sabato 28 settembre 2013

LA CIVILTA’ RINASCIMENTALE - IL CLASSICISMO RINASCIMENTALE - LA QUESTIONE DELLA LINGUA




Convenzionalmente, con il termine Rinascimento, intendiamo il movimento intellettuale che giunge a pieno compimento il Italia nel periodo compreso dalla Pace di Lodi (1454) al Concilio di Trento (1545-1563), cui fece seguito la risposta della Chiesa cattolica alla Riforma protestante; altri storici posticipano l’inizio del Rinascimento all’anno della morte di Lorenzo il Magnifico(1492) fissando la sua conclusione con l’inizio della Controriforma.
Si tratta di un vasto movimento di rinnovamento culturale, artistico, letterario, filosofico, scientifico che allude ad un periodo di grandi trasformazioni nel modo stesso di concepire la realtà, dopo un’epoca di decadenza e barbarie: il Medioevo. Il Rinascimento va inteso come la fase di maturazione di un processo che affonda le sue radici nella cultura umanistica del 1400. Il fondamento della cultura rinascimentale risiede ancora nella esigenza del recupero dei valori della civiltà antica nella quale gli uomini del 400 e del 500 vedevano la realizzazione migliore dell’uomo.L’Umanesimo, che preparò il sostrato culturale sul quale si sviluppò successivamente il Rinascimento, fa riferimento alle cosiddette “humanae litterae”, gli studi che mettono al centro gli esseri umani moralmente e intellettualmente. Non a caso uno dei più autorevoli umanisti del 400, Leonardo Bruni, scriveva: “Si chiamano studia humanitatis perché formano l’uomo completo”. Ancora , nel Rinascimento è presente l’ideale dell’homo faber fortunae suae, celebrato già dall’umanista Giannozzo Manetti nel suo trattato sulla dignità dell’uomo, contro l’ascetismo medievale: “De dignitate et excellentia hominis” (1452), dove emerge l’entusiasmo per la capacità fattiva degli esseri umani, capaci di intervenire sulla natura per modificarla ed arricchirla, anche attraverso la produzione artistica. Ne sono esempio i grandi artisti e intellettuali , quali Filippo Brunelleschi (1377-1446), Michelangelo Buonarroti, Leonardo da Vinci, il Bramante, Niccolò Copernico.
Contro l’idea di intellettuale delineata sul modello del monaco medievale, si afferma , nel Rinascimento, la nuova immagine dell’intellettuale laico, impegnato politicamente e immerso nella realtà storica del tempo, intento a coniugare impegno intellettuale e impegno civile (vedi Lorenzo de’ Medici, L.B.Alberti, M.M.Boiardo, Ludovico Ariosto, Niccolò Machiavelli, Francesco Guicciardini). La libertà umana consiste nel dono, ricevuto da Dio, di poter conoscere e trasformare la realtà con la virtù, mediante un impegno operoso e creativo. la virtus celebrata nella cultura rinascimetale consiste, secondo l'accezione latina, nella capacità di intervenire con forza nelle vicende umane per dominarle secondo le necessità imposte dalla "realtà effettuale".
L’uomo è posto al centro dell’universo, considerato prevalentemente nella sua dimensione terrena, umana, come l’essere che in sé armonizza natura e spirito e crea il proprio destino e la propria civiltà nel mondo.
La coscienza della centralità dell’uomo produce come conseguenza necessaria la fiducia ottimistica nello strumento che caratterizza l’uomo e lo innalza al di sopra di ogni creatura: la ragione. In questo caso non si tratta di una novità assoluta rispetto al Medioevo, che grazie alla ragione aveva fissato con rigore razionalistico i principi della filosofia scolastica e della speculazione teologica. Tuttavia il razionalismo medievale era rimasto fortemente condizionato da una fondamentale ispirazione al trascendente: la razionalità non si conquistava se non con l'intervento, necessario, della fede e della grazia (vedi Dante, Divina Commedia). Inoltre, la conoscenza non doveva mai oltrepassare i limiti imposti all'uomo dai precetti cristiani contenuti nelle Sacre Scritture ; esistevano delle verità dogmatiche che appartenevano solo alla grandezza della mente di Dio, alla sua imperscrutabile sapienza, di fronte alle quali l'uomo, per sua natura fragile e imperfetto, risultava impotente. Il Rinascimento, invece, liberando i processi conoscitivi dai condizionamenti morali e religiosi imposti dalla cultura medievale, proclama l'autonomia assoluta della ragione e apre la strada alla scienza moderna, che trova nel Naturalismo del '500 una delle sue prime espressioni. Nel Rinascimento muta anche l'approccio allo studio della Storia e della Letteratura antiche. Grazie all'apporto filologico e allo studio del greco, l'Umanesimo aveva tentato di ristabilire la lezione autentica delle opere dei grandi auctores latini e greci( Platone, Aristotele, Virgilio, Cicerone, Lucrezio,Quintiliano), al fine di trarne modelli di comportamento e principi retorici di bello stile (ars dictandi, ars dicendi). E se nel Medioevo la storia antica costituiva essenzialmente la valida testimonianza dell'intervento costante di Dio nella vicende umane (concezione provvidenzialistica della storia), nel Rinascimento si guarda al passato con la fiduciosa consapevolezza di trarne degli "exempla" validi e attuali, utili all'uomo moderno per poter intervenire sulla realtà e modificarla secondo le particolari esigenze storiche e politiche.
Anche la letteratura del Cinquecento esalta l’individualità libera e creatrice, esprime l’ideale di serena e vigorosa armonia spirituale, la rinnovata concordia tra spirito e natura. Ciò è evidente, in particolare nell’ Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, il grande poema dell’uomo e della sua gioiosa avventura terrena; nell’idillio, un breve componimento poetico con spiccate caratteristiche soggettive che presenta una ambientazione naturale svolta in toni idealizzati e di evasione, come un mondo di pace contrapposto alla realtà; nel “Cortigiano” di Baldassarre Castiglione , opera che propone la figura del cortigiano ideale, dotato di grazia e di decoro, il riflesso di una società elegante, armonica e raffinata qual era quella delle sfarzose corti signorili del Rinascimento.
A questa tendenza, che potremmo definire idealizzante, propria degli autori lirici rinascimentali, fa riscontro una visione realistica e disincantata della realtà, propria degli autori storici del Cinquecento: Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini. Questi, rigettando ogni visione proovvidenzialistica e religiosa della storia, osservano la realtà politica, le sue violenze e le sue contraddizioni con sguardo lucido e disincantato, nell’intento di coglierne le leggi che regolano i comportamenti umani. Ambedue le tendenze culturali del Rinascimento, quella idealizzante che concepisce la poesia e l’opera d’arte come un raffinato esercizio letterario, momento di svago e di evasione dalle angustie della realtà, quella realistica degli autori storici, vanno riferite al contesto della storia italiana della prima metà del Cinquecento. In questi anni l’Italia è oggetto degli scontri e delle lotte sanguinose tra la Francia e la Spagna per il predominio territoriale. Sarà la Pace di Cateau Cambrésis del 1559, che assegnando alla Spagna il controllo diretto e indiretto su buona parte dei territori italiani (Milano, Napoli, Sicilia, Sardegna), porrà fine ad un cinquantennio di ininterrotte violenze.
Nel Cinquecento, i principali centri di diffusione della cultura rinascimentale furono Firenze, Ferrara, Mantova, Venezia, Urbino, Roma, Napoli.
Nel 500 le Accademie, già sorte in età umanistica*, si moltiplicarono in tutta Italia, specializzandosi in ambiti specifici; nacquero anche le prime grandi Biblioteche, basti pensare alla ricca Biblioteca laurenziana a Firenze, inaugurata da Lorenzo il Magnifico); altra novità importante del Rinascimento è la diffusione dell’industria tipografica: ricordiamo a tal proposito la bottega dell’umanista romano Aldo Manuzio (1449-1515) che comincia pubblicare testi nel 1494, anno della fatale discesa in Italia di Carlo VIII, e diviene presto rinomata in Italia e in Europa. Dalle officine tipografiche di A.Manuzio iniziano ad uscire, a partire dal 1500, anche delle nuovissime e pratiche edizioni tascabili, caratterizzate da un formato piccolo e di facile lettura.

*Ricordiamo la famosa Accademia platonica di Firenze tenuta da Marsilio Ficino, la cui nascita nel 1459 fu dovuta alla generosa iniziativa di Cosimo de’ Medici che mise a disposizione degli intellettuali la propria villa a Careggi; ricordiamo anche l’Accademia Pontaniana sorta a Napoli nel 1498 sotto l’influenza della monarchia aragonese e per iniziativa dell’intellettuale Antonio Beccadelli, detto il “Panormita”.


IL CLASSICISMO RINASCIMENTALE
Per “classicismo” umanistico e rinascimentale intendiamo l’atteggiamento culturale che identifica nella civiltà greco-latina un ideale di assoluta perfezione. La letteratura del Cinquecento è permeata dall’ideale classicistico che esprime l’aspirazione ad un principio di equilibrio e armonia universale, fondato sulla sintesi di magnanimità, compostezza formale, grazia e decoro, armonia tra Spirito e Natura. In questo senso il Rinascimento porta a compimento il processo già avviato dall’ Umanesimo di imitazione dei classici antichi, intesi come modello di perfezione formale e di “humanitas” (predisposizione a comprendere se stessi e gli altri). Nel Rinascimento si ribadisce il concetto di Classicismo (ossia dell’imitazione dei classici), trasferendo tale concetto alla letteratura in volgare, che assume gradualmente la netta rilevanza rispetto al Latino, anche nelle opere letterarie di un certo prestigio. Il termine “Rinascimento” vuole indicare, infatti, non soltanto la straordinaria fioritura delle lettere e delle arti, ma implica anche la convinzione che gli uomini del 500 siano gli eredi di un patrimonio antico straordinario, fatto di uomini ed opere memorabili: gli auctores classici, le grandi opere latine e greche, modello di stile e di somma saggezza. Ciò si traduce, sul piano della letteratura, nella ricerca del cosiddetto “classicismo formale” che si esprime nella realizzazione di opere che solo la sintesi di armonia, bellezza, misura delle proporzioni che trova alcune delle sue massime espressioni nelle contemporanee manifestazioni dell’arte figurativa. Il classicismo rinascimentale presuppone, oltre al principio di imitazione, il rispetto di modelli esemplari, considerati come termini di riferimento ideali e immutabili. Oltre ai classici latini e greci (Cicerone, Virgilio, Orazio, Stazio, Ovidio, Seneca, Aristotele), si definiscono nel 500 i nuovi classici in lingua volgare: nel 1525 il letterato veneziano Pietro Bembo, nel suo contributo più importante, “Prose della volgar lingua”, eleva a modelli da imitare le opere di F. Petrarca, per la poesia (sia a livello stilistico, che linguistico), i testi di G. Boccaccio, per al prosa.

LA QUESTIONE DELLA LINGUA NEL CINQUECENTO

Agli inizi del 1500 gli intellettuali italiani appaiono impegnati nella ricerca di un nuovo codice linguistico che potesse esprimere la mutata realtà dei tempi, nella piena coscienza della inadeguatezza della lingua latina in opere destinate ad un pubblico sempre più vasto. Si impone, pertanto, la cosiddetta “questione della lingua”, intesa a fissare un linguaggio letterario perfetto che fosse comune a tutti gli scrittori della Penisola. Le dispute sulla questione linguistica si protrassero per tutto il Cinquecento, tuttavia, tra i più significativi contributi ricordiamo Pietro Bembo e la sua opera, “Prose della volgar lingua” (1525). In essa Pietro Bembo, veneziano cultore degli studi umanistici e protettore delle arti, affermò l’esigenza di stabilire un linguaggio letterario scelto e aristocratico, distinto dal modello usato per la comune conversazione e modellato sulla migliore tradizione letteraria in lingua volgare. Il Bembo indicò, in particolare, il “fiorentino illustre” trecentesco del Petrarca, per la poesia, e del Boccaccio, per la prosa.
Alla disputa sulla questione della lingua presero parte anche altri autorevoli letterati del 500, tra cui ricordiamo Niccolò Machiavelli, Baldassarre Castiglione, Gian Giorgio Trissino; prevalse, fra tutte, la teoria di Pietro Bembo, per cui il volgare toscano del Trecento divenne la lingua che assurse a modello comune per i letterati del Rinascimento.
Frutto di queste polemiche fu anche la fondazione dell’Accademia fiorentina della Crusca nel 1583, che per molti secoli (esiste tuttora) custodì, anche se spesso in forma troppo rigorosa, il patrimonio e la tradizione del linguaggio letterario nazionale, di cui pubblicò un Vocabolario, che venne via via successivamente aggiornato.

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