Sopravvive la tematica d’amore inteso come servizio e dedizione alla donna lontana e spesso inaccessibile, il servitium amoris (servizio d'amore), tipico della società feudale. La letteratura provenzale e la Scuola siciliana esprimono entrambe gli ideali di magnanimità, liberalità, riproponendo gli schemi vassallatici del mondo feudale, tuttavia la figura del poeta-innamorato non coincide più con quella del vassallo, tenuto a porgere rispettoso e referente omaggio al suo signore e alla sua consorte. Lo stesso amore non è più concepito in rapporto esclusivo con la dama, ma come sentimento in quanto tale. L’amore è rappresentato come un sentimento astratto e rarefatto e l’attenzione si focalizza su di esso in quanto forza naturale e travolgente che induce all’affinamento spirituale e all’analisi introspettiva del poeta. L’epicentro della lirica provenzale è la donna, depositaria di ogni virtù, generatrice di ogni piacere sensuale e morale, fine ultimo del canto poetico. La poesia siciliana vede invece la donna come spunto per avviare un complesso percorso di introspezione interiore; l’epicentro di questa lirica è infatti ciò che l’amore per la donna suscita nell’animo del poeta.
In Italia si ha l’affermarsi della lirica cortese con l’ascesa al trono, prima del Regno di Sicilia e poi dell’Impero, di Federico II di Svevia. Alla sua corte, localizzata principalmente in Sicilia, nascerà un indirizzo poetico che prende il nome di Scuola siciliana. Essa comprendeva un gruppo di circa venticinque poeti attivi tra il 1230 e 1250 (nel 1266 con la sconfitta di Benevento si avrà il tramonto della dinastia degli Svevi e l’affermarsi di quella degli Angioini). Se si esclude la presenza della poesia a carattere morale e didascalico, fondata sul sentimento religioso in Umbria, è con la Scuola siciliana che si hanno le prime forme letterarie italiane. Tra queste, naturalmente, è anche la lirica “Amore è un[o] desio” di Giacomo da Lentini, che fu proprio il capostipite della scuola. Egli era noto in Toscana, e anche Dante lo citerà nella sua Commedia come il “Notaro” (Purgatorio, XXIV). L’attività notarile di Giacomo da Lentini è documentata tra il 1233 e il 1240: con essa coincide la sua produzione poetica. Nella lirica “Amor è un[o] desio che ven da core” il poeta si sofferma sulla fenomenologia dell’amore, e ne illustra i modi del suo nascere e manifestarsi. All’interno del sonetto sono presenti alcuni temi tipici e immagini ricorrenti della Scuola Siciliana che fanno riferimento quasi esclusivamente all’amore, concepito come un desiderio travolgente, un impulso vitale che nasce dallo sguardo e si insinua nel cuore dell’uomo, divenendo il principale nutrimento dell’animo. Questo genere di sentimento è vissuto spesso nella mente del poeta come un’esperienza di natura intellettualistica. Uno dei tòpoi presenti, (seppur non in maniera manifesta), è quello della “pintura”: gli occhi trasmettono al cuore l’immagine della donna nella sua manifestazione esteriore; il cuore mette in atto la sua “cogitatio imaginativa” (come teorizza già Andrea Cappellano nel suo trattato “De Amore” sec. XII), cioè la sua facoltà di elaborare immagini ricevute, e costruisce una figura della donna amata. Il piacere del cuore consiste proprio nel contemplare in ogni momento tale rappresentazione che unisce al dato sensoriale la rielaborazione mentale. La figura dell’amata, quindi, si discosta dalla persona reale della dama, che non è più descritta nelle sue caratteristiche esteriori, ma è vagheggiata attraverso le sensazioni e le emozioni che ella stessa suscita nella mente e nell’animo del poeta. Il verso finale suggella la concezione erotica di Giacomo da Lentini “ e questo amore regna tra la gente” G. da Lentini, contrapponendosi a quanto sostenuto dal trovatore provenzale Jaufrè Rudel, teorico dell’amor de lonh, afferma che l’amore non può essere vissuto in lontananza, e sottolinea il ruolo fondamentale ricoperto dalla presenza dell’oggetto amoroso.
B –ANALISI DEL SIGNIFICATO E DEL SIGNIFICANTE
Il componimento, tratto da una tenzone a cui partecipano Iacopo Mastacci e Pier della Vigna, si presenta nella forma del sonetto, di cui con ogni probabilità Giacomo da Lentini fu l’inventore. I quattordici endecasillabi si raccolgono in un ottetto e in una sestina. L’ottetto si divide in due quartine legate da rime alternate (schema ABAB), mentre le due terzine della sestina presentano la rima ripetuta (schema CDECDE). La seconda quartina e la prima terzina sono legate dalla ripresa del termine “occhi”, presente sia al v.8 che al v.9. Questa tecnica, già ampiamente utilizzata dai rimatori provenzali, prende il nome di “clobas capfinidas” ed è ricorrente al fine di conferire maggiore musicalità e armonia. Il lessico è semplice, ricco di termine che appartengono all’area semantica dell’amore (amore/core/nnamoramento/desio); La lirica presenta poche figure retoriche. Dal punto di vista metrico, riscontriamo l’uso frequente del troncamento (Amor,gran,cor), dell’apocope ( al v.1 da') e dell’aferesi (al v.6 ’namoramento), figure stilistiche che sottolineano l’interesse dell’autore per l’accuratezza formale. Sintatticamente il componimento presenta l’enumerazione per polisindeto (ai vv 3-4; 12 e 14) che si manifesta attraverso la ripresa anaforica della congiunzione “e”. Notiamo, ancora, l’ uso della personificazione con cui l’amore, vero protagonista del componimento è descritto come un qualcosa che nutre (v.4), stringe (v.7) e regna (v.14). Nella lirica ricorre il topos della “pintura”, già presente in “Meravigliosamente” dello stesso G. da lentini e nela canzone “Madonna dir vo voglio “ di Guido delle Colonne.
C – CONTESTUALIZZAZIONE- APPROFONDIMENTO Il testo di G. da Lentini si colloca nell’ambito dello sviluppo della lirica d’amore nella corte di Federico II di Svevia (1220-1250), il principale catalizzatore di tale attività, che inserì lo sviluppo della Scuola siciliana nel proprio mecenatismo e in un proprio organico progetto politico. A questa scuola poetica presero parte circa trenta rimatori che poetavano per desiderio di sperimentazione linguistica, confrontandosi in ardite competizioni poetiche. Essi erano di solito funzionari regi, dilettanti colti inclini a considerare la poesia come elegante e aristocratico esercizio intellettuale.Componevano prevalentemente sonetti, canzoni e canzonette, rifacendosi all’esperienza lirica provenzale diffusasi a partire dall’XII secolo nella Francia Meridionale e giunta in Italia ad opera di trovatori francesi migrati nelle corti dell’Italia centro settentrionale (è opportuno ricordare che anche la corte di Federico II tra il 1235-40 ebbe sede in alcuni luoghi dell’Italia settentrionale). Naturalmente le differenze politiche, ideologiche e istituzionali che caratterizzavano la corte di Federico II determinarono all’interno della lirica siciliana lo sviluppo di alcuni caratteri peculiari rispetto al modello provenzale. Alla frammentazione feudale della Francia meridionale e alla complessa articolazione gerarchica imperniata sul rapporto di omaggio vassallatico, corrisponde invece in Sicilia un organismo fortemente accentrato che fa capo all’imperatore. Vengono a cadere i temi politico – sociali tipici del sirventese, componimento espressione di una realtà politico sociale fortemente conflittuale, e forse scompare l’accompagnamento musicale del testo poetico. Sopravvive la tematica d’amore inteso come servizio e dedizione alla donna lontana e spesso inaccessibile, il servitium amoris (servizio d'amore), tipico della società feudale. La letteratura provenzale e la Scuola siciliana esprimono entrambe gli ideali di magnanimità, liberalità, riproponendo gli schemi vassallatici del mondo feudale, tuttavia la figura del poeta-innamorato non coincide più con quella del vassallo, tenuto a porgere rispettoso e referente omaggio al suo signore e alla sua consorte. Lo stesso amore non è più concepito in rapporto esclusivo con la dama, ma come sentimento in quanto tale. L’amore è rappresentato come un sentimento astratto e rarefatto e l’attenzione si focalizza su di esso in quanto forza naturale e travolgente che induce all’affinamento spirituale e all’analisi introspettiva del poeta. L’epicentro della lirica provenzale è la donna, depositaria di ogni virtù, generatrice di ogni piacere sensuale e morale, fine ultimo del canto poetico. La poesia siciliana vede invece la donna come spunto per avviare un complesso percorso di introspezione interiore; l’epicentro di questa lirica è infatti ciò che l’amore per la donna suscita nell’animo del poeta.
MERAVIGLIOSAMENTE" - JACOPO DA LENTINI. PROPOSTA DI ANALISI TESTUALE di VALENTINA RICCARDELLI, MATTEO MARCACCIO III F (A.S.2012-13)
MERAVIGLIOSAMENTE" - JACOPO DA LENTINI. ANALISI TESTUALE tratta dagli elaborati di VALENTINA RICCARDELLI, MATTEO MARCACCIO III F
Iacopo da Lentini, Meravigliosamente
Meravigliosamente
un amor mi distringe
e mi tene ad ogn'ora.
Com'om che pone mente
in altro exemplo pinge 5
la simile pintura,
così, bella, facc'eo,
che 'nfra lo core meo
porto la tua figura.
In cor par ch'eo vi porti, 1 0
pinta como parete,
e non pare di fore.
O Deo, co' mi par forte.
Non so se lo sapete,
con' v'amo di bon core: 15
ch'eo son sì vergognoso
ca pur vi guardo ascoso
e non vi mostro amore.
Avendo gran disio,
dipinsi una pintura, 20
bella, voi simigliante,
e quando voi non vio
guardo 'n quella figura,
e par ch'eo v'aggia avante:
come quello che crede 25
salvarsi per sua fede,
ancor non veggia inante.
Al cor m'arde una doglia
com'om che ten lo foco
a lo suo seno ascoso, 30
e quando più lo 'nvoglia,
allora arde più loco
e non pò stare incluso:
similemente eo ardo
quando pass'e non guardo 35
a voi, vis'amoroso.
S'eo guardo, quando passo,
inver voi, no mi giro,
bella, per risguardare.
Andando, ad ogni passo 40
getto uno gran sospiro
che facemi ancosciare;
e certo bene ancoscio,
c'a pena mi conoscio,
tanto bella mi pare.
Assai v'aggio laudato,
madonna, in tutte parti
di bellezze ch'avete.
Non so se v'è contato
ch'eo lo faccia per arti, 50
che voi pur v'ascondete.
Sacciatelo per singa,
zo ch'eo no dico a linga,
quando voi mi vedrite.
Canzonetta novella, 55
va' canta nova cosa;
lèvati da maitino
davanti a la più bella,
fiore d'ogni amorosa,
bionda più c'auro fino:60
«Lo vostro amor, ch'è caro,
donatelo al Notaro
ch'è nato da Lentino».
PRESENTAZIONE DEL TESTO "Meravigliosamente" è una lirica composta da Jacopo Da Lentini (Siracusa, 1210 – 1260), notaio alla corte di Federico II di Svevia. Dante lo cita nel XXIV canto del Purgatorio, vv. 55-57,come autorevole rappresentazione della Scuola Siciliana: "O frate, issa vegg'io, diss' egli, il nodo che 'l Notaro e Guittone e me riten ne di qua dal dolce stil novo ch'i odo !" Codificò le forme metriche della canzone, e fu probabilmente l'inventore del sonetto. La lirica "Meravigliosamente" affronta il tema, tipicamente provenzale, dell'innamorato timido che non osa esprimere all'amata i propri sentimenti. Questi, però, si rivelano egualmente attraverso gli sguardi, i sospiri e i pianti. Per placare la passione struggente che lo avvolge, il poeta dice di aver riprodotto dentro di sé l’immagine della sua donna , dal cui vagheggiamento deriva un’emozione di gioia pari a quella che uno spirito credente trae dalla fede. La figura interiore è così nitida e ben presente che il poeta incontrando la reale persona dell’amata, può anche fare a meno di guardarla, per eccesso di timidezza : la bellezza di lei è tanto grande che il cuore quasi non può sostenerla, e un tremore assale il poeta, il tremore che si prova di fronte alle cose che sembrano appartenere ad una realtà più grande di quella che comunemente viviamo. L'avverbio " meravigliosamente", che occupa per esteso il primo verso, per la sua posizione isolata che accentra vivamente su di sé l’attenzione e per il suo ritmo lentamente modulato, introduce un'atmosfera di eccezione, di fuor dell’usato, che corrisponde alla " nova cosa" del v. 56, nel congedo. Meravigliosamente rappresenta una delle liriche migliori di Giacomo da Lentini: un’intima e accorata confessione d’amore sotto forma di monologo interiore che si risolve nel dolce e malinconico vagheggiamento della donna amata.
ANALISI DEL SIGNIFICATO E DEL SIGNIFICANTE (livello metrico - ritmico/ stilistico-retorico)
Meravigliosamente è una “canzonetta” apparentemente leggera , sia per la leggerezza del ritmo,
che per l’ umana verità del sentimento ; essa rappresenta, tuttavia, il nuovo modo di cantare l’amore, in cui i precedenti trobadorici sono rielaborati con raffinata leggerezza e spinti ad analizzare la questione amorosa principalmente in termini di indagine interiore e di affinamento spirituale: il poeta tende ad esprimere i risvolti psicologici e interiori dell’esperienza amorosa, il momento in cui essa è pura contemplazione e non osa manifestarsi. La lirica, una canzonetta di settenari ( schema ritmico "abc abc" nella fronte, "ddc" nella sirima; l'ultimo verso della fronte rima con l'ultimo della sirima) , si articola in tre principali nuclei tematici. Nella prima parte( vv. 1-45), il poeta svolge il motivo della contemplazione intima e sofferta della donna amata : attraverso un processo di interiorizzazione, il poeta “dipinge “ nel proprio cuore l’immagine della donna amata (“ così, bella, facc’eo, che ‘nfra lo core meo porto la tua figura”, vv.7-9) la cui bellezza gli appare come un miracolo, che suscita nell'animo un sentimento di stupefazione, come se il poeta si trovasse al cospetto di una creatura ultraterrena. Alla gioia della contemplazione, si alterna poi il dolore, la pena di non riuscire ad esprimere, per timidezza e per pudore, il proprio sentimento di ammirazione e di dolcezza, e di doverlo perciò tenere segreto e nascosto quando egli le passa accanto e non osa guardarla. Nella seconda parte della lirica, ( vv. 46-54), il poeta manifesta la sincerità del suo sentimento d'amore contro le insinuazioni dei calunniatori. Nella terza parte della lirica ( vv. 55-63), costituita dal "congedo", il poeta rivolge alla donna amata una preghiera franca, decisa, nella speranza che ella gli faccia dono del suo caro amore.
La penultima strofa dichiara l'intento della canzone e riassume nel motivo della lode la ragione
profonda che l'ha ispirata. Il "congedo", segue una consuetudine già provenzale e poi stilnovistica: la poesia, personificata, è pregata di rivolgersi direttamente alla donna amata e di intercedere per il poeta, che " firma" così la sua composizione.
La struttura della lirica si rivela semplice grazie all’uso del verso settenario e alla presenza di un lessico non particolarmente difficile o tecnicistico. Pur nella complessiva semplicità del tessuto retorico, sono presenti studiate simmetrie tematiche e strutturali, basti pensare al motivo guida della straordinarietà dell’esperienza amorosa, cui corrispondono il desiderio del poeta di immortalare l’intensità del suo sentimento mediante versi d’amore e il riferimento alla raffigurazione dell’oggetto amato. Nel componimento non mancano, tuttavia, artifici stilistici ben individuabili, come l’uso della tecnica coblas capfinidas che si manifesta nel legame tra la prima e la seconda stanza (“ ‘nfra lo cor meo porto la tua figura”, vv.8-9; ”In cor par ch’eo vi porti pinta como parete”vv.10-11 ) e tra le stanze quarta e quinta ( “quando pass’ e non guardo a voi vis’amoroso”, vv.35-36 ; ”S’eo guardo, quando passo, in ver’voi , non mi giro” vv.36-38 ). Con la ripetizione del verbo "parere" ai versi 10 e 13, la canzone ribadisce il concetto della donna amata impressa nel cuore, tema che avrà molta fortuna nella evoluzione della lirica d’amore, fino allo Stilnovo. ll riferimento alla fede "come quello che crede salvarsi per sua fede, ancor non veggia inante" (vv 25-27) prelude alla splendida metafora del fuoco del v.29 (“com'om che ten lo foco") , simbolo di una passione amorosa incontrastabile, che arde e consuma l’animo. E’ questa la tematica, tipicamente provenzale, della sofferenza d'amore, sviluppata in un senso più propriamente "psicologico" nella quinta strofa e mediata dal motivo dello "sguardo”, motivo che si arricchirà, nella poetica del Dolce Stil Novo, di nuovi intrinseci sviluppi.
Ancora, nella quarta e quinta strofa emergono i motivi della segretezza dell’amore e della timidezza dell’amante : il poeta è incapace di comunicare il suo amore e si limita ad ammirare l’oggetto del desiderio di nascosto, fingendo di essere indifferente ("pare che io vi porti dipinta proprio come realmente siete, e di fuori non si vede nulla") .
CONTESTUALIZZAZIONE - APPROFONDIMENTO : Cenni sulla Scuola Siciliana.
“ Meravigliosamente” rappresenta una canzone di “transizione” in quanto contiene ancora elementi della tradizione provenzale rivisti e rielaborati alla luce della nuova sensibilità poetica. Nei provenzali il rituale d’amore è modellato sull’omaggio feudale, e s’incentra sul rapporto tra il servizio d’amore e l’attesa di una ricompensa, investendo sessualmente anche il corpo della donna. Nella poesia della scuola siciliana il corpo della donna scompare del tutto: si realizza un'assoluta separazione tra la “figura”, ovvero l’immagine che il poeta porta nel cuore, e la persona della dama che egli rinuncia a guardare. Sul piano linguistico, la Scuola Siciliana ricorre spesso ad una sorta di impasto linguistico fatto di volgare locale mescolato a latinismi e a francesismi, in particolare si tratta di francesismi del Trobar Clus e del Trobar Leu. Più tardi, nell’ambito del Dolce Stil Novo, Dante criticherà l’eccessivo riferimento da parte dei rimatori della Scuola Siciliana alla produzione lirica francese Valentina Riccardelli, Matteo Marcaccio III F
Iacopo da Lentini, Meravigliosamente
Meravigliosamente
un amor mi distringe
e mi tene ad ogn'ora.
Com'om che pone mente
in altro exemplo pinge 5
la simile pintura,
così, bella, facc'eo,
che 'nfra lo core meo
porto la tua figura.
In cor par ch'eo vi porti, 1 0
pinta como parete,
e non pare di fore.
O Deo, co' mi par forte.
Non so se lo sapete,
con' v'amo di bon core: 15
ch'eo son sì vergognoso
ca pur vi guardo ascoso
e non vi mostro amore.
Avendo gran disio,
dipinsi una pintura, 20
bella, voi simigliante,
e quando voi non vio
guardo 'n quella figura,
e par ch'eo v'aggia avante:
come quello che crede 25
salvarsi per sua fede,
ancor non veggia inante.
Al cor m'arde una doglia
com'om che ten lo foco
a lo suo seno ascoso, 30
e quando più lo 'nvoglia,
allora arde più loco
e non pò stare incluso:
similemente eo ardo
quando pass'e non guardo 35
a voi, vis'amoroso.
S'eo guardo, quando passo,
inver voi, no mi giro,
bella, per risguardare.
Andando, ad ogni passo 40
getto uno gran sospiro
che facemi ancosciare;
e certo bene ancoscio,
c'a pena mi conoscio,
tanto bella mi pare.
Assai v'aggio laudato,
madonna, in tutte parti
di bellezze ch'avete.
Non so se v'è contato
ch'eo lo faccia per arti, 50
che voi pur v'ascondete.
Sacciatelo per singa,
zo ch'eo no dico a linga,
quando voi mi vedrite.
Canzonetta novella, 55
va' canta nova cosa;
lèvati da maitino
davanti a la più bella,
fiore d'ogni amorosa,
bionda più c'auro fino:60
«Lo vostro amor, ch'è caro,
donatelo al Notaro
ch'è nato da Lentino».
PRESENTAZIONE DEL TESTO "Meravigliosamente" è una lirica composta da Jacopo Da Lentini (Siracusa, 1210 – 1260), notaio alla corte di Federico II di Svevia. Dante lo cita nel XXIV canto del Purgatorio, vv. 55-57,come autorevole rappresentazione della Scuola Siciliana: "O frate, issa vegg'io, diss' egli, il nodo che 'l Notaro e Guittone e me riten ne di qua dal dolce stil novo ch'i odo !" Codificò le forme metriche della canzone, e fu probabilmente l'inventore del sonetto. La lirica "Meravigliosamente" affronta il tema, tipicamente provenzale, dell'innamorato timido che non osa esprimere all'amata i propri sentimenti. Questi, però, si rivelano egualmente attraverso gli sguardi, i sospiri e i pianti. Per placare la passione struggente che lo avvolge, il poeta dice di aver riprodotto dentro di sé l’immagine della sua donna , dal cui vagheggiamento deriva un’emozione di gioia pari a quella che uno spirito credente trae dalla fede. La figura interiore è così nitida e ben presente che il poeta incontrando la reale persona dell’amata, può anche fare a meno di guardarla, per eccesso di timidezza : la bellezza di lei è tanto grande che il cuore quasi non può sostenerla, e un tremore assale il poeta, il tremore che si prova di fronte alle cose che sembrano appartenere ad una realtà più grande di quella che comunemente viviamo. L'avverbio " meravigliosamente", che occupa per esteso il primo verso, per la sua posizione isolata che accentra vivamente su di sé l’attenzione e per il suo ritmo lentamente modulato, introduce un'atmosfera di eccezione, di fuor dell’usato, che corrisponde alla " nova cosa" del v. 56, nel congedo. Meravigliosamente rappresenta una delle liriche migliori di Giacomo da Lentini: un’intima e accorata confessione d’amore sotto forma di monologo interiore che si risolve nel dolce e malinconico vagheggiamento della donna amata.
ANALISI DEL SIGNIFICATO E DEL SIGNIFICANTE (livello metrico - ritmico/ stilistico-retorico)
Meravigliosamente è una “canzonetta” apparentemente leggera , sia per la leggerezza del ritmo,
che per l’ umana verità del sentimento ; essa rappresenta, tuttavia, il nuovo modo di cantare l’amore, in cui i precedenti trobadorici sono rielaborati con raffinata leggerezza e spinti ad analizzare la questione amorosa principalmente in termini di indagine interiore e di affinamento spirituale: il poeta tende ad esprimere i risvolti psicologici e interiori dell’esperienza amorosa, il momento in cui essa è pura contemplazione e non osa manifestarsi. La lirica, una canzonetta di settenari ( schema ritmico "abc abc" nella fronte, "ddc" nella sirima; l'ultimo verso della fronte rima con l'ultimo della sirima) , si articola in tre principali nuclei tematici. Nella prima parte( vv. 1-45), il poeta svolge il motivo della contemplazione intima e sofferta della donna amata : attraverso un processo di interiorizzazione, il poeta “dipinge “ nel proprio cuore l’immagine della donna amata (“ così, bella, facc’eo, che ‘nfra lo core meo porto la tua figura”, vv.7-9) la cui bellezza gli appare come un miracolo, che suscita nell'animo un sentimento di stupefazione, come se il poeta si trovasse al cospetto di una creatura ultraterrena. Alla gioia della contemplazione, si alterna poi il dolore, la pena di non riuscire ad esprimere, per timidezza e per pudore, il proprio sentimento di ammirazione e di dolcezza, e di doverlo perciò tenere segreto e nascosto quando egli le passa accanto e non osa guardarla. Nella seconda parte della lirica, ( vv. 46-54), il poeta manifesta la sincerità del suo sentimento d'amore contro le insinuazioni dei calunniatori. Nella terza parte della lirica ( vv. 55-63), costituita dal "congedo", il poeta rivolge alla donna amata una preghiera franca, decisa, nella speranza che ella gli faccia dono del suo caro amore.
La penultima strofa dichiara l'intento della canzone e riassume nel motivo della lode la ragione
profonda che l'ha ispirata. Il "congedo", segue una consuetudine già provenzale e poi stilnovistica: la poesia, personificata, è pregata di rivolgersi direttamente alla donna amata e di intercedere per il poeta, che " firma" così la sua composizione.
La struttura della lirica si rivela semplice grazie all’uso del verso settenario e alla presenza di un lessico non particolarmente difficile o tecnicistico. Pur nella complessiva semplicità del tessuto retorico, sono presenti studiate simmetrie tematiche e strutturali, basti pensare al motivo guida della straordinarietà dell’esperienza amorosa, cui corrispondono il desiderio del poeta di immortalare l’intensità del suo sentimento mediante versi d’amore e il riferimento alla raffigurazione dell’oggetto amato. Nel componimento non mancano, tuttavia, artifici stilistici ben individuabili, come l’uso della tecnica coblas capfinidas che si manifesta nel legame tra la prima e la seconda stanza (“ ‘nfra lo cor meo porto la tua figura”, vv.8-9; ”In cor par ch’eo vi porti pinta como parete”vv.10-11 ) e tra le stanze quarta e quinta ( “quando pass’ e non guardo a voi vis’amoroso”, vv.35-36 ; ”S’eo guardo, quando passo, in ver’voi , non mi giro” vv.36-38 ). Con la ripetizione del verbo "parere" ai versi 10 e 13, la canzone ribadisce il concetto della donna amata impressa nel cuore, tema che avrà molta fortuna nella evoluzione della lirica d’amore, fino allo Stilnovo. ll riferimento alla fede "come quello che crede salvarsi per sua fede, ancor non veggia inante" (vv 25-27) prelude alla splendida metafora del fuoco del v.29 (“com'om che ten lo foco") , simbolo di una passione amorosa incontrastabile, che arde e consuma l’animo. E’ questa la tematica, tipicamente provenzale, della sofferenza d'amore, sviluppata in un senso più propriamente "psicologico" nella quinta strofa e mediata dal motivo dello "sguardo”, motivo che si arricchirà, nella poetica del Dolce Stil Novo, di nuovi intrinseci sviluppi.
Ancora, nella quarta e quinta strofa emergono i motivi della segretezza dell’amore e della timidezza dell’amante : il poeta è incapace di comunicare il suo amore e si limita ad ammirare l’oggetto del desiderio di nascosto, fingendo di essere indifferente ("pare che io vi porti dipinta proprio come realmente siete, e di fuori non si vede nulla") .
CONTESTUALIZZAZIONE - APPROFONDIMENTO : Cenni sulla Scuola Siciliana.
“ Meravigliosamente” rappresenta una canzone di “transizione” in quanto contiene ancora elementi della tradizione provenzale rivisti e rielaborati alla luce della nuova sensibilità poetica. Nei provenzali il rituale d’amore è modellato sull’omaggio feudale, e s’incentra sul rapporto tra il servizio d’amore e l’attesa di una ricompensa, investendo sessualmente anche il corpo della donna. Nella poesia della scuola siciliana il corpo della donna scompare del tutto: si realizza un'assoluta separazione tra la “figura”, ovvero l’immagine che il poeta porta nel cuore, e la persona della dama che egli rinuncia a guardare. Sul piano linguistico, la Scuola Siciliana ricorre spesso ad una sorta di impasto linguistico fatto di volgare locale mescolato a latinismi e a francesismi, in particolare si tratta di francesismi del Trobar Clus e del Trobar Leu. Più tardi, nell’ambito del Dolce Stil Novo, Dante criticherà l’eccessivo riferimento da parte dei rimatori della Scuola Siciliana alla produzione lirica francese Valentina Riccardelli, Matteo Marcaccio III F
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