martedì 31 dicembre 2013

AGLI ALUNNI DI TUTTE LE CLASSI

"UNA SOCIETA' SENZA RITI E' UNA SOCIETA' MORTA" : AUGURO DI TRASCORRERE UNA SERATA DI GIOIA A TUTTI VOI E AI VOSTRI CARI. AUGURI DI BUON ANNO :)

giovedì 12 dicembre 2013

TIPOLOGIA B : "L’Italia nella Divina Commedia".



Sviluppa l’argomento in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando i documenti e i dati che lo corredano e facendo riferimento alle tue esperienze di studio. Da’ un TITOLO alla trattazione. Se scegli la forma del “saggio breve”, indica la destinazione editoriale, se scegli la forma dell’articolo di giornale, indica il tipo di articolo e il tipo di giornale sul quale ipotizzi la pubblicazione.
DOCUMENTI
1. “A tutti e singoli i Signori d’Italia e ai Senatori dell’alma Roma e così ai Duchi e Marchesi e Conti e ai Popoli, l’umile italiano Dante Alighieri fiorentino ed esule immeritevole invoca pace. Ecco ora il tempo propizio, nel quale spuntano i segni della consolazione e della pace. Infatti risplende il giorno nuovo, mostrando ad oriente l’aurora che già dirada le tenebre della lunga sciagura […] e già rosseggia il cielo ai suoi orli e conforta con la sua dolce serenità le attese delle genti. Anche noi vedremo la gioia tanto attesa, noi che pernottammo a lungo nel deserto, poiché sorgerà il Titano pacificatore, e la giustizia, che languiva quasi come elitropia per la mancanza del sole, appena Egli vibrerà i suoi strali, riprenderà vigore. Si sazieranno tutti quelli che hanno fame e sete di giustizia nella luce dei suoi raggi, e saranno confusi quelli che amano l’iniquità dello sfolgorare del suo volto[…].Rallegrati ormai o Italia, degna di essere commiserata anche dai saraceni, tu che presto sarai oggetto di invidia per tutta la terra poiché il tuo sposo, consolazione del mondo e gloria del tuo popolo, il clementissimo Enrico, divo e Augusto e Cesare, si affretta alle tue nozze. Asciuga le tue lacrime e cancella i segni della tua afflizione, o bellissima, poiché è orami vicino colui che ti libererà dal carcere degli empi, che percuotendo i malvagi col taglio della sua spada, li manderà in rovina, e affiderà la sua vigna ad altri coltivatori, che renderanno frutto di giustizia al tempo della messe”. D. Alighieri, Lettera ai signori e ai popoli d’Italia per la venuta di Enrico VII di Lussemburgo (Epistola V).

2. “La dovizia di personaggi presenti nella Commedia si spiega grazie alla più incisiva e più feconda innovazione che il genio di Dante abbia introdotto nel patrimonio artistico-letterario ereditato dall’Antichità e dal Medioevo: il riferimento vivo al mondo contemporaneo. Dante chiama in causa Papi e imperatori del suo tempo, re e prelati, politici, tiranni e condottieri, uomini e donne della nobiltà e della borghesia, delle corporazioni di arti e mestieri e della scuola.[…] La Divina Commedia è in pari tempo una Comédie Humaine, in cui nulla di umano appare troppo elevato o troppo misero. Il poema si muove integralmente all’interno della trascendenza ; questa però è costantemente pervasa dall’alito della storia, dalle passioni del presente. L’atemporalità e la temporalità non solo si giustappongono e si contrappongono vicendevolmente, ma anzi si intessono e si intrecciano a tal punto che i fili non sono più separabili. Il violento irrompere della storia vissuta nell’insieme degli elementi epici, mitologici, filosofici e retorici che formavano la cultura del Medioevo latino rese possibile la congiuntura da cui nacque la Commedia. E’ la risposta dello spirito di Dante al destino di dante: l’esilio. Per l’Alighieri, l’esilio non fu altro che la conferma sul piano personale del generale sconvolgimento del mondo. Imperium e sacerdotium erano usciti dalla retta via; la Chiesa degenerata; l’Italia disonorata: (Pg, VI) Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello. Il mondo era dissestato; a Dante toccava l’immane compito di rimetterlo in carreggiata. Nella Monarchia, egli si era proposto di determinare i giusti rapporti tra Impero e Papato. Nella Commedia egli smembra l’intero universo storico, per poterlo quindi ricomporre nel cosmo astrale dell’universo e nel cosmo metafisico della trascendenza; i valori dell’uno e dell’altro sono in stretta e reciproca corrispondenza”. Da E. R. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, La Nuova Italia, Firenze 1995.

3. “La polemica contro Firenze e la constatazione della sua decadenza politica e morale si estende nella Commedia anche alle città dell’Italia centro-settentrionale, fino ad abbracciare nell’apostrofe di Sordello l’Italia nel suo complesso;essa è ricondotta sostanzialmente alla cupidigia sul piano morale e alla vacanza dell’Impero sul piano politico. Al pari di Firenze nell’Inferno, altre città toscane vengono presentate con i tratti della bestialità.[…]Anche nel discorso di Marco Lombardo, in Pg. XVI, ricompare l’opposizione antico/nuovo: valore e cortesia della antica età contro l’età nova definita anche secol selvaggio(Pg XVI, v.135). […]Marco Lombardo fonde nel suo discorso prospettiva filosofica e prospettiva politica, il principio del libero arbitrio con la “teoria dei due grandi luminari” (Monarchia, III, IV,2), le istituzioni della Chiesa e dell’Impero, cui spetta la funzione di guidare correttamente l’uomo sulla strada del mondo e su quella di Dio. Nelle parole di Marco Lombardo vengono quindi a corrispondere la dimensione individuale e quella universale della storia, il discorso etico e quello politico: allo stesso modo in cui l’anima semplicetta ha bisogno di guida o fren per indirizzarsi al bene, così gli uomini inclinano al male perché il Papa, la loro guida dà il cattivo esempio.[…]. Strutturalmente il canto VI e il canto XVI hanno in comune sia l’opposizione passato /presente, i cui poli sono rappresentati dalla grandezza della Roma repubblicana e da Firenze, e in cui l’Italia, un tempo giardin de lo ‘mperio (Pg VI), contrasta con lo stato attuale di abbandono, associabile ancora una volta alla selva di Inf. I; sia la necessità di una guida e di un freno, idea fondamentale nel pensiero di Dante, che è rappresentata dall’immagine dell’Italia divenuta selvaggia per mancanza di guida”. R.Merlante-S.Prandi, L’altro viaggio. Antologia dantesca, La Scuola,Brescia 2006.
4.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!
Quell' anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
di quei ch'un muro e una fossa serra.
Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
s'alcuna parte in te di pace gode.
Che val perché ti racconciasse il freno
Iustinïano, se la sella è vòta?
Sanz' esso fora la vergogna meno.
Ahi gente che dovresti esser devota,
e lasciar seder Cesare in la sella,
se bene intendi ciò che Dio ti nota,


guarda come esta fiera è fatta fella
per non esser corretta da li sproni,
poi che ponesti mano a la predella.
O Alberto tedesco ch'abbandoni
costei ch'è fatta indomita e selvaggia,
e dovresti inforcar li suoi arcioni,
giusto giudicio da le stelle caggia
sovra 'l tuo sangue, e sia novo e aperto,
tal che 'l tuo successor temenza n'aggia!
Ch'avete tu e 'l tuo padre sofferto,
per cupidigia di costà distretti,
che 'l giardin de lo 'mperio sia diserto.
Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
color già tristi, e questi con sospetti!
(Dante, Purg. VI, vv. 76-108)





5. Il signore, quando sale al potere, è il delegato degli interessi e della classe e della parte della quale si è messo a capo; le aspirazioni sue personali e quelle di chi lo ha portato in alto coincidono. La signoria perciò non comporta una mutilazione vera e propria del popolo; ma piuttosto una disciplina di lotta. Gli atti che seguono l’elezione del capitano generale (capitano del popolo), ci persuadono subito di questo: si cacciano gli avversari, e i beni degli esuli, se in parte sono devoluti all’estinzione dei debiti del comune, sono anche concessi agli amici, e intimi rapporti di interessi si stringono fra il signore e i suoi seguaci.

Da A.Anzillotti, Movimenti e contasti per l’unità d’Italia, Laterza, Bari 1930


martedì 10 dicembre 2013

AGLI ALUNNI DELLA I A

PER GIOVEDI' 12 DICEMBRE RACCOMANDO DI PORTARE LE SCHEDE SULLA FIABA, FAVOLA, RACCONTO, NOVELLA. :)

ARTICOLO DI GIORNALE


E' un testo espositivo-argomentativo, in cui l’articolista racconta e commenta una notizia, un evento, una tematica particolare riportando varie opinioni sull’argomento che trae da altri articoli, saggi, ecc.
FASI DI SVOLGIMENTO DELL’ ARTICOLO DI GIORNALE
• PRESCRITTURA
- Lettura e analisi della consegna e dell’argomento (Traccia)
- Lettura della documentazione a disposizione
- Scelta della TESI da sostenere e delle argomentazioni a favore della tesi
- TITOLO (Occhiello- Titolo- Sottotitolo. Meglio se formulato successivamente)
- DESTINAZIONE EDITORIALE - OCCASIONE: quotidiano; rivista divulgativa a carattere artistico- letterario, storico- politico, socio-economico, tecnico-scientifico; rivista specialistica; giornale scolastico. Occasione: Mostre, anniversari, convegni di studi.
- TIPO DI ARTICOLO che si vuole redigere: 1) articolo di cronaca 2) articolo di opinione 3) articolo culturale 4)recensione 5)intervista
- STILE: sintassi più o meno complessa ( a seconda della destinazione editoriale e del tipo di articolo).

- Costruzione di una SCALETTA del testo argomentativo:
A) INTRODUZIONE: Informazioni sommarie sull’argomento proposto nella traccia: si espongono i termini del problema. Enunciazione della questione nei suoi elementi informativi fondamentali
B) Dichiarazione della TESI, da inserire in posizione di rilievo: preferibilmente all’inizio del testo, oppure nel corso o alla fine della trattazione.
C) Evidenziazione di eventuale ANTITESI.
D) Elaborazione, attraverso paragrafi (nuclei di testo coesi e coerenti), delle ARGOMENTAZIONI a favore della tesi, e a confutazione dell’antitesi, scegliendo un criterio logico di successione.
E) Stesura della CONCLUSIONE, in cui si riassume il risultato dell’argomentazione, prospettando eventuali sviluppi della tesi sostenuta.
F) assegnazione del TITOLO.

• SCRITTURA
- INTRODUZIONE (A)- CORPO CENTRALE DEL TESTO (B;C;D) –CONCLUSIONE (E) : sviluppo dei punti della scaletta (A;B;C;D;E). L’Introduzione e la Conclusione del testo possono essere scritte anche dopo aver completato la stesura del corpo centrale del testo che contiene la trattazione vera e propria dell’argomento oggetto del saggio ( Tesi /Antitesi; argomentazioni a favore della Tesi).
- Assegnazione del TITOLO
- Ricordati di dedicare a ciascun punto della scaletta un paragrafo,, cioè una porzione di testo unitaria per significato e struttura morfosintattica, caratterizzata da una relativa autonomia dal resto del testo. Una volta concluso il paragrafo, va’ a capo (non confondere il Paragrafo con il Periodo).
- I dati informativi vanno corredati da precisi e opportuni riferimenti testuali. Citazione bibliografica: Nome e cognome autore, Titolo opera (tra virgolette oppure sottolineato), casa editrice, luogo e data di edizione. Es: C.Levi, “Cristo si è fermato ad Eboli”, ed.Einaudi, Torino 1945.

• POSTSCRITTURA: Rilettura e correzione; copiatura, rilettura conclusiva.



ESEMPIO DI COMPONIMENTO - TIPOLOGIA B: ARTICOLO DI GIORNALE

AMBITO: socio-economico
OCCHIELLO: il cambio al vertice Fiat alla vigilia del piano industriale
TITOLO: Elkam alla presidenza Fiat
SOTTOTITOLO ( sommario) : Montezemolo lascia la Fiat dopo sei anni
DESTINAZIONE-TIPOLOGIA DI ARTICOLO: Articolo di primo piano della prima pagina di un quotidiano.


TIPI DI ARTICOLI

ARTICOLO DI CRONACA: Ha lo scopo di informare su un argomento fornendo i seguenti dati:
1) Descrizione dell’evento
2) Dove si è svolto
3) Quando si è svolto
4) Protagonista della vicenda
5) Perché è avvenuto
Un fatto di cronaca deve essere individuato da 5 variabili che il giornalismo anglosassone ha definito le 5 W : who, when, what, where, why
L’articolo di cronaca è un articolo a carattere narrativo, descrittivo ed informativo.
LESSICO: quotidiano
SINTASSI: semplice e lineare
ARTICOLO DI OPINIONE: Fornisce l’interpretazione di un fatto di cronaca e di attualità-costume. TIPOLOGIA DI TESTO: prevalentemente argomentativo
LINGUA E STILE: SINTASSI COMPLESSA /VARIA
L'articolo di cronaca può assumere varie forme:
1) EDITORIALE: così chiamato perché è scritto e firmato dal direttore del giornale, è l’articolo di opinione per eccellenza , stampato sulla colonna sinistra di un quotidiano oppure in apertura di una rivista divulgativa. L’editoriale rappresenta l’orientamento ufficiale di quel giornale in base ad un fatto di attualità
2) ARTICOLO DI FONDO: si sostituisce spesso all’editoriale. Esso è collocato in alto a sinistra della prima pagina e prosegue nelle pagine dopo. Esso non è scritto necessariamente dal direttore del giornale, tuttavia riflette l’orientamento del giornale stesso.
3) ARTICOLO DI SPALLA: compromesso tra articolo di cronaca e di opinione. Tratta temi di attualità, ma ha un taglio di più ampio respiro. Esso è collocato sulla colonna destra della prima pagina e spesso ha il compito di rafforzare l’argomento trattato nell’articolo centrale.
4) ARTICOLO DI TAGLIO: così chiamato perché pubblicato a mezza pagina su più colonne. Può essere collocato non necessariamente nella prima pagina e a seconda della sezione del giornale in cui esso è collocato ( PRIMO PIANO- CRONACA- ECONOMIA- SCIENZA- CULTURA E SPETTACOLO- SPORT), si occuperà di attualità, cronaca etc..

ARTICOLO CULTURALE:
è incentrato su un avvenimento o fenomeno a carattere culturale. E’ destinato ad un quotidiano nella sezione dedicata alla cultura ( terza pagina ) oppure è destinato ad una rivista divulgativa a carattere storico, politico, letterario ect..
TIPOLOGIA DI TESTO: espositivo argomentativo
LESSICO: SINTASSI COMPLESSA / VARIA
L’articolo culturale può prendere la forma di Elzeviro ( perfetto per l’ ambito artistico letterario collocato in una terza pagina del quotidiano).

RECENSIONE: ha lo scopo di informare sull’uscita di un libro, apertura di una mostra, evento, spettacolo. Fornisce anche un giudizio personale sull’evento stesso. Esso può essere collocato nella terza pagina, in una rivista culturale divulgativa o specialistica.
TIPOLOGIA: descrittivo-espositivo
LINGUA E STILE: SINTASSI VARIA

INTERVISTA













ILLUMINISMO ITALIANO. CENTRI DI DIFFUSIONE DELLA CULTURA ILLUMINISTICA : MILANO, NAPOLI


Dalla Francia che era stata la culla più feconda per l’elaborazione e al maturazione delle idee illuministiche, l’Illuminismo si diffonde presto in altri paesi europei (soprattutto in Germania, in Austria, in Prussia, in Russia) grazie alle opere dei filosofi illuministi: Voltaire, Rousseau, Diderot, Montesquieu.
Gli storici moderni hanno individuato tre fasi nella diffusione dell’Illuminismo in Europa:
1- 1740-1750: forte diffusione delle idee riformatrici e illuministiche;
2- Fase di collaborazione tra intellettuali e potere illuminato;
3- Seconda metà del Settecento: interruzione della collaborazione tra intellettuali e potere con l’instaurazione di un riformismo autocratico e dall’alto.
Nel corso del Settecento le idee illuministiche trovano consenso anche in Italia, adattandosi al sostrato culturale dettato dalla nostra lunga tradizione culturale di stampo classicistico. Infatti, sebbene l’Illuminismo sia un movimento a carattere cosmopolita, esso assunse caratteri e sfumature diverse a seconda delle realtà specifiche in cui esso si sviluppa.
Inizialmente viene accolto con fervore entusiastico, suscitando consensi specialmente tra gli uomini di cultura. Le idee illuministiche circolarono soprattutto nei salotti aristocratici, nuovi centri di divulgazione della cultura, nelle Accademie, nei Caffè letterari. Le corti persero gradualmente l’antico ruolo di irradiamento culturale.
In Italia si assiste ad una larga diffusione della cultura illuministica: Montesquieu, Voltaire, Diderot, Rousseau vengono letti e tradotti tempestivamente. Gli intellettuali italiani, tuttavia, vagliarono le nuove dottrine: alcune le accettarono, altre le respinsero, facendo assumere all’illuminismo italiano un carattere proprio. In Italia le idee illuministiche, sviluppandosi in contesti di regimi assolutistici, non ebbero la forza e la possibilità di tradursi in diretta azione politica, di avere un riscontro immediato nella vita sociale e si è attestato principalmente su posizioni teorico-speculative. L’illuminismo italiano ha attenuato gli aspetti più radicali e rivoluzionari dell’Illuminismo francese, preferendo concentrare l’attenzione sui problemi che riguardano la vita sociale e civile del nostro Paese di cui avvertono i limiti e l’arretratezza. In Italia infatti le istanze illuministiche si concretizzarono in proposte innovatrici volte allo svecchiamento delle strutture sociali-economiche, ancora di stampo feudale.
CARATTERI PECULIARI DELL’ILLUMINISMO ITALIANO
- Assenza di una vera polemica antireligiosa e antiecclesiastica;
- Moderata polemica contro i regimi assoluti: gli Illuministi italiani coinvolsero spesso i sovrani nell’azione di rinnovamento della società mediante riforme concrete nell’economia, nell’agricoltura, nel commercio nell’istruzione, nelle strutture giuridiche e sociali.

Anche sul PIANO LETTERARIO l’Illuminismo italiano rinnovò la secolare tradizione letteraria operando con una certa moderazione e conciliando la mai tramontata
- tradizione classicistica
- con le nuove istanze culturali, che conferivano alla Letteratura e alla Poesia un carattere ed una FINALITÀ ETICO-DIDASCALICA: l’istruzione, e in generale la cultura, è concepita quale strumento di educazione del popolo, che contribuisce alla restaurazione della coscienza morale e civile.
La Letteratura, che dal Petrarca al 1700 era stata dotta e aristocratica, intesa spesso come puro e raffinato esercizio retorico o come strumento di evasione, estranea alle problematiche della vita reale e che con l’esperienza dell’Arcadia era divenuta idilliaca, cortigiana e salottiera, con l’Illuminismo diviene una Letteratura impegnata, virile, concreta , tutta calata nella realtà umana e sociale dei tempi nuovi: dopo secoli di letteratura aulica, riservata ad una ristretta cerchia d’elite, la letteratura cerca di avvicinarsi gradualmente ai problemi vivi della realtà contemporanea.
Oltre alle finalità etico-didascaliche, si avverte l’esigenza di una più ampia divulgazione del sapere, non più riservato all’aristocrazia delle corti feudali e rinascimentali, ma rivolto a soddisfare i bisogni di strati sempre più ampi della società borghese desiderosa di far valere le proprie istanze e i propri diritti sulla vecchia aristocrazia improduttiva e parassitaria; a tal proposito si diffusero nel ‘700 nuovi centri di divulgazione culturale: sorsero nuove Accademie (L’Accademia dei Pugni a Milano, 1761, Pietro e Alessandro Verri; L’Accademia Granelleschi a Venezia; l’Accademia dei Trasformati a Milano, 1546), alle quali si aggiunsero i Caffè letterari, le riviste letterarie, i giornali (sul modello degli inglesi “The Tatler” , “The Spectator”).
In campo letterario, l’Illuminismo assunse innanzitutto le forme di ribellione alla tradizione letteraria barocca che aveva caratterizzato le arti figurative e la letteratura fin dalla seconda metà del ‘500. Alla letteratura edonistica del Barocco “è del poeta il fin la meraviglia”, al culto del bizzarro, della forma artificiosa e ampollosa (ricca di metafore, ossimori, iperboli) si contrappone nel ‘700 l’esigenza di un rinnovamento culturale in direzione di una ripresa della tradizione classicistica: l’illuminismo interpreta il classicismo in chiave di armonia, di compostezza formale, di razionalità assoluta. C’è dunque il ritorno al classicismo umanistico rinascimentale, non già in termini di tematiche, che assumono ora una valenza etico-sociale tesa all’impegno civile, quanto a livello stilistico e formale.

La seconda metà del Settecento rappresenta per l’Italia un periodo eccezionale di pace: l’equilibrio venutosi a creare tra i Borbone e gli Asburgo dopo la pace di Aquisgrana (1748) esclude il nostro Paese dai più gravi conflitti tra le potenze europee. L’Italia nel Settecento non è più al centro dello scontro tra potenze straniere come era accaduto nel corso del Cinquecento, è divenuta ormai semplice pedina in un gioco di equilibri i cui centri di irradiazione sono l’Inghilterra, se pure non direttamente, la Francia della monarchia borbonica, l’Austria. Grazie a questo lungo periodo di pace, vennero promosse in Italia importanti riforme da parte dell’assolutismo illuminato.
i centri più importanti di diffusione della cultura umanistica italiana furono→ MILANO, NAPOLI


MILANO: L’ARISTOCRAZIA RIFORMATRICE

A Milano, dominio asburgico, l’imperatrice Maria Teresa d’Austria (1740-1780) e poi suo figlio, Giuseppe II avevano dato avvio ad un’intensa politica riformatrice di innovazione legislativa, incisiva e lungimirante che atteneva al piano economico, civile amministrativo.
- I sovrani austriaci riformarono l’agricoltura con opere di canalizzazione e di bonifica;
- fu conclusa la stesura di un Catasto fondiario* (1718-1733)
nel quale erano descritte minutamente le caratteristiche e il valore di ogni singola parte della proprietà terriera, in modo da costituire una base certa su cui applicare un’aliquota fiscale.
Fu abolita anche la Pena di morte sulla scia dei principi sostenuti da Cesare Beccaria (1738-1794), uno dei maggiori animatori dell’Illuminismo lombardo, nonno materno di A. Manzoni, che si rese famoso nella seconda metà del ‘700 per la pubblicazione dell’opera “Dei delitti e delle pene”(1764), contro la tortura e la pena di morte. Notevole impulso fu dato anche all’istruzione: fu aperta a Milano la Biblioteca Di Brera, fu costruito il Teatro alla Scala.
A Milano, la strategia riformatrice divenne più intensa e radicale con Giuseppe II, divenuto imperatore alla morte del padre, Francesco di Lorena ( al secondogenito di Francesco di Lorena, Pietro Leopoldo, fu affidato il Granducato di Toscana). Si assisté alla graduale laicizzazione dello stato mediante la soppressione degli ordini religiosi ritenuti inutili (frati e monache); fu istituita la libertà di religione secondo il principio di tolleranza verso tutti i culti religiosi; fu ammesso il matrimonio civile tra cattolici e non cattolici con la possibilità per questi ultimi di divorzio; si abolì la discriminazione nei confronti degli Ebrei, si istituì l’istruzione elementare obbligatoria.
Gli antichi privilegi del Clero (esenzioni dalle imposte, tribunali ecclesiastici riservati) furono aboliti tra il 1765–1768.
• L’origine dei Catasti fu un fenomeno assai particolare nel Settecento: esso corrispondeva all’esigenza da parte delle monarchie italiane di avviare una solida politica fiscale basata sull’accertamento rigoroso della ricchezza dei contribuenti in modo da porre fine alle antiche esenzioni e agevolazioni fiscali di cui godevano ormai da troppi secoli il Clero e l’aristocrazia. Il primo Catasto fondiario fu realizzato nel regno di Sardegna tra il 1698-1731 allo scopo di ripartire più equamente l’imposta fondiaria.




ILLUMINISMO NAPOLETANO

Napoli rappresentò nel Settecento un importante centro di irradiamento della cultura illuministica mediante l’opera di intellettuali di spicco , tra cui ricordiamo:
 Gaetano Filangieri (1753-1788), noto per le riforme in ambito giuridico, autore della Scienza della Legislazione;
 Antonio Genovesi (1713-1769), padre fondatore dell’ economia politica in Italia, autore delle Lezioni di commercio o sia di economia civile;
 Ferdinando Galiani (1728-1787), autore del primo trattato dedicato alla storia della moneta e alla storia della civiltà dal punto di vista economico “Della moneta libri V”;
 Pietro Giannone (1676-1748), storico illuminista, autore della Storia civile del Regno di Napoli;
 Giovan Battista Vico (1668-1744), storico e filosofo, studioso delle scienze umane, fondatore della filosofia della storia: la storia non più intesa solo come narrazione di eventi, ma scoperta degli intrecci reciproci dei vari piani del sapere; Idea dei corsi e dei ricorsi storici; importanza della Filologia nello studio delle opere antiche e moderne.
A Napoli le strategie riformatrici furono avviate in maniera incisiva durante il regno di Carlo III di Borbone (1734-1759), figlio di Elisabetta Farnese e di Filippo V di Borbone. Questi, sostenuto dagli studi e dai contributi di giovani intellettuali riformisti, avviò una politica di riforma agraria con l’estensione di terreni messi a coltura; contribuì alla creazione di una solida politica fiscale mediante la compilazione di un Catasto fondiario, favorì l’abolizione di antichi privilegi fiscali rivolti ad aristocratici e al Clero.

L’ETA’ DELLA RAGIONE E DELLE RIFORME.


L’Illuminismo è un vasto movimento di pensiero che sorge in Europa nel Settecento, guidato da una spinta di rinnovamento che percorre tutta la società del tempo. Fu così chiamato perché nel suo metodo di ricerca
Si proponeva di indagare tutta la realtà sensibile con i soli “lumi” della ragione umana, indipendentemente da ogni dogmatismo, da ogni principio di autorità, ma anche aldilà di implicazioni moralistiche o metafisiche. E’ dunque la RAGIONE la sola fonte di guida per il metodo di ricerca.
L’Illuminismo si proponeva di rischiarare le menti degli uomini al fine di emanciparli dall’ignoranza, dalla superstizione, da tutta la precedente tradizione culturale basata sul principio di autorità ed infondere la piena fiducia nelle proprie capacità intellettive di creare la storia e condizionare gli eventi.. 1- Il carattere principale dell’Illuminismo è dunque la FEDE ASSOLUTA NELLA RAGIONE. La ragione rappresenta per l’Illuminismo l’unico strumento di indagine della realtà sensibile: è questa la dote che accomuna gli uomini di ogni luogo e tempo; essa permette di giungere a certezze universali e inconfutabili operando indipendentemente da ogni autorità, senza vincoli metafisici, teologici o moralistici. C’è, dunque grazie alla guida della ragione, la fiducia assoluta nella capacità di progresso della società civile.
A tal proposito, l’illuminismo non si occupa di tematiche che esulano dal controllo della ragione, come il problema dell’esistenza di Dio o del destino dell’uomo dopo la morte.
L’uomo e la ragione umana assumono nuovamente un posizione centrale all’interno dei dibattiti culturale e filosofici del tempo: l’uomo è posto di nuovo al centro dell’universo.
La natura è concepita fondamentalmente come una forza benigna e razionale: natura e civiltà coincidono. La natura inoltre è rischiarabile: spetta al’uomo il compito di investigarla al fine di cogliere l’ordine intrinseco delle cose, le leggi fisiche che sottendono all’evoluzione naturale. L’illuminismo è un movimento di pensiero che prelude alla prima Rivoluzione industriale e che si auspica che grazie al progresso della tecnica si possa giungere a condizioni di vita più tollerabili per più larghi strati sociali.
2- Altro carattere dell’illuminismo è IL PROCESSO AL PASSATO E ALLA SOCIETÀ CONTEMPORANEA. Gli illuministi sottopongono a processo tutta la storia del passato e della società del Settecento per individuare le cause di tante aberrazioni, di tante ingiustizie sociali, di fanatismi e pregiudizi, tutti mali che hanno allontanato l’uomo da quella felicità originaria che lo contraddistingueva quando egli viveva ancora nello stato di natura, all’origine dei tempi.
Gli Illuministi individuano le cause dei conflitti sociali e delle ingiustizie contemporanee nella
- Tirannide spirituale esercitata dalla Religione e dalla Chiesa;
- Tirannide politica dei Principi

La Religione è concepita in un’accezione estremamente negativa, come uno strumento secolare di oppressione nelle mani della Chiesa e del Clero, di asservimento e sfruttamento dei popoli mediante il deterrente delle pene infernali, della scomunica e della dannazione eterna: motivi di cui si è servita la Chiesa fin dal Medioevo per esercitare il proprio potere temporale, oltre che spirituale.
Sul piano religioso gli Illuministi abbandonano la dottrina tradizionale: il Teismo, basato sulla fede in un solo Dio creatore e governatore del mondo, personale e trascendente, pronto al castigo e alla punizione (vedi Filosofia aristotelico-tomistica, Dante).
A seconda della nazione in cui l’Illuminismo si sviluppò, abbiamo atteggiamenti diversi: si va dal
- DEISMO (Inghilterra inizi ‘700), teoria filosofico-religiosa che ammette l’esistenza di un dio come principio trascendentale dell’universo, concepito come forza naturale al di fuori dei dogmi e della rivelazione.
- ATEISMO MECCANICISTICO, diffuso principalmente in Francia e sostenuto da filosofi e scienziati materialisti. I filosofi illuministi, ricollegandosi agli importanti risultati tecnici ottenuti grazie al progresso della Meccanica quale parte della Fisica che studia il movimento e l’equilibrio dei corpi, sostenevano come la Natura e anche l’uomo ( inteso come corpo di sola materia pensante) fossero governati da rigorose leggi matematiche, inesorabili e universali; nulla avviene a caso, poiché la Natura funziona secondo leggi proprie che sono del tutto disgiunte dalla Religione e da Dio. L’uomo partecipa al movimento universale della Natura, è anch’esso costituito da atomi ed è dotato di materia pensante: la Ragione.
A proposito dei regimi assoluti e della tirannide politica esercitata dai principi, gli Illuministi polemizzano contro il principio dell’origine divina del potere regale. Il potere dei principi è origine umana ed è di natura contrattuale: esso è il risultato di un contratto (Pactum unionis) tra Principi e Popolo allo scopo di salvaguardare la giustizia. Nel momento in cui i Principi vengono meno a questo patto, il Popolo ha il diritto di riprendersi il potere ad essi delegato.
3- Sul PIANO POLITICO-SOCIALE, l’Illuminismo condannò l’assolutismo monarchico, nonché gli antichi privilegi feudali propri del Clero e dell’aristocrazia. L’Iluminismo proclamò ideali di giustizia sociale, di libertà, di uguaglianza, di fraternità universale; sebbene questi ideai fossero propugnati dalla borghesia capitalistica che mirava ad un’ascesa sociale sostituendosi nell’esercizio del potere alla Chiesa e all’aristocrazia ( ceto ormai immobile e parassitico), essi erano avvertiti come valori eterni e inalienabili, destinati a rappresentare il fondamento di ogni democrazia. A tal proposito l’Illuminismo può essere considerato un prodotto della cultura borghese , perché della borghesia rappresentò le aspirazioni e gli interessi, tuttavia conteneva in sé la carica dirompente e rivoluzionaria che avrebbe condotto a importanti conquiste sociali. Basti pensare all’Illuminismo giuridico, che si manifestò nella elaborazione di un nuovo metodo di concepire i rapporti tra Stato e Individuo; in campo giuridico si fissarono principi fondamentali, quali la categoria dei “diritti naturali”, il principio inalienabile di libertà, la sovranità popolare, la divisione dei poteri dello Stato, l’abolizione della pena di morte e della tortura.
Stabilita la pars destruens, cioè tutti gli aspetti della storia antica e moderna che andavano rigettati perché considerati turpi e dannosi per la società:
-la tirannide esercitata dalle monarchie assolute
-la tirannide esercitata dalla religione e dalla Chiesa
- i privilegi detenuti dal clero e dall’aristocrazia,
gli Illuministi prospettano una “pars instruens” e postulano una fiducia entusiastica nei confronti della ragione e de sue illimitate capacità, certi di poter creare un società nuova, più libera e progredita, fondata su principi di libertà, uguaglianza, fraternità.
4- In campo letterario, l’Illuminismo coltivò una nuova concezione della letteratura. In questo progetto ottimistico di riformare la società grazie ai lumi della ragione, la LETTERATURA ASSUME UNA FUNZIONE DIDASCALICA divenendo uno strumento di propaganda e di divulgazione di ideali di vita superiori in tutti gli strati sociali. La Letteratura, e in generale la cultura, è concepita mezzo di elevazione della dignità umana, valore che contribuisce alla restaurazione della coscienza civile. L’Illuminismo non rigettò la tradizione classicistica con il suo culto della bella forma, la ricerca di uno stile raffinato, chiaro e levigato, tuttavia, riprendendo la poetica oraziana dell’utile dulci, per cui la letteratura doveva assumere anche una valenza sociale, giunse all’elaborazione di una letteratura che potesse confrontarsi con le “cose”, con gli oggetti della realtà presente, superando i limiti di un classicismo stucchevole e vuoto di contenuti.


Altre sfumature dell’Illuminismo sono:
il cosmopolitismo (=uomo cittadino del mondo, in virtù di una fraternità universale che deve sostenere gli individui in una comune lotta contro tutte le forme di tirannide; tale impegno fu detto anche filantropismo o umanitarismo), il mito del buon selvaggio, l’antistoricismo; quest’ultimo aspetto è stato respinto dalla moderna critica letteraria: se è vero che gli illuministi hanno sottoposto a processo tutta la storia passata densa di eventi aberranti e riprovevoli (cfr. il giudizio sul Medioevo), tuttavia hanno giudicato questo stesso passato non incontrastabile, poiché l’uomo moderno, grazie alla ragione, può modificare il corso degli eventi e lottare per un futuro migliore. LA STORIA È VISTA DAGLI ILLUMINISTI COME IL FRUTTO DEL CAMMINO DELLA CIVILTÀ, COME UNO SVOLGIMENTO UMANO CHE SCATURISCE DALLE SCELTE DELL’UOMO.













lunedì 25 novembre 2013

AGLI ALUNNI DELLA III D

COMUNICO AGLI ALUNNI DELLA III D CHE GIOVEDI' 28, SEBBENE SIA UN GIORNO RISERVATO ALLE SPIEGAZIONI, INTENDO CONCLUDERE LE VERIFICHE ORALI DI ITALIANO GIA' INIZIATE ( ALMENO GLI ALUNNI MARIA, MALAGISI). CORDIALI SALUTI :)

sabato 16 novembre 2013

AGLI ALUNNI DELLA I A - ANALISI LOGICA (CON CASO LATINO) - ANALISI GRAMMATICALE

ECCO PER VOI, COME PROMESSO, L'ASSEGNO DI GRAMMATICA PER LUNEDI' 18/ 11. TRASCORRETE UN BUON FINE SETTIMANA... :)

1)Napoleone Bonaparte morì in esilio nell'isola di Sant'Elena.
2)Il pesto alla genovese è una delle specialità gastronomiche della Liguria.
3) Di tutte le bugie che mi hai raccontato, questa è la più incredibile.
4) Fornirà loro a chiare lettere le informazioni che desiderano per pochi euro.
5) Per la ricchezza del patrimonio artistico, la città di Firenze attira ogni anno milioni di visitatori provenienti da tutto il mondo.
6) Mario ha comprato per la scuola libri usati a metà prezzo.
7) Con l'impegno e con la moderazione Sara è riuscita a raggiungere con successo gli obiettivi che si era prefissa.
8) Alessandro Magno ebbe per maestro Aristotele.
9) Riccardo camminava a passo veloce verso la biblioteca della scuola, desideroso di arrivare in fretta.
10) I soldati avanzavano silenziosi attraverso la boscaglia, con estrema attenzione.
11) A scuola ogni anno si raccolgono fondi per i bambini del Terzo Mondo.
12) Nel tuo discorso abbiamo colto il desiderio di impegno per la raccolta di fondi a favore delle famiglie più disagiate.
13)Giulio è un uomo di grande esperienza sulle energie alternative.
14) Le ancelle offrivano in dono a Minerva ceste colme di primizie a garanzia di devozione religiosa.
15) Il professore ha assegnato una relazione di storia sugli antiche Sumeri, relazione che gli alunni batteranno al computer.

venerdì 8 novembre 2013

AGLI ALUNNI DELLA IV E

ASSEGNO DI ITALIANO PER GIOVEDI 14/11
Ciascun viaggio è un’occasione di crescita e di confronto che consente di andare a ritroso nel tempo o di spaziare nel futuro. Descrivi il fascino del viaggio muovendo dalle sensazioni, dai ricordi, dalle immagini che scorrono nella tua mente a seguito di una tua recente o lontana esperienza.

ASSEGNO DI LATINO PER MARTEDI 12/11

Esercizio n.14, pag. 47, frasi 11-15.
Esercizio n. 20,pag.50, frasi 1-5

mercoledì 6 novembre 2013

TORQUATO TASSO (1544-1595)


E' considerato uno dei vertici assoluti della poesia epica, poesia lirica, poesia pastorale. La sua poesia e la sua biografia riflettono i profondi conflitti culturali e storici dell’età della Controriforma, conflitti che lo condussero al disagio psichico e alla follia. La sua produzione letteraria, assai ricca, rappresenta una lucida ed altissima testimonianza della crisi dell’età rinascimentale.
T.Tasso nacque a Sorrento da un nobile cortigiano, il poeta Bernardo Tasso e da una nobildonna toscana, Porzia de’Rossi. Trascorse la sua vita spostandosi da una corte all’altra dell’Italia settentrionale; fu a Venezia, a Padova ( dove studiò all’università, dapprima Diritto, poi Eloquenza e Filosofia. Scrisse il poema cavalleresco “Il Rinaldo”), a Bologna (dove studia Lettere all’università, segue le lezioni sulla Poetica di Aristotele, coltiva una profonda amicizia col filosofo aristotelico Sperone Speroni), a Ferrara (1565-1575) dove trascorse il periodo più felice e fecondo della sua carriera artistica e letteraria. A Ferrara fu poeta di corte al servizio del cardinale Luigi d’ Este. Qui inizia la composizione della sua opera più intensa e significativa: La Gerusalemme liberata.
Prende parte al dibattito culturale-filosofico sulla finalità dell’arte secondo i principi della Poetica di Aristotele; tale dibattito si era alimentato a seguito della pubblicazione nel 1548 della nuova edizione commentata della Poetica di Aristotele a cura del professore padovano Francesco Robortello. L’edizione commentata del Robortello, fissa la Poetica di Aristotele come modello teorico del classicismo letterario fino a tutto il Settecento.
Questi sosteneva che il fine dell’arte e della letteratura fosse per Aristotele il piacere, il diletto e l’edonismo.
Altri studiosi, facenti capo al filosofo Sperone Speroni, maestro di Tasso, esaltavano il fine didascalico e moralistico della letteratura e la necessità per l’opera d’arte di riflettere fedelmente la realtà storica contemporanea; di essere il più possibile aderente al “vero” (principio della verosimiglianza)
L’autore matura in questi anni la propria posizione teorica in merito al dibattito sulla struttura e sulle finalità delle opere letterarie e, in particolare, del poema epico cavalleresco. Tasso espone i propri ideali artistici nell’opera “Discorsi dell’arte poetica”.
- Da un lato il Tasso prende le distanze dall’opera ariostesca, l’Orlando furioso, per la preminenza in essa dell’elemento fantastico, meraviglioso e magico, poco attinente alla realtà, sostenendo (il Tasso) la necessità per il poeta di osservare fedelmente le unità aristoteliche di tempo, luogo e azione e sostenendo il principio della “verosimiglianza” in luogo del principio del favoloso. La poesia, per Tasso, trattando il verosimile piuttosto che il favoloso, deve avere, comunque, un fine educativo e cristiano. Nella Gerusalemme liberata parliamo, infatti, di “meraviglioso cristiano” inteso come manifestazione della presenza divina nel mondo e nella vita degli uomini, attraverso visioni, profezie, miracoli, conversioni. Non mancano naturalmente altri temi comuni alla tradizione del poema epico rinascimentale : la guerra, l’amore, la magia (come manifestazione dell’irrazionale, espressione delle forze diaboliche, doppio negativo dell’amore), il paesaggio (specchio della psicologia e delle emozioni dei personaggi, utopia dell’idillio pastorale, illusoria ricerca del locus amoenus).
- Allo stesso tempo il Tasso pone, come scopo centrale dell’opera, il diletto e l’intrattenimento di un pubblico ampio ed eterogeneo, che vuole identificarsi nelle vicende e nei personaggi dell’opera, che cerca nel poema la varietà e la molteplicità della realtà quotidiana. La posizione teorica del tasso è , dunque, una posizione intermedia tra i principi poetici sostenuti da Francesco Robortello (l’arte per l’arte; arte=diletto e piacere) e quelli difesi e sottolineati dal filosofo padovano Sperone Speroni (opera d’arte=finalità moralistica).
Nel 1567 pubblica una prima raccolta di Rime, prevalentemente amorose, ma anche religiose e d’occasione; quindi attende alla composizione dell’Aminta</i>, un dramma pastorale rappresentato la prima volta nel 1573 che suscitò un notevole interesse del pubblico.
Nel decennio 1565-1575 T.Tasso conclude una prima versione completa della sua opera più nota, La Gerusalemme liberata (poema epico in ottave di endecasillabi, in 20 libri, dedicato al duca Alfonso II d’Este ) che rappresenta il coronamento di un lungo e sofferto percorso di ricerca e il realizzarsi di una teoria poetica a lungo meditata.


TASSO OPERA DIVERSE INNOVAZIONI RISPETTO ALLA MATERIA EPICA CLASSICA E RINASCIMENTALE.

- Le prime differenze si registrano sul piano dello SPAZIO e del TEMPO: Il Tasso mette al centro del suo poema un episodio storico come solida impalcatura su cui si innestano personaggi e vicende di fantasia ( fase finale dell’assedio di Gerusalemme nel 1099, nel corso della I crociata, che si concluse con la liberazione del Santo sepolcro da parte dell’esercito crociato guidato da Goffredo di Buglione); la materia storica oggetto di elaborazione artistica riguarda avvenimenti nuovi e relativamente recenti rispetto alla materia trattata nei poemi cavallereschi medievali e rinascimentali: la fase conclusiva e vittoriosa della prima crociata (1096-1099), un evento caratterizzato da un forte vigore religioso.
- Tasso sposta il centro spaziale della narrazione dal Nord Europa, ambiente tipico del poema cavalleresco, al Mediterraneo sud occidentale.
- La Gerusalemme liberata si presenta come un poema eroico, EPOS della CRISTIANITÀ.
- La Gerusalemme Liberata è un poema epico cavalleresco che RISPETTA LE UNITÀ ARISTOTELICHE DI TEMPO, di LUOGO, di AZIONE,secondo le regole della retorica rinascimentale codificate dalla Poetica di Aristotele (un solo luogo principale: Gerusalemme; una sola azione: le vicende relative alla conquista della città da parte dell’esercito cristiano; un solo tempo: il 1099, l’ultimo anno dell’assedio di Gerusalemme);
- In luogo del fantastico e dell’inverosimile, introduzione del “MERAVIGLIOSO CRISTIANO”.
- L’opera appare conforme al principio della “VEROSIMIGLIANZA” piuttosto che alla poetica del fantastico e del meraviglioso; pur trattando il tema amoroso, rappresenta il poema epico della cristianità e del suo trionfo sugli infedeli, dunque MANIFESTA FINALITÀ EDUCATIVE.

martedì 29 ottobre 2013

AGLI ALUNNI DELLA III D

COME PROMESSO, ECCO L'ASSEGNO DI ITALIANO PER GIOVEDI, 31 OTTOBRE: analisi del testo di "Pianto antico" (G.Carducci). Ripetizione di tutto il programma svolto (Dante+ Letteratura). CONTROLLO QUADERNONI. :) PROF.CARDAROPOLI

domenica 27 ottobre 2013

L’ETA DELLA CONTRORIFORMA - L' ETA' BAROCCA (inquadramento generale)



Il periodo di massima fioritura del Rinascimento si svolge fino alla vigilia della Pace di Cateau-Cambresis (1559). Gli ultimi decenni del cinquecento sono caratterizzati da un processo di esaurimento delle forme rinascimentali,nonché da una lenta trasformazione della cultura che condurrà alle soglie della nuova civiltà barocca del Seicento.
Questi anni sono dominati dalla Controriforma cattolica che condizionò non poco gli orientamenti culturali del tempo. La Controriforma rappresentò in primo luogo l’esigenza di rinnovamento totale da parte della Chiesa, sia nello spirito che nella struttura: dopo il Concilio di Trento, la Chiesa passò al contrattacco, sia rivolgendosi con ardore missionario ai Paesi extraeuropei, sia cercando di ridestare nella Europa cattolica un rinnovato ardore morale e religioso. Il concilio di Trento, o Concilio tridentino, convocato da Papa Paolo III, si svolse tra il 1545 e il 1563 allo scopo di definire la riforma della Chiesa (o Controriforma) e la reazione alle teorie del calvinismo e del Luteranesimo. L’opera di restaurazione avviata dalla Chiesa ebbe un carattere essenzialmente conservatore, fu soprattutto l’imposizione di una disciplina di vita e di costume. Timorosa del pericolo sempre incombente della larga diffusione delle idee della Riforma protestante, la Chiesa cercò di soffocare con un clima di assoluto rigore moralistico ogni manifestazione di libero pensiero . In questi anni la Chiesa cattolica si macchiò di crimini atroci, ricorrendo spesso al Tribunale della Santa Inquisizione con il quale si perseguitavano gli eretici e tutti coloro che sostenevano teorie ed opinioni contrarie all’ortodossia cattolica (vedi giordano Bruno, Galileo Galilei), i quali, riconosciuti colpevoli dal Tribunale ecclesiastico, erano affidati al cosiddetto “braccio secolare” (cioè al potere giudiziario statale) per l’esecuzione materiale della pena di cui l’autorità ecclesiastica non poteva farsi carico. Il "braccio secolare" fu attivo dal periodo della Santa Inquisizione, fino all’età moderna; fu abolito nel 1871. L’atmosfera di persecuzione e di paura instaurata dalla Chiesa nel periodo della Controriforma segnò, insieme al peso esercitato in campo politico dal predominio spagnolo, il graduale declino dello spirito di libertà e di tolleranza, di affermazione della libertà individuale che era stata la manifestazione più significativa della civiltà rinascimentale.
In Italia gli intellettuali, i letterati e tutti gli uomini di cultura attraversarono una fase di profonda crisi poiché non fu più loro concesso di esprimere liberamente le loro idee, ritenute non sempre conformi ai principi religiosi della Chiesa cattolica; essi si piegarono, generalmente, alle esigenze del nuovo clima di austerità controriformistica, molto spesso per calcolo o per convenienza, o per il solo timore di non essere accusati di eresia . In realtà la civiltà umanistico-rinascimentale aveva esaurito ormai la stagione di grande fioritura artistico-letteraria, aveva perduto ogni slancio e virtù creatrice e si adagiava nel coltivare un tipo di letteratura ormai sterile, volta unicamente al decoro formale, all’imitazione pedissequa e ossessiva di modelli classici esistenti: insomma l’intellettuale della Controriforma più che all’elaborazione di forme e contenuti originali, volge la propria attenzione all’estetismo formale, al rispetto rigoroso delle norme di stilistica e di retorica contemplate dalle Accademie e dai trattati poetici.
In questa società ormai scettica e stanca, la Chiesa si sforzò di restaurare un senso di rinnovato entusiasmo e di rinnovata moralità; tuttavia, il risveglio religioso auspicato dalla Chiesa si verificò solo in parte poiché le pesanti limitazioni imposte alla libertà di pensiero impedirono che si realizzasse un radicale e sincero rinnovamento delle coscienze. Inoltre, la rinnovata ed esasperata religiosità riportava nelle coscienze il senso dei limiti della natura umana. In contrapposizione all'ottimismo rinascimentale, fiducioso nella capacità creatrice dell’homo faber, si diffonde, alla fine del Cinquecento, un forte senso di insicurezza, di disiganno: l’uomo avverte la forza imprevedibile ed irrazionale della Fortuna, capace di soggiogare e di stravolgere i destini umani. E’ un motivo, questo, che noteremo negli autori storici – Machiavelli e Guicciardini – e soprattutto in Torquato Tasso, autore che già prelude alla civiltà barocca del Seicento.

LA LETTERATURA DELL’ETÀ DELLA CONTRORIFORMA
La letteratura della Controriforma è caratterizzata in primo luogo da un’estrema e raffinata elaborazione formale, che spesso diventa un esercizio sterile ed ossessivo, fine a se stesso. A ciò si aggiunge la tendenza, da parte degli intellettuali, a giustificare la propria opera spesso facendo riferimento a trattati di arte poetica, nei quali si cerca di dimostrare la piena regolarità dell’opera stessa, secondo i precetti desunti (arbitrariamente) dalla Poetica di Aristotele. Allo stesso tempo, gli autori della Controriforma avvertono e manifestano un senso di fastidio verso le regole, l’irrequieta tendenza al dilettoso, ad esprimere con intima spontaneità nuove esigenze e nuovi bisogni dello spirito.
L’elemento essenziale della letteratura di fine Cinquecento è il proposito moraleggiante, in ossequio allo spirito della Controriforma, unito alla preoccupazione del comporre in maniera ortodossa nel pieno rispetto delle norme stilistiche e morali.
Si tratta però quasi sempre di un ossequio esteriore, poiché prevale, in realtà, un’ispirazione sensuale e lasciva, sotto il peso del conformismo religioso, che esprime una civiltà decadente, frutto di spiriti oziosi e stanchi, generalmente inclini all’ipocrisia e al compromesso.
Autori rappresentativi della letteratura e del pensiero della Controriforma sono Giambattista Giraldi Cinzio, scrittore e teorico di arte poetica di Ferrara; Battista Guarini, di Ferrara; Giordano Bruno, scrittore e filosofo di Nola, condannato per eresia e morto sul rogo nel 1600; infine Torquato Tasso ( Sorrento 1544 - Roma 1595). Nel Tasso il dissidio culturale e letterario di quest’età assumerà un più profondo e drammatico carattere interiore, e assurgerà a una nuova, altissima e personale poesia.



ETA' BAROCCA
La vita culturale filosofica della seconda metà del Cinquecento e di tutto il Seicento è dominata dagli effetti politici e culturali della:
 Riforma protestante - Controriforma cattolica (Concilio di Trento,1545-1563)
 Dominazione spagnola, che diviene definitiva dopo la pace di Cateau Cambresis (1559): Regno di Napoli, Sicilia, Sardegna, Ducato Milano, Stato dei Presidi.
L’egemonia della Chiesa in Italia e in Europa si manifestò mediante una politica religiosa persecutoria e repressiva che si attuò con l’istituzione della Congregazione del Sant’Uffizio (1542) o Tribunale della Santa Inquisizione, un Tribunale speciale a cui dovevano far capo tutti i casi concernenti eresia, bestemmia, magia stregoneria. Il clima religioso di rigida intolleranza si tradusse anche nella istituzione della Congregazione dell’Indice (1571)* che esaminava le opere pubblicate, sottoponendole a censura e stilando gli elenchi dei libri proibiti. I testi messi all’Indice venivano bruciati, così come al rogo erano destinati gli eretici. Denunce, inquisizioni e persecuzioni rispondono al disegno di cancellare ogni diversità religiosa; le bolle papali, i manuali per confessori e inquisitori parlano di streghe, di uomini e donne che fanno patti col demonio, di streghe che distruggono i raccolti, che compiono sortilegi e orge. Il periodo, drammatico, della caccia alle streghe raggiunse il suo apice tra il 1560 e il 1630.
Le antiche Università italiane ed europee (Padova, Bologna, Oxford, Cambridge, la Sorbona), non appaiono più centri innovatori del sapere ma, fatte strumento della Chiesa, tendono piuttosto a reprimerlo.
La ricerca scientifica e la diffusione di nuove idee avviene piuttosto nelle Accademie: a Roma nasce l’Accademia dei Lincei (1603), a Venezia l’Accademia degli Incogniti (1630) a Firenze l’Accademia della Crusca (1583) a Londra la Royal Society (16629, a Parigi l’ Academie des Sciences.
 In questo contesto storico si inserisce l’irrimediabile crisi della cultura rinascimentale, fondata sul principio classico dell’armonia e dell’equilibrio, sull’ antropocentrismo che poneva l’homo faber al centro dell’universo, artefice del proprio destino e dominatore della natura. L’intellettuale umanista a tutto tondo, esperto di arte, letteratura, poesia, politica, storia lascia il posto, anche per le trasformazioni sociali e politiche in atto, ad una figura di intellettuale professionista che presta il proprio servizio a corte, spesso per necessità e con minor prestigio.

La Congregazione dell’Indice ha operato fino al 1917, anno in cui il compito di stilare l’Indice viene affidato al Sant’Uffizio, a sua volta abolito nel 1965.

L'ITALIA NELLA DIVINA COMMEDIA ( da uno studio a cura di Riccardo Merlante – Stefano Prandi)


Dante, oltre che il ruolo di giudice, assume nel poema anche quello di profeta del mondo terreno, che gli consente di scagliarsi polemicamente contro Firenze e le città italiane, causa di frazionamento politico, contro la Chiesa e Impero massime istituzioni medievali, ormai incapaci di assolvere alla funzione affidata da Dio per guidare l’umanità. La polemica politica viene programmaticamente sviluppata nei canti sesti di ciascuna cantica. La polemica contro Firenze e la constatazione della sua decadenza politica e morale coinvolge anche le città dell’Italia centro settentrionale, fino ad abbracciare, in una prospettiva sempre più ampia nell’apostrofe di Sordello da Goito (Purg.VI), l’Italia nel suo complesso.
La decadenza dei costumi va ricondotta , sostanzialmente, alla CUPIDIGIA, all’INGORDIGIA , all’AVIDITA’ sul piano morale, e alla VACANZA DELL’IMPERO sul piano politico. Al pari di Firenze nell’Inferno (la città partita, c.VI; il popolo fiorentino sì empio, c. X; gent’è avara, invidiosa e superba, c.XV; l’ingrato popolo maligno, c.XV) , anche altre città toscane (e italiane) vengono presentate con i tratti della bestialità.
Il giudizio negativo sulla complessiva situazione politica italiana viene ampiamente formulato nel canto VI del Purgatorio, dopo l’abbraccio tra Virgilio e il conterraneo Sordello da Goito. Nell’apostrofe iniziale, l’alta funzione dell’Italia e di Roma ( la città santa per eccellenza in quanto già sede dell’impero universale, ora centro della cristianità, perché sede del papato) è contraddetta dallo stato di decadenza attuale: Ahi serva Italia, di dolore ostello/ nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello! (Purg. VI, vv.76-78) prostrazione . Dante dedica ben 25 terzine ad una polemica quanto mai appassionata e vibrante; polemica che si distingue dalle altre, numerose, presenti nella Divina Commedia per essere rivolta a più interlocutori, coinvolgendo l’Italia intera ( qui considerata forse, per la prima volta, non solo come entità geografico-linguistica, ma come una nazione), l’Imperatore, la Chiesa, Dio stesso, che nella domanda di Dante sembra quasi aver disdegnato lo sventurato paese (son li occhi tuoi rivolti altrove?, v.120), e infine Firenze, le cui dolorose vicende coinvolgono direttamente Dante, in esilio dal 1302. Se nel VI canto dell’inferno l’invettiva politica è affidata a Ciacco, simbolo di insaziabile ingordigia, e nel VI del Paradiso all’imperatore Giustiniano, emblema dell’impero universale, nel VI del Purgatorio l’invettiva prorompe direttamente dalla bocca di Dante-autore, che assume in prima persona il ruolo di profeta del proprio tempo. Per quanto riguarda la scelta di Sordello da Goito ( XII-XIII sec., il più celebre trovatore italiano, intellettuale di “alta eloquenza” De vulgari eloquentia) come protagonista di un canto politico, va detto che questi ben rappresenta l’unità linguistica auspicata da Dante, perché, precorrendo l’idea del “volgare illustre”, ha rifiutato la divisione dei dialetti ed ha scelto di poetare in provenzale, mentre l’Italia – dice Dante - è ”serva” a causa del suo frazionamento e delle sue lotte intestine. Dante conferisce alla figura di Sordello da Goito tratti di grande rilievo stilistico: Sordello era un personaggio ideale per rappresentare l’aspra denuncia di Dante contro le lotte intestine tra i principi italiani, innanzitutto per il tono aspro e risentito dei suoi sirventesi politici e morali e del celebre “Compianto” scritto in morte di ser Blacats, poi per la scelta letteraria di poetare in una lingua sovraregionale (l’occitanico), che a Dante appariva come un “volgare illustre”. Per queste ragioni, oltre che per affinità biografica ( anche la vita di Sordello da Goito fu caratterizzata dalla peregrinazione tra le corti italiane), Dante proietta nel poeta mantovano i tratti caratteristici della propria stessa nobile, magnanima, solitaria figura di esule, propugnatore di una giustizia al di sopra delle fazioni.
Nei versi della lunga e appassionata digressione politica (Purg. vv.76-126), la faziosità dei cittadini italiani in perenne lotta tra loro viene espressa in termini di bestialità (l’un l’altro si rode, Purg. VI, v.83), richiamando l’atmosfera del canto di Ugolino, che rode il cranio dell’arcivescovo Ruggieri di Pisa (Inf. C.XXXIII). L’invettiva denuncia i mali dell’Italia e ne indica le origini: l’Italia, un tempo padrona del mondo, ora lasciata “vedova e sola” dall’imperatore ( Purg. VI, v. 113), è divenuta, senza cavaliere, un cavallo selvaggio che nessuno può domare( costei ch’è fatta indomita e selvaggia, Purg. VI, v.98). Molti hanno contribuito alla decadenza italiana: in primo luogo l’imperatore che non svolge adeguatamente il proprio alto ufficio di somma guida politica e sul quale, perciò, si abbatterà il castigo divino; i pontefici, che si oppongono all’imperatore per sostenere il primato del potere spirituale e per le continue ingerenze nella sfera politica (Ahi gente che dovresti esser devota/ e lasciar seder Cesare in la sella, Purg. VI, vv. 91-92); le grandi famiglie magnatizie, i tiranni ; le istituzioni popolari, le lotte interne dei cittadini ( in te non stanno sanza guerra/li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode/ di quei ch’un muro e una fossa serra, Purg. VI, vv.82-84).
La polemica del VI canto si riallaccia a quella del XVI canto Purgatorio, dove la situazione politica italiana diviene oggetto di analisi etico-politica di Marco Lombardo. Strutturalmente, i due canti hanno in comune sia L’OPPOSIZIONE PASSATO /PRESENTE, i cui poli sono rappresentati qui da Roma e Firenze, e in cui l’Italia, un tempo giardino de lo imperio, contrasta con lo stato di attuale abbandono, associabile ancora una volta alla selva oscura del c.I;sia l'idea della NECESSITA’ DI UNA GUIDA AUTOREVOLE, idea centrale del pensiero etico-politico di Dante, che nel VI canto è rappresentata dall’immagine viva dell’Italia diventata “selvaggia” per mancanza di una guida autorevole e universale, che sia garante di giustizia e di legalità. L’analisi delle complesse condizioni politiche dell’Italia, si conclude , nel VI canto del Purgatorio, con l’invocazione a Dio, e dal momento che non si vedono nell’immediato i segni di un suo intervento diretto (il cui bisogno è avvertibile anche nella profezia del Veltro, Inf. c.I), Dante conclude il suo duro intervento politico-profetico rimettendosi, non senza sgomento, alla imperscrutabile volontà divina (O è questa preparazion che ne l’abisso/ del tuo consiglio fai per alcun bene/ in tutto de l’accorger nostro scisso? Purg. VI, vv.121-123).

venerdì 25 ottobre 2013

AGLI ALUNNI DELLA III D

PER DOMANI, 26 OTTOBRE, PREGO GLI ALUNNI DELLA III D DI STAMPARE LE VERSIONI DI RIEPILOGO SULLE COSTRUZIONI DI VIDEOR, DICOR, PUTOR,, IN MODO DA AVERE IN CLASSE DEL MATERIALE UTILE PER IL LABORATORIO DI TRADUZIONE. RACCOMANDO DI PORTARE ALMENO UN DIZIONARIO DI BASE. SI PREVEDONO, INOLTRE, VERIFICHE ORALI :)PROF. CARDAROPOLI

giovedì 24 ottobre 2013

AGLI ALUNNI DELLA IV E

PER DOMANI 25/10 RACCOMANDO IL RIPASSO DEI CANTI DELLA DIVINA COMMEDIA E DEI CONTENUTI DI LETTERATURA, FINO A F.GUICCIARDINI . PORTARE IL TESTO DI DANTE (per concludere la spiegazione del c.VI) E IL QUADERNONE AD ANELLI PER IL CONTROLLO DEI COMPITI SVOLTI (DANTE+LETTERATURA+TESTI VARI).SALUTI E BUON PROSEGUIMENTO DI SERATA :) PROF.CARDAROPOLI

martedì 22 ottobre 2013

ASSEGNO ITALIANO IV E (per giovedì 24). TIPOLOGIA B - ARGOMENTO: LIBERTÀ E DIGNITÀ DELL’UOMO



Sviluppa l’argomento in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando i documenti e i dati che lo corredano e facendo riferimento alle tue esperienze di studio. Da’ un titolo alla trattazione. Se scegli la forma del “saggio breve”, indica la destinazione editoriale, se scegli la forma dell’articolo di giornale, indica il tipo di articolo e il tipo di giornale sul quale ipotizzi la pubblicazione.

DOCUMENTI
1.Catone, allegoria della libertà. Come abbiamo visto, Catone è allegoria della liberta. Scegliendolo come guardiano della montagna del Purgatorio, Dante concentra l’attenzione del lettore sul prerequisito fondamentale della salvezza umana: la libertà, intesa non soltanto come libertà dello spirito dalla “caligine” del peccato, intesa anche come libero arbitrio, cioè come valore capace di conferire merito alla dignità morale degli individui. Senza il libero arbitrio (caratteristica che contraddistingue l’umanità), non ci sarebbe etica ( cioè la distinzione tra bene e male, tra giusto e sbagliato) poiché un uomo senza libertà è un uomo che non è in grado di scegliere. Romano Luperini, Antologia della Commedia.

2. Catone, secondo l’interpretazione figurale di Erich Auerbach (1892-1957). Vedi brano in fotocopia.

3. (Virgilio) “Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch’è sì cara,
come sa chi per lei vita rifiuta.
Tu ‘l sai, ché non ti fu per lei amara
In Utica la morte, ove lasciasti
la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara”. Purg., I, vv.70-75

4. La libertà: “diritto inalienabile” secondo la Dichiarazione universale dei diritti umani. Fin dall’antichità, la libertà umana è stata al centro di dibattiti filosofici, sia laici, sia religiosi. Come punto di arrivo di questo secolare dibattito filosofico (che parte dai principi etici classici-europei e attraversa il “Bill of rights” del 1689, la Dichiarazione d’indipendenza degli Stati uniti nel 1776 e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino stesa nel 1789, durante la Rivoluzione francese), nel Novecento, sulla scia delle atroci guerre mondiali, e delle aberrazioni commesse contro l’umanità (vedi anche, ad esempio, l’Olocausto) , il diritto alla libertà viene sancito universalmente dalla Dichiarazione universale dei diritti umani. Il documento, firmato nel 1948 dalle Nazioni Unite, si apre con l’ articolo n.1 che non lascia dubbi alle interpretazioni “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti”.

5. La libertà secondo Giorgio Gaber. Rifletti sui seguenti versi della canzone La libertà, tratta dall’album “Dialogo di un impiegato e un non so” (1971) del cantautore italiano G. Gaber (1939-2003):
a) “Vorrei essere libero, libero come un uomo”.
b) “La libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.

martedì 15 ottobre 2013

SAGGIO BREVE - Argomento: Innamoramento e amore. Serena Capodiferro III E, a.s. 2012-13


“G: « [...] L'amore è una specie di forza di gravità: invisibile e universale, come quella fisica. Inevitabilmente il nostro cuore, i nostri occhi, le nostre parole, senza che ce ne rendiamo conto vanno a finire lì, su ciò che amiamo, come la mela con la gravità. » L: «E se non amassimo nulla? » G: «Impossibile. Te la immagini la Terra senza gravità? »". Esordisce così Alessandro D’Avenia in uno dei suoi più noti romanzi, “Bianca come il latte rossa come il sangue”. L’amore, sin dall’antichità, è stato oggetto d’ispirazione di poeti, filosofi, artisti, ma ci siamo mai chiesti il perché? Come mai tra i sentimenti, esso è stato certamente il più celebrato? Non è possibile dare una spiegazione razionale, così com' è difficile poter definire con parole chiare il concetto di “amore” o di “innamoramento”; la nostra mente, il nostro cuore, possono solo affermare che esso è una forza invincibile, causa della nostra felicità o, talvolta, della nostra tragedia. Come rileva Francesco Alberoni in “Innamoramento e Amore”, “Nell’amore c’è solo il paradiso o l’inferno; o siamo salvi o siamo dannati”. Per provare il vero amore e avere la fortuna di essere ricambiati, non basta solo volerlo; bisogna impegnarsi ogni giorno e - come scrive Giudo Gozzano - essere pronti ad “unire la propria sorte alla sorte dell’amato”, cosa certamente non semplice, dal momento che l'amore si traduce anche nella capacità di sapersi donare completamente all’altro, senza riservatezze. Innamorarsi significa rinnovarsi ed aprirsi ad esperienze nuove e sconosciute, proiettarsi in una prospettiva che ci distoglie dalla piccolezza della vita quotidiana e ci eleva a ciò che è superiore. Tale concetto è ben sottolineato da Marc Chagall nel dipinto “La Passeggiata”,opera in cui l'artista russo si ritrae sorridente, mentre tiene per mano la moglie Bella che si libra come un angelo nell’aria. Il senso più forte della bellissima immagine è senza dubbio l’amore che lega profondamente due persone, amore che va oltre i limiti della natura e del trascendentale. Senza provare un sentimento così assoluto, la vita non merita di essere vissuta, altro non è che un inutile fardello da dover sopportare. A volte l’amore è causa di profondo dolore, quando la persona amata appare indifferente e non ricambia i nostri sentimenti, o è lontana e irraggiungibile; così, come afferma Catullo, l'amore può costituire anche fonte d’odio. Ma possono coesistere sentimenti contrastanti come l’odio e l’amore nell’animo di un individuo? Certo, del resto un sentimento non esclude l’altro, sebbene chi è vittima del dissidio d'amore finisca per accrescere ulteriormente le proprie sofferenze. Concludendo con un aforisma di Alphonse Kerr, “L’amore è la più terribile, ma anche la più onesta delle passioni; è la sola che non possa occuparsi della propria felicità senza comprendervi la felicità di un altro”.

TIPOLOGIA A : ANALISI TESTUALE - PROMESSI SPOSI, CAP. XI, rr.1-73 (dall'elaborato di Jessica Tedesco, II E - a.s. 2012-13)


ANALISI DEL TESTO 1-Il brano in esame è tratto dall'undicesimo capitolo dei “Promessi Sposi", il capolavoro di Alessandro Manzoni, poeta , scrittore e drammaturgo italiano dell'Ottocento (1785-1873). Il testo ha inizio con l'immagine dell'attesa nervosa di Don Rodrigo all'interno del suo sinistro palazzo: egli aspetta impazientemente il ritorno dei suoi bravi guidati dal Griso, che nella notte avrebbero dovuto rapire Lucia Mondella. Don Rodrigo scorge dalla finestra i suoi fedeli sgherri e, non vedendo Lucia, inizia ad agitarsi. L'istinto di rimproverare il Griso è molto forte, infatti il signorotto accoglie il bravo con urli e improperi “signore spaccone, signor capitano, signor lascifareame”( cap 11, rr.33-34)senza neppure attendere che questi fornisca le sue motivazioni.Subito dopo, infatti, si pente del suo comportamento eccessivamente impetuoso, e gli rivela le faccende da eseguire il giorno seguente. Entrambi poi, stanchi, vanno a dormire. Questo brano può essere suddiviso in tre principali nuclei narrativi o macrosequenze. Nella prima parte, quella iniziale ( ivi, rr. 1-28), notiamo la presenza di una lunga sequenza descrittivo-riflessiva caratterizzata dall’immagine di Don Rodrigo che attende nervosamente i bravi e il Griso. Nella parte centrale del brano prevalgono le sequenze dialogiche relative alla serrata discussione fra Don Rodrigo e il Griso. Nella parte finale, invece, emerge la sequenza riflessiva in cui il narratore onnisciente espone le sue considerazioni riguardo agli episodi accaduti e consola ironicamente il Griso per i maltrattamenti ricevuti “Va' a dormire, povero Griso, che tu ne devi avere bisogno” (ivi, rr. 66-73). IL RITMO della narrazione appare nel complesso vario e mutevole per l’alternarsi di sequenze descrittive, narrative, dialogiche e riflessive. In apertura del testo, come anche in conclusione il ritmo è pacato e lento per la presenza di sequenze descrittive e riflessive (vedi il monologo interiore di don Rodrigo, la digressione del narratore onnisciente). Altrove esso appare più veloce e serrato, in corrispondenza dei dialoghi e del discorso raccontato (sequenze narrative) che rivelano ulteriori sviluppi della vicenda. IL NARRATORE, A. Manzoni, è esterno (eterodiegetico) infatti non partecipa alla vicenda, ed è onnisciente, poiché conosce tutto dei personaggi, persino i pensieri: ciò è evidente, in particolare, nella celebre digressione finale in cui il narratore interviene nella storia rivolgendosi direttamente al Griso. Nel brano non ricorrono analessi, mentre una breve prolessi appare alle righe 55-62, per questo fabula e intreccio non sempre coincidono. 2-> I PERSONAGGI principali presenti nel brano sono Don Rodrigo e il Griso, entrambi protagonisti della vicenda ( rispettivamente “protagonista” e “deuteragonista” o “secondo protagonista”). Tra di loro c'è un legame molto stretto, di malvagia complicità. Ovviamente, il personaggio dominante tra i due è Don Rodrigo. Questi si presenta dall’indole autoritaria e impulsiva, lo deduciamo dal modo in cui accoglie il Griso. "Ebbene - gli disse, o gli gridò - signore spaccone, signor capitano, signor lascifareame?"(ivi, rr. 33-34). Con questa frase assai pungente ed ironica Don Rodrigo esprime tutta la sua indignazione, la sua disapprovazione per come il Griso aveva svolto i suoi doveri. Dopo aver ascoltato le ragioni e le giustificazioni del Griso, Don Rodrigo attenua la propria ira confidando nei risvolti dei giorni successivi "[...] lasciò andare anche il Griso, congedandolo con molte lodi, [...]." ( ivi, r.63) Il Griso, che è il capo dei bravi, al rientro al palazzotto appare molto turbato, e soprattutto mortificato per non aver potuto soddisfare i disdicevoli ordini del padrone : "L' è dura - rispose il Griso, restando con un piede sul primo scalino - L'è dura di ricever de’ rimproveri, dopo aver lavorato fedelmente, e cercato di fare il proprio dovere, e arrischiata anche la pelle" (ivi 35-37). Il fatto che il losco personaggio rimanga con il piede sul primo scalino, ci trasmette la sua insicurezza, la sua esitazione a presentarsi dinanzi al padrone ed affrontare le sue ire. Infatti si decide ad entrare nella stanza solo dopo la frase di Don Rodrigo: "Com'è andata? Sentiremo, sentiremo" (ivi, r. 38). 3-L’alternanza di sequenze descrittive, riflessive, dialogiche e narrative fa sì che il IL TEMPO DELLA STORIA non sempre coincida con il tempo del racconto, ed è proprio per questa ragione che il ritmo della narrazione appare mutevole. Solo in presenza delle sequenze dialogiche il tempo della storia coincide con quello del racconto. La vicenda narrata nel brano si svolge all’interno del palazzo di Don Rodrigo, nella notte del 10 novembre 1628. Sono trascorsi tre giorni dall’incontro di Don Abbondio con i bravi (7 novembre 1628, tramonto). 4-IL NARRATORE E' ONNISCIENTE in quanto possiede una conoscenza illimitata di ciò che narra. Il brano è scritto in terza persona, per questo definiremo il Manzoni un narratore eterodiegetico. 5-Nelle prime tre righe del brano è presente un’ efficace similitudine: "Come un branco di segugi, dopo aver inseguita invano una lepre, [...]" con la quale il Manzoni paragona la compagnia dei bravi ad un brano di segugi e la povera Lucia ad una lepre. Ciò fa comprendere la profonda delusione dei bravi che ritornano al padrone come cani bastonati, senza la preda tanto agognata. Del resto Lucia rappresenta l'oggetto del desiderio per cui i personaggi lottano all'interno del romanzo. "[...] lo concio per il dì delle feste." (ivi 45-46): è questa una metafora che ben esprime, con particolare intensità espressiva, il grande desiderio di Don Rodrigo di farla pagare a colui che ha osato mandare a monte il suo piano. Il Manzoni, nella parte finale del brano, ironizza sulla figura del Griso: lo consola dei maltrattamente subiti, ironizza sul fatto che egli fosse stanco, sul fatto che avrebbe potuto rischiare grosso. Lo fa per sottolineare il contrasto tra le parole intenerite del narratore e la gravità della condotta del personaggio a cui esse sono rivolte : non dimentichiamo che il Griso è il più turpe dei loschi personaggi che circondano Don Rodrigo. Per il Manzoni egli non merita alcuna comprensione, ma solo biasimo. 6-IL TEMA DOMINANTE del brano è quello della Provvidenza, la “provvida sventura”. Ancora una volta è proprio la Provvidenza a tessere i fili degli eventi e a fare in modo che Lucia, nella “notte degli imbrogli” non cada nella trappola di Don Rodrigo.

TIPOLOGIA B - ALUNNI E DOCENTI SU FACEBOOK a cura di ALESSIA COLARULLO III F a.s.2012-13


Il XX secolo rappresenta l’era dello sviluppo tecnologico; esso ha determinato la nascita e la diffusione di mezzi di comunicazione che hanno rivoluzionato la vita quotidiana. Uno dei fenomeni che ha investito prepotentemente la cultura occidentale, determinando una fase di profonda trasformazione culturale che ha sconvolto la quotidianità, è stato Internet, quindi l’utilizzo sempre più frequente del computer, non soltanto come supporto in ambito professionale (come strumento di calcolo, di archiviazione...) ma sopratutto come strumento di comunicazione. Con questo nuovo mezzo sono state letteralmente abbattute le distanze: adesso si può comunicare liberamente con persone in altri stati o continenti con un semplice clic, e tutto ciò con estrema semplicità, anche per mezzo dei social networks. Il social network più importante e il più conosciuto al mondo è Facebook, una piattaforma grazie alla quale si possono condividere foto, pensieri, opinioni, video e si può conversare nel modo più rapido possibile. Riguardo all'utilizzo di questi nuovi mezzi di comunicazione, divergenti sono le opinioni; infatti la grande diffusione di questo social network non è accolta favorevolmente da tutti. In particolar modo e per quanto attiene al mondo scolastico, è fortemente discussa la possibilità da parte di alunni e docenti di essere “amici su Facebook” e quindi di poter comunicare e condividere qualsiasi tipo di informazione. Dunque questo fenomeno sarebbe assolutamente da evitare. Permettere agli alunni di entrare così facilmente nella privacy di un docente potrebbe determinare un indebolimento della sua autorevolezza con conseguente mancanza di rispetto nell’ambito scolastico. C’è chi invece ritiene che permettere a docenti e ad alunni di instaurare un rapporto di amicizia per mezzo del social network potrebbe aiutare e stimolare i ragazzi con la proposta di “corsi di recupero” oppure di “gruppi di studio”; in realtà non è così. Queste possibilità, infatti, possono essere proposte anche al di fuori di social network, ad esempio con siti e blog che rispettano la privacy del docente ed evitano un altro possibile fenomeno: quello dell’instaurarsi di un rapporto eccessivamente confidenziale. A prova di ciò, il preside del liceo milanese Berchet, Tino Pessina, spiega come “si può essere amichevoli, ma l’amicizia, come in ogni rapporto asimmetrico, è impossibile.” Aggiunge poi un aspetto condiviso da molti studenti spiegando come “i ragazzi non vogliono docenti amici, stimano chi insegna con passione anche se è severo e chi li rispetta. Per capire come sta un alunno bisogna guardarlo negli occhi.” Questo è un aspetto che andrebbe sottolineato moltissimo in quanto, a seguito di un’amicizia nata e consolidata grazie a Facebook, potrebbero avvenire dei favoritismi a discapito di una valutazione oggettiva, determinando quindi delle anomalie didattiche che non devono e non possono succedere. Il social network, difatti, è un potente mezzo di comunicazione che viene utilizzato molto spesso per esprimere un proprio ideale, un proprio orientamento politico, ma anche un qualsiasi tipo di opinione riguardo a un argomento. La possibilità da parte dell’alunno di osservare e capire cosa pensa il docente, potrebbe determinare un condizionamento non indifferente o, al contrario, delle frustrazioni a causa della non condivisione di particolari concetti. Il metodo più immediato e più sicuro per evitare questi fenomeni è vietare in tutti i modi possibili l’amicizia su Facebook, affinché il rapporto alunno-docente rimanga oggettivo e imparziale.

lunedì 14 ottobre 2013

AGLI ALUNNI DELLA III D

ECCO QUASI PRONTI PER VOI DUE POST DA CONSULTARE DOMANI IN CLASSE : LA LIRICA RELIGIOSA IN ITALIA NEL DUECENTO , LA SCUOLA SICILIANA. BUONA SERATA, PROF. CARDAROPOLI :)

venerdì 11 ottobre 2013

AGLI ALUNNI DELLA IV E

PONGO ALLA VS CORTESE ATTENZIONE IL POST SU FRANCESCO GUICCIARDINI AD INTEGRAZIONE DELLE PAGINE DI LETTERATURA. SALUTI CORDIALI,LA PROF :)

F.GUICCIARDINI (Firenze1483- 1540), POLITICO, STORICO, SCRITTORE.


- STORIE FIORENTINE (1508-1510)
- DIALOGO DEL REGGIMENTO DI FIRENZE (1528)
- RICORDI (1512-1530)
- STORIA D’ITALIA (1537-1540)

Nacque a Firenze da nobile famiglia nel 1483. Studiò da adolescente la grammatica, la retorica, il latino, il greco; a 15 anni iniziò e proseguì con profitto lo studio del diritto allo Studium fiorentino, poi a Ferrara e a Padova. Si laureò con successo nel 1505 ed iniziò subito una brillante carriera forense che coincise con l’affermazione di una spiccata vocazione politica che doveva ben presto concretarsi in una rapida e fortunata carriera.
 Nel 1511 il gonfaloniere di Firenze Pier Soderini [ II Repubblica fiorentina (1498-1512) , Pier Soderini (1502-1512), gonfaloniere di giustizia a vita ] lo nominò ambasciatore della Repubblica presso il re di Spagna Ferdinando il cattolico. F. Guicciardini rimase in Spagna 3 anni, anche dopo il rientro a Firenze della famiglia de’ Medici (1512) nella persona di Giuliano de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico e fratello del Papa Leone X. La famiglia de’ Medici, infatti, continuò a tenerlo impiegato presso la Repubblica (ormai soltanto formale) di Firenze.
 Rientrato a Firenze, passò al diretto servizio del Papa Leone X ( Giovanni de Medici, 1513-1521) che lo nominò governatore di alcuni possedimenti ecclesiastici in Emilia Romagna animati da costanti e pericolosi focolai di conflitti tra signori aristocratici locali. Il Guicciardini svolse questo compito con estrema abilità diplomatica nonché perizia militare: anche qui, come già era accaduto in Spagna alla corte di Ferdinando il Cattolico, il Guicciardini si rivelò uomo di governo energico, ispirando la sua azione ad una concezione centralistica ed aristocratica dello Stato.
 Nel 1526 fu tra i principali fautori della Lega di Cognac, un’alleanza del Papato e di alcuni Stati italiani con la Francia ai danni dell’Imperatore Carlo V. In questa circostanza il nuovo Pontefice Clemente VII ( Giulio de Medici, 1523-1534) nominò F. Guicciardini luogotenente generale dell’esercito pontificio contro gli Spagnoli. Purtroppo l’iniziativa del Papa contro la Spagna si risolse in maniera drammatica, anche per il carattere irresoluto di Clemente VII, così il Guicciardini non poté opporsi in alcun modo alla violenta controffensiva dei Lanzichenecchi, inviati in Italia nel 1527 dall’imperatore Carlo V ai danni del Papa (sacco di Roma, 1527). La dura sconfitta riportata dagli Stati italiani contro l’esercito imperiale segnò anche il declino politico di F. Guicciardini. Nel frattempo la famiglia de’ Medici fu nuovamente cacciata da Firenze (1527), e il Guicciardini, inviso al nuovo regime repubblicano, si ritirò nella sua villa di Finocchietto, ove rimase per circa 3 anni. In questo periodo avviò una fase di intensa meditazione critica sugli avvenimenti storico-politici che si erano svolti in quegli anni. Rielaborò in maniera definitiva i suoi Ricordi.
 Nel 1530 le truppe papali e spagnole di Clemente VII e Carlo V(che nel frattempo si era riappacificato col Pontefice il quale aspirava a riprendere il dominio di Firenze), ottengono una dura vittoria contro la Repubblica fiorentina che, sebbene strenuamente difesa, capitolò con una memorabile disfatta (1529-30). Il Guicciardini, rientrato a Firenze nel 1530, ebbe nuovi incarichi da Clemente VII e fu anche al fianco del nuovo reggitore di Firenze, il duca Alessandro de’ Medici; si recò con lui a Napoli (1536), per difenderlo dinanzi all’imperatore Carlo V dalle accuse dei fuoriusciti fiorentini. Allorché Alessandro de’ Medici fu ucciso, il Guicciardini caldeggiò la nomina a governatore di Firenze di Cosimo de Medici, dal quale, tuttavia, non ottenne alcuna fiducia. Si ritirò a vita privata nella sua villa ad Arcetri, dove attese all’intensa attività di pensatore, storico e scrittore che culminò con la composizione della sua opera più importante, la Storia d’Italia (1537-1540).
 Morì nel 1540.

IL PENSIERO

Il pensiero del Guicciardini si fonda, inizialmente su presupposti teorici e filosofici comuni a quelli di N. Machiavelli: realismo politico, Naturalismo rinascimentale, concezione pessimistica della vita, concezione pragmatica e moralistica della storia. Anche il Guicciardini, alla stregua di Machiavelli, concepisce l’uomo come il vero motore della storia, e ritiene che la Politica debba rimanere distinta e disgiunta da questioni morali e religiose: deve esserci, in primo luogo, l’interesse dello Stato da anteporre a qualsiasi implicazione moralistica ( cfr. Machiavelli: “Il bene dello Stato soprattutto, il bene dello Stato innanzitutto”). Anche il Guicciardini parte dalla amara e lucida constatazione della realtà effettuale, caratterizzata dagli egoismi e dalle passioni sfrenate degli uomini mossi, nelle loro azioni, soltanto da interessi personali. Questa fitta e caotica trama della vita associata, sulla quale il Guicciardini, come il Machiavelli, avverte la incombente presenza della Fortuna, impone all’uomo una condotta di vita lucida e spregiudicata che riesca a garantirgli la sopravvivenza e l’affermazione nel mondo.

 N. Machiavelli, tuttavia, pur partendo da questa visione amara e pessimistica della vita, fondata sulla intrinseca malvagità della natura umana, riesce a definire con razionale lucidità una scienza politica basata su principi teorici costanti e a carattere universale, scienza che individua nell’istituto monarchico la sola via d’uscita al decadimento italiano. Soltanto uno Stato forte e autoritario, nella persona del Principe, può garantire alla società umana un’armonica convivenza civile, contrastando energicamente i conflitti sociali e gli attacchi della Fortuna. Alla Fortuna, in particolare, il Principe può opporsi mediante quei comportamenti maturati alla luce delle proprie esperienze passate e presenti, nonché alla luce delle conoscenze teoriche tratte dallo studio della storia di Roma, i cui insegnamenti di natura politica e giuridica sono ritenuti dall’autore universalmente validi (principio di ciclicità della Storia umana). Le norme politiche a cui il Principe deve attingere per mantenere saldo il proprio potere, costituiscono la sua virtus, attiva ed energica, in opposizione alla Fortuna.

 Francesco Guicciardini, invece, nella sua meditazione politica parte dalla consapevolezza pessimistica della estrema complessità e varietà del reale, non riducibile in alcuno schema fisso e universalmente riproponibile. La natura umana è imprevedibile e in continuo divenire, pertanto è vana l’illusione ottimistica dell’uomo di poterla governare secondo leggi generali d’azione, dato che una realtà sempre mutevole e imprevedibile sconvolge gli schemi entro i quali vorremmo costringerla. Egli sostiene, dunque, l’impossibilità di fondare una scienza politica rigorosa, un codice di comportamento valido ovunque e comunque, che trascenda dall’esperienza quotidiana.

 Alla virtù del Machiavelli, il Guicciardini oppone in concetto di "discrezione", che è l’arte difficilissima di sapersi adattare costantemente agli eventi: la discrezione consiste nella capacità di comprendere e sviscerare i singoli fatti nelle loro infinite sfumature, per poter inserire la propria azione nel loro corso tumultuoso, senza venirne travolti, salvando il proprio "particulare", cioè il proprio interesse, inteso nel senso più ampio di decoro, di dignità, di realizzazione piena della propria intelligenza e capacità di agire in favore di se stessi e dello Stato. Messa in discussione ogni speranza di stabilire regole di comportamento universali e oggettive, g. ritiene possibile fare affidamento solo su doti personali e sull’esperienza: la “discrezione” rappresenta, infatti, la capacità di orientarsi e di capire in quale circostanza ci si trovi, mentre la “prudenza” indica il modo con cui bisogna operare. Manca dunque in Guicciardini la propensione a definire principi teorici razionali e universalmente validi, manca la fede in un ideale che superi l’immediata sfera individualistica (il particulare), e ciò rende la sua visione della vita quanto mai scettica e realistica, a volte amara, anche se non priva di un vago rimpianto per gli ideali umanistici e cristiani, e tristemente consapevole della vanità finale di ogni soddisfazione umana. Si può dire, in un certo senso, che nel pensiero del Guicciardini la Fortuna vinca la virtù, e la fiduciosa e ottimistica affermazione rinascimentale della capacità costruttiva dell’uomo nel mondo appaia ormai in totale declino. Tale atteggiamento mentale gli derivò dalla sua concreta esperienza di uomo politico, ambasciatore, governatore, diplomatico, sempre volto a dirimere le controversie con spirito accorto e prudente, ricercando spesso il compromesso dinanzi alla forza inoppugnabile dei fatti, ai quali le teorie andavano applicate con una cautela estrema, non avulsa da rinunce.

 Il Guicciardini non è dunque l’ideologo teorizzatore, l’uomo di principi, ma uno storico dotato di enorme capacità critica e di giudizio realistico, secondo il migliore insegnamento rinascimentale. Si tenga presente, infine, che egli visse in un periodo storico che assistette al definitivo tramonto della libertà italiana e all’affermazione in Italia del dominio spagnolo.

giovedì 10 ottobre 2013

AGLI ALUNNI DELLA I A - SCHEMA DI ANALISI DI UN TESTO NARRATIVO

Ciascun'analisi di testo narrativo ( romanzo, racconto, favola, fiaba, novella; o parti di esso)deve sviluppare i seguenti elementi:
1. Titolo. Indicazione del titolo preciso del testo (se è all’interno di un’ opera, o di una raccolta di testi, se l’hai letto in un' edizione particolare)
2. Autore. Le notizie essenziali sull’autore del testo, se possibile con maggiore riferimento al periodo e alle implicazioni relative all’opera che hai letto.
3. Riassunto. Una sintesi della vicenda narrata, che contenga tutti gli avvenimenti principali che in essa sono raccontati, senza soffermarsi sui personaggi secondari.
4. Personaggi. Caratteristiche fisiche, psicologiche, cambiamenti, evoluzioni nel comportamento. Personaggi principali, personaggi secondari (Il sistema dei Personaggi).
5. Spazio. In quali luoghi si svolge la vicenda? Sono luoghi aperti o chiusi? Reali, realistici o immaginari? Qual è la funzione narrativa svolta dal paesaggio? Appare come semplice cornice alle vicende dei personaggi, o partecipa idealmente ai fatti narrati, acquistando così un ruolo tutt’altro che marginale? Le caratteristiche psicologiche dei personaggi sono amplificate e proiettate nei luoghi descritti?
6. Tempo. In quale periodo storico si inseriscono i fatti narrati? In quale arco di tempo si svolge la vicenda (dieci anni, due mesi, un giorno)? Prevalgono i tempi lenti (pause, riflessioni, ecc.), le scene, in cui l’azione scorre sotto i nostri occhi con la medesima velocità con cui stiamo leggendo il testo, oppure i fatti scorrono rapidamente, con riassunti ed ellissi temporali? Vi è corrispondenza tra fabula e intreccio? Ci sono analessi (flashback, ricordi) o prolessi (anticipazioni)?
7. Stile. Qual è il linguaggio adottato dall’autore? Ci sono elementi dialettali o di lingue straniere? C’è una sintassi particolare? Il registro è colloquiale, o tecnico-scientifico? Lo stile è giornalistico? E' presente qualche personaggio che si esprime in un modo diverso rispetto agli altri?
8. Tecniche di presentazione delle parole e dei pensieri dei personaggi. Prevale il discorso diretto, o quello indiretto? È presente il discorso indiretto libero? Ci sono monologhi interiori o flussi di coscienza?
9. Narratore. Il narratore è onnisciente, esterno ( o eterodiegetico: quando esso non partecipa e non ha partecipato alle vicende che racconta, non è uno dei personaggi, ma racconta gli avvenimenti dall’esterno, come una voce fuori campo. La narrazione si svolge in terza persona) oppure interno ( omodiegetico: è personaggio, se non addirittura il protagonista della vicenda. la narrazione si svolge in prima persona o anche in terza personA ).
10. Qual è la focalizzazione, ovvero il punto di vista del narratore ? - FOCALIZZAZIONE ZERO: è L’OTTICA DEL NARRATORE ONNISCIENTE = che sa tutto (interno- esterno: A. Manzoni ne “I Promessi Sposi”); - FOCALIZZAZIONE INTERNA: è l’ottica del narratore che presenta i fatti secondo il punto di vista del protagonista o di uno dei personaggi; si tratta di una prospettiva parziale e ristretta. Il narratore può essere interno alla storia (molto spesso), oppure esterno. Il narratore, anche se non è interno, può assumere il punto di vista di uno o più personaggi. - FOCALIZZAZIONE ESTERNA: è l’ottica di un narratore esterno alla storia che si limita a registrare ciò che vede: le azioni, le parole, i dialoghi dei personaggi senza conoscere i loro pensieri, senza intervenire con giudizi e commenti personali.
11. Temi dominanti. Quali sono gli argomenti su cui fa riflettere il testo? Come appaiono i profili dei personaggi in rapporto ai temi evidenziati? Può il testo risultare ancora attuale? In che modo, invece, rappresenta la mentalità o la cultura dominante dell’epoca di appartenenza?

mercoledì 9 ottobre 2013

AGLI ALUNNI DELLA III D

PER DOMANI, VENERDI' 10 OTTOBRE,PREGO DI VOLER PORTARE ANCHE IL TESTO DI DANTE.CORDIALI SALUTI, Prof. Cardaropoli

lunedì 7 ottobre 2013

AGLI ALUNNI DELLA III D

PONGO ALLA VS CORTESE ATTENZIONE IL POST DEDICATO ALLE FUNZIONI BASE DEL NOMINATIVO. Saluti, Prof. Cardaropoli :)

venerdì 4 ottobre 2013

AGLI ALUNNI DELLA III D

RACCOMANDO DI PORTARE SEMPRE, PER LE LEZIONI DI LATINO, UN PICCOLO DIZIONARIO DI BASE DA AGGIUNGERSI AI LIBRI DI TESTO. CORDIALI SALUTI, Prof. Cardaropoli

giovedì 3 ottobre 2013

AI CARISSIMI DELLA IV E

ECCOVI, COME ANNUNCIATO, UN IMPERDIBILE POST SU MACHIAVELLI, A CONCLUSIONE DELL'AUTORE E COME RESOCONTO DELLE LEZIONI (INNUMEREVOLI) FATTE IN CLASSE.... SALUTI CORDIALI, PROF CARDAROPOLI

NICCOLO' MACHIAVELLI (1469 - 1527): "politico, historico e comico"

• Alcuni temi fondamentali: VISIONE LAICA E ANTROPOCENTRICA DELLA VITA
Esaltazione della "virtù" contro la “fortuna”. Virtù e fortuna sono le due forze antagoniste e concorrenti nel campo dell’azione politica delineato da Machiavelli.
- Per il concetto di virtù occorre sottolineare il diverso significato che la parola assume in Machiavelli rispetto a Dante e, più in generale, rispetto alla cultura medievale. Il termine “vrtus, virtutis” che nella tradizione latina significa forza, vigore, valore militare, subisce, nel corso dei secoli un processo di risemantizzazione. Con l’avvento del Cristianesimo la virtus latina di arricchisce di significati nuovi, di natura teologica, evangelica e morale per indicare soprattutto le doti spirituali. In questa lenta trasformazione conta il fissarsi delle virtù teologali( fede, speranza, carità), oltre alle virtù cardinali (giustizia, fortezza, prudenza, temperanza). Nel conflitto tra il significato originario della parola virtù e il significato medievale, si coglie la differenza tra due visioni del mondo nettamente contrapposte: la visione classica (basata su valori legati alla forza, al coraggio, al valore delle armi), la visione cristiana. In Dante, infatti, il concetto di virtù anche se impiegato in un contesto mondano o terreno, è sempre strettamente collegato al contesto ultraterreno. L’uomo “virtuoso” è colui che possiede qualità razionali assistite dalla fede e dalla grazia divine. In Dante virù significa potenza, volontà di Dio, disposizione costante ad uniformarsi alla volontà di Dio, abitudine connaturata di fare il bene.
- In Machiavelli, e nel Principe , la VIRTU' svincolandosi da precetti morali, coincide con la capacità dinamica e operativa di sostenere il contrasto con la “fortuna”, di intervenire sugli eventi umani modificandoli. La visione laica, che è propria di Machiavelli, concepisce la virtù come l’insieme di doti intellettuali e pratiche che fanno il vero statista ( conoscenza delle leggi generali della politica, capacità di adattarle alle situazioni specifiche, energia e decisione nell’azione, spregiudicatezza e cinismo, capacità di dosare opportunamente forza e astuzia ): si realizza, così, la completa laicizzazione dl concetto di “virtù”. La virtù in Machiavelli rappresenta il suggello della concezione rinascimentale dell’ homo faber fortunae suae, essa segna l’affermarsi e il trionfo di una visione del mondo laica e antropocentrica, che già aveva espresso i primi segnali importanti nel dinamismo della civiltà comunale. In Machiavelli il concetto di virtù è posto al centro di una nuova etica, completamente materiale e immanente, non più ultraterrena o spirituale, basata sulla efficacia dell’azione dell’uomo in quanto partecipe di una società civile. Nel “principe” viene posto l’accento sulla “virtù” intesa come possibilità concreta dei soggetti politici di operare nella realtà.
- Accanto alla laicizzazione del concetto di virtù, si assiste in Machiavelli, e in generale nella cultura rinascimentale, alla laicizzazione del concetto di “fortuna”.
Nel Medioevo (così in Dante), la fortuna appare come la ministra della volontà di dio, l’intelligenza celeste e provvidenziale che amministra i beni del mondo secondo disegni imperscrutabili ai quali nessuna ragione umana può accedere. Non è una divinità capricciosa e crudele, ostile all’uomo, come nella tradizione pagana, ma un’intelligenza angelica posta al di sopra delle capacità interpretative dei comuni mortali (visione provvidenzialistica della vita e della storia).
Già a partire da Giovanni Boccaccio, e ancora per gli umanisti, il concetto di fortuna si evolve in direzione opposta all’accezione medievale e dantesca. La FORTUNA diviene una forza cieca e imprevedibile, la fortuna è il caso, l’accidente, l’imprevedibilità delle circostanze, l’avvenimento fortuito in grado di abbattere il progetto umano. Si afferma, dunque il rapporto virtù-fortuna come scontro tra le forze dell’uomo ed altre forze, non più provvidenziali, bensì cieche, casuali e immanenti, non dirette da alcuna volontà superiore e non indirizzate verso alcuna finalità. In Machiavelli la virtù non è rappresentata dalla forza interiore di resistere alle avversità, ma dall’intelligenza industriosa , dalla capacità fattiva di contrastare i limiti e i condizionamenti opposti dalla fortuna. Nel principe è delineata la capacità dei soggetti politici di opporsi, grazie alla loro virtù, ai condizionamenti storici oggettivi e imponderabili.

L’individuo e la fortuna: la concezione agonistica della vita caratterizza tanti scritti del Segretario fiorentino - non solo quelli politici ma anche, ad esempio, le commedie – propone l’immagine di un individuo che è solo davanti alle sfide dell’esistenza, concentrato in uno sforzo di intelligenza teso a riuscire a cogliere le opportunità, diverse per ciascuno, che la stessa misteriosa forza, la fortuna, può offrire a chi sappia approfittarsene.


• Il valore della STORIA ANTICA (carattere pragmatico e universale). L’importanza della conoscenza e dell’ esperienza
Nella concezione del Machiavelli , l’uomo virtuoso è colui che è in grado di impiegare l’intelligenza industriosa e la capacità fattiva per contrastare i condizionamenti opposti dalla fortuna. Nonostante l’accentuata consapevolezza dei limiti umani, Machiavelli ripone grande fiducia nell’intelligenza attiva, nella possibilità di usare non solo gli strumenti della conoscenza, ma anche, e in modo originale, i dati dell’esperienza, per intervenire nel reale e tentare di modificarlo; di conseguenza, pur rifiutando l’ottimismo umanistico, considera il sapere e la tradizione come un patrimonio prezioso per la vita attiva.
Il tal senso Machiavelli ritiene utile la storia in quanto documento che illustra le azioni degli uomini e, in particolare, dei grandi uomini del passato: raccoglie così l’eredità umanistica della STORIA “MAGISTRA VITAE” e la ravviva in un dialogo continuo e attivo con i personaggi dell’antichità, che interroga per comprendere non solo le ragioni del loro successo , bensì PER TRARNE MODELLI DI COMPORTAMENTO PRATICO. Gli umanisti studiano la storia e la letteratura antiche per desiderio di conoscenza ( una conoscenza filologica), per ragioni estetiche(trarne regole retoriche) , per esaltarne i valori di esemplarità e di universalità ( si pensi alla esaltazione da parte dell’Umanesimo civile fiorentino dell’esemplarità della Roma repubblicana contrapposta alla Roma imperiale); Machiavelli e gli intellettuali del Rinascimento riprendono il concetto umanistico di “imitazione” del mondo antico per fronteggiare con entusiastico ottimismo le difficoltà della realtà storica contemporanea. La storia antica non è semplice successione di grandi eventi, di gesta esemplari, essa costituisce un patrimonio prezioso da cui ricavare leggi generali dell’agire politico per l’azione nel presente: è l’applicazione al campo politico del principio di imitazione caro alla cultura umanistico-rinascimentale. Machiavelli, respingendo un’utilizzazione puramente estetica del principio di imitazione, estende gli insegnamenti del passato alla teoria politica. Egli diviene i fondatore di una nuova scienza politica incentrata sul contrasto dialettico tra virtù – fortuna, e che intende proporre nuove, spregiudicate teorie volte al perseguimento del bene comune.
• Il NATURALISMO
La concezione del mondo di Machiavelli poggia sulle basi di un naturalismo già presente nella cultura rinascimentale, naturalismo che investe tutti gli aspetti del reale, dagli esseri umani alle istituzioni, e che concepisce l’uomo come un essere definito ed immutabile alla stregua di tutti gli altri elementi della natura. L’uomo resta sempre uguale a se medesimo, l’evoluzione storica non modifica la base naturale che ne indirizza i comportamenti e che resta immobile nel tempo; la storia, dunque, non è che il continuo ripetersi di avvenimenti e di comportamenti sempre uguali a se stessi. E’ proprio a causa di questa sostanziale immobilità della natura umana che è possibile applicare alla storia e alla teoria politica il principio umanistico di “imitazione”, prendendo a modello una realtà lontana nel tempo. Hanno un peso notevole, nella sua personalità e nella sua opera, la concezione materialistica della vita ( Lucrezio), la forte opposizione alle correnti neo-spiritualistiche (savonaroliani), la tradizione scientifica aristotelica, la concezione storica che egli deriva dallo storico greco Polibio di Megalopoli (II sec. a. C.), deportato a Roma dopo la Battaglia di Pidna (168 a C.) ed inserito nel Circolo filoellenico degli Scipioni.. Da Polibio, Machiavelli riprende, in particolare, l’idea di un ciclo caratterizzante la vita di ogni stato: nascita, affermazione, sviluppo e ampliamento, decadenza, morte. Lo Stato è visto come un organismo vivente , un’entità biologica. In assoluto, la decadenza dello Stato non è evitabile; essa tuttavia può essere contrastata in due modi:
- prendendo a modello gli ordini repubblicani dell’antica Roma , il modo con cui in essi vennero equilibrati i poteri delle classi fondamentali;
- sapendo riconoscere i momenti di crisi dello Stato e sapendo ritornare, allora, alle sue origini: per impedire la decadenza delle istituzioni statali, occorre ricostruire costantemente i loro fondamenti e ritrovare i valori e le ragioni profonde della loro esistenza.
•L'INVENZIONE DI UN LINGUAGGIO E DI UN METODO

Gli scritti di Machiavelli sono riconoscibili anche per l’impronta inconfondibile della sua lingua. Il lessico è ricco di termini ripresi, in primo luogo, dall’ambiente della cancelleria, con latinismi e fiorentinismi, ma anche dai diversi linguaggi tecnici, dei mestieri, delle scienze e della natura. La costruzione sintattica e logica utilizza estesamente il procedimento dilemmatico (o… o…) che serve a ridurre le molteplicità del reale entro uno schema semplice di contrapposizione fra due elementi estremi e alternativi tra cui si pone la scelta. Analogamente, l’uso dei periodi ipotetici, delle casuali e delle finali e quello abbondante dei numerali (<< in dua modi, …il terzo modo, …quel secondo>>) danno il senso di un’analisi scientifica, di una realtà misurabile e ordinabile, di un calcolo condizionato. Abbiamo così un linguaggio e un metodo del tutto nuovi.