venerdì 18 marzo 2016

LE TRE CORONE DEL MEDIOEVO - LA CULTURA UMANISTICO-RINASCIMENTALE.


DANTE 1265-1321 Opere in volgare fiorentino e in Latino: La Vita Nova, Il Convivio, De Monarchia, de Vulgari eloquentia, Epistolario, Divina Commedia, Le rime. Sommo poeta, massimo esponente della cultura medievale e della filosofia scolatica (aristotelico-tomistica). Opere a carattere didascalico allegorico.


PETRARCA (Arezzo 1304- Arquà1374) Opere in Latino e in Volgare fiorentino. Grande estimatore degli studi classici (Virgilio, Cicerone, Tito Livio, Padri della Chiesa: S. Agostino); scoprì nella Biblioteca capitolare di Verona le Epistole di Cicerone ad Attico, a Quinto e a Bruto. Fu incoronato poeta a Roma, in Campidoglio, nel 1341 dopo essere stato esaminato per 3 giorni dal re di Napoli, Roberto d’Angiò. Fu il primo grande autore medievale a coltivare lo studio del Greco, che apprese dal dotto bizantino Leonzio Pilato, conosciuto a Padova.
Opere latine: Secretum, l’Epistolario (Cicerone) De viris illustribus, Rerum memorandarum libri, Africa, De otio religioso, De vita solitaria; opere in volgare: Rerum vulgarium fragmenta (il Canzoniere o Rime sparse), i Trionfi. Opere concepite come esercizio di affinamento letterario, a testimonianza della sua profonda peritia litterarum – conoscenza grammaticale e lessicale - come espressione di dissidio interiore e di inclinazioni spirituali. Fasi di mondanità alternate a momenti di ripiegamento interiore, di ricerca del “locus amoenus”. Crisi della cultura medievale. Nel 1500 divenne modello di assoluta perfezione stilistica per la lirica.

BOCCACCIO 1313-1375.
Periodo napoletano, opere a carattere narrativo di ispirazione bucolica, in lingua volgare toscano: Filocolo, Filostrato, Teseida, Caccia di Diana; periodo fiorentino (dal 1340 in poi): Ninfale d’Ameto, Ninfale fiesolano, Amorosa visione, Elegia di madonna Fiammetta. Decameron (1349-1351); Trattatello in laude di Dante (iniziò la lectura dantis nella Chiesa di S.Stefano di Badia, a Firenze, nel 1374). Opere in Latino: De casibus virorum illustrium, Genealogia deorum gentilium, De mulieribus claris. Crisi della cultura medievale. Nel 1500 divenne modello di perfezione stilistica per le opere in prosa.


UMANESIMO E RINASCIMENTO
Coi nomi Umanesimo e Rinascimento indichiamo il periodo di storia della civiltà che si svolse nei secoli XIV- XVI ed ebbe, per quanto riguarda la cultura e le lettere, il suo centro di irradiazione in Italia. E' un periodo di grandi trasformazioni nella vita e nel costume: assistiamo al graduale rinnovamento delle strutture politiche e alla nascita degli stati nazionali (in Italia si affermano le signorie e successivamente principati territoriali); si sviluppano le attività economiche e commerciali, mentre le grandi scoperte geografiche allargano i confini del mondo conosciuto; inoltre le nuove invenzioni in campo della tecnica ( la stampa e la polvere da sparo) apportano radicali mutamenti nei rapporti umani. L'Umanesimo si fa iniziare convenzionalmente dalla morte di Francesco Petrarca (1374), fino al 1470 (l'ultimo trentennio del 1400). il Rinascimento giunge fino all'ultimo trentennio del 1500.

Nuova concezione dell'uomo e della vita

Il punto di partenza per comprendere la nascita della cultura umanistica risiede nella consapevolezza che tra il Trecento e il Quattrocento muta la visione del mondo: si passa da una visione filosofica e culturale di tipo TEOCENTRICO ( per la quale tutta la realtà fenomenica veniva rapportata a Dio, derivando da ciò una fondamentale svalutazione della natura umana, un disprezzo per il corpo e per i beni materiali ritenuti fugaci e caduti) ad una visione ANTROPOCENTRICA in cui l'uomo pone se stesso al centro della realtà come protagonista ed autore della propria storia, in accordo con le nuove tendenze filosofiche di natura neoplatonica. Ne scaturisce un atteggiamento edonistico, che consiste nel ricercare la bellezza e il piacere senza sensi di colpa. L'edonismo va unito al naturalismo che è la tendenza a considerare la natura e a godersela al livello fenomenico ( in se stessa), senza implicazioni mistiche, metafisiche e trascendentali. L'uomo dell’umanesimo rinascimento non è più in antitesi con la natura, né lo spirito è posto al di sopra di essa: l’uomo riscopre la bellezza della natura, e la natura diviene un grande libro aperto, un meccanismo perfetto regolato da leggi razionali che possono essere comprese, analizzate e decodificate. L’uomo diventa finalmente l’artefice del proprio destino (homo faber fortunae suae). Per questo motivo gli umanisti sono affascinati dalla cultura letteraria classica ( opere della letteratura latina e greca) cioè dagli studia humanitatis – le humanae litterae ( letteratura, grammatica, retorica filosofia, storia) - che restituiscono l’uomo a se stesso, che rivelano l’antica sapienza e la capacità costruttiva dell’uomo, il segreto di una vita intesa come ricostruzione morale, nella prospettiva di un’armonica convivenza civile.


I MOTIVI FONDAMENDALI DELLA CULTURA UMANISTICA SONO:

1) PRINCIPIO DI IMITAZIONE . La necessità che si ebbe di rifarsi agli autori antichi – gli auctores- per imparare a conoscere meglio se stessi, per individuare un modello ideale sia a livello umano, sia a livello stilistico da cui trarre uno stimolo e una guida sicura per operare nella realtà contemporanea. Si afferma così il principio di imitazione che diventa un cardine dell'umanesimo: se gli antichi hanno raggiunto un livello insuperabile di perfezione in tutti i campi dello scibile umano, è necessario imitarli.
Gli autori antichi che noi oggi definiamo classici (termine introdotto nella letteratura a partire dall'800) in verità erano definiti dagli intellettuali del medioevo e umanesimo ''auctores'': l'auctor era colui che godeva di forte autorità letteraria, colui che arricchiva lo scrittore moderno e dal quale prendere esempio (auctor deriva dal verbo latino augeo-es -axi-auctum-augere = accrescere, aumentare).
Già in età medievale era stato realizzato un canone di autori classici in cui figuravano Virgilio, Orazio, Cicerone, Stazio, Lucano, Ovidio, Tito Livio e Seneca. Una traccia di questo canone si ha già nella Commedia di Dante, in particolare nel limbo anche se in forma limitata a pochi autori: Omero, sebbene Dante non avesse letto i suoi poemi, Ovidio, Orazio e Lucano. Virgilio è scelto da Dante come sua autorevole guida.


2) STUDIO DEL GRECO
Contemporaneamente alla riscoperta degli autori e delle opere classiche secondo il principio di imitazione, si affermò la necessità di studiare in maniera diretta la lingua e la filosofia greca: Petrarca e Boccaccio furono i primi autori che riconobbero l’importanza della lingua greca che il Medioevo aveva praticamente ignorato. Boccaccio infatti nel 1359 fece assegnare una cattedra di greco nello Studio fiorentino al suo maestro di greco, Leonzio Pilato. Successivamente, nel 1397, Coluccio Salutati, cancelliere della repubblica fiorentina, affidò la cattedra di greco ad un idotto bizantino Manuele Crisolora.

3) LA SCOPERTA DELLE HUMANAE LITTERAE

Nella cultura Umanistico-Rinascimentale, che poneva l'uomo al centro dell'universo, si afferma parallelamente un rinnovato interesse per gli studia humanitatis : grammatica, retorica (quest'ultima in particolare era una disciplina, l’ ars dictandi, praticata soprattutto da coloro che ne traevano vantaggi per la loro professione: notai, giudici, cancellieri, ambasciatori, membri del clero), eloquenza filosofia e storia.
La cultura letteraria rileva ai moderni l'interiorità e l'umanità dei grandi scrittori antichi al fine di insegnare loro a comprendere meglio se stessi nella realtà che li circonda.

4) NASCITA DLLA FILOLOGIA
Cicerone diviene nel 400 un autorevole modello di armonia e di decoro, di forza d'animo, di poteritia ( capacità di sopportare coraggiosamente le avversità della vita), nonché di bello stile. La filologia è una disciplina che si configura quale studio scientifico della parola e del suo significato nel tempo. La filologia mirava a studiare e ricostruire i testi classici per riportarli alle condizioni originali.

5) L’umanesimo come riscoperta della dignità dell’uomo: i caratteri dell’EDONISMO UMANISTICO.


La rivalutazione dell’individuo, con le sue doti spirituali e corporee, porta a riconsiderare, tra il Quattrocento e il Cinquecento, i beni dell’esistenza nella loro interezza. Il punto di partenza di questo atteggiamento può essere individuato nel passo in cui l’umanista fiorentino Giannozzo Manetti confuta il De contemptu mundi di Lotario De Segni ( Papa Innocenzo III ). Giannozzo Manetti, nella sua opera De dignitate et excellentia hominis riconosce la dignità e l’eccellenza dell’uomo il cui operato terreno e la cui fisicità vengono esaltati in una prospettiva pur sempre religiosa, ma in polemica con l’impostazione ascetica di stampo aristotelico–tomistico della spiritualità medievale. Se nella vita dell’uomo le gioie compensano i dolori, è preferibile concentrarsi su di esse, cercando di cogliere le opportunità favorevoli. Non bisogna tuttavia confondere un simile atteggiamento con l’invito grossolano ad approfittare di tutti i piaceri possibili. Si tratta di una disposizione intellettuale, che fa parte di una concezione della realtà sostenuta da precise basi filosofiche: il neoplatonismo, che porta ad idealizzare le concezioni materialistiche, l’epicureismo.
L'edonismo, ossia la ricerca del piacere diventa quindi un fenomeno culturale che ha i suoi riflessi sul piano del costume sociale e mondano, negli ambienti aristocratici e raffinati delle corti.
Sulle radici culturali dell’ EDONISMO UMANISTICO dobbiamo far riferimento da un lato alla letteratura classica per quanto riguarda la ripresa dell’elemento mitologico e idillico , nonché nell’invito oraziano a godere della fugacità dei piaceri che la vita concede (carpe diem); dall’altro il motivo edonistico si incontra con quello cristiano e petrarchesco del trascorrere del tempo, rivissuto però in una prospettiva che ignora la trascendenza .
L’ EDONISMO umanistico, che nasce sulla base di queste problematiche, presenta caratteristiche colte che si riscontrano nelle opere di grandi intellettuali umanisti come:
Lorenzo il Magnifico (1449 -1492)
Luigi Pulci : (1432-1484). Il poema epico cavalleresco : Il Morgante
Angelo Poliziano ( 1454- 1494): Stanze per la giostra, poemetto in ottave
Matteo Maria Boiardo( 1440-1494). Il poema epico cavalleresco: l’Orlando innamorato



CENTRI DI DIFFUSIONE DELLA CULTURA UMANISTICA: FIRENZE, ROMA , NAPOLI

I principali centri di irradiazione della cultura umanistica, che dall'Italia si confuse via in tutta l'Europa, furono Firenze, Roma e Napoli.
A FIRENZE continua la grande tradizione di studi, iniziata dal Petrarca e dal Boccaccio, con Coluccio Salutati (1331 -1406) cancelliere della signoria fiorentina, scopritore delle lettere familiari di Cicerone , Niccolò Niccoli (1364-1437), fiorentino, che scrisse una guida per i ricercatori di manoscritti in Germania, Leonardo Bruni (1374-1444) autore di una Historia florentina , modellata sull’esempio della storiografia latina, Poggio Bracciolini (1380-1459) che portò alla luce numerosi testi latini: il De rerum natura di Lucrezio, le Selve di Stazio , la Institutio oratoria di Quintiliano , le Puniche di Silio Italico e altri. Accanto a questi che furono più propriamente dei letterati, ricordiamo i filosofi Marsilio Ficino (1433-1499), autore della Theologia Platonica ove tentava di conciliare la filosofia di Platone con il cristianesimo, Giannozzo Mannetti (1369-1459), fiorentino, autore del De dignitate et excellentia hominis, che contiene, insieme al De hominis dignitate di Pico della Mirandola, e alle opere di Marsilio Ficino, la più alta lode della natura umana; ricordiamo, infine, a Firenze l’opera di Cristoforo Landino (1424-1498).
I Medici, signori di Firenze dal 1435, favorirono con splendido mecenatismo, lo sviluppo della cultura a Firenze. Ma in genere tutti i signori italiani accolsero e protessero i letterati alle loro corti, sia per l’altissima considerazione in cui venivano tenuti gli studia humanitatis , sia perché si vedeva nel letterato il dispensatore di gloria e immortalità. Il signore trova nel letterato chi dà lustro e splendore alla sua corte e alla sua dinastia, e, in compenso gli offre i mezzi per una dignitosa esistenza e per raccogliere i rari manoscritti costosissimi, necessari ai suoi studi che un privato difficilmente avrebbe potuto acquistare.

Anche ROMA fu un grande centro umanistico sotto la protezione di alcuni pontefici, come Niccolo V e Pio II, che furono a loro volta letterati umanisti. Alla corte pontificia i principali studiosi furono Lorenzo Valla (1407-1457), autore dell’ Elegantiarum latinae linguae libri e di un libro in cui dimostrò la falsità del documento secondo cui l’imperatore Costantino avrebbe donato, già agli inizi del IV sec., Roma ai pontefici .

A NAPOLI sotto la protezione della dinastia aragonese, sorse l’ Accademia pontaniana, fondata da Antonio Beccadelli detto il “Panormita”, ma così chiamata per onorare il principale animatore, Giovanni Pontano, nato a Cerreto nel 1426 e morto a Napoli, dove fu ministro politico nel 1503. Il Pontano scrisse dialoghi e poesie in latino e fu l’esempio dell’illusione umanistica di sostituire l’italiano al latino anche nei componimenti propriamente letterari . A Napoli operò anche Iacopo Sannazzaro che introdusse il nuovo genere del romanzo pastorale con l’Arcadia, un poemetto in volgare destinato ad avere immensa fortuna.
Fra gli altri centri di diffusione della cultura umanistica ricordiamo FERRARA, dove i signori Estensi furono magnifici mecenati; MANTOVA dove regnò la splendida signoria dei Gonzaga.

UMANESIMO E RINASCIMENTO (morte del Petrarca- 1470 ca / 1470-1570 ca ).
Nuova concezione dell’uomo e della vita ( vedi Giannozzo Manetti, De dignitate et excellentia hominis; concezione teocentrica- concezione antropocentrica), riscoperta dei classici latini e greci come modello di perfezione stilistica e come esempi di grande umanità, esaltazione delle lettere (humanae litterae), e in genere di tutti gli studia humanitatis; nascita della Filologia; diffusione in Occidente dello studio del Greco, in particolare nello Studium fiorentino; Principio di imitazione- emulazione.

FIRENZE : UMANESIMO CIVILE (INTELLETTUALE CITTADINO) - UMANESIMO CORTIGIANO (INTELLETTUALE CORTIGIANO)

A Firenze distinguiamo dapprima una produzione letteraria che fa riferimento all’Umanesimo civile, frutto della civiltà comunale, che giunge a piena maturazione con la fine del regime repubblicano e con l’instaurarsi a Firenze nel 1435 della signoria dei Medici, una potente famiglia di mercanti e banchieri, nella figura di Cosimo I. L’umanesimo civile si realizza nell’ esaltazione di un ideale di cultura legato alla vita attiva e nella celebrazione dell’ intellettuale cittadino, impegnato nella vita pubblica del Comune, che non trae sostentamento dalla sua professione di intellettuale, ma da altre attività, che partecipa alla vita politica del Comune ricoprendo incarichi pubblici ed esprimendo nelle sue opere i suoi ideali civili. Nell’ambito dell’Umanesimo civile fiorentino, ricordiamo
Coluccio Salutati ( scoprì le epistole familiari di Cicerone), Leonardo Bruni ( scrisse una Historia fiorentina sul modello delle opere storiografiche latine), Poggio Bracciolini(riportò alla luce numerosi testi latini : De rerum natura di Lucrezio, Le Silvae di Stazio, Institutio oratoria di Quintiliano nella Biblioteca di San Gallo in Germania), Giannozzo Manetti ( autore del De dignitate et excellentia hominis, opera che contiene la più alta lode della natura umana).
Diffusione della cultura neoplatonica: Accademia neoplatonica a Firenze fondata da Marsilio Ficino nel 1454, per incarico di Cosimo de Medici, nella villa medicea di Careggi. Vi parteciparono Pico della Mirandola, Angelo Poliziano, L.B. Alberti, Lorenzo e Giuliano de’ Medici.

All’Umanesimo civile subentrerà, a partire dall’affermarsi a Firenze della signoria dei Medici (1435 in poi), il cosiddetto UMANESIMO CORTIGIANO, incentrato ancora sugli ideali feudali e cortesi quali la liberalità, la magnanimità, l’esaltazione di un mondo ideale di bellezza e di armonia. L’intellettuale umanista diviene un letterato di professione al servizio di un signore; alla partecipazione alla vita attiva si sostituisce l’isolamento dell’intellettuale nella cerchia esclusiva delle corti e delle Accademie, nuovi centri di diffusione culturale figura (cfr. pg. 11; pp.20-21)→ intellettuale cortigiano.
UMANESIMO CORTIGIANO a Firenze: Lorenzo de’ Medici, Angelo Poliziano, Luigi Pulci
Nella seconda metà del 400 il processo di riscoperta ed assimilazione della cultura classica, latina e greca, era ormai concluso, tuttavia tramonta definitivamente l’illusione della resurrezione e del trionfo del Latino nelle opere letterarie. La preminenza dell’Italiano, nella 2^ metà del 400, coincide col fenomeno letterario detto “Uman. Volgare”, fondato sulla persuasione che anche il volgare potesse essere capace di esprimere in forma eletta nobili concetti, purché lo si elevi dalla rozzezza del parlare quotidiano e gli si dia una certa dignità letteraria ( modelli stilistici autorevoli: Petrarca, Boccaccio). L’opera degli scrittori umanisti godette sempre più dell’appoggio degli aristocratici signori di corte (Medici a Firenze, Estensi a Ferrara, Gonzaga a Mantova), i quali, in linea con i nuovi ideali umanistico-rinascimentali di ricerca della bellezza e dell’armonia, e approfittando del particolare periodo storico di pace e benessere (1455-1492), favorirono il proliferare a corte di artisti e letterati. Questi furono cultori di una poesia prevalentemente di evasione, concepita come raffinato gioco letterario, celebrativa della bellezza e della gioia di vivere, nella consapevolezza della caducità e della fugacità della vita ( la Fortuna, come forza capace di stravolgere e condizionare gli eventi umani).

LORENZO IL MAGNIFICO (Firenze1449-1492).
Nel 1469 divenne signore di Firenze assieme al fratello giuliano. Ebbe come maestri Marsilio Ficino, Cristoforo Landino, Giovanni Argiropulo (dotto bizantino), Angelo Poliziano.
Scrisse opere in Latino e in volgare, sviluppando una tendenza realistica e naturalistica, che si esprime con descrizioni vive e concrete di paesaggi, nel vagheggiamento di una vita libera e serena a contatto con la natura (ricerca del locus amoenus). Vedi i Canti carnascialeschi ( filosofia neoplatonica, ispirazione bucolica, tono comico-realistico).

ANGELO POLIZIANO (Montepulciano1454- Firenze1494)

Poeta umanista e drammaturgo; precettore di Piero de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico.
Scrisse opere in latino, greco, volgare. Fu tra i maggiori animatori, almeno fino al 1478 (anno della “Congiura dei Pazzi”), del circolo culturale riunito attorno alla potente famiglia de Medici ( Marsilio Ficino, Pico della mirandola, Cristoforo Landino. In questo periodo Lorenzo de medici gli schiuse la via dell’agiatezza e degli onori.
Il suo capolavoro furono le “Stanze per la giostra” 1475-1478, poemetto in ottave scritto per celebrare il trionfo di Giuliano de Medici in una giostra (gioco di armati a cavallo, nel quale riportava vittoria colui che riusciva a disarcionare l’avversario).
Dopo un breve periodo di allontanamento da Firenze dovuto ai dissapori sorti con la famiglia de Medici, vi fece ritorno nel 1480, quando ottenne la cattedra di eloquenza greca allo Studium fiorentino ( già a 16 anni aveva tradotto dal greco i libri dal II al V dell’Iliade di Omero).
Fu autore anche di una famosa opera teatrale: l’Orfeo, che fu inserita, successivamente, nell’indice dei testi proibiti dalla Chiesa.

LUIGI PULCI (Firenze1432-Padova1484).
Esponente di una nobile famiglia decaduta.
Sua opera maggiore fu il Morgante, parodia del poema epico cavalleresco, in ottave. Il Morgante. fu pubblicato in una prima ed. del 1478, in 23 canti; seconda ed. del 1483, in 28 canti (il cosid Morgante maggiore). Per quanto riguarda lo stile, il modello a cui attinge Luigi Pulci per il suo poema è quello dei “cantari” popolari: componimenti cavallereschi del 400-500 accompagnati dalla musica e destinati ad una esecuzione in pubblico. Nel Morgante confluiscono temi e motivi dei grandi poemi epici medievali (ciclo carolingio- ciclo bretone), filtrati alla luce della nuova cultura rinascimentale.
Anche il Pulci, come il Poliziano, fu assiduo frequentatore del circolo culturale riunito attorno alla potente famiglia de Medici; egli godette per tutta la vita della simpatia di Lucrezia Tornabuoni e del figlio Lorenzo il Magnifico, dal quale ottenne numerosi incarichi ed aiuti economici.

MATTEO MARIA BOIARDO (Reggio Emilia 1441 -1494).
Poeta e letterato italiano di origini aristocratiche, vissuto nella raffinata corte di Ferrara.
Scrisse opere erudite in latino e in volgare; la sua più celebre fu, tuttavia,
l’Orlando innamorato, poema epico cavalleresco rinascimentale, in ottave (ottava rima: strofe di 8 versi che rimano secondo lo schema ABABAB CC) ispirato ai due grandi cicli della letteratura francese cavalleresca del medioevo, quello carolingio e quello bretone. Orlando, infatti, è l’eroico paladino dell’epopea carolingia, religiosa, nazionale e guerriera, incentrata sulla lotta dei Cristiani contro i Musulmani; ma l’aggettivo “innamorato” ci riconduce alle storie d’amore e d’avventura del ciclo bretone, dei cavalieri della Tavola rotonda, di Tristano e Lancillotto.Infatti, nella continua rielaborazione della materia cavalleresca medievale, gradita sia agli aristocratici signori di corte, che alle classi popolari, i due cicli si erano venuti progressivamente fondendo. Nel poema del Boiardo la fusione è completa: la struttura resta quella del poema epico medievale (stile formulare con l’ impiego di espressioni stabili e ripetute, disposte in situazioni metricamente identiche; affinità metriche e retoriche con l’agiografia; componente culturale religiosa; storicità del tema: scontro fra parti contrapposte decisivo per un’intera comunità e i suoi ideali; l’eroe del poema epico è un personaggio prode e magnanimo in cui si riconosce l’intera collettività e che trova nella guerra il senso del proprio onore).
Nell’Orlando innamorato, tuttavia, si riscontra una sostanziale innovazione della materia epica classica. Il paladino Orlando non è più soltanto l’eroe che combatte per difendere la patria e la fede cristiana: egli appare come un eroe nuovo e umanizzato, poiché diviene in primo luogo l’eroe innamorato, che nell’amore (forza istintiva e irrazionale) trova la ragione prima della sua vita e del suo agire. Il poema, dunque, si presenta non a carattere didascalico (come i testi dell’epica classica e medievale), bensì a carattere edonistico ed encomiastico. Lo scopo del Boiardo, infatti, era quello di intrattenere e divertire il raffinato pubblico della corte estensa, con un’opera dal carattere arguto e burlesco, con uno stile colorito, vivace e avvincente.
L’Orlando innamorato fu iniziato nel 1476, ed è diviso in 3 libri. I primi due libri, rispettivamente di 29 canti e di 31 canti, furono pubblicati nel 1483. Il terzo libro rimase interrotto al 9 canto, a causa della successiva morte del poeta avvenuta nel 1494 (anno della discesa in Italia di CARLOVIII).



La vanità dei beni terren
i“[…]Non c’è chi facci bene, non ce n’è solo. Quasi tutta la vita de’ mortali è piena di peccati, in modo che appena si possi trovare chi non penda a mano sinistra, chi non torni al vomito, che non sia puzzolente nello sterco, che non si rallegri più tosto quando ha mal fatto e rallegrasi nelle cose pessime. Ripiene d’ogni iniquità, malizia, avarizia, nequizia; pieni d’invidia, omicidio, contenzione, inganno, malignità; sussurroni, mormoratori in odio di Dio, pieni di villanie, superbi, gonfiati, inventori de’ mali, disubbidienti a’ padri […] Questo mondo è ripieno di tali e molto peggiori: abonda di eretici, di scismatici, di perfidie tiranni, simoniaci, ipocriti, ambiziosi, cupidi, ladri, rubatori [..]astuti, golosi, ubriachi, adulteri etiam nel parentado, lascivi immondi pigri e negligenti. […]”. Lotario Diacono, De contemptu mundi, III (XII-XIII sec.)

GABRIELE D’ANNUNZIO (Pescara 1863- Gardone 1938) – PRODUZIONE LETTERARIA



La produzione letteraria di Gabriele D’Annunzio (1863-1938), sebbene vastissima e multiforme, presenta un profilo abbastanza unitario, nelle tematiche e nello stile: fin dal Canto Novo (1882) la sua fisionomia di scrittore risulta sufficientemente precisata e se anche gli sviluppi successivi la modificheranno in parte, non arriveranno mai a cancellarne i tratti originari.
La matrice della poetica dannunziana è POSITIVISTA E MATERIALISTICA , con in più un afflato mistico che conduce spesso l’autore ad una identificazione estatica con la materia stessa, nelle forme che essa assume nei corpi della natura, nei ritmi delle stagioni. Tutto quanto abbia a che fare con il corpo, dalla sensibilità alla sensualità fino alla malattia e al disfacimento della morte, diviene per il poeta un vero e proprio oggetto di culto e di esaltazione, che si riflette nel più ampio culto delle acque e dei boschi, delle spiagge e del sole, come manifestazioni meravigliose di una irrefrenabile energia vitale. Il poeta diviene il SACERDOTE LAICO che officia i riti di una religiosità pagana e amorale, depositario di un mistero che non ha nulla di metafisico: è il mistero della bellezza che si incarna nelle forze naturali positive, e che non sopporta vincoli di ordine etico o sociale.. la bellezza per D’Annunzio non va solo contemplata: al contrario essa va usata fino in fondo in una brama di possesso e di godimento estetico che non conosce limiti.

Agli albori della modernità italiana, tra Ottocento e Novecento, D’Annunzio scopre la cultura di massa e sa farsene interprete. Sempre aggiornato sui fenomeni più in voga, fonda sull’ imitazione la sua produzione letteraria, cogliendo abilmente di volta in volta gli umori del momento e rielaborando in modo originale. I modelli più disparati.

1.ESORDIO DI INFLUENZA CARDUCCIANA E NATURALISTA.
L’esordio poetico di D’annunzio con Primo vere (1879) e Canto novo (1882) è all’insegna di Carducci, rivisitato nella direzione di un’intima comunione con la natura che ispira sentimenti sensuali e vitalistici. I racconti giovanili sono ambientati in Abruzzo, terra d’origine del poeta rappresentata come luogo dalla natura ferina e istintiva, aspra e selvaggia; questi, confluiti nel volume unico Novelle della Pescara (1902), risentono l’influenza del Naturalismo francese (Flaubert e Maupassant) e del Verismo italiano (Capuana e Verga); si tratta essenzialmente di un’imitazione prevalentemente formale, poiché il D’Annunzio col suo temperamento sensuale è lontanissimo sia dalla concezione sana, operosa e virile di Carducci, sia dalla profonda moralità e pietà del Verga.

2.DECADENTISMO ESTETIZZANTE. Dagli esordi giovanili carducciani e naturalistici, i percorsi dannunziani andranno sempre più intrecciandosi. Sono questi gli anni, dal 1883 in poi, in cui il D’Annunzio diventa una celebrità nei salotti romani più importanti; diventa il celebre cronista mondano di riviste importanti “Cronaca bizantina”, “Capitan Fracassa”, la “Tribuna”, fa una fuga d’amore con la duchessina Maria Hardouin di gallese, sedotta per scopi pubblicitari, e poi sposata per obbligo di riparazione. Gli anni romani (1881-1891) sono fondamentali per al sua formazione letteraria e per la sua crescita ed evoluzione artistica: divora i libri di Flaubert, Zola, Maupassant, i versi parnassiani di Baudelaire ( in particolare I fiori del male) e Mallarmé, i romantici Keats e Shelley, il decadente Swinburne. La ricchezza di esperienze erotiche e la molteplicità delle letture alimentano non solo la narrativa di questi anni, ma anche le prove poetiche del D’annunzio romano. Il poeta infatti si orienta verso un calcolato kitsch (letteralmente: fare opera antica con materiale moderno), un indirizzo estetico di fine Ottocentoche consiste nell’accumulo di materiali eterogenei nello stesso componimento. Ciò che conta per il poeta è l’effetto strabiliante dell’insieme, e soprattutto la perfezione della forma, la cui assoluta priorità è affermata nella chiusa del primo romanzo di D’Annunzio, Il Piacere (1889) “O poeta, divina è la Parola….e il verso è tutto”
Sull’esempio dei romanzi ciclici dell’Ottocento di Honoré de Balzac ( la commedia umana) DI EMILE Zola ( i Rougon Macquart), Verga (i vinti), il D’Annunzio si propose di scrivere un ciclo di romanzi distinti in tre trilogie: I romanzi della rosa, I romanzi del giglio, I romanzi del melograno a simboleggiare le tappe evolutive del suo spirito dalla schiavitù delle passioni alla vittoria su di esse.
La contemplazione e il godimento della bellezza, insieme intellettuale e istintuale – L’ESTETISMO - cioè l’esaltazione della Bellezza “pura e inutile” contraddistingue i primi tre romanzi di D’Annunzio: Il Piacere (1889), L’innocente (1892), Il trionfo della morte (1894) - poi riuniti nel ciclo I Romanzi della rosa – hanno per protagonisti raffinatissimi intellettuali, mossi dal comune desiderio di una sfrenata ricerca del piacere, che si trovano a scontrarsi in vari modi con la forza travolgente e incontrastabile della sensualità e delle passioni, e ne escono sconfitti, pagando la loro inadeguatezza con la nevrosi (Andrei Sperelli, Il Piacere), con il delitto (Tullio Hermil, L’Innocente), con la morte (Giorgio Aurispa, Il Trionfo della morte). Il vero modello de Il Piacere va cercato nel romanzo fondamentale del Decadentismo europeo, A ritroso del francese K. Huysmans. I protagonisti dei ROMANZI DELLA ROSA, il fiore simbolo della voluttà, d, pubblicato nel 1884 e subito letto e ammirato da D’Annunzio. ella passione invincibile, rappresentano simbolicamente l’autore stesso, sono delle controfigure dell’autore che si muovono nello stesso frivolo mondo nella nobiltà romana nel quale si muoveva in quegli anni D’Annunzio e ne condivideva i gusti e le inclinazioni. Non a caso il D’Annunzio forgia proprio in questi anni il proprio gusto decadente tutto nutrito di edonismo e di prezioso estetismo. Ma i personaggi suddetti non possiedono ancora la sufficiente energia vitale e sovrumana, necessaria per sopravvivere ai devastanti effetti di una vita vissuta all’insegna del puro edonismo, della sensualità scatenata: una energia che D’Annunzio riteneva esclusivo appannaggio del cosiddetto Superuomo, il mitico prodotto finale di una darwiniana selezione naturale intenta a falcidiare i più deboli e inadeguati.

LIRICA: La ricchezza delle esperienze erotiche e la vastità delle letture, in particolare di opere francesi, alimentano non solo la prosa di questi anni romani, ma anche la POESIA. Al gusto estetizzante si ispirano le due raccolte
Elegie romane (1883); Intermezzo di rime (1887-1892). In elegie romane il poeta esprime informe poetiche tradizionali (sonetti, madrigali, ecc.) ritratti femminili in un ambiente aristocratico e raffinato disfatto dall’eccesso di sensualità E’ evidente il queste opere la lezione dei Parnassiani francesi, in particolare di Th.Gautier,e di Charles Baudelaire (I fiori del male). I motivi fondamentali sono, ancora, la corrispondenza tra ARTE e VITA; il narcisismo edonistico, una forte componente sensuale che si esprime mediante un irrefrenabile godimento dei sensi; il nesso parnassiano tra la perfezione formale e la dissoluzione morale; la poetica del KITSCH.


3.FASE BONTA’: PERIODO NAPOLETANO (1891-93)
Nel 1891 D’Annunzio abbandona la vita gaudente romana e perseguitato dai creditori si trasferisce a napoli. Anche nel periodo napoletano lo studio delle letterature straniere orienta e condiziona la sua poetica. La lettura in traduzione francese dei narratori russi Tolstoj e Dostoevskij (I fratelli Karamazov) Nascono opere di impianto fortemente morale e psicologico che mirano alla condanna dell’uomo che si abbandona senza coscienza e senza ideali alla ricerca del piacere. I motivi sono, dunque, la poetica del pentimento e dei buoni sentimenti; il Simbolismo come trasfigurazione di oggetti ed emozioni nella musicalità del verso.
Opere del periodo napoletano: I romanzi Giovanni Episcopo (1891) e L’innocente (1893); Il poema paradisiaco (1893).

4.IL SUPEROMISMO (1892). La seconda trilogia, I ROMANZI DEL GIGLIO fiore simbolo del superuomo, della passione che si purifica, si ispira al SUPEROMISMO DI NIETZSCHE. La conoscenza della filosofia di N. è databile intorno al 1892, anno in cui D’annunzio lesse Così parlo Zarathustra e ne rimase certamente colpito, tanto da segnare una svolta intellettuale destinata a dividere in due il percorso artistico dannunziano. Sarebbe tuttavia un errore ritenere che nel poeta l’idea del superuomo sia totalmente tributaria delle teorie nietzscheane: essa è infatti già presente nel forte Vitalismo che caratterizza la poetica dannunziana fin dal Canto novo. Dal superuomo di N., il superuomo dannunziano deriva il concetto della volontà di potenza creativa e della ricerca di una gioia nuova, derivata dalla capacità di non dubitare più di sé dinanzi al mondo. Al potere del superuomo si contrappone la banalità e la cieca passività della folla, cioè della massa della civiltà moderna che minaccia la singolare eccellenza dell’eroe, e che dunque deve essere sottomessa alla sua forza creatrice. Il superuomo dannunziano coincide con l’artista, un essere superiore che in virtù della propria vitalità intellettuale e del culto della Parola, ha il diritto di dominio assoluto sulla folla, semplice strumento della sua capacità di imprimere accelerazioni alla storia umana. L’autore si convince che è esattamente la parola, nei suoi valori tanto semantici quanto musicali, la garanzia del conquistato possesso del mondo da parte del poeta-superuomo (il poeta, accanto a Nietzsche, aveva scoperto anche la musica di Richard Wagner 1818-1888 teorico del cosiddetto dramma di parole e musica che realizza la perfetta compenetrazione tra canto e orchestra, parole e musica). Il suo estetismo di matrice materialista, reperisce i mezzi verbali più congeniali- volutamente straordinari- attraverso una assoluta ricerca inesausta di vocabolari, dizionari specializzati, lessici, attingendo a opere letterarie antiche e moderne, al punto da far incorrere D’Annunzio in numerose accuse di plagio. Si accentua in questa fase l’idea di una superiorità assoluta dell’artista e della sua sintonia con la natura. Una volta raggiunta la sicurezza della parola, una volta identificato in essa l’universo privilegiato del Superuomo, la vita stessa può farsi a sua volta parola, può manifestarsi attraverso una serie di gesti clamorosi ed eccentrici che recano in sé la finzione dell’arte: la vita come opera d’arte, vecchio sogno dei Scapigliati e dei bohemiens, ma anche dei Parnassiani e in generale dei decadenti francesi, può finalmente realizzarsi sotto l’egida del Superuomo, facendo di D’Annunzio un “caso” culturale assolutamente unico nella storia della letteratura europea moderna.
Il superuomo di D’Annunzio è fondamentalmente assai lontano dal suo modello nietzscheano: privo di spessore filosofico e conoscitivo, tanto gaudente, vitale e ottimista quanto l’altro appare pessimista e funebre, il Superuomo dannunziano affida la propria onnipotenza alle armi della parola: al parossismo dei sensi e della materia si può sopravvivere solo grazie al culto della parola, solo a patto di poter forgiare un linguaggio sublime e divino che sia all’altezza dell’eccezionalità dei contenuti da significare e comunicare.
I tratti distintivi del Superuomo possiamo riassumerli nelle parole del critico Carlo Salinari “culto dell’energia dominatrice, sia che si manifesti come forza o come capacità di godimento della bellezza; ricerca della propria tradizione storica nella civiltà pagana greco-romana e in quella rinascimentale; concezione aristocratica del mondo e disprezzo della massa; idea di una missione di potenza e di grandezza della nazione italiana da realizzarsi soprattutto attraverso la gloria militare; giudizio totalmente negativo sull’Italia postunitaria e necessità di energie nuove che la risollevino dal fango”.

Il tema del superuomo produce i suoi interessanti effetti sia in ambito poetico che, soprattutto, nel campo della narrativa. Se Il trionfo della morte (1894) è il romanzo che fotografa la graduale metamorfosi ideologica, il romanzo-manifesto della poetica del Superuomo è Le vergini delle rocce (1895) il primo e unico romanzo della trilogia “del giglio”.
Tuttavia, il primo personaggio davvero vincente che si incontra nella narrativa dannunziana è il grande poeta Stelio Effrena, incarnazione di un ideale artistico eroico, protagonista de Il fuoco (1900). Questo romanzo, unico della TRILOGIA DEL MELOGRANO, rappresenta il culmine del romanzo superomistico dannunziano, il livello più alto del suo ottimismo creativo. Giunge qui a compimento anche il processo di dissoluzione delle strutture del romanzo realista, a avntaggio di effetti musicali ispirati dalla wagneriana.

LIRICA : Accanto al romanzo, il mito superomistico alimenta anche la poesia di D’Annunzio. In questo ambito lo scrittore è debitore non soltanto del Così parlò Zaratustra, ma anche della nascita della tragedia di Nietzsche, in cui il filosofo tedesco aveva posto le forme della spiritualità greca all’origine della civiltà occidentale. In ambito lirico il mito del superuomo si sposa con la riscoperta e l’esaltazione da parte del poeta della Grecia antica, patria del “sentimento dell’energia e della potenza elevato al sommo grado”: il mito del mondo antico capace di illuminare e riscattare la decadenza del presente, si concretizza in un viaggio condotto da D’Anninzio nei siti archeologici ellenici nel 1895. Così dopo anni di dedizione alla prosa e al teatro, in una lettera del giugno 1899 D’Annunzio annuncia: “In questi giorni mi sono riaccostato alla poesia: ho scritto alcune delle Laudi del cielo, del mare, della terra degli eroi” Nasce così sul finire del 1890 il progetto delle Laudi, dedicate alla suprema ambizione del poeta-superuomo intenzionato a cantare la bellezza del mondo visibile e la gloria dell’eroe attraverso il tempo. Non si tratta solo di poesia: il richiamo del titolo alle Laudes creaturarum di S.Francesco, allude alla volonta del D’annunzio di fondare una moderna religione anticristiana, basata sul ricongiungimento dell’individuo alla potenza creatrice della natura. Il progetto delle Laudi prevede sette libri, ognuno dedicato ad una stella delle Pleiadi. Nei fatti, D’Annunzio pubblica i primi tre libri, composti tra il 1896 – 1903 : Maia (1903); Elettra (1904); Alcyone (1904). I motivi che sostanziano la poesia delle Laudi sono temi cari al Superuomo: l’esaltazione del mito attraverso un itinerario mentale e reale sulle tracce della Grecia antica; esaltazione degli eroi ed episodi del passato alla ricerca dei segni della grandezza dell’Italia (poesia di intonazione civile di stampo patriottico e nazionalistico); concezione aristocratica del mondo; fusione panica con la Natura e metamorfosi dell’uomo; intenso rapporto a carattere dionisiaco del poeta-superuomo con la Natura, fonte di inesauribile energia creativa (Vitalismo); il culto della parola. Questa poetica si riflette anche sul piano stilistico La parola sublime e “divina” è orchestrata in vista della maggiore musicalità possibile, in grado di assecondare le invenzioni della sua fantasia nella forma originale della “strofa lunga”: i testi poetici sono infatti concepiti come partiture orchestrate su una metrica ora tradizionale, ora libera, ma sempre caoace di assecondare il flusso delle immagini. Il culto della parola conosce la sua più piena realizzazione proprio nei primi tre libri delle Laudi e in particolare nell’Alcyone (1903) concordemente ritenuto il capolavoro della poesia dannunziana. In Alcyone il poeta si abbandona alla libera celebrazione dell’estate e della sua forza vitale, rifondendo il materiale poetico del Canto Novo in direzione di una ricerca stilistica che diviene l’obiettivo supremo della creazione artistica. Particolarmente efficace risulta l’utilizzo della “strofa lunga” composta da una prolungata sequenza di versi liberi, cioè di misura variabile,, ma preferibilmente breve, così da conferire agilità allo schema metrico. . Alla suggestione musicale collaborano le scelte lessicali, auliche e talvolta semplici, ma sempre ricche di particolari effetti fonici, l’uso di assonanze, allitterazioni, similitudini, metafore sinestesie volte ad ottenere una lingua poetica fortemente analogica.

5.NAZIONALISMO. Al rientro dalla Francia (1910-1915) D’annunzio manifesta di aver tradotto gli ideali superomistici di volontà di potenza in attivismo politico a base nazionalistica. Il superuomo dannunziano non veste più soltanto i panni dell’artista raffinato, ma diventa il banditore di una politica aggressiva, elitaria, antidemocratica, imperialistica. Diviene un poeta soldato, il vate d’Italia, si arruola nell’esercito italiano, combatte sul Carso, partecipa ad imprese militari marittime ed aeree ( in seguito ad un incidente aereo perde l’occhio destro, volo su Vienna; occupazione di Fiume). Alle impresa del poeta soldato fa eco sul piano letterario una poesia nazionalistica: le Canzoni delle gesta d’oltremare (1911-1912) scritte per esaltare la guerra di Libia e → confluite nel 4° libro delle Laudi dal titolo Merope; i Canti della guerra latina (1914-18) scritti per esaltare le gesta italiane durante la 1^ guerra mondiale e → confluiti nel 5° libro delle Laudi dal titolo Asterope (1932).


6.FASE NOTTURNA. PROSA LIRICA E MEMORIALE
. Dopo gli anni di attivismo bellico, lo scrittore, cieco da un occhio, si dedica ad una prosa non più veemente e narrativa, virile, bensì descrittiva, a carattere memoriale, diaristico incentrata sulla trascrizione della sua “vita segreta” .La nuova prosa dannunziana diviene sfumata, frammentaria, fatta di appunti, ricordi e folgorazioni; è una prosa fortemente lirica che mira a ricreare il mito di un D’annunzio superumano la cui vista creativa, piuttosto che indebolirsi si affina con la cecità. Il capolavoro della fase notturna è il Notturno, un libro nato proprio nel periodo della cecità e poi ampliato in vista della sua pubblicazione avvenuta nel 1921.

BIBL: De Caprio Giovanardi, I testi della letteratura italiana; Antonelli-Sapegno, Il senso e le forme; appunti docente.

G. PASCOLI (1855-1912) - IL FANCIULLINO


Il Fancilullino è uno scritto teorico articolato in 20 capitoli , la cui composizione si svolge nell’arco di un decennio. Pubblicato inizialmente a puntate sulla rivista “Il Marzocco”, compare in edizione definitiva nel 1907 all’interno del volume “Pensieri e discorsi”. Il saggio costituisce la massima espressione della riflessione teorica del Pascoli sulla poesia; Il fanciullino si presenta come una lunga e dettagliata esposizione del programma poetico dell’autore, in cui è sviluppato il concetto prerazionale e intuitivo della poesia.
LA POETICA DEL IL FANCIULLINO
L’idea centrale della riflessione teorica è che il poeta è il solo privilegiato che riesce a dar voce al “fanciullo” – simbolo dell’irrazionale - che rimane nascosto in ognuno di noi; la poetica del fanciullino si collega al concetto di poesia intesa come “meraviglia”: come agli occhi puri e innocenti di un fanciullo il mondo appare meraviglioso e stupefacente anche nei suoi aspetti più comuni e banali, così il poeta deve saper cogliere LO STRAORDINARIO NELL’ORDINARIO, scavare nelle sensazioni fino ad isolarne tratti che sfuggono al senso comune ed esprimere quei tratti a parole, quasi come un novello Adamo che “mette il nome a tutto ciò che vede e sente”. Ma il fanciullo che è in noi è normalmente soffocato dalle esigenze della vita; esso è invece rimasto in vita nel poeta e parla e si esprime nei suoi versi. Il compito del poeta consiste nel comunicare il senso di stupore che nasce dalla conoscenza nuova e sempre diversa che hanno della realtà circostante coloro i quali possiedono la particolare facoltà di vedere ciò che è sotto gli occhi di tutti, ma non è percepito dalla maggior parte degli individui.
il Pascoli teorizza la sua poetica, intimamente connessa al Decadentismo, - la poetica del Fanciullino- all’incirca negli stessi anni in cui D’Annunzio elabora il mito del «superuomo. Questi i punti principali della poetica pascoliana:

 NATURA IRRAZIONALE E INTUITIVA DELLA POESIA. Il poeta è quel fanciullino presente in un cantuccio dell’anima di ognuno di noi, un fanciullino che rimane piccolo anche quando noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, anche quando nell’età più matura siamo distratti e impegnati in attività pratiche. Il fanciullino che è in ciascuno di noi arriva alla verità non attraverso il ragionamento, ma in modo intuitivo ed irrazionale, guardando tutte le cose con stupore, con aurorale meraviglia, come fosse la prima volta: Fanciullo, che non sai ragionare se non a modo tuo, un modo fanciullesco che si chiama profondo, perché d’un tratto, senza farci scendere a uno a uno i gradini del pensiero, ci trasporti nell’abisso della verità. Anche la poesia, per Pascoli, deve essere spontanea e intuitiva, come intuitivo è il modo di conoscere e di giudicare dei fanciulli. C’è in Pascoli, dunque, l’idea della poesia “pura”, genuina espressione del sentimento, immune da interferenze intellettualistiche e da ogni finalità pratica.
La poesia tradizionale secondo Pascoli non sa di guazza e d’erba fresca: essa non ha la spontaneità e lo stupore della percezione fanciullesca, sovraccarica com’è di raffinatezza letteraria, di schemi retorici. La poesia, inoltre, deve essere pura e istintiva perché il fanciullo non s’intende di problemi politici o morali, né di lotte sindacali e di ideologie; una poesia che s’interessa programmaticamente di questi problemi è poesia applicata e si risolve in propaganda o retorica.
 POTERE ANALOGICO E SUGGESTIVO DELLA POESIA. Se il poeta-fanciullo arriva alla verità in maniera alogica e irrazionale, per folgorazioni intuitive, la poesia allora deve affidarsi all’intatto potere analogico e suggestivo dei suoi occhi, non ancora inquinati da alcuno schema mentale, culturale, storico. Gli occhi del fanciullo scoprono nelle cose le somiglianze e le relazioni più ingegnose; adattano il nome della cosa più grande alla più piccola, e al contrario; impiccioliscono per poter vedere, ingrandiscono per poter ammirare, giungendo, immediatamente e intuitivamente, quasi per suggestione, al cuore delle cose, al mistero che palpita segreto in ogni aspetto della vita.
 POESIA COME SCOPERTA e CONOSCENZA : VALORE GNOSEOLOGICO DELLA POESIA. La poesia non è invenzione, ma conoscenza e scoperta : scoperta di una realtà ultrasensibile che solo che solo il poeta , grazie alla sua particolare sensibilità di “fanciullo”, sa cogliere e decifrare (A.Rimbaud, Lettera del veggente). Poesia è trovare nelle cose il loro sorriso e la loro lacrima; e ciò si fa da due occhi infantili che guardano semplicemente, e serenamente di tra l’oscuro tumulto della nostra anima. La poesia ci mette in comunicazione immediata con il mistero che è la realtà vera dell’essere, essa è un mistico contatto con l’anima delle cose, è la forma suprema di conoscenza.
 IL SIMBOLISMO. Il fanciullo-poeta non riesce a cogliere i rapporti logici di causa ed effetto tra le cose, a fissarle in un insieme o sistema coerente. Gli oggetti vengono piuttosto percepiti in modo isolato e svincolato dal contesto, scatenando così l’immaginazione del poeta che li carica di significati nuovi, antichi ricordi o esperienze del proprio universo immaginario, e ne fa un simbolo. Ecco allora che l’”aratro dimenticato” in mezzo al campo diventa il corrispettivo di una vita solitaria, di uno stato d’animo pervaso di malinconia e di tristezza. L’«albero spoglio e contorto» diventa simbolo dell’angoscia dell’uomo; il «nido vuoto» simbolo della casa vuota delle presenze familiari; i «fiori» simbolo dell’inquietudine e del peccato, della incomunicabilità dell’esistenza umana, gli annunciatori della morte. Tutta la poesia pascoliana è intrisa di simboli, perché la realtà che essa rappresenta è il mistero insondabile che circonda la vita degli esseri viventi e del cosmo. Il poeta è teso ad esprimere i palpiti arcani, le rivelazioni delle cose, le illuminazioni dell’ignoto. Il simbolismo pascoliano – e in generale tutta la sua sensibilità decadente- come rileverà anche successivamente Eugenio Montale, pur avvicinandosi a quello europeo, resta ancora un atteggiamento ristretto provinciale, più istintivo che consapevole e programmatico, perché modesti furono in verità i contatti del poeta con la cultura europea, ridotte le sollecitazioni esterne. (Il simbolismo pascoliano non raggiunge la profonda coscienza, la medesima tensione visionaria, l’agonismo conoscitivo del Simbolismo francese).
 LE UMILI COSE. Se la poesia è nelle cose stesse, nel particolare poetico, allora anche i motivi della poesia non necessariamente devono essere grandiosi ed illustri, o avere il fascino dell’antico e dell’esotico, quel fascino che tanto ammalia i poeti del secondo Ottocento francese. Per il poeta, come per il fanciullo, sono degne di canto anche le piccole cose, umili, quotidiane, familiari, le piante più modeste, i piccoli animali, gli eventi del mondo naturale e campestre. La poesia del Pascoli canta l’umile fatica delle lavandare, la famiglia raccolta attorno alla tavola, i frulli d’uccelli, lo stormire dei cipressi, il lontano cantare di campane, il tuono, il lampo. La tematica, delle piccole cose è legata all’universo contadino, un mondo semplice e schietto intriso di sacralità e di arcana saggezza, da cui il Pascoli proviene e al quale sempre rimane fedele.
 FUNZIONE CONSOLATRICE DELLA POESIA. La poesia, oltre a rappresentare uno strumento di conoscenza della realtà ultrasensibile, svolge una suprema funzione civile e morale: Il poeta, se e quando è veramente poeta, cioè tale che significhi solo ciò che il fanciullo detta dentro, riesce ispiratore di buoni e civili costumi, d’amor patrio e familiare e umano. E’ la poesia che persuade l’uomo ad accontentarsi del poco e del suo stato, perché pone un soave e leggero freno all’instancabile desiderio, quello di crescere socialmente. La poesia, dunque, invita alla fratellanza contro la comune infelicità, e non alla lotta di classe che divide; invita alla conciliazione delle contraddizioni, ad una comunione degli uomini nella rassegnazione per una impossibile felicità. Ma tale rassegnazione, è evidente, lascia regressivamente il mondo com’è, con le sue disuguaglianze, le sue miserie, le sue sopraffazioni.

giovedì 25 febbraio 2016

G PASCOLI (1855-1912) (V.De Caprio - S.Giovanardi, I Testi della Letteratura italiana)


G. Pascoli nasce nel 1885 a San Mauro di Romagna in provincia di Forlì, quarto di dieci figli di Ruggero e di Caterina Vincenzi Alloccatelli. Il padre, amministratore della tenuta “La Torre” dei principi Torlonia, poteva garantire alla numerosa famiglia un’ agiata condizione economica. Dai sette ai quattordici anni Giovanni studia nel collegio dei Padri Scolopi di Urbino, particolarmente versati nell’insegnamento delle Lettere classiche. La vita del poeta fu segnata per sempre da una tragica catena di lutti che inizia fatalmente il 10 agosto 1867. Il quel giorno il padre Ruggero fu ucciso da una fucilata sulla via del ritorno a casa; l’anno successivo muore di tifo la sorella maggiore Margherita, seguita a pochi giorni di distanza dalla madre, colpita da un’improvvisa cardiopatia; più tardi , nel 1871, una meningite stronca il fratello Luigi. Infine muore di tifo anche il fratello Giacomo. Il Pascoli si ritrovò così a fronteggiare una situazione economica fattasi improvvisamente assai difficile.
Nel 1873 Pascoli vince una borsa di studi che gli consente l’iscrizione alla facoltà di Lettre dell’Università di Bologna. Qui Il poeta aderì alle idee socialiste ed anarchiche e prese parte anche a manifestazioni studentesche di protesta; per questa ragione perde la borsa di studio e viene anche arrestato, rimanendo in carcere per tre mesi. Finalmente a 27 anni si laurea, discutendo una tesi sul poeta greco Alceo, e intraprende la carriera di insegnante liceale di latino e greco, carriera che lo porterà a stabilirsi dapprima a Matera, successivamente a Massa, poi a Livorno.
A Massa, nel 1885, il poeta chiama a vivere con sé le due sorelle minori Maria (Mariù) e Ida, ricostruendo a finalmente quel “nido” che il destino aveva distrutto e inaugurando uno stile di vita non privo di aspetti morbosi, basato sul culto dei morti e sul tacito patto di non farsi una famiglia propria, rispettando una sorta di voto di castità ( “Il mio cuore è tutto pieno di Ida e Maria. Se a Livorno non guardo le donne, quando sono a Roma o a Firenze le guardo con orrore! Oh le mie due piccine! O Ida! O Maria! E mi addormmento col vostro nome, stringendo quella crocettina!” ). La riunione della famiglia, dopo tanti lutti, la faticosa ricostituzione del nido, è un momento di grande importanza per l’equilibrio psicologico del Pascoli.
Il 1895 è un anno cruciale nella vita del Pascoli: la sorella Ida si sposa, e quel matrimonio è sentito da Giovanni e Maria come un vero e proprio tradimento che sconvolge ulteriormente i loro già fragili equilibri psichici ed esistenziali. Ancora, nel 1895 si stabilisce con la sorella Maria a Castelvecchio di Barga, in provincia di Lucca, che diverrà la sede definitiva del loro nido, pur mutilato dalla defezione di Ida.
Nel 1898 Pascoli è nominato professore ordinario di letteratura latina all’università di Messina; successivamente viene chiamato dall’università di Pisa; infine nel 1905 è chiamato dall’università di Bologna a succedere a Giosué Carducci nella cattedra di letteratura italiana: il poeta accetta, ma l’insegnamento bolognese sarà sempre fonte di angosce per il difficile confronto con il predecessore, che pure era stato uno dei massimi estimatori della sua opera. Morì nella sua casa di Castelvecchio nel 1912.


LA PRODUZIONE LETTERARIA
A partire dagli anni Novanta, il Pascoli arriva a definire le principali linee della sua poesia in raccolte poetiche differenti e spesso parallele. Le maggiori raccolte poetiche di G. Pascoli sono: Myricae (1891), i Poemetti (1897)– divisi poi in Primi poemetti (1904) e Nuovi poemetti (1909)- I Canti di Castelvecchio (1903), I poemi conviviali (1904), Odi e Inni (1906).
Occorre tener presente che Pascoli , come Carducci, porta avanti in parallelo diversi generi poetici in cui articola l’insieme del suo lavoro poetico:
 una poesia prettamente lirica e di ispirazione “umile”, dedicata alla realtà contadina, alla quotidianità agreste evocata già nel titolo della sua prima opera, Miricae(cioè tamerici, piccoli arbusti sgraziati e assai diffusi) e poi ripresa e continuata idealmente nella raccolta I canti di Castelvecchio.
 una poesia a carattere narrativo, affidata a lunghi componimenti raccolti nei Poemeti
 una poesia di argomento classicistico e impegnativo, riversata nei Poemi conviviali
 una poesia a carattere civile e patriottico: Odi e Inni, Le canzoni di re Enzio, I poemi italici, I poemi del Risorgimento.
In Pascoli abbiamo la copresenza di più “maniere” poetiche che egli frequentava contemporaneamente, mutando di volta in volta l’impostazione stilistica e le scelte tematiche di fondo. Le sue raccolte poetiche non si concludono in brevi spazi temporali, ma rappresentano un percorso stilistico prolungato nel tempo: ciò è testimoniato dalle numerose e successive edizioni che le caratterizzano. Le raccolte costituiscono cioè dei contenitori sempre aperti, che accolgono nel corso del tempo i vari prodotti poetici, a seconda delle loro caratteristiche. Lo stesso Pascoli era bel consapevole di ciò, tanto che pensò di contraddistinguere i diversi volumi delle sue opere con un motto tratto dai versi iniziali della IV Egloga di Virgilio(Sicelides Musae, paulo maiora canamus./ Non opmnes arbusta iuvant humilesque myricae).

Pertanto le raccolte Myricae e Canti di Castelvecchio - ispirate al motivo georgico - recano il motto “Arbusta iuvant humilesque myricae”; PASCOLI DECADENTE

i Primi e i Nuovi poemetti recano il motto “Paulo maiora”;
Odi e Inni “Canamus”; PASCOLI IDEOLOGICO - piccolo borhese

i Poemi conviviali “Non omnes arbusta iuvant”. PASCOLI CLASSICISTA


COMPONENTI CULTURALI IN PASCOLI

Il Classicismo, come modello di raffinatezza formale : il poeta fu un attento conoscitore della letteratura classica acquisita attraverso gli studi liceali e universitari (tesi di laurea sulla metrica del poeta greco Alceo) nonché della tradizione letteraria nazionale (Dante, Petrarca, Boccaccio, Tasso, Parini, Monti, Alfieri, Leopardi).
Fu uno studioso e conoscitore, seppur modesto, delle letterature straniere da cui derivò la sua spiccata sensibilità decadente (fatta eccezione per Victor Hugo, Theophile Gautier, Edgar Allan Poe, Baudelaire, i romantici tedeschi, non abbiamo notizie di particolari contatti o sollecitazioni dalla cultura d’oltralpe). Altre rilevanti componenti sono il Positivismo e il Realismo, il Parnassianesimo, il Simbolismo.

TEMI DELLA POESIA PASCOLIANA
 IL TEMA AGRESTE: la realtà contadina è accuratamente descritta dal poeta in veri e propri dipinti poetici, quadretti di vita contadina ( l’aratura, la sfogliatura, il crocchio delle comari, la veglia serale) che procedono dalla descrizione esterna dei campi fino all’interno familiare. La realtà contadina è tanto più accuratamente descritta, quanto più Pascoli vi individua il luogo innocente e paradisiaco della propria infanzia, un mondo schietto, custode di saggezza atavica, di sentimenti autentici, di innocenti virtù. Da qui l’attenzione minuziosa del Pascoli per i dettagli paesaggistici che si ampliano di una suggestiva notazione fotografica, l’attenzione per i particolari anche minimi del mondo della campagna, con un raffinato gusto per il dettaglio che ha fatto parlare di “impressionismo” pascoliano.
Sotto l’apparenza dell’idillio, del quadretto lirico di intonazione agreste, si muovono contenuti misteriosi e nascosti. Ecco che il mondo fenomenico, realisticamente e puntigliosamente descritto, si arricchisce in Pascoli di una potente carica simbolico – evocativa.
Il motivo agreste ha dato vita a una poesia prettamente lirica e di ispirazione “umile”, dedicata alla realtà contadina, alla quotidianità agreste evocata già nel titolo della sua prima opera, Myricae(cioè tamerici, piccoli arbusti sempreverdi, sgraziati e assai diffusi) e poi ripresa e continuata idealmente nella raccolta I canti di Castelvecchio.
• Il motivo georgico si esprime attraverso il TEMA DELLA NATURA: in Pascoli rivivono, in chiave simbolica, le incontaminate virtù del paesaggio della Garfagnana (dove il poeta visse dal 1895, in compagnia dell’ adorata sorella Maria) che si arricchisce di suggestioni simboliche e irrazionali (San Mauro di Romagna, custode di antichi e felici ricordi d’infanzia, Castelvecchio di Barga)
• PREVALENZA della MEMORIA, del SOGNO, DEL SIMBOLO sulla realtà: ciò si realizza in Pascoli mediante la regressione inconscia del suo mondo psichico; si esprime attraverso la dimensione onirica e simbolica del RICORDO come della evocazione nostalgica del passato; il mito dell’infanzia come sogno di innocenti illusioni e di speranze di felicità.

• VISIONE TRAGICA DEL MONDO - TEMA DELLA MORTE E DEL DOLORE: la fuga dalla realtà, la regressione emotiva e psicologica dell’autore, il contrasto tra ideale/reale, il Simbolismo. Il sentimento della morte, che alimenta incessantemente la produzione artistica del Pascoli, in gran parte legato al trauma originario della morte del padre, si esprime mediante la descrizione di orfani, morti precoci di neonati, madri in lacrime. Il motivo funebre si fonde intimamente col TEMA AGRESTE e col tema della NATURA . La Natura si carica di un intrinseco e spiccato potere evocativo, di una accentuata valenza simbolica e diviene partecipe, attraverso dettagliati quadretti di vita rurale e domestica, del dolore immenso del poeta, del suo profondo disagio esistenziale. Paesaggio naturale e motivo funebre generano un Simbolismo fatto di descrizioni quotidiane, di segni appena percepibili, ma fortemente inquietanti che producono angoscia. Profondo legame tra vita psichica e vita cosmica: la natura magnanima e benevola, custode di un antico sogno di felicità, osserva con profonda commozione le sciagure umane, partecipa impotente alla disperazione del mondo “atomo opaco del male”.

• IL TEMA DEL NIDO: è il vero e proprio sottofondo psicologico non soltanto di Myricae e di Canti di Castelvecchio, ma di tutta la produzione letteraria del Pascoli. Il mito del nido, nel quale si organizzano il focolare domestico e il vincolo parentale , rappresenta un universo chiuso e protetto, un guscio protettivo riscaldato dall’affetto sincero e incondizionato dei cari. L’esaltazione costante che il pascoli fa del legame di sangue, conduce il poeta ad esaltare e a mitizzare un modello di società agraria e di tipo patriarcale, non contaminata dal progresso, né da ideologie utilitaristiche. Il Pascoli si fa nostalgico sostenitore di un modello di società antica, preindustriale, destinata, ad una lenta ed inesorabile dissoluzione, minacciata ormai dall’ombra della morte a causa della pressione della modernità urbana, che il poeta osserva con orrore e sgomento. Il nido, dunque, rappresenta un luogo psicologico protettivo, un rifugio ideale nel quale convivono il rimpianto di un eden antico (e ormai perduto) e la feroce ossessione dei legami con i familiari.
IL TEMA DEL NIDO SI COLLEGA AD UN DESIDERIO DI REGRESSIONE INCONSCIA E DI FUGA DALLA REALTA’
• UMANITARISMO e NAZIONALISMO: in Pascoli convivono una accentuata sensibilità decadente e una componente ideologica che portano il poeta ad esprimere la propria idea sociale improntata a un umanitarismo e ad una generica simpatica per le classi diseredate, i cui mali cesserebbero solo in una società contraddistinta dalla equa diffusione della piccola proprietà terriera.
L’umanitarismo del Pascoli interpretava la visione sociale della piccola borghesia di provincia, saldamente legata ai valori della TERRA E DELLA FAMIGLIA.
Accanto all’ideale umanitario, si sviluppa successivamente nel poeta anche un sentimento di entusiastica esaltazione patriottica. L’ambiente culturale italiano tra l’Ottocento e il Novecento è fortemente nutrito di spinte nazionalistiche e il Pascoli, ideologicamente fragile, non resta immune dal clima di generale ed entusiastica esaltazione patriottica. Ciò accade, in particolare, dagli inizi del 900, allorché nel 1905, dopo aver insegnato a Messina e a Pisa, il poeta succede nel 1905 a G. Carducci come docente di Letteratura italiana presso l’università di Bologna. Il nuovo ruolo accademico opprime il poeta di grandi responsabilità ufficiali: egli raccoglie dal grande predecessore l’eredità di poeta vate dell’Italia monarchica.
Dunque, alla viglia della 1^ guerra mondiale in pascoli si registra un ulteriore, inevitabile, sviluppo del sua pensiero politico, una significativa involuzione ideologica: impressionato dalla minaccia dei conflitti generati dai contrapposti interessi delle nuove classi operaie e del capitalismo, egli passa da un atteggiamento umanitaristico di matrice socialista, vicino alle sofferenze degli umili e a un modello di società arcaica, ad un atteggiamento di adesione alla politica nazionalistica del tempo, in aperto sostegno della politica e della cultura imperialistica, sostenendo ad esempio, l’impresa coloniale dell’Italia ai tempi della guerra in Libia(1911-12). Basti pensare all’ultimo celebre Discorso ufficiale pronunciato dal poeta nel 1911 in onore dei morti e feriti italiani nella guerra contro i turchi per la conquista della Libia, “La grande proletaria si è mossa” (discorso ricco di enfasi oratoria, celebrazione della politica colonialista esaltazione della tradizione imperiale di Roma )
L’involuzione ideologica del Pascoli, dal Socialismo al Populismo e al Nazionalismo non sarebbe rimasto un caso isolato.


Seguendo il complesso percorso artistico ed ideologico del Pascoli rileviamo una produzione poetica varia per stile e contenuti.

• PASCOLI DECADENTE (Decadentismo, Simbolismo, Naturalismo) → Myricae, Canti di Castelvecchio
• PASCOLI IDEOLOGICO: POESIA ATTENTA ALLE TEMATICHE SOCIALI, DI ISPIRAZIONE UMANITARIA → i Poemetti (1897); Primi poemetti (1904); Nuovi Poemetti (1909)
POESIA CIVILE E PATRIOTTICA → Odi e inni (1906); Canzoni di Re Enzio; i Poemi italici (1911) i Poemi del Risorgimento (1910-1912); Pensieri e Discorsi (1907)
• PASCOLI CLASSICISTA → Poemi conviviali (1904)



LINGUA E STILE IN PASCOLI
Con Pascoli assistiamo al profondo sovvertimento della lingua poetica tradizionale; ciò si manifesta nella sua mirabile capacità di dar voce all’irrazionale e di gestire musicalmente le parole: sono queste le caratteristiche della poesia pascoliana che hanno agito durevolmente sulla tradizione lirica del Novecento. I più illustri critici di G.Pascoli - Renato Serra, G. Contini, Giacomo Debenedetti, Eugenio Montale, Pier Paolo Pasolini ) hanno evidenziato la carica innovativa della sua lingua poetica, collocando la produzione artistica del pascoli tra le più significative avanguardie artistico- letterarie del 900. Gianfranco Contini, in particolare, ha sottolineato
• IL POTERE EVOCATIVO DEL LINGUAGGIO ONOMATOPEICO “AGRAMMATOCALE” O PREGRAMMATICALE, spesso usato accanto a termini tecnici e gergali con potenti effetti espressivi.

Lo Sperimentalismo linguistico si manifesta in Pascoli attraverso
 IL FONOSIMBOLISMO: organizzazione del suono in parole che richiamano alla mente immagini e sensazioni. Il Fonosimbolismo si realizza mediante lo strumento dell’ ONOMATOPEA: figura retorica per cui il suono della parola imita il suono dell’oggetto designato; i suoni delle parole possono dunque assumere significati evocativi autonomi, cioè possono significare di per sé, non solo in quanto si combinano a significare la parola. Es: “dlin…dlin” della bicicletta, “tri… tri” dei grilli; “cu… cu” del cuculo, il “chiù” dell’assiuolo.
ANALOGIA: procedimento retorico forgiato dai più grandi poeti romantici che diventa la risorsa espressiva primaria dei Decadenti e dei Simbolisti. Consiste nella connessione fulminea tra due concetti o immagini, più rapida della similitudine e tutta fondata su uno scatto metaforico che conduce alla rapida sintesi di due elementi.
ALLITTERAZIONE: figura retorica che consiste nella ripetizione degli stessi fonemi in due o più parole vicine.
ASSONANZA: si ha quando due o più parole al termine del verso presentano le medesime vocali a partire da quella tonica.
SINESTESIA: associazione espressiva di parole pertinenti a sfere sensoriali differenti.
 LA PRECISIONE E NITIDEZZA LESSICALE : uso di una lingua poetica nuova che abolisce i termini aulici della tradizione letteraria, perché ritenuti generici e vaghi, a favore di una sterminata nomenclatura specifica - uso di termini tecnici - per indicare con esattezza tecnica fiori, piante, animali, attrezzi da lavoro). Riscontriamo in ciò tracce della lezione del Positivismo e del Naturalismo.
 L’IMPRESSIONISMO PASCOLIANO: la precisione e la nitidezza lessicale SI TRADUCE in uno stile pittorico impressionistico, fatto di tocchi rapidi di denso cromatismo. Alcune delle più celebri liriche appaiono dei veri e propri quadretti descrittivi, vividi e accurati. La lirica “Patria” rappresenta uno dei culmini dell’impressionismo pascoliano. Così il poeta definisce le nuvole “bianche spennellate/in tutto il ciel turchino”. L’Impressionismo pascoliano è affidato a una rapida sequenza di immagini, a una successione di note visive accostate tra loro da un’interpunzione fitta, costituita prevalentemente da due punti e virgole, con un tocco rapido derivante dalla prevalenza di uno stile nominale “Siepi di melograno/ fratte di tamerice/ il palpito lontano/ d’una trebbiatrice / l’angelus argentino”.
 PLURILINGUISMO→ USO DI TERMINI TECNICI E GERGALI, LATINISMI, VOCABOLI STRANIERI (vedi ad es. il poemetto Italy)
 ESPRESSIONISMO LINGUISTICO: il gusto del vocabolo preciso diventa in Pascoli una puntigliosa registrazione del parlato popolare che si introduce con forza espressiva nelle strutture della lingua poetica; contaminazione linguistica tra lingua poetica-modi linguistici tipici della Garfagnana .







DECADENTISMO (De Caprio-S.Giovanardi, I Testi della letteratura italiana)


Il Decadentismo indica un importante fenomeno estetico letterario che, nato in Francia a partire dai primi anni Ottanta del secolo XIX ( in virtù del primato della cultura francese in questo periodo ) si diffuse in tutta l’Europa fin de siecle. Il Decadentismo indica, sul piano storico-culturale, la civiltà sorta dalla crisi del Positivismo
 L’origine del nome è denigratoria: la parola Decadentismo deriva da “decadent” termine usato in Francia con significato dispregiativo da alcuni critici polemici e ostili nei confronti di molti scrittori e artisti di nuova generazione che apparivano alla gente comune dissoluti e corrotti, sembravano cioè esprimere la decadenza morale dell’arte e della società. I giovani artisti decadenti, tra cui spiccano Paul Verlaine, Stéphane Mallarmé, Arthur Rimbaud, Tristan Corbiere, Moreas, Joris Karl Huysmans utilizzarono l’espressione con ostentazione, come vessillo di protesta contro la società borghese e la cultura ben pensante del tempo , richiamandola altresì nel titolo di una rivista “Le Décadent” pubblicata a partire dal 1886 per iniziativa di Anatole Baju.
 E’ probabile che sulla nascita del termine decadente abbia influito anche un sonetto di P.Verlaine “Languore” che comincia con il celebre verso “ Io sono l’impero alla fine della decadenza/ che guarda passare i grandi barbari bianchi/componendo acrostici indolenti dove danza/ il languore del sole, in uno stile d’oro””. Paul Verlaine identifica il proprio stato d’animo con una fase storica e culturale che ben lo identifica: la tarda età imperiale romana, espressione di una civiltà opulenta e raffinata, ma corrosa all’interno dal sopravanzante Cristianesimo e all’esterno dalle invasioni barbariche. La Roma del tempo non ha più né la forza militare, né la forza morale per opporsi al suo inesorabile declino, declino favorito dalla lenta ma inesorabile crisi dei valori etici che in età classica avevano reso Roma caput mundi.
IL SONETTO DI VERLAINE COSTITUISCE IL MANIFESTO LIRICO DEL MOVIMENTO DECADENTE.
 Altra tappa fondamentale per seguire, in Francia, lo sviluppo della cultura decadente è la pubblicazione a partire dal 1883 di una antologia “Les poetes maudits” ( I poeti maledetti) curata da P. Verlaine. L’antologia conteneva scritti di Paul Verlaine, Stéphane Mallarmé, Arthur Rimbaud, Tristan Corbiere.
 Infine, nel 1884 Joris Karl Huysmans pubblica il celebre romanzo “A rebours” (A ritroso) il cui protagonista Des Esseints costituisce l’incarnazione dell’Estetismo decadente, inteso come culto di una bellezza raffinata ed elitaria, che pochi spiriti eletti riescono a cogliere e ad apprezzare. Des Esseints sintetizza in maniera maniacale l’odio per una cultura di massa, ubbidiente al principio di “utilità”, l’odio verso l’arrogante ascesa della borghesia capitalistica che ha sancito di fatto la vittoria del denaro, della produttività e della mentalità affaristica contro ogni principio di civiltà umana. La borghesia degli affari ha ormai scalzato irreversibilmente la vecchia aristocrazia e il clero attingendo “ tutti i loro difetti” e convertendoli in ipocriti vizi”. Des Esseints resta il simbolo dell’intellettuale otto-novecentesco perennemente deluso, solo, emarginato rispetto ad una società che più non rispecchia i propri ideali, ideali ai quali aveva attinto il movimento romantico risorgimentale, ideali che avevano approdato alla forza dilagante delle rivoluzioni europee del ‘48; una società che ha decretato nuovi paradigmi culturali e nuovi modelli di comportamento di natura materialistica ed economica, affidando al denaro, al progresso, all’industrializzazione selvaggia un primato assoluto e indiscusso. Des Esseints è il simbolo dell’intellettuale perennemente ( e fino ad oggi) in crisi a causa della marginalità nella quale la poesia, le arti e il pensiero sono relegati nell’epoca industriale.
IL ROMANZO DI HUYSMANS COSTITUISCE UN ALTRO MANIFESTO DEL MOVIMENTO DECADENTE
Il Decadentismo ebbe il suo centro di irradiazione in Francia, a partire dalle intuizioni presenti nell’opera di CHARLES BAUDELAIRE (1821-1868), grande precursore del Decadentismo e fondatore della lirica moderna.
Un impulso decisivo alla nascita e allo sviluppo del D. derivò, inoltre, dalla lezione del PARNASSIANESIMO. Il movimento parnassiano, sorta di moderno classicismo letterario, dichiara il rifiuto del presente, identificato con il progresso, e del sentimentalismo romantico a vantaggio di un’impassibilità emotiva raggiunta attraverso il ritorno all’antichità classica; la liberta assoluta dell’arte, non condizionata dal criterio di utilità, tipicamente borghese: l’arte doveva risultare svincolata da interessi utilitaristici o politici, da impegni sociali o ideologici. Unico obiettivo del poeta parnassiano è quello di perseguire la Bellezza assoluta, raggiungibile attraverso la perfezione della forma metrica e stilistica. I Parnassiani riprendono la lezione di del poeta francese Theophile Gautier (1811-1872) che, già nel 1835, scagliandosi contro il principio utilitaristico dell’arte, aveva scritto. “Non c’è niente di più bello di ciò che non serve a nulla; tutto ciò che è utile è anche orribile”; Sua è la celebre formula dell’”Arte per l’Arte”, cioè il culto dell’arte come valore supremo, con una connotazione polemicamente antiborghese. I componimenti dei poeti parnassiani confluiscono in una antologia dal titolo “Il Parnaso contemporaneo” (1866) da cui la denominazione di “Poeti parnassiani”. Ne “Il Parnaso contemporaneo” troviamo infatti scritti dei giovani Verlaine e Mallarmé, nomi che tornano a congiungersi nel 1883, nella pubblicazione della prima serie dei Poeti maledetti.
Anche CHARLES BAUDELAIRE accolse la lezione del Parnassianesimo. La sua più celebre opera “Fiori del male” (1857) si colloca nel pieno solco della sensibilità parnassiana: comuni appaiono il disprezzo per la banale quotidianità, il rigetto del sentimentalismo romantico, la cura ossessiva della forma. In B., tuttavia, il tema della fuga dalla realtà ( che nei Parnassiani si risolve nella evocazione dell’antichità classica) sfocia nella contemplazione dei cosiddetti “Paradisi artificiali”, cioè dell’evasione indotta dall’alcol o dalle droghe. La poesia di Baudelaire, padre del Decadentismo, esprime in pieno i motivi della sensibilità decadente: la consapevolezza della lenta, ma inesorabile decadenza della civiltà contemporanea, il disprezzo per il presente, la suggestione della malvagità, il gusto di tutto ciò che è al di fuori dei canoni della normalità, la suggestione dell’esotismo, la noia esistenziale (Spleen). Lo spleen, ovvero la noia esistenziale che sfocia spesso in angosciosa disperazione, diventa il tratto caratterizzante del poeta moderno, lo stato d’animo costante dello spirito elevato, secondo una linea di pensiero che risale a A. SCHOPENHAUER, il quale nel suo capolavoro “Il mondo come volontà e rappresentazione” (1819) aveva definito la noia quale condizione tipica dell’uomo moderno. La percezione dello spleen, e la necessità si spezzarne il cerchio, è una delle grandi eredità di Baudelaire a tutti i poeti successivi, i poeti maledetti: Paul Verlaine, Stéphane Mallarmé, Arthur Rimbaud, fino ai poeti del Novecento.

TEMI DELLA POESIA DECADENTE


 IRRAZIONALISMO- CRISI DEL POSITIVISMO- DIMITIZZAZIONE DEI VALORI RISORGIMENTALI (libertà, patria, progresso)
 Esasperazione del soggettivismo romantico → INDIVIDUALISMO ASSOLUTO, SOLIPSISMO
 SENSO DI SOLITUDINE ED EMARGINAZIONE DEL POETA NELLA SOCIETA’ AFFARISTICA E BORGHESE DI FINE SECOLO
 SENTIMENTO DELLA NOIA ESISTENZIALE E FUGA DAL CONFORMISMO BORGHESE ATTRAVERSO ESPERIENZE ESTREME: non si accetta la prosaicità del vivere
 CRTICA AL CONCETTO DI “UTILE” - ARTE PRIVA DI FINALITA’ ETICO-CIVILI, COMUNICATIVE, DIDASCALICHE : L’ARTE PER L’ARTE (Theophile Gautier)
 ARTE INTESA COME RAFFINATO CULTO DELLA BELLEZZA ASSOLUTA → ESTETISMO
 IDENTIFICAZIONE ARTE=VITA; Se nel Romanticismo la vita era travasata nell’arte, nel Decadentismo (ma anche nella Scapigliatura) arte e vita coincidono. L’ESTETISMO RAPPRESENTA L’ASPIRAZIONE AD UNA SINTESI SUBLIME TRA ARTE E VITA
 COMPLEMENTARIETA’ TRA LE VARIE MANIFESTAZIONI ARTISTICHE : LETTERATURA (in particolare la Poesia) - ARTE- MUSICA; Predilezione per le fasi storiche di decadenza culturale: età alessandrina, autori latini tardo-imperiali, età barocca
 ARTE COME DECIFRAZIONE DI SIMBOLI ED EVOCAZIONE DI UNA REALTA’ OSCURA, CHE SFUGGE A RAZIONALI CLASSIFICAZIONI e che pochi spiriti eletti riescono a comprendere.
 CONCEZIONE DEL POETA “VEGGENTE”(secondo la definizione di Rimabaud), IN GRADO DI COGLIERE LE SEGRETE RELAZIONI FRA LE COSE E DI SCAVARE NELL’INCONSCIO.
(INCONSCIO-ES: SFERA PIU’ PROFONDA DELLA PSICHE DOMINATA DA PULSIONI PRIMARIE –autoconservazione, riproduzione- CHE TROVANO LIBERO SFOGO NELLE FUGHE ONIRICHE, NELLA FANTASIA, NELL’ESPRESSIONE ARTISTICA).
L’intellettuale decadente, accogliendo i nuovi orientamenti scientifici in ambito neurologico (vedi la nascita della Psicanalisi con Freud), è consapevole che l’uomo moderno non è padrone assoluto della propria natura, del proprio IO, ma è in parte schiavo di pulsioni incoercibili e insopprimibili ( le pulsioni primarie dell’ES), solo parzialmente filtrate dal SUPER-IO.
 IL POETA VEGGENTE SI ESPRIME MEDIANTE UN’ARTE SIMBOLISTA
STILE
 Ampia utilizzazione DELL’ANALOGIA, DELLA SINESTESIA, DELLA METAFORA
 Rifiuto del discorso logico (il discorso fondato sulle categorie logiche tradizionali: spazio-tempo-causalità) a favore di un’arte che proceda per libere associazioni analogiche, che risponda solo alla logica stravolta del DELIRIO o della VISIONE ONIRICA
 Linguaggio fortemente evocativo, denso di simboli e di immagini ambigue.

venerdì 8 gennaio 2016

IL VERISMO : GIOVANNI VERGA, LUIGI CAPUANA (V.De Caprio-S.Giovannardi, I testi della letteratura italiana, L'Ottocento)



Dopo il 1870 Luigi Capuana dà vita a Milano, insieme a Giovanni Verga (1840-1922) al movimento verista, che si prefigge di riproporre in Italia la poetica del Naturalismo francese. Il movimento verista nasce nella seconda metà degli anni settanta a Milano, città che era divenuta, grazie al rapido sviluppo industriale, uno dei centri culturali più vivi e ricettivi della nazione, come dimostrava il recente fenomeno della Scapigliatura. L’evento decisivo è l’uscita nel 1877 del romanzo L’Ammazzatoio di Emile Zola, subito recensito da Luigi Capuana sul “Corriere della Sera”. Di lì a pochi mesi Luigi Capuana, insieme all’amico catanese Giovanni Verga, allo scapigliato Roberto Sacchetti e a Felice Cameroni, decidono di tentare anche in Italia una poetica ispirata ai principi del Naturalismo.
La poetica del Verismo si fonda taluni principi fondamentali:
L’ARTE COME INVESTIGAZIONE SCIENTIFICA DELLA REALTÀ SOCIALE
IL ROMANZO DIVIENE UN “DOCUMENTO UMANO” : Il romanzo come genere letterario che fotografa, con spietato realismo, i comportamenti individuali e sociali.
Il fattore ereditario e l’ambiente sociale come fattori condizionanti della vita dell’uomo. Alla luce di queste teorie anche i fenomeni psichici rientrano, come tutti i fenomeni biologici, nelle leggi del “Determinismo scientifico” che impone una spietata lotta per la sopravvivenza.

CANONE DELL’IMPERSONALITA’. ECLISSI DEL NARRATORE.
(NARRATORE ESTERNO- FOCALIZZAZIONE ESTERNA/ FOCALIZZAZIONE INTERNA VARIABILE) “..la mano dell’artista rimarrà assolutamente invisibile, e il romanzo avrà l’impronta dell’avvenimento reale, e l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sé” (Prefazione de “L’amante di Gramigna”, di G. Verga, da "Vita dei campi" , 1880). La focalizzazione interna si manifesta soprattutto nella presenza del “Narratore popolare”: il narratore assume il punto di vista dei vari personaggi della vicenda, di cui riporta pensieri, espressioni tipiche del parlato quotidiano, proverbi ed espressioni gergali (“In quell’ora fra vespero e nona, in cui non ne va in volta femmina bona”) , similitudini e metafore tratte dal mondo contadino. Tra gli artifici a disposizione del Narratore popolare, ricordiamo l’uso sistematico del “Discorso diretto libero” ( Il narratore riporta i pensieri o le espressioni tipiche dei personaggi senza introdurli attraverso verbi dichiarativi ( “Egli invece era stato sano e robusto, ed era malpelo, e sua madre non aveva mai pianto per lui perché non aveva mai avuto timore di perderlo”= Rosso Malpelo diceva che egli invece era stato sano e robusto…)
LA MIMESI LINGUISTICA – REGRESSIONE LINGUISTICA DEL NARRATORE: l’arte del Naturalismo francese, e successivamente del Verismo , cerca di adattare la lingua della narrazione alla realtà popolare rappresentata, mediante la tecnica del “Discorso indiretto libero” e mediante il calco del gergo tipico delle desolate campagne siciliane nella seconda metà dell’Ottocento. La mimesi del linguaggio, ottenuta attraverso l’acquisizione dei tratti stilistici del parlato quotidiano, si realizza nella presenza di squarci dialettali, di espressioni proverbiali in dialetto siciliano. Nei romanzi veristi è evidente la ripresa di strutture sintattiche e di espressioni tipiche del linguaggio parlato, come per esempio l’ uso pleonastico del pronome; l’uso di forme pronominali dialettali (ste belle notizie), la ripetizione enfatica (voleva trargli fuori le budella dalla pancia, voleva trargli).

IL VERISMO, tuttavia, sin dal suo sorgere presenta differenze sostanziali rispetto al Naturalismo francese.
La prima sostanziale differenza risiede nel metodo di rappresentazione della realtà. Il metodo d’indagine verista non è più tanto quello fotografico, bensì quello dell’osservazione, dell’introspezione psicologica: il personaggio verista vive di luce propria, e lo scrittore alimenta questa luce attraverso il metodo conoscitivo legato ai particolari della realtà.
Nel rapporto ESSERE UMANO –NATURA prevale sempre l’essere umano. Quest’ultimo è analizzato costantemente nei suoi rapporti con le strutture sociali, ma l’oggetto vero di indagine letteraria resta pur sempre l’uomo (vedi Realismo romantico), non più inteso come soggetto patologico, bensì come creatura umana, analizzata nono soltanto negli aspetti concreti, ma anche nei risvolti morali e psicologici.
Nel Naturalismo è la Natura che sovrasta il mondo ed è causa determinante anche dei valori morali dell’uomo (responsabilità morale della natura); nel Verismo, invece, emerge sempre la figura dell’uomo, in cui lo scrittore si perde del tutto.

METODO FOTOGRAFICO INDAGINE PSICOLOGICA
SOGGETTO PATOLOGICO ESSERE UMANO
UOMO – NATURA UOMO - NATURA


L’arte verista resta comunque un’arte impersonale poiché lo scrittore verista non deve dimostrare attraverso il suo personaggio delle particolari verità o tesi, sono i personaggi che intessono essi stessi il racconto e vivono di luce propria : “l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sé” (Prefazione “L’amante di Gramigna”)
I PERSONAGGI dell’opera verista non sono consapevoli della realtà in cui essi si trovano ad agire, non ne comprendono in pieno la matrice storica, politica e sociale. Essi sono immersi nella secolare immobilità culturale e sociale della Sicilia borbonica , ancorati saldamente ad un arcaico codice di valori tradizionali che regolava i rapporti interpersonali e sul quale si fondava la sacra etica familiare. I personaggi dei racconti e dei romanzi veristi sono umili contadini, pescatori, minatori, prostitute, carrettieri, briganti, pastori, personaggi emarginati dalla comunità; tutti destinati a soccombere in una società regolata dal principio darwiniano della “lotta per la sopravvivenza”; la maggior parte di essi appaiono rassegnati all’accettazione del loro status e del pregiudizio popolare con atteggiamento disincantato, nella pessimistica consapevolezza dell’inesorabilità delle leggi di natura ( nessuno può sfuggire al proprio destino). All’ottica idealizzata e ottimistica, alla visione provvidenzialistica che aleggia nei Promessi Sposi, si sostituisce una visione profondamente pessimistica e disincantata della realtà umana, fatta di sofferenze e prevaricazioni, alla quale nessuno può sfuggire. IL PESSIMISMO DI VERGA (espresso pienamente nei romanzi del ciclo dei "vinti" : I Malavoglia 1881, Mastro Don Gesualdo 1889) risiede nell’accettazione fatalistica della realtà ostile, che nulla vale a mutare o a consolare.
Se gli umili del Manzoni rappresentavano una realtà inevitabilmente deformata e idealizzata dall’ottica onnisciente del narratore borghese, nutrivano fede in Dio, fonte di speranza in un futuro di giustizia e di riscatto morale; apparivano rassegnati, e allo stesso tempo fiduciosi nell’intervento provvidenzialistico divino, gli umili di Verga accettano fatalmente e con rassegnazione eroica e disincantata il loro destino di miseria e di emarginazione, e qualora tentano di risalire la scala sociale alla ricerca del successo e del benessere, rimangono vittima di una sorte avversa e ostile. Nei personaggi di Verga vi è la rassegnazione fatalistica, aliena da ogni sentimento di conforto che possa scaturire dalla fede in Dio.


TEMI E CONTENUTI DELLE OPERE DEL VERGA

- LA LOTTA “DARWINIANA” PER LA SOPRAVVIVENZA
- IL MITO DEL SUCCESSO ECONOMICO – LA LOGICA ECONOMICA che prevale necessariamente sugli affetti familiari. Il tema della “roba”.
- LA RELIGIONE DELLA FAMIGLIA
Il personaggio verghiano è legato alla terra nel senso della conservazione dei valori della tradizione: egli mostra un tenace attaccamento alla terra d’origine – la Sicilia - nonostante essa appaia teatro di miserie e di immobilismo sociale, modello di rassegnazione ad un destino di esclusione e sconfitta. Tale attaccamento, morboso e conflittuale, si manifesta nella rassegnazione coraggiosa ad una vita di stenti e di soprusi. La “terra” è presente attraverso un ampio bagaglio di simboli e metafore tratte dall’universo contadino. La Sicilia che emerge nei racconti di verga è quella rurale e arretrata della seconda metà dell’ottocento, con il suo immobilismo culturale, con il suo codice di valori arcaici sul quale si fondava l’etica familiare e i rapporti interpersonali. Le novelle e i romanzi veristi sono tutti ambientati in Sicilia, una terra che diviene l’emblema di una irriducibile diversità, il simbolo del fallimento degli ideali nazionali, fino a farsi metafora, con i suoi paradossi , della sconfitta in cui incorre costantemente la ragione umana allorché confida in false illusioni e falsi miti. (Concezione pessimistica del Progresso e dei rapporti umani).
L’AMORE inteso come puro istinto sessuale che travolge ogni valore morale; l’eros come degradazione a livello ferino. L’assimilazione allo stato bestiale dell’amore è sostenuta da frequenti similitudini, metafore e proverbi che rimandano simbolicamente alla civiltà contadina .

LA DISTORSIONE DEI VALORI, IL RELATIVISMO DEI VALORI rappresentato mediante l’artificio dello “straniamento”, dove cioè i giudizi della comunità, palesemente distorti o infondati ,vengono presentati come del tutto oggettivi e normali (Era avvezzo a tutto lui, agli scapaccioni, alle pedate, ai colpi di manico di badile, o di cinghia da basto, a vedersi ingiuriato e beffato da tutti, a dormire sui sassi, colle braccia e la schiena rotta da quattordici ore di lavoro; anche a digiunare era avvezzo, allorché il padrone lo puniva levandogli il pane o la minestra. Ei diceva che la razione di busse non gliela aveva levata mai il padrone; ma le busse non costavano nulla”)

LUCI ED OMBRE DEL PROGRESSO – MATERIALISMO E PESSIMISMO- MORTE COME UNICO RIMEDIO AL MALE: Verga assume un atteggiamento critico rispetto alla nozione positivista di progresso, cioè l’idea, propria della cultura del tempo, di un graduale miglioramento delle condizioni materiali e spirituali dell’intera umanità. Verga non nega questa questa convinzione, ma sottolinea come le grandi conquiste collettive facciano passare sotto silenzio le miserie e le nefandezze, le ipocrisie e gli egoismi individuali che al progresso si accompagnano: “Nella luce gloriosa che l’accompagna dileguarsi le irrequietudini, le avidità, l’egoismo, tutte le passioni, tutti i vizi che si trasformano in virtù, tutte le debolezze che aiutano l’immane lavoro, tutte le contraddizioni, dal cui attrito sviluppasi la luce della verità. Il risultato umanitario copre quanto c’è di meschino negli interessi particolari che lo producono;” (Prefazione de “I Malavoglia”). Emerge così in modo netto come il materialismo verghiano sia legato ad una concezione fortemente pessimistica della realtà. L’autore riconduce ogni azione umana a desideri e ambizioni di natura egoistica, escludendo così di fatto che gli uomini possano essere mossi da aspirazioni moralmente elevate.




REALISMO E NATURALISMO NELLA CULTURA EUROPEA (V.De Caprio- S.Giovanardi, I testi della letteratura italiana, L'Ottocento)



Dare una definizione di “realismo” non è operazione semplice, a causa della molteplicità di accezioni che questo concetto implica. IN SENSO PROPRIAMENTE LETTERARIO ogni opera narrativa o poetica che dimostri la volontà dell’autore di descrivere e rappresentare elementi propri della vita reale ha in sé caratteri di realismo. In questa direzione si è mossa la ricerca del filologo e critico letterario tedesco Erich Auerbach (1892 –1957), che in una sua celebre raccolta di saggi dal titolo Mimesis – Il realismo nella letteratura occidentale ha individuato i segni di un atteggiamento “realista” in opere di genere ed epoche assai differenti. Se è vero che tali segni nella letteratura sono sempre stati presenti, prendiamo come caso emblematico il realismo dantesco nella Commedia, è però altrettanto vero che soltanto a partire dalla prima metà dell’Ottocento si è affermata in Europa una corrente narrativa coerentemente realista, impegnata in una sorta di analisi- rispecchiamento del panorama sociale. Nel corso del XIX sec., l’esigenza di realismo, favorita da particolari condizioni politiche e culturali (i sommovimenti suscitati in Europa dalla rivoluzione francese e, sul piano culturale, dalla rivoluzione romantica), si lega soprattutto alla diffusione del ROMANZO, come genere letterario di più largo consumo, che intende proporsi quale affresco della realtà contemporanea. NEL CORSO DELL’OTTOCENTO IL ROMANZO SI RIVELA COME LA FORMA PIÙ ADATTA A COGLIERE LA REALTÀ UMANA E SOCIALE IN TUTTA LA SUA PIENEZZA E VARIETÀ; IL ROMANZO, PIÙ DI OGNI ALTRO GENERE LETTERARIO, SI PRESTA A RAFFIGURARE LA MULTIFORMITÀ DEL REALE.
Nei decenni a cavallo tra Settecento e Ottocento il sovvertimento di monarchie secolari, lo sconvolgimento di un ordinamento sociale rimasto sostanzialmente immutato dal Medioevo, il mutamento repentino delle condizioni di vita di intere masse di individui impongono di riconsiderare la condizione dell’uomo alla luce di parametri culturali nuovi e più ampi. Mentre l’illuminismo aveva nutrito la convinzione che la natura e la ragione umana non fossero soggette a un perenne divenire, nel corso dell’Ottocento si fa invece strada l’idea che L’UOMO SIA IL PRODOTTO DELLA STORIA COLLETTIVA e che anche nel presente egli sia sottoposto a modificazioni continue. Sul piano letterario questa CONCEZIONE STORICISTICA ha un’importanza straordinaria. Infatti ogni personaggio non può più essere definito attraverso statiche caratterizzazioni morali o psicologiche, ma va presentato come entità che subisce i condizionamenti di una sfera sociale e un’epoca precise. La sua personalità e l’idea che egli ha di sé devono trovare giustificazione nel contesto in cui egli è costretto ad agire, e l’ambiente storico sociale che lo circonda va quindi descritto in modo ampio e ben documentato. La capacità di comprendere e di ricostruire la “realtà, in una parola il “realismo” diviene quindi un fattore indispensabile per l’elaborazione di un testo narrativo. Questa nuova forma di impostare e sviluppare il racconto, trova nel romanzo il suo esito più congeniale.
In Francia l’esigenza di realismo in letteratura si afferma più palesemente dopo la caduta di Napoleone, e raggiunge livelli assai elevati in scrittori quali Stendhal (pseudonimo di Henry Beyle, 1783-1842), Honoré de Balzac ( 1779-1850), Gustave Flaubert (1821-1880); sulle opere di questi grandi maestri del Realismo, si innesta la tradizione del romanzo naturalista che raggiunge la sua piena maturazione in scrittori come i fratelli Edmond (1822-1896 ) e Jules Goncourt ( 1839-1870), Emile Zola (1840-1902), Guy de Maupassant (1850-1893), ritenuti i più significativi maestri del movimento letterario noto come NATURALISMO.

Il NATURALISMO, sviluppatosi in Francia nell’ultimo trentennio dell’Ottocento, rappresenta l’espressione letteraria della cultura del POSITIVISMO, che svolge un ruolo di primo piano nell’Europa della seconda metà del secolo.
Il Positivismo ha le sue origini nella Francia dell’età di Luigi Filippo (1830-1848), diviene nella seconda metà del secolo la filosofia egemone in Europa: sostiene la necessità di ricercare leggi oggettive in tutti i campi del sapere, utilizzando i metodi delle scienze positive, fondate su dati reali, tangibili, empiricamente osservabili, e su verifiche certe. Il Positivismo fu innanzitutto un indirizzo filosofico che giudicava la conoscenza scientifica e il metodo di ricerca analitico-sperimentale come i soli strumenti validi per giungere ad una esaustiva interpretazione della realtà. Presto il Positivismo viene esteso ad ogni ambito disciplinare, dall’arte all’economia, alla politica, comprese le scienze umane, e finisce per influenzare direttamente anche la letteratura e la critica letteraria. Sorgono e si sviluppano nuovi campi disciplinari, come la sociologia, l‘etnografia e l’etnologia, poiché anche la società viene analizzata e descritta secondo il metodo sperimentale.
Teorici del Positivismo furono il filosofo e sociologo francese Auguste Comte (1798 –1857; discepolo di Henri de Saint-Simon, è generalmente considerato l'iniziatore del Positivismo: « L'Amour pour principe et l'Ordre pour base; le Progrès pour but »: “L'Amore per principio e l'Ordine per fondamento; il Progresso per fine » Auguste Comte, Sistema di politica positiva) e il filosofo inglese Herbert Spencer (1820-1903). Quest’ultimo fu primo a tracciare i lineamenti di una “scienza della società”, ossia della moderna sociologia. Grazie alla scoperte scientifiche e mediche, cambia anche la visione del mondo: l’essere umano appare sempre più come una macchina “conoscibile” e “indagabile”, non soltanto nei suoi aspetti clinici, ma anche in quelli psicologici. In pieno clima positivista si colloca la teoria evoluzionistica del naturalista inglese Charles Darwin (1809-1882), che nel 1859 pubblica un’opera dal titolo “L’origine della specie” (1859); in questo saggio Darwin formulò, sulla base di lunghe osservazioni scientifiche condotte sul mondo animale, una compiuta teoria dell’evoluzione degli esseri viventi, basata sul principio della selezione naturale e della lotta per la sopravvivenza. Sebbene il principio della selezione naturale poteva prestarsi, come di fatto accadde, ad una interpretazione pessimistica delle dinamiche sociali (nei rapporti tra gli individui e fra le classi) determinate e regolate dalla legge del più forte, le teorie darwiniane apparvero, allora, come la garanzia ottimistica di un progresso indefinito della specie umana. Ben presto le teorie di Darwin vengono applicate da Herbert Spencer alla società umana. Secondo Spencer anche la società è oggetto di un processo evolutivo che ne determina le trasformazioni interne(riguardanti la struttura gerarchica, l’economia, il lavoro) e che implica una lotta per la sopravvivenza e una necessaria selezione di cui sono vittima gli individui più deboli, ovvero quelli appartenenti agli starti sociali più bassi.

Il primo ad estendere le concezioni del Positivismo e dell’evoluzionismo darwiniano alla letteratura è il critico inglese Taine (1828-1893), che è anche il primo a utilizzare in un suo libro su Balzac del 1858 l’aggettivo “naturalista”. Nella prefazione alla sua "Storia della letteratura inglese" (1863), Taine attribuisce alla letteratura il compito di indagare scientificamente la realtà sociale, mediante l’esame dei tre fattori che, a suo giudizio, determinano il comportamento e la psicologia umana: il fattore ereditario, l’ambiente sociale, il momento storico. Il destino dell’uomo viene ad essere il risultato dell’interazione tra questi tre fattori: “il vizio e la virtù- osservava Taine – non sono che dei prodotti, come lo zucchero e il vetriolo”.
L’opera letteraria, in particolare il romanzo, diviene così un documento scientifico: un’indagine condotta con metodo distaccato e rigoroso sulla società umana. Lo scrittore naturalista deve riprodurre la realtà in modo oggetivo, senza alcun compiacimento estetico, evidenziando le componenti storiche, ambientali, sociali che, secondo la lezione del Taine, determinano le azioni umane.


SUL PIANO STORICO-POLITICO, il Positivismo fu, nella seconda meta dell’Ottocento, l’ideologia tipica della Borghesia in ascesa. Esso fu assunto come base culturale del progressismo democratico e concorse - in parte- alla formazione della ideologia socialista. In Italia furono positivisti grandi studiosi di scienze sociali, come Cesare Lombroso (1835-1909), ma anche molti filologi e storici, come Pasquale Villari ( 1826-1917). Nelle sue diverse espressioni, il POSITIVISMO contribuì potentemente ad alimentare la fiducia nel progresso dell’umanità e a sostenere la convinzione di poter controllare, grazie alla scienza, il corso della natura e degli stessi processi sociali. Questo diffuso ottimismo poggiava, particolarmente, su due fenomeni storico sociali: lo sviluppo economico successivo agli anni 1946-47, e le recenti conquiste della scienza.

INDUSTRIA E SCIENZA - In tutta l’Europa più progredita l’industria promuove la ricerca scientifica e, nello stesso tempo, le scoperte scientifiche e le loro applicazioni in ambito tecnologico fanno avanzare le industrie.
I risultati più consistenti si ebbero proprio nel settore della produzione industriale che , fra il 1850 e il 1873, fece registrare un incremento rilevante che avvantaggiò, in particolare, le nuove potenze industriali: la Francia del Secondo Impero e la Germania, consentendo loro di ridurre il divario che le separava dalla Gran Bretagna. Lo sviluppo industriale si fondò essenzialmente sull’espansione dei settori siderurgico e meccanico. Per i Paesi di più recente industrializzazione furono questi settori a svolgere il ruolo trainante che in Inghilterra era stato proprio dell’industria tessile. Si trattò di uno sviluppo imponente sia dal punto di vista quantitativo (l’industria siderurgica tedesca crebbe per tutto il ventennio 1850-70 ad un tasso medio annuo del 10°/.), sia dal punto di vista qualitativo, reso possibile da alcuni fattori particolari.
Tra questi non possiamo non far riferimento in primo luogo alla diffusione di macchine tecnologicamente avanzate: la macchina a vapore che si sostituì definitivamente alla ruota idraulica, i filatoi e i telai meccanici che soppiantarono gradualmente quelli manuali, il combustibile minerale (carbon coke) che si sostituì sempre più a quello di legna; non meno importante la maggiore disponibilità di materie prime (minerali ferrosi e soprattutto il carbon coke) conseguente alla scoperta e allo sfruttamento di nuovi giacimenti minerari nell’Europa continentale ( Pas de Calais in Francia, il bacino della Ruhr in Germania); la rimozione di antichi vincoli giuridici che ostacolavano le attività economiche (ordinamenti corporativi, leggi che proibivano il prestito ad interesse, condanne per debiti o per fallimenti; si diffuse sempre più l’uso della carta moneta e degli assegni); il trionfo del libero scambio, con lo smantellamento delle numerose barriere che si frapponevano alla libera circolazione delle merci: imposte sul traffico delle vie d’acqua, dazi interni e soprattutto di entrata e di uscita ai confini fra gli Stati. Una fitta rete di trattati commerciali finalizzati ad una congrua riduzione delle tariffe doganali, fu stretta tra le principali potenze europee, Russia compresa. Il libero scambio favorì in primo luogo la Gran Bretagna che, grazie alla sua collaudata struttura industriale, poteva offrire i suoi prodotti a prezzi competitivi; ma finì col giovare anche agli altri Paesi europei, poiché provocando la scomparsa delle imprese meno attrezzate per sostenere la concorrenza, favorì, in generale, la modernizzazione dell’apparato produttivo.
I costi crescenti degli impianti industriali e l’accresciuta concorrenza diedero un forte impulso alla tendenza verso l’aumento delle dimensioni delle imprese e verso le concentrazioni aziendali. Si moltiplicarono, così, le Società per azioni, che consentivano agli imprenditori di ridurre il rischio negli investimenti e di sopperire al bisogno di capitale . L’eccesso di fiducia nelle capacità espansive del mercato fu all’origine di due crisi scoppiate nel 1857-58 e nel 1866-67, che interruppero momentaneamente il corso positivo dell’economia mondiale.
Alcune importanti invenzioni modificano la percezione dello spazio e del tempo. Tra queste, la rivoluzione dei trasporti e dei mezzi di comunicazione. Grazie all’espansione della ferrovia, il treno, realizzato agli inizi dell’Ottocento, accelera e intensifica gli spostamenti, diventando un simbolo di progresso: all’inizio del 1850 esistevano in tutto il mondo circa 40.000 ferrovie; dieci anni dopo, l’estensione della rete ferroviaria era quasi triplicata, con 110.000 Km, di cui più della metà nel Nord America; nel 1854 fu inaugurata la prima linea transalpina, la Vienna-Trieste. Rilevanti progressi si registrarono anche nell’ambito della navigazione a vapore ; infine, l’invenzione del telegrafo (1844) e, successivamente, quella del telefono (1871) consentono di comunicare in tempo reale da luoghi tra loro remoti. La scienza diventa un mito: si pensa che un destino di inarrestabile progresso attenda l’umanità.

Questi nuovi fermenti si traducono, in AMBITO LETTERARIO, nel movimento noto come NATURALISMO, che cercò di applicare in letteratura le vie “scientifiche” affermate dal Positivismo e dal darwinismo.
In Italia il Naturalismo inizia diffondersi a partire dalla metà del 1870, grazie ad una serie di articoli del critico Felice Cameroni (1844-1913) e dello scrittore Luigi Capuana (1839-1915) che nel 1877 recensisce il romanzo di Emile Zola (1840-1902), L’ammazzatoio e due anni dopo dedica allo scrittore francese il suo romanzo Giacinta. Proprio in questi anni (dopo il 1870) Luigi Capuana dà vita a Milano, insieme a Giovanni Verga (1804-1922) al movimento verista, che si prefigge di riproporre in Italia la poetica naturalista.