giovedì 12 dicembre 2013

TIPOLOGIA B : "L’Italia nella Divina Commedia".



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DOCUMENTI
1. “A tutti e singoli i Signori d’Italia e ai Senatori dell’alma Roma e così ai Duchi e Marchesi e Conti e ai Popoli, l’umile italiano Dante Alighieri fiorentino ed esule immeritevole invoca pace. Ecco ora il tempo propizio, nel quale spuntano i segni della consolazione e della pace. Infatti risplende il giorno nuovo, mostrando ad oriente l’aurora che già dirada le tenebre della lunga sciagura […] e già rosseggia il cielo ai suoi orli e conforta con la sua dolce serenità le attese delle genti. Anche noi vedremo la gioia tanto attesa, noi che pernottammo a lungo nel deserto, poiché sorgerà il Titano pacificatore, e la giustizia, che languiva quasi come elitropia per la mancanza del sole, appena Egli vibrerà i suoi strali, riprenderà vigore. Si sazieranno tutti quelli che hanno fame e sete di giustizia nella luce dei suoi raggi, e saranno confusi quelli che amano l’iniquità dello sfolgorare del suo volto[…].Rallegrati ormai o Italia, degna di essere commiserata anche dai saraceni, tu che presto sarai oggetto di invidia per tutta la terra poiché il tuo sposo, consolazione del mondo e gloria del tuo popolo, il clementissimo Enrico, divo e Augusto e Cesare, si affretta alle tue nozze. Asciuga le tue lacrime e cancella i segni della tua afflizione, o bellissima, poiché è orami vicino colui che ti libererà dal carcere degli empi, che percuotendo i malvagi col taglio della sua spada, li manderà in rovina, e affiderà la sua vigna ad altri coltivatori, che renderanno frutto di giustizia al tempo della messe”. D. Alighieri, Lettera ai signori e ai popoli d’Italia per la venuta di Enrico VII di Lussemburgo (Epistola V).

2. “La dovizia di personaggi presenti nella Commedia si spiega grazie alla più incisiva e più feconda innovazione che il genio di Dante abbia introdotto nel patrimonio artistico-letterario ereditato dall’Antichità e dal Medioevo: il riferimento vivo al mondo contemporaneo. Dante chiama in causa Papi e imperatori del suo tempo, re e prelati, politici, tiranni e condottieri, uomini e donne della nobiltà e della borghesia, delle corporazioni di arti e mestieri e della scuola.[…] La Divina Commedia è in pari tempo una Comédie Humaine, in cui nulla di umano appare troppo elevato o troppo misero. Il poema si muove integralmente all’interno della trascendenza ; questa però è costantemente pervasa dall’alito della storia, dalle passioni del presente. L’atemporalità e la temporalità non solo si giustappongono e si contrappongono vicendevolmente, ma anzi si intessono e si intrecciano a tal punto che i fili non sono più separabili. Il violento irrompere della storia vissuta nell’insieme degli elementi epici, mitologici, filosofici e retorici che formavano la cultura del Medioevo latino rese possibile la congiuntura da cui nacque la Commedia. E’ la risposta dello spirito di Dante al destino di dante: l’esilio. Per l’Alighieri, l’esilio non fu altro che la conferma sul piano personale del generale sconvolgimento del mondo. Imperium e sacerdotium erano usciti dalla retta via; la Chiesa degenerata; l’Italia disonorata: (Pg, VI) Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello. Il mondo era dissestato; a Dante toccava l’immane compito di rimetterlo in carreggiata. Nella Monarchia, egli si era proposto di determinare i giusti rapporti tra Impero e Papato. Nella Commedia egli smembra l’intero universo storico, per poterlo quindi ricomporre nel cosmo astrale dell’universo e nel cosmo metafisico della trascendenza; i valori dell’uno e dell’altro sono in stretta e reciproca corrispondenza”. Da E. R. Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, La Nuova Italia, Firenze 1995.

3. “La polemica contro Firenze e la constatazione della sua decadenza politica e morale si estende nella Commedia anche alle città dell’Italia centro-settentrionale, fino ad abbracciare nell’apostrofe di Sordello l’Italia nel suo complesso;essa è ricondotta sostanzialmente alla cupidigia sul piano morale e alla vacanza dell’Impero sul piano politico. Al pari di Firenze nell’Inferno, altre città toscane vengono presentate con i tratti della bestialità.[…]Anche nel discorso di Marco Lombardo, in Pg. XVI, ricompare l’opposizione antico/nuovo: valore e cortesia della antica età contro l’età nova definita anche secol selvaggio(Pg XVI, v.135). […]Marco Lombardo fonde nel suo discorso prospettiva filosofica e prospettiva politica, il principio del libero arbitrio con la “teoria dei due grandi luminari” (Monarchia, III, IV,2), le istituzioni della Chiesa e dell’Impero, cui spetta la funzione di guidare correttamente l’uomo sulla strada del mondo e su quella di Dio. Nelle parole di Marco Lombardo vengono quindi a corrispondere la dimensione individuale e quella universale della storia, il discorso etico e quello politico: allo stesso modo in cui l’anima semplicetta ha bisogno di guida o fren per indirizzarsi al bene, così gli uomini inclinano al male perché il Papa, la loro guida dà il cattivo esempio.[…]. Strutturalmente il canto VI e il canto XVI hanno in comune sia l’opposizione passato /presente, i cui poli sono rappresentati dalla grandezza della Roma repubblicana e da Firenze, e in cui l’Italia, un tempo giardin de lo ‘mperio (Pg VI), contrasta con lo stato attuale di abbandono, associabile ancora una volta alla selva di Inf. I; sia la necessità di una guida e di un freno, idea fondamentale nel pensiero di Dante, che è rappresentata dall’immagine dell’Italia divenuta selvaggia per mancanza di guida”. R.Merlante-S.Prandi, L’altro viaggio. Antologia dantesca, La Scuola,Brescia 2006.
4.
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!
Quell' anima gentil fu così presta,
sol per lo dolce suon de la sua terra,
di fare al cittadin suo quivi festa;
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l'un l'altro si rode
di quei ch'un muro e una fossa serra.
Cerca, misera, intorno da le prode
le tue marine, e poi ti guarda in seno,
s'alcuna parte in te di pace gode.
Che val perché ti racconciasse il freno
Iustinïano, se la sella è vòta?
Sanz' esso fora la vergogna meno.
Ahi gente che dovresti esser devota,
e lasciar seder Cesare in la sella,
se bene intendi ciò che Dio ti nota,


guarda come esta fiera è fatta fella
per non esser corretta da li sproni,
poi che ponesti mano a la predella.
O Alberto tedesco ch'abbandoni
costei ch'è fatta indomita e selvaggia,
e dovresti inforcar li suoi arcioni,
giusto giudicio da le stelle caggia
sovra 'l tuo sangue, e sia novo e aperto,
tal che 'l tuo successor temenza n'aggia!
Ch'avete tu e 'l tuo padre sofferto,
per cupidigia di costà distretti,
che 'l giardin de lo 'mperio sia diserto.
Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
color già tristi, e questi con sospetti!
(Dante, Purg. VI, vv. 76-108)





5. Il signore, quando sale al potere, è il delegato degli interessi e della classe e della parte della quale si è messo a capo; le aspirazioni sue personali e quelle di chi lo ha portato in alto coincidono. La signoria perciò non comporta una mutilazione vera e propria del popolo; ma piuttosto una disciplina di lotta. Gli atti che seguono l’elezione del capitano generale (capitano del popolo), ci persuadono subito di questo: si cacciano gli avversari, e i beni degli esuli, se in parte sono devoluti all’estinzione dei debiti del comune, sono anche concessi agli amici, e intimi rapporti di interessi si stringono fra il signore e i suoi seguaci.

Da A.Anzillotti, Movimenti e contasti per l’unità d’Italia, Laterza, Bari 1930


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