venerdì 25 settembre 2015

U.Foscolo (1778- 1827) , Dei Sepolcri (vv.1-90). (Bibliografia: V.De Caprio- S.Giovanardi, I testi della letteratura italiana. L'Ottocento)



“Omnia migrant, omnia commutat Natura et vertere cogit”; Panteismo: Forza e moto.

La composizione Dei Sepolcri avviene tra l’estate e l’autunno del 1806. i tempi precisi della sua creazione non ci sono noti con sicurezza, ma possiamo dire con sicurezza che l’opera, nel gennaio 1807, era già stata ultimata. Un’ importanza notevole nella stesura del carme dei Sepolcri ebbe l’editto di Sant-Cloud (1804), che vietava le sepolture private nelle chiese e aveva stabilito che i cimiteri fossero posti al di fuori del perimetro cittadino. Questa legislazione, che contrastava improvvisamente con una secolare consuetudine riguardante il culto cristiano dei morti, fu estesa all’Italia nel 1806. ( Nei versi 51 e 53, si nota come il Foscolo abbia introdotto nel carme il riferimento attualizzante alle recenti norme legislative)

L’idea di scrivere I Sepolcri è nata in Ugo Foscolo a seguito di un colloquio, avvenuto nel giugno 1806, avuto con l’amico Ippolito Pindemonte (1753-1828) già autore di un poemetto incompiuto “I Cimiteri “ e con la nobildonna veneziana Isabella Teotochi Albrizzi (1760-1836) riguardante il tema della sepoltura. In questa circostanza il poeta, un po’ per simpatia verso la cultura rivoluzionaria nonché per convinzioni materialistiche e laiche, aveva sostenuto la validità della legislazione francese, che invece i suoi due interlocutori osteggiavano recisamente.
Nell’estate dello stesso anno, impossessatosi del tema poetico del Pindemonte e capovolgendo le sue iniziali posizioni, Foscolo compose Dei Sepocri, senza però ritrattare il punto di vista materialistico e laico.
Il carme Dei Sepolcri si compone di 295 versi di endecasillabi sciolti, cioè svincolati da strutture strofiche e da legami di rima. Si trattava di una forma metrica particolarmente diffusa nella poesia neoclassica (vedi già G. Parini, Il Giorno) che con il suo fluire ininterrotto, privo di partizioni strofiche, rispondeva perfettamente al gusto neoclassico per la linea continua e modulata. Inoltre l’endecasillabo sciolto aveva una lunga tradizione letteraria come metro in cui veniva reso, nelle traduzioni, l’esametro della poesia classica; Foscolo tradurrà in esametri “La chioma di Berenice “ di Catullo.

 IL CARME DEI SEPOLCRI FU REDATTO NELLA FORMA DI UN’EPISTOLA IN VERSI INDIRIZZATA ALL’AMICO IPPOLITO PINDEMONTE, il quale decise a questo punto di interrompere la stesura dei Cimiteri e , quando l’opera fosco liana fu pubblicata, nel 1807, il Pindemonte rispose con un’epistola in endecasillabi sciolti intitolata anch’essa Dei Sepolcri. Fin dal momento della sua pubblicazione, il carme foscoliano aveva suscitato parere contrastanti tra i lettori: molti intellettuali rimasero coltiti dalla eccessiva complessità del testo, dalla sua STRUTTURA LOGICA E ARGOMENTATIVA, tanto che esso fu definito seccamente da Pietro Giordani “ un fumoso enigma”. Per questa ragione il Foscolo ne fece un sommario, in una lettera indirizzata a “Monsieur Guillon”, pubblicata nel 1807 sul “Giornale italiano”, rispondendo così alle critiche di oscurità e di mancanza di un coerente filo conduttore che un letterato francese, AIMÉ GUILLON (1758-1824) aveva rivolto all’opera di Ugo Foscolo sulla stessa rivista.
 Sulla base del sommario redatto dal Foscolo è possibile divider il Carme in QUATTRO SEQUENZE (ciascuna articolata in un certo numero di quadri):
1 FUNZIONE SOGGETTIVA E PRIVATA DEI SEPOLCRI (vv.1-90): giustificazione sentimentale
2 IL CULTO DELLE TOMBE NELLE DIVERSE CIVILTà (vv.91-150) : giustificazione storica
3 FUNZIONE CIVILE DEI SEPOLCRI (vv.151-212) : giustificazione patriottica
4 FUNZIONE POETICA DEI SEPOLCRI (vv.213-295) : giustificazione poetica
L’innovazione apportata nel carme riguarda l’intento dimostrativo, il contenuto etico- civile e didascalico che induce il Foscolo a procedere per argomentazioni ed esempi, secondo una struttura logico-argomentativa, cioè per via filosofica; nel testo è evidente inoltre una fortissima carica attualizzante nel rapporto continuamente stabilito, ora in modo implicito ora in modo esplicito, tra passato e presente.


INTRODUZIONE, PARAFRASI
Il carme Dei Sepolcri è costituito da 295 endecasillabi sciolti. La metrica del carme foscoliano comprende l’uso di endecasillabi sciolti con un’inedita funzione argomentativa e filosofica. I frequenti enjambements rafforzano il senso di difficoltà e di densità espressiva già comunicato alla sintassi ricercata, ma allo stesso tempo sottolineano il distendersi del pensiero nel corso della versificazione che assume un andamento fluido e ininterrotto. Dunque, anche la metrica partecipa a questa “innovazione” del Foscolo, che ha creato una poesia che non vuol descrive ma piuttosto ragionare.
Il testo e suddivisibile in quattro parti, secondo il suggerimento offerto dallo stesso autore.
1 LA PRIMA SEQUENZA (vv. 1-90) affronta il tema della FUNZIONE SOGGETTIVA E PRIVATA DEI SEPOLCRI, l’utilità delle tombe e dei riti dedicati ai morti. Dal punto di vista materialistico e laico i sepolcri sono inutili e non riscattano, per chi muore, la perdita della vita: da un punto di vista oggettivo essi non possono mutare una condizione irreversibile. D’importanza fondamentale appare invece la funzione che le tombe svolgono dal punto di vista dei valori soggettivi, perché creano una CORRISPONDENZA DI AMOROSI SENSI FRA VIVI E MORTI, segno della sopravvivenza ideale dell’estinto nel ricordo dei vivi, a condizione però che l’estinto abbia lasciato ai suoi una preziosa eredità d’affetti, tale da annullare l’oblio.
La nuova legislazione francese risulta ingiusta agli occhi del Foscolo perché, al fine di cancellare le differenze sociali e sottolineare l’eguaglianza di natura fra gli uomini, nega di offrire il giusto riconoscimento ai meriti dei migliori. Ed è appunto rispetto a ciò che la legge napoleonica sulle sepolture estesa all’Italia con l’Editto di Saint Cloud svela il proprio carattere assolutamente inumano.
2 LA SECONDA SEQUENZA (vv. 91-150) ha per tema IL CULTO DELLE TOMBE COME ISTITUZIONE. Il Foscolo evidenza come la coscienza del culto dei sepolcri sia alla base di tutte le civiltà, anche se esso ha assunto nelle diverse epoche storiche e nei diversi luoghi forme e manifestazioni rituali differenti. L’usanza di seppellire i morti, infatti, nacque nel momento in cui l’umanità uscì dallo stato ferino per avviarsi verso la civiltà. Da allora, dice il F., il culto dei sepolcri ha assunto un carattere sacrale che si è mantenuto per tutti i secoli successivi.
Il Foscolo passa i rassegna i principali riti legati al culto dei morti che si sono manifestati nel tempo: esprime il suo elogio per l’antichità classica durante la quale le sepolture avvenivano in luoghi aperti e verdeggianti e i cimiteri rappresentavano occasioni di incontro affettivo tra vivi e morti ; così avviene anche in Inghilterra dove i cimiteri hanno la funzione di testimonianza degli affetti familiari e delle memorie civili. Altre forme di sepoltura, come quelle proprie dl Medioevo cristiano sono biasimevoli, poiché incutono il terrore della morte.
3 LA TERZA SEQUENZA (vv. 151-212) ha per tema LA FUNZIONE CIVILE DEI SEPOLCRI. Il Foscolo rileva come le tombe dei grandi personaggi (che si sono distinti per magnanimità, per imprese, per testimonianze lasciate ai posteri) hanno una doppia funzione: incitano gli animi a imprese valorose e rendono sacra la terra che li accoglie. Le tombe dei grandi costituiscono la sede della memoria storica: grazie ad esse si conservano i valori della tradizione che formano il carattere di una nazione e allo stesso tempo si mantiene viva la possibilità che quei valori tornino ad operare nel presente. Così risulta evidente di fronte alle tombe dei grandi in Santa Croce a Firenze (Machiavelli, Michelangelo, Galilei, Alfieri) o davanti ai sepolcri dei caduti nella Battaglia di Maratona in Grecia.
4 LA QUARTA SEQUENZA (vv. 213-295) svolge il tema della FUNZIONE POETICA DEI SEPOLCRI. La funzione memoriale e sacrale delle tombe dei grandi fa sì che ad esse si ispirino i poeti di tutti i tempi per celebrare le grandi imprese degli eroi antichi. Alla poesia, la più grande delle illusioni, spetta il compito di rendere sacre per l’eternità le gesta dei grandi eroi; la poesia, tramandando le antiche imprese goriose, si fa eternatrice della memoria storica che potrà sopravvivere nei posteri anche quando i sepolcri saranno distrutti dalla inesorabile forza del destino di dissoluzione che travolge tutte le cose umane.

DEI SEPOLCRI, parafrasi (vv.1-90)
“Deorum Manium iura sancta sunto” Leggi XII Tavole, V sec. a.C (= Siano sacri i diritti degli Dei Mani ).
Metro: Endecasillabi sciolti

(vv.1-90)
Il sonno della morte è forse meno doloroso all’ombra dei cipressi e nei sepolcri su cui i parenti possono piangere i loro morti?
Quando il Sole per me non feconderà più la terra con le belle specie piante e di animali, e quando il futuro per me non ci sarà più davanti, ricco di lusinghe, né potrò più udire, dolce amico, la tua poesia malinconica, né più sentirò nel cuore l’ispirazione poetica e il sentimento d’amore, unico alimento per la mia vita di esule, quale risarcimento per i giorni perduti potrà mai costruire una pietra tombale che distingua le mie ossa da tutte le altre che la morte dissemina in terra e in mare? E’ proprio vero, Pindemonte! Anche la Speranza, ultima Dea, abbandona i sepolcri; e la dimenticanza avvolge ogni cosa nelle tenebre della notte; il tempo muta l’uomo, i sepolcri, le spoglie e ciò che resta della terra e del cielo.
Ma perché l’uomo dovrà privarsi prima del tempo dell’illusione che seppur morto possa tuttavia soffermarsi sulla soglia del regno dei morti?
Non vive anche egli sotto terra, quando la bellezza del mondo sarà per lui cessata, se può destare l’illusione di sopravvivenza con il ricordo dei teneri affetti nella mente dei suoi cari?
Questa corrispondenza di affetti tra i defunti e i vivi è un dono celeste; e spesso attraverso di essa si continua a vivere con l’amico morto, e il morto continua a vivere con noi, a condizione che la terra pietosa che lo accolse e lo nutrì da bambino, offrendogli nel suo grembo materno l’ultimo rifugio, renda inviolabili i suoi resti dagli oltraggi degli agenti atmosferici e dal sacrilegio piede del volgo, e una lapide conservi il nome, e un albero amico, profumato di fiori consòli le ceneri con la dolce ombra. Solo chi non lascia affetti tra i vivi ha poco conforto nella tomba; e se pure immagina ciò che accadrà dopo i funerali, vede il suo spirito vagare nel pianto nelle regioni d’Acheronte, o rifugiarsi sotto le grandi ali del perdono di Dio; ma le sue ceneri lasciano alle ortiche in una deserta terra dove né una donna innamorata verrà a pregare, né un passante solitario potrà udire il sospiro che la natura manda dalla tomba.
Tuttavia una nuova legge oggi impone che i sepolcri siano posti fuori dagli sguardi pietosi, e toglie la possibilità di nomi sulle tombe. E senza tomba giace il tuo sacerdote, o Talia (poesia), il quale cantando per te nella sua povera casa fece crescere una pianta d’alloro con amore costante, e ti offriva serti di fiori; e tu rendevi bella con la tua ispirazione la poesia che criticava il nobile lombardo (Sardanapalo) per il quale è gradito solo il muggito dei buoi che, provenendo dalle rive dell’Adda e del Ticino, lo rendono beato di ozi e di cibi. Oh bella Musa, dove sei? Non sento il profumo dell’ambrosia, che indica la presenza della musa, fra questi tigli dove io sto seduto sospirando per la mia patria lontana. E tu venivi e gli sorridevi sotto quel tiglio che ora con le fronde intristite sembra fremere perché non ricopre, o Dea, la tomba del vecchio a cui già aveva profuso calma e ombra. Forse tu fra le tombe comuni stai vagando ansiosamente per cercare dove sia sepolto il capo sacro del tuo Parini? A lui la città corrotta compensatrice di cantanti evirati, non ha dedicato una tomba ombrosa, non una lapide, non un’epigrafe; e forse insanguina le ossa di Parini il capo mozzato di un ladro che è stato giustiziato sul patibolo per i suoi delitti. Senti raspare tra le tombe ridotte a macerie e gli sterpi la cagna randagia che vaga tra le fosse, latrando per la fame; e uscire dal teschio, dove si era rintanata per sfuggire la luna, l’upupa e svolazzare tra le croci sparse nel cimitero di campagna, e senti l’immondo uccello rimproverare con il suo verso lugubre i raggi che pietosamente le stelle inviano alle sepolture dimenticate. Invano sulla tomba del tuo poeta, o Dea, invochi gocce di rugiada dalla squallida notte. Ahi! Sui morti non sorgono fiori, se il morto non viene onorato dalle lodi umane e dal pianto amoroso (v.90).

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