martedì 13 settembre 2011

POETI ELEGIACI IN ETA’ DI CESARE (78-44 a. C.) e di AUGUSTO (27-14 d.C): TIBULLO (50 a.C.-19 a.C.), PROPERZIO (50 a.C.-15 a.C)

L’Elegia è un genere letterario poetico composto in Distici elegiaci ( coppia di versi alternati da un esametro e da un pentametro). Le origini del’elegia vanno ricercate, come avviene spesso per altri generi letterari, in Grecia: qui essa conobbe una fioritura notevole in età ellenistica, privilegiando  il tema erotico e quello mitologico. Il maggior esponente del genere elegiaco in età ellenistica è Callimaco di Cirene (vedi  Catullo, Orazio; labor limae,  accuratezza formale). A Roma la fioritura del genere elegiaco si ha in età augustea con Cornelio Gallo, Tibullo, Properzio, Ovidio; l’elegia romana, rispetto a quella greca, presenta una maggiore componente soggettiva: l’esperienza personale del poeta è posta al centro della produzione elegiaca.

TIBULLO   (50 a.C.-19 a.C.)
TEMI POESIA TIBULLIANA: SERVITIUM AMORIS, EROTISMO, LA CAMPAGNA (ricerca del locus amoenus, della serenità bucolica), la pace, gli antiqui ac boni mores. Costante tendenza all’accuratezza formale, poeta doctus.
ELEGIAE I, 10     Distici elegiaci
Chi fu il primo che inventò le tremende armi? Quanto feroce e veramente duro egli fu! Allora (nacquero)  le stragi per il genere umano, allora  nacquero le guerre, allora fu aperta una via più breve della tremenda morte.
V.5)Forse quell’infelice non ebbe alcuna colpa, noi volgemmo a nostro danno, ciò che egli diede contro le bestie feroci? Ciò è colpa del ricco oro,  né ci furono guerre  allorché una tazza di faggio stava accanto alle vivande. Non roccaforti, non  palizzata c’era, e il pastore (dux gregis) del gregge cercava il sonno tranquillo tra le pecore multicolori. Magari la vita fosse stata  (foret= fuisset) a me allora, o Valgo (Magari fossi vissuto allora, o Valgo) e non avessi udito la tromba di guerra col cuore trepidante; V.13)ora sono trascinato in guerra e già forse qualche nemico porta i dardi che si conficcheranno nel nostro fianco.
v.15) Ma Lari paterni, salvatemi: voi stessi mi avete alimentato quando fanciullo correvo continuamente dinanzi ai vostri piedi. Né abbiate vergogna (vos pudeat: cong. esortativo)di essere stati fatti (factos esse) col legno antico: così abitaste le dimore del vecchio avo. Allora meglio mantennero la parola, quando con modesto culto un Dio di legno stava in un piccolo tempio. V. 21) Questi (il Dio) era placato sia che qualcuno avesse offerto uva, sia che avesse offerto corone di spighe per la sacra chioma, v.23) e qualcuno esaudito nel voto portava (ferebat) egli stesso le focacce e dopo la figlioletta accompagnatrice portava il puro miele.
[…] Ma Lari,  allontanate da me (da noi= nobis) le frecce di bronzo e un maiale dal porcile pieno (sarà) la vittima rustica. Io la seguirò (sequar) con una veste pura e porterò (geram) canestri cinti di mirto e  io stesso cinto il capo di mirto. V.29) Così possa piacervi (sic placeam vobis): un altro sia forte nelle armi e pieghi i condottieri nemici col favore di Marte (favente Marte= abl. assoluto) in maniera che un soldato possa raccontare  le sue imprese a  me che bevo (mihi potanti) e sulla tovaglia dipingere col vino (mero=vino nero) gli accampamenti. v.33). Quale furore è richiamare (accersere) la nera morte con le guerre? Ci sovrasta (inminet) e viene di nascosto col tacito piede. Non c’è messe laggiù, non  vigne coltivate, ma l’audace Cerbero e il turpe nocchiero della palude stigia; v.37) Lì (illic) la pallida folla con le guance dilaniate (percussis genis= abl.assoluto) e i capelli bruciati (ustoque capillo: abl. assoluto)erra verso i luoghi oscuri. V.39)Quanto piuttosto è da lodare (laudandus est: perifr. passiva) colui che dopo aver preparato la famiglia (prole parata: abl, assoluto)una pigra vecchiaia lo tiene in una capanna. Egli stesso segue (sectatur) le sue pecore, mentre il figlio gli agnelli e la moglie prepara  a lui stanco l’acqua calda (calidam aquam). Così io possa essere(sic ego sim) e (mi) sia lecito (liceat) imbiancare il capo  (candescere caput) di canizie (canis), e ricordare (referre) da vecchio i fatti del tempo passato. V.45) Frattanto la Pace coltivi  i campi. La candida Pace dapprima condusse i buoi  ad arare sotto il gioghi ricurvi, la Pace coltivò le viti e raccolse i succhi dell’uva affinché  la tazza paterna mescesse (ut funderet) il vino al figlio, durante la Pace il bidente e il vomere brillano: mentre la ruggine (situs) invade nelle tenebre le armi tremende del soldato. V.51) Il contadino ritorna (vehit) dal bosco col carro (plaustro), lui stesso poco sobrio, la moglie e la prole.
v.53) Ma allora si infiammano le guerre di Venere (le guerre d’amore) e la donna piange (conqueritur) per i capelli strappati (scissos capillos: accusativo di relazione, alla greca) e per le porte infrante (perfractas fores). v.55) Piange (flet)  con le tenere guance livide (teneras subtusa genas: accusativo di relazione), ma anche il vincitore piange lui stesso che le (sue) mani insensate abbiano avuto tanta forza (valuisse).
v.57) Ma l’amore lascivo offre (ministrat) alla contesa parole forti, e siede impassibile tra l’uno e l’altro irato (uterque-utraque-utrumque. Pron.e agg. indefinito) v.59) Ma è pietra e ferro colui che (quicumque: pron. e agg. indefinito) colpisce la sua fanciulla: dal cielo strappa gli Dei. Sia abbastanza strappare dal corpo la tenue veste (rescindere vestem), sia abbastanza avere sciolto (dissoluisse) l’acconciatura della chioma, sia abbastanza aver suscitato le lacrime (movisse lacrimas): quattro volte beato colui per il quale irato (quo irato) una fanciulla possa piangere (potest flere).v.65) Ma colui che è crudele con le mani, questi  porti (is gerat) lo scudo e il bastone e sia  lontano dalla mite Venere. Ma  vieni a noi, o Pace alma, e possa tu tenere in mano la spiga (teneto: imperat. futuro) e la candida veste (candidus sinus) trabocchi (perfluat) di frutti davanti a te.

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